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Olindo Guerrini
Canzoniere di Lorenzo Stecchetti

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  • POSTUMA
    • XLVI.   IL GUADO
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XLVI.

 

IL GUADO

 

IDILLIO

 

Fiume che scendi giù dal Bolognese,

Fiume dall’acqua cristallina e cheta,

O caro fiumicel del mio paese,

Tu sol m’hai fatto diventar poeta:

Tra i floridi giuncheti e la cortese

Delle tue fresche rive ombra segreta,

Tra la verdura tua serrata e folta

Ho conosciuto amor la prima volta.

 

Sovra la sabbia d’or della tua sponda

Con un fruscio gentil l’acqua fuggiva,

E dov’è più chiara e men profonda

Noi dovevam passar sull’altra riva.

Ella cantava e la canzon gioconda

Laggiù, laggiù tra i salici moriva:

Ella era bionda, bella ed io l’amavo:

Glielo volevo dire, e non l’osavo.

 

Stretti, serrati insiem come due sposi

Delle prime carezze all’indomani,

Soli camminavan per misteriosi

Silenzi, all’ombra delle querce immani:

E dalle vesti sue, dagli odorosi

Capegli usciano quei profumi arcani,

Quei profumi di carne e di salute

Che vanno al cor per vie non conosciute.

 

Al margine del guado alfin venuti

Un pensiero ci colse all’improvviso,

E così ci fermammo irresoluti,

Così tra la vergogna e tra il sorriso.

Eravamo soletti e non veduti

Ed arrossendo ci guardammo in viso;

Con un fruscìo gentil l’acqua fuggiva

E dovevam passar sull’altra riva.

 

Pur mi feci coraggio e dissi: vieni,

Vieni, ti porterò tra le mie braccia:

Ella disse di sì, rise e i sereni

Occhi mi fisse arditamente in faccia.

Io mi sentii fuggir su per le reni

La voluttà come una lama diaccia;

La lingua ribellossi alla parola

E il cor parea che mi saltasse in gola.

 

Chinato sopra l’erba io mi scalzai;

Ella avea gli occhi bassi e pur guardava;

La presi in braccio e dentro all’acqua entrai...

Io me la presi in braccio, io che l’amava!

Così la prima volta mi serrai

Forte contro al suo sen che palpitava

Come una colombella spaurita

Palpita nella man che l’ha ghermita.

 

O bei piedini così ben calzati,

Per non guardarla in viso io vi guardava,

Per non veder quegli occhi spaventati

Dove il sorriso col timor lottava!

Sotto a’ miei diti stretti ed agitati

Cedea la carne e il busto scricchiolava

E l’alito gentil del suo sorriso

Caldo e procace mi saliva al viso;

 

E si serrava al petto mio, mettendo

Ad ogni passo un riso di spavento,

Ed una ciocca di capegli, uscendo

Di mezzo all’altre, m’irritava il mento.

Le vidi in viso balenar fuggendo

Il riflesso dell’acqua, e in quel momento

Divenni forte e non v’ho più guardati,

O bei piedini così ben calzati!

 

Ebbi il coraggio di guardarla in faccia,

Di guardarla negli occhi e non tremai;

La sua carne fremea tra le mie braccia,

Eravam sulla riva e mi fermai;

E la mal chiusa veste apria la traccia

Di candidi misteri e li guardai,

Finchè mi vinse amor... Caddi a ginocchi,

La baciai sulla bocca e chiusi gli occhi.

 

Che cosa avvenne poi? Vide ed intese

L’acqua del fiume cristallina e cheta,

E tu fiume lo sai del mio paese,

Tu che m’hai fatto diventar poeta;

Lo sanno i tuoi giuncheti e la cortese

Delle tue fresche rive ombra segreta

E la verdura tua serrata e folta

Dove conobbi amor la prima volta.




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