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Olindo Guerrini
Canzoniere di Lorenzo Stecchetti

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  • POSTUMA
    • III.
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III.

 

Era una notte come questa e il vento

Scuoteva urlando la mia porta invano:

Lunga come un lamento

Mezzanotte battea lontan lontano,

Cadea la pioggia a rivi

Dalle gronde sonore e tu partivi.

 

Tu partivi per sempre ed io sul letto,

Col viso in giù, la còltrice mordea:

Mi strideva nel petto

Il singhiozzo del pianto e non piangea.

Così tu m’hai lasciato

E il bacio dell’addio non me l’hai dato.

 

Da quella notte non t’ho più veduta

E più nulla di te non seppi mai.

Forse tu sei caduta

Nel vitupero ed aspettando stai,

Seduta sulla porta,

Chi compri il bacio tuo; forse sei morta.

 

Forse, e questo pensier più mi tormenta,

Non ti ricordi più del tuo passato,

E godendo contenta

La casta pace d’un imen beato,

Baci col labbro pio

I figli d’un amor che non fu il mio.

 

Nel tempo anch’io sperai che pur conforta,

Che spegne pure ogni dolor più greve.

Ti volli creder morta

Perchè scordarsi degli estinti è lieve,

E dissi al cor mio gramo,

Dissi all’anima mia: dimentichiamo.

 

Invan. Da quella notte io porto in core

Come una piaga che guarir non vuole;

Chiuso nel mio dolore

Odio la terra, maledico il sole,

Maledico la vita,

Perchè non spero più; tu sei partita.

 

E partita per sempre! e pur se sento

La piova ancor che dalle gronde scroscia

E a mezza notte il vento

Sonar come un lontano urlo d’angoscia,

Dal mio guanciale il volto

Levo e le voci della notte ascolto.

 

Così mal desto le tue bianche forme,

Velate come in sogno, io veggo in mente;

Tace per poco e dorme

Il tarlo roditor che lentamente

La mia vita divora,

E mi par quasi d’aspettarti ancora.

 

Può la mente scordar tutto un passato,

Ma la mia carne non li scorda mai

I baci che m’hai dato,

I misteri d’amor che t’insegnai,

Le notti mie più liete,

E le tue voluttà le più segrete.

 

Ahi, ma dal mio sopor tosto destato,

L’atroce verità riveggo intera!

Ignudo e forsennato

Levo le braccia nella notte nera

E sulla coltre sola

Spasimo e il pianto mi s’annoda in gola.

 

Pianger non posso. Maledetto Iddio,

Se favola non è come l’amore,

Egli che il pianto mio

Come una pietra mi saldò nel core,

Egli che ci ha diviso

E che il pianto mi nega e il tuo sorriso!

 

Oh, se pianger la morte mi facesse,

Se una lagrima sola, un’ora sola

De’ gaudi tuoi mi desse,

Ricada sovra me la mia parola

Se la casa di grida

Non risonasse già pel suicida!




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