I
LA
GOLA DEL LEONE.
In una sala
del palazzo ducale di Venezia, le cui pareti, tutte coperte di rasce nere,
venivano debolmente rischiarate da una sola lampada a sei becchi pendente per
tre catene dalla volta; una notte d'agosto del 13... stavano sedute intorno ad
una gran tavola diciassette persone; dieci senatori, il doge e sei consiglieri.
Era l'eccelso consiglio così detto dei Dieci, raccolto in sessione. Colà dentro
facevasi un perfetto silenzio, non interrotto che dal fruscio de' fogli
d'alcuni codici che venivano di quando in quando svoltati, da qualche sommessa
parola che alcuno dei senatori diceva al suo vicino, e lontano lontano dal
romore indistinto, ma incessante di grida e di suoni. Dopo qualche po' d'ora
che si continuò in una profonda quiete, uno de' senatori entrò finalmente a
parlare:
«Centomila
ducati d'oro ci costò la vittoria riportata contro i Genovesi. Ecco qui: i
bilanci dei commessari sono di una straordinaria esattezza.»
«Centomila
ducati d'oro? è una bella somma.»
«Ma il ricavo
del cotone quest'anno ci renderà altrettanto e più: una mano lava l'altra.»
«Sì davvero,
possiamo lodar la sorte che ci ha fatti cadere in piedi.»
«Voi dite benissimo,
ma se quest'ultima guerra non si fosse protratta tanto tempo, sarebbe stato
assai meglio.»
«L'ammiraglio
non poteva far diversamente.»
«Lo poteva.»
«Il senator
Barbarigo ha ragione, si è temporeggiato inutilmente.»
«Le tre navi
grosse che furono incendiate nel golfo della Spezia, hanno stremenzita
oltremodo la cassa dell'arsenale.»
«In verità
che Candiano fu imprudente.»
«Ottenne la
vittoria però.»
«Con troppo
scapito della Serenissima.»
«Considerate
che Genova è ridotta a mal termine; che la sua flottiglia è dispersa, e che per
anni parecchi non ci resta più a temerla.»
«Questo lo
credo anch'io, ma Candiano....»
Qui
l'interlocutore veniva improvvisamente interrotto da una esclamazione di
maraviglia; l'aveva mandata un senatore che stava ripassando alcune carte.
«Che cosa
avete letto?»
«È assai
strano,» rispondeva quel senatore, «sentite: è uno dei fogli trovati stasera
nella gola del leone.»
«Un'accusa?»
«Un'accusa.»
«Contro chi?»
«Sentite. -
Se l'eccelso consiglio dei Dieci avesse a suo tempo tenuto d'occhio a ciascun
passo del glorioso ammiraglio, a quest'ora ne saprebbe di belle.»
«Oh!...
questa è curiosa!»
«Non c'è
altro?»
«No.»
«Il caso è
molto strano.»
«Ora io
domando, chi mai può aver scritte queste parole.»
«È ciò
appunto che non si può sapere.»
«Ma che cosa
può essere?»
«Forse una
vendetta d'un nemico di Candiano.»
«Chi sa?»
«Ad ogni modo
ci convien stare all'erta.»
«Faremo
chiamare qualcuno de' nostri: come chiamarli?»
«Non importa:
stasera parlerò all'Apostolo Malumbra; egli mi saprà scovar fuori alcun che di
più chiaro.»
«Va bene,
Barbarigo: a dar spaccio a questa faccenda ci penserete voi.»
«Candiano, il
fiore de' prodi, il patrizio di cui la Serenissima ebbe sempre a lodarsi; che sotto
la corazza d'acciaio ha il valore il più indomito, e sotto la casacca il cuore
il più benefico; l'ammiraglio Candiano, che oramai è presso ai settant'anni, mi
sembra, illustrissimi senatori, troppo superiore a queste accuse.»
«Il glorioso
Candiano è ben fortunato d'avere un sì nobile difensore.»
Attendolo
Barbarigo non aveva pronunciate che queste parole, ma il modo con che le avea
pôrte, era cosparso di una così fina e gelida ironia che l'ottuagenario doge
dovette comprenderlo troppo bene.
«Io ho sessantasette
anni,» continuava il Barbarigo, «nacqui il 2 gennaio del 13... il dì in cui
nacque Candiano. Abbiamo percorsa una strada medesima sino al punto ch'egli
prese il largo in mare, ed io mi chiusi in queste quattro mura. Io lo udiva
quando la bollente anima sua si versava quale e quant'era nelle sue parole.
Nessuno può conoscere Candiano meglio di me.»
«E così?»
«E così
ricordo le parole dell'illustre avo mio: - La Serenissima Republica ha da
guardarsi specialmente dagli uomini che portano troppo alta la fronte e troppo
confidano di sè stessi.» -
L'ottuagenario
doge anche a questo punto fu per pronunciare alcuna parola in difesa di
Candiano, ma non osò; qualunque atroce accusa poteva essere pronunciata
impunemente in quel luogo. Una parola di scusa era sospetta, e il vecchio
tacque.
Dopo qualche
tempo uno de' senatori spiegando un foglio sulla tavola:
«L'arsenalotto
Tritto,» disse, «continua a tempestarci colle sue suppliche: qui ce n'è una.»
«Questo
vecchio è veramente importuno.»
«Bisognerebbe
mandarlo allo spedale di San Lazzaro.»
«Benissimo.»
«Ma che cosa
domanda?»
«Che si
costringa il giovane patrizio Attilio Gritti a passargli un'annua pensione.»
«E perchè?»
«Sapete bene
che il Gritti in un momento di mal umore gettò da Rialto in canale il giovane figlio
di Tritto che per caso rimase ucciso.»
«Lo sappiamo,
ma se fu il caso, il Gritti non ci ha a pensare; d'altronde è voce che sia
stato a buona difesa.»
«Dite
benissimo, Barbarigo.»
«Se mai si
venisse a dare questa soddisfazione al vecchio Tritto, il popolaccio entrerebbe
in troppa baldoria.»
«Io so che
ieri sera il vecchio si presentò all'ammiraglio.»
«Che lo
accolse assai benignamente e gli diede molte speranze.»
«Ciò vuol
dire che la sua borsa ci provvederà.»
A questo
punto tutti si tacquero.
La sessione
essendo presso al suo sciogliersi, si dovevano leggere i processi stesi in
quella sera; la qual cosa venne fatta da uno dei consiglieri del doge. Dopo si
passò alla lettura delle sentenze di prigionia e di morte; in ultimo alle
sottoscrizioni.
Quando ad un
orologio a campana suonarono due ore di notte, tutti si alzarono e uscirono
l'un dopo l'altro. Accompagnato il doge ne' suoi appartamenti, i sedici
personaggi, passando in mezzo agli alabardieri della Republica, discesero per
quella scala così nota, sulla quale rotolò la testa di Maria Faliero, chiamata
la scala de' Giganti, e attraversato il cortile usciron fuori sulla piazza. Le
sedici gondole che li stavano aspettando presso la riva, si videro presto
prendere il largo nella laguna e sbandarsi chi per l'una chi per l'altra parte.
Verso
mezzanotte, quasi in fondo al canale della Zueca, le finestre e i balconi di un
palazzo riboccavano di luce. Era quello il palazzo del senator Barbarigo. A chi
guardava stando ad una delle finestre di quell'edificio si presentava una delle
più pittoresche scene di Venezia. Presso alla riva erano raffermi alcuni grossi
navili che colle vele spiegate ed erette al cielo proiettavano ombre giganti
sulle muraglie delle case e de' palazzi; a diverse distanze molte barche
pescherecce che riflettevano nelle acque la fiamma alimentata sulla tolda; -
come lucciole vaganti che or brillano del lor fuoco fatuo, ora si perdono per
ricomparire poi tosto allo sguardo, le gondole illuminate di fanaletti correnti
e ricorrenti a miriadi sulla vasta superficie dell'onda inargentata sparsamente
e chiazzata dai raggi lunari. E intanto che la vista si deliziava della
fantastica scena, canti popolari che, a seconda dei soffi più o men forti del
vento, or giungevano distinti all'orecchio, ora in tuoni decrescenti andavano
smorendo lontano, e suoni di sistri, di chiarine, di cimbali, che insieme
confusi facevano echeggiar l'aria di un romore indistinto, ma continuo.
Agli
scaglioni di quel palazzo ingombri di gran moltitudine di maschere, e d'altre
persone che salivano incessantemente, eran volte le prore di quasi tutte le
gondole che solcavano il canale. Giunte vicino agli scaglioni vi rigurgitavano
ad onde gentiluomini e gentildonne che entravano nel palazzo.
Alcuni della
folla se ne stavano oziando intenti a quel gran concorso.
«Stanotte
pare che Venezia voglia insaccarsi intera nel palazzo del signor Barbarigo.»
«È dalle tre
ore di notte che le gondole han cominciato a gettar gente su questi scaglioni,
nè pare che si vogliano rimanere.»
«Guarda un
tratto.»
«Chi è?»
«Chi arriva?»
«Dà il passo
presto; è l'illustrissimo signor Attilio Gritti. Dà il passo, che se mai lo
toccassi col mio corpo, mi appoggerebbe tal nespola sulla testa che non mi rialzerei
così presto.»
«Lascia,
ch'egli è già passato.»
«Io non ho
mai conosciuto giovane al mondo più superbo e presuntuoso di costui.»
«Nè si
comprende come lo sopporti la Serenissima Republica.»
«Taci che ho
veduto gironzare qui presso il Malumbra.»
«Chi è il
Malumbra?»
«Giacchè non
lo conosci fa di non averlo a conoscere mai.»
«Il Malumbra
è un onesto mercante. Io lo conosco benissimo.»
«Ti consiglio
però a condurre le cose in maniera ch'egli non t'abbia mai nè a comperare nè a
vendere.»
«Ciò mi
riesce nuovissimo.»
In questo
mentre molte grida e voci d'acclamazione e d'applauso partirono dal punto più
lontano della Zueca, là dove l'onda si svolge nel canal Somenzera; dieci o
dodici fanaletti che luccicavano in quel fondo, avvisarono che molte gondole si
venivano avanzando di conserva, e mano mano che venivano innanzi, si facevano
più forti le grida e i battimani. A breve distanza si poterono chiaramente
comprendere le parole: Viva Candiano! Viva Candiano! e di lì a
poco la gondola nella quale trovavasi l'ammiraglio delle galere, fu presso alla
riva. La folla che stava in sulle scalee si divise allora in due per dare il
passo all'ammiraglio, rispondendo essa pure con acclamazioni e battimani alle
grida che partivano dalle gondole.
Un vecchio di
alta e complessa corporatura con tôcco in testa di sciámito riccio, vestito di
una zimarra di velluto pavonazzo, dalle cui aperture traspariva la sottoveste
di seta color fuoco, mise il piede a terra, volgendo intorno un occhio ancor
pieno di fuoco e di sicurezza. L'incedere ritto e speditissimo della persona
con certe mosse repentine e piene di energia, mostravano che in quel vecchio
era una forza di temperamento che sarebbe stata straordinaria anche in un
giovane.
Salutata a
dritta e a sinistra la popolaglia che non rifiniva dall'applaudirgli, entrò
esso pure nel palazzo Barbarigo.
Messo il
piede nelle sale dove ferveano le danze, anche colà venne accolto da un
subbisso d'applausi: Viva Candiano, il vincitor de' Genovesi! V'era però
un uomo in quel palazzo, al quale quelle voci d'applauso giungevano tutt'altro
che gradite. Quest'uomo era il senator Barbarigo che se ne stava tutto solo su
di un terrazzo, e avvolto nella sua cappa, porgeva orecchio a quelle grida,
accusando di stupido entusiasmo la moltitudine che faceva tanta festa
all'ammiraglio. Nel punto che stava agitando codesti pensieri, gli comparve
innanzi un uomo.
«Oh sei tu,
Apostolo?»
«Son io. Mi
avete mandato a chiamare, e non ho tardato a venire.»
«Hai fatto
bene.»
«E tanto più
che mi sembrò d'aver indovinata la causa per cui mi avete fatto chiamare.»
«La causa? e
come puoi tu saperla?»
«Questa sera
nella bocca del leone furono trovate due righe che parlavano dell'ammiraglio
Candiano.»
«Come sai tu
questo?»
«Questo ed altro
e, senza dubbio, più di quello che fu detto in quello scritto....»
In questa la
moltitudine che soverchiava nelle sale, venne ad occupare anche il terrazzo
dove trovavansi i due interlocutori: allora il Barbarigo visto che quello non
era il tempo di venire a stretti colloqui, quantunque la curiosità il
tormentasse forte, pensò togliersi di là, e detto al Malumbra si fermasse in
palazzo fino al termine della festa, recossi nelle sale.
Le poche
parole del Malumbra aggiunsero tuttavia un'allegria insolita al senator
Barbarigo, il quale era un uomo molto singolare.
Entrato nelle
sale, e girato l'occhio per vedere dove fosse l'ammiraglio, gli si recò da
presso, e dettegli molte cortesi e gentili parole, mostrò desiderio di far
secolui una partita agli scacchi. L'ammiraglio accettò, i due vecchi uscirono.
Intanto
alcuni giovani gentiluomini che attendevano, riuniti in un crocchio, a
discorrere le varie avventure del dì, come è costume farsi in simili
circostanze e in simili luoghi, continuavano un discorso incominciato da
qualche tempo intorno all'ammiraglio Candiano.
«Oggi abbiamo
applaudito al suo valore. Ma una volta si applaudiva al suo valore e alla bella
sua figlia.»
«E la sua
comparsa destava due grate sensazioni in una volta.»
«È vero,
Steno, io la penso come tu, e la povera Valenzia quando veniva accompagnata da
suo padre, a riflettere la bellissima sua figura in uno di questi specchi....
mi ricordo che ciascheduno di noi si contendeva questa leggiadra conquista.»
«Povera
Valenzia!»
«Quand'io ci
penso, non mi par vero.»
«Se quando
venne in Venezia quel nemico di Dio, si fosse affondata la barca che lo
portava, forse anche adesso quella bellissima tra le fanciulle ci rallegrerebbe
la vista.»
«E in
vece....»
«Non ne
parliamo più.»
«E in vece
colla morte di Valenzia la Serenissima Republica comprò l'alleanza dei
Visconti.»
«Chi mai
poteva sospettare che il figlio del Visconti dovesse chiedere in isposa la
figlia dell'ammiraglio?»
«Oh parliamo
di Candia; ma taciamo di questo fatto.»
«E fu strano
in vero.»
«Più doloroso
che strano.»
«Chi avrebbe
mai creduto che la notte in cui tanto sfolgoreggiò la sua bellezza nelle sale
dei Mocenigo, quella sarebbe stata l'ultima volta che noi l'avremmo veduta?»
«E fu proprio
l'ultima.»
«Tre dì dopo,
mi pare ancora di sentire la voce del mio gondoliere: - Questa sera a
ventiquattr'ore, la signora Valenzia Candiano è passata all'altra vita.»
«E all'alba
del dì prossimo doveva recarsi in San Marco dove il Visconti l'avrebbe
impalmata.»
«Pur troppo,
e v'andò di fatto, ma in vece dell'alba fu a vespro, e la bara tenne luogo alla
lettiga.»
«Dio sa qual
effetto le produsse nell'animo il pensiero di quelle nozze.»
«L'effetto è
chiaro. Ella morì.»
«E tutta
Venezia ne fu sconsolata.»
«Soltanto il
vecchio Candiano mostrossi impassibile a tanta sventura, e mi pare ancora
vederlo fermo e ritto colla sua gigantesca figura sulle scalee di palazzo colle
braccia incrocicchiate sul petto, starsi ad osservare il convoglio delle
gondole mortuarie che gli passavano innanzi.»
«E Alberigo
Fossano?»
«Ti ricordi
di Alberigo Fossano?»
«Me ne
ricordo assai bene; perchè è difficile a dimenticare il valore del suo braccio
e la virtù del suo canto. D'altra parte praticava assai spesso nella casa
dell'ammiraglio, e il dì che il bel corpo della Valenzia fu trasportato sulla
bara, io lo vidi piangere come piange un ragazzo.»
«E dopo
ch'ella fu seppellita a San Cristoforo della Pace, dove sono le tombe dei
Candiano, quel giovane cavaliere non fu mai più visto in Venezia.»
Ad ascoltare
questi discorsi s'era avvicinato al crocchio quell'Attilio Gritti che già
abbiamo conosciuto quando metteva il piede in palazzo; e sentito parlare di
Alberigo Fossano,
«Amici,»
entrò a dire, «se mai vi piacesse saper la cagione del gran pianto di quel
povero Lombardo, ch'io pure mi ricordo benissimo, vi dirò ch'egli ebbe la
sciocchezza d'innamorarsi di Valenzia. Sì, signori, quel povero cavalieruzzo
che altro non possedeva al mondo che la spada e il suo liuto, ebbe l'ardire di
guardare in volto ad una figlia di San Marco. Ditemi voi se si può dare di
peggio. Ma se questo mistero mi si fosse palesato prima che quel buon giovane
si partisse da Venezia, io gli avrei fatto uscire del capo tanta pazzia.»
«Un duello
m'imagino, com'è uso tuo.»
«E presto
l'avrei mandato a ritrovare la bella Valenzia. Ma chi sa? dice il proverbio -
che chi non muore si rivede, - e s'egli m'avesse a capitare tra' piedi un'altra
volta vi faccio sicuri che allora farò quello che non ho ancor fatto.»
«Era voce
però che la lama della sua spada fosse di durissima tempra, e che il braccio
d'Alberigo non cedesse alla sua lama.»
«Spezzerò la
lama e romperò il braccio. State tranquilli, amici cari, e fate soltanto ch'io
possa rivederlo.»
«Ai cinque
del mese passato io lo vidi a Milano.» Tutti si volsero a queste parole.
«Oh! ecco il
nostro Apostolo Malumbra.»
«Quando sei
ritornato?»
«Ieri,
illustrissimi, sono stato a Milano; ho veduto a far prigione il Barnabò, ho
guardato ben bene la faccia di quel galantuomo di suo nipote; ho sentito i
lamenti de' poveri Milanesi. Del resto feci assai bene le mie faccende, ed ho
portato con me alcuni bellissimi pugnaletti delle migliori fabbriche di quella
città. L'illustrissimo senator Barbarigo, che si degna darmi accesso alle sue
camere, ne ha comperato uno che è una vera maraviglia.»
«Domani
saremo tutti da te, e cambieremo i nostri ducati co' tuoi pugnali.»
«Amici
carissimi, vi faccio osservare che nell'altra sala si beve il vin di Cipro,
intanto che noi ci perdiamo in queste inutili parole.»
«Bravissimo,
andiamo; faremo nel frattempo una partita alla zecchinetta.»
«Viva la
zecchinetta!»
«Viva il vin
di Cipro!»
«Viva il
senator Barbarigo che ci è largo di tante delizie!»
In una delle
camere contigue, seduti ad uno scacchiere, senza pronunciare parola,
attendevano al giuoco il senator Barbarigo e l'ammiraglio Candiano.
Chi avesse
voluto dall'aspetto d'ambedue quei vecchi dedurre il carattere di ciascheduno,
avrebbe detto non potersi dare al mondo due così manifesti contrari. I
lineamenti grandiosi ed aperti del volto di Candiano davano a divedere
franchezza e lealtà; là dove gli occhi piccoli e fondi del senator Barbarigo, i
labbri stretti, la tinta cinericcia del volto, e in tutto il corpo un non so
che di tremolo e d'irrequieto, davano a conoscere pur troppo che in quell'animo
vi doveva essere qualche cosa di cupo e di tenebroso.
Per certe
vecchie ruggini che erano state tra l'una e l'altra famiglia, per certe gare
insorte quando cominciarono ad entrare ai servigi della Republica, sapevasi da
tutta Venezia che quei due patrizi non erano gran fatto amici tra loro, e tanto
più quando corse la voce avere il Barbarigo avversato a Candiano, allorchè in
pieno consiglio fu preso il partito di eleggerlo ammiraglio della Serenissima.
Dopo le molte vittorie però che Candiano aveva riportate a pro della Republica,
e contro le quali non si poteva parlare, il Barbarigo aveva pensato bene
infingersi, ed al Candiano offerse amicizia che fu accettata colla buona fede
propria a tutti coloro che, essendo di rette intenzioni, non possono sospettar
male d'altrui.
Però mentre
l'ammiraglio se ne stava seduto rimpetto al suo coetaneo, non aveva neppure un
dato per sospettare di che sorta fossero i pensieri che in quel momento
ronzavano nella testa del Barbarigo, il quale, co' labbri sempre aperti ad un
mezzo sorriso e con una tranquillità e pacatezza veramente senatoriale, metteva
le pedine sullo scacchiere.
A sturbare
l'attenzione dei due illustri giuocatori, entrarono per caso in quella camera
una frotta di giovani che facevano corona all'Attilio Gritti alterato dal bere,
e mandavano grandissime risa ad ogni sua parola.
«La
Serenissima, mi capite, non mi lascia uscir facilmente de' suoi confini, e
qualche cosa bisogna pur fare. Siamo giovani, non ho più che trent'anni. Per
Dio... i vini del senator Barbarigo zampillano largamente, e le fanciulle
guizzano ch'è una vera maraviglia.»
«A proposito
di fanciulle, come sei riuscito a spuntarla colla figlia del Bertuccio che sta
in piazza San Giovanni e Paolo.»
«Oh così e
così. La ragazza mi piaceva, il padre non voleva e faceva uno scalpore di casa
del diavolo. Voi sapete che questi uomini non vanno alla mia natura, e però
bisognava che me lo togliessi dinanzi.»
«E come hai
fatto?»
«Non mi
ricordo bene. Ma so che adesso il buon uomo è allo spedal di San Lazzaro. Alla fanciulla
poi ho fatte grandissime promesse, ed ella mi martella dì e notte per sapere
quando la sposerò.»
«E quando la
sposerai?»
«Appena che
avrò pagato i tremila ducati all'ebreo che sta qui in sul canto.»
«E la figlia
dell'arsenalotto Tritto?»
«Sappiamo che
quel povero vecchio guaisce appena che ti sente a nominare.»
Intanto che
si facevano questi ribaldi discorsi, il senator Barbarigo continuava a giuocare
colla sua imperturbabile freddezza, poco o nulla badando alle parole d'Attilio
Gritti. Non così Candiano, che ad ogni parola di lui si agitava manifestamente,
e vi fu un punto che il suo pugno battè con gran forza sullo scacchiere a
collocarvi la pedina.
«Ammiraglio,
non v'alterate,» dicevagli il senatore, non sapendo indovinare la vera cagione
di quel subito sdegno, «il giuoco non va sempre a seconda. Perchè vi alzate,
ammiraglio?»
All'udire
alcune parole di scherno che il Gritti aveva pronunciate contro il povero
arsenalotto a cui aveva ucciso il figlio e tentato disonorare la figlia,
l'ammiraglio era di fatto balzato in piedi e fattosi in mezzo a que' giovani
che con tanta lena ridevano a quelle ribalderie del Gritti, e movendo intorno
la severa pupilla che brillava sotto al folto suo sopracciglio,
«I giovani
d'oggidì,» prese a dire, «si danno al bello spirito, a quanto ho potuto
sentire. Ma se la memoria non mi tradisce, v'è una legge che ci obbliga, quanti
siam figli della Serenissima, a indennizzare coloro a' quali s'è fatto alcun
danno.. È una legge del secolo XI, sancita da que' nostri buoni antenati
ch'erano specchio di probità e di valore.»
«Le corazze e
i morioni di quel secolo,» rispose Attilio, volgendosi a guardar Candiano con
un fare tra lo sbadato e beffardo, «sono appese alle muraglie dell'arsenale, e
tanto sono irrugginite che non v'è chi più vi badi. Pensate, ammiraglio, che
quella legge del secolo XI, è un ferro vecchio da appendersi insieme a quelle
corazze e a que' morioni.»
«Torno a
ripeterlo. I giovani d'oggidì si son dati al bello spirito. Ma se la
Serenissima non vi permette d'uscire, quando il volete, da' suoi confini, v'è
anche taluno che avrà forza da farvi stare entro i confini della giustizia. Per
Dio, non c'è da ridere, cari miei. Questi giovinotti d'oggidì ridono per un
nonnulla, è una vera sciocchezza.»
«Questa
parola, se non l'avesse pronunciata l'ammiraglio, avrebbe fatto uscire questa
spada dal suo fodero.»
«Sta quieto,
mio prode, a miei tempi il milanese Battista Mandello dava lezioni di scherma
in arsenale, e fece ottimi scolari. Vorrei sapere se i giovani d'oggidì valgono
i giovani d'una volta.»
A queste
parole l'Attilio Gritti, che per costume non aveva rispetto di chicchefosse
uomo del mondo, e per soprappiù era alterato dal vin di Cipro, voltosi a suoi
compagni, e dando in uno scoppio di riso,
«A colui,
disse, che ricorda così bene i provvedimenti della Serenissima Republica, è
uscito di mente che in riva al canal San Secondo, fu eretto uno spedale pei
vecchi cadenti. A colui bisognerebbe rammentarlo.»
Candiano, a
quest'ingiuria, non potè durare nella dignitosa sua calma. Il volto gli si
accese, e le parole gli borbogliarono sulle labbra senza che potesse
pronunciarle intere. Stato così per qualche tempo,
«I vecchi,»
rispose, «che hanno ricordata la legge del secolo XI, i vecchi la faranno
osservare ai giovani che son privi di memoria. Ho sentito dire di un tale che
in cinque anni ha ucciso un gran numero di cavalieri in duello.»
«E quel tale
sarei forse io.»
«Benissimo,»
continuava Candiano, «occhio acuto e braccio forte fanno il miglior
schermidore. A miei tempi lo fui anch'io; però anche di presente, che conto
sessantasette anni, il mio occhio sa fissare il sole, e il mio braccio può
ancora rattenere la fuga di una corvetta nemica. Questo ve lo dico perchè tutti
lo sanno, e anche tu lo dovresti sapere.» E in così dire venne squassando con
sì gran forza il braccio d'Attilio, che il giovane se lo sentì intormentire;
però, volto al vecchio pieno di livore e d'odio,
«Ringraziate
Dio e san Marco,» disse, «che abbiate trentasette anni più di me; che
altrimenti i vostri eredi avrebbero riso domani.»
Il parlar
alto del giovane Gritti fece che in quella camera s'affollasse gran parte delle
persone che trovavansi a quella festa per vedere e sentire di che cosa mai si
trattasse. Il Candiano non pensò già di tacere in faccia a coloro. Anzi con
voce più alta e con modi più severi e solenni, così prese a dire:
«Giacchè mi
costringi a parlarti più chiaro, o meschino beffardo, sappi che le mie parole
non saranno senza effetto. Tu hai offeso la povera famiglia di Tritto, e dopo
avere attentato all'onore dell'innocente sua figlia, hai ucciso il prode
fratello di lei, unico sostegno della miserabile famiglia. Quel vecchio è
venuto a supplicarmi perchè io m'interponessi al suo vantaggio, e un momento fa
chi aveva commessa tanta ingiustizia, se ne gloriava irridendo le lagrime del
vecchio desolato. Per Dio, mi penso che codeste tristizie facciano orrore agli
stessi Barbari, a cui facciamo la guerra, e de' quali parlasi fra noi con tanto
disprezzo. Però in faccia a tutta questa buona gente ti chiamo vile e infame, e
così sempre ti chiamerò infino a tanto che non avrai obbedito a quel che vuole
la legge.»
«Senator
Barbarigo,» disse Attilio per risposta a quelle parole, sforzandosi a celare lo
sdegno sotto l'apparenza dell'ironia, «sarete persuaso che questa sera il
vostro vin di Cipro ha fatto male a qualcheduno.»
«Stolto
beffardo,» proruppe allora Candiano, «in faccia a queste illustri persone non
mi degno ora più di risponderti con parole. In faccia a queste persone io ti do
quel solo che meriti. Prendi, e va sfregiato per tutta la vita.» E così dicendo
d'un manrovescio percosse la guancia al giovane Gritti.
La mano di
Attilio, in men che non si può dire, brandì lo stiletto, e fece per gettarsi
sul corpo di Candiano. Per buona ventura si era esso ritratto a quella furia
del giovane, e di traverso afferratolo per la mano, lo sforzò colle potenti sue
strette ad abbandonare quell'arme, intanto che molti fra gli astanti s'erano
fatti intorno al Gritti per rattenerne la furia. Nè si può con parole dipingere
al vero come colui si venisse contorcendo vedendosi chiuso il campo ad una
subita vendetta, basti il dire che a versar fuori quello spasimo di rabbia che
lo aveva invaso, s'era per tal modo stretto co' denti il labbro inferiore che
ne fece spricciar vivo sangue.
«Per ora è
bene che tu sappia,» continuava Candiano, «che il mio palazzo è in canal
grande, che in Venezia vi son molti luoghi remoti per ribattere un'ingiuria, se
mai tu ti credessi offeso, e che a me non pesano ancora i miei sessantasette anni.
In quanto alla famiglia del povero Tritto ci provvederò io medesimo.....» E
senza più altro si tolse di là.
Dopo que'
primi soprassalti d'ira, il Gritti aveva subito una specie d'atonia, che lo
fece durare immobile nel mezzo della camera per molto tempo. Non parea vero al
borioso e spavaldo giovane d'aver potuto sopportare una sì grave offesa;
intorno a lui frattanto ogni cosa erasi rimessa in calma, chè tutti gli
astanti, ad uno ad uno, l'aveano abbandonato, non osando più rivolgergli una
parola; e il senator Barbarigo, fin dal punto ch'era cominciata la contesa,
avea pensato uscire di quella stanza.
Vi ritornò
per altro di lì a qualche tempo. Fermatosi in prima a riguardare il Gritti ed
accostatosi a lui,
«La campana di
Sant'Elmo,» disse, «suonò dieci ore. Quasi tutta la gente è dileguata dal mio
palazzo, i doppieri più non brillano, ed è un'ora buonamente che tu stai qui
solo ritto, immobile e cogli occhi a terra. Che cosa pensi?
«Se nel
vostro vin di Cipro,» rispose Attilio scuotendosi d'improvviso, «aveste gettato
polvere d'arsenico, penso che io avrei dovuto ringraziare mille volte la mia
fortuna.»
«I morti non
seppero mai vendicare le offese ricevute.»
«Chi mi parla
qui di offesa, chi ardisce ricordarmela? Senator Barbarigo, non mi traete in
furore, e se vi fu taluno che in faccia a tutta Venezia osò svillaneggiarmi,
svillaneggiar me che non ho mai patito sopruso da chicchefosse uomo del mondo,
è tal cosa che ciascuno dovrebbe fingere di non sapere in faccia me.»
«Un'ingiuria
che dev'essere vendicata, deve essere ricordata, Attilio.»
«Questo lo
credo anch'io.»
«Dunque?»
«Dunque, io
sono sì sprofondato che non vorrei mai più veder luce, nè uscire mai più fuori
all'aperto: pure se mi venisse in pensiero qualche atroce modo a vendicarmi,
qualche cosa di straordinario, d'inaudito, di orribile, penso che tosto lo
manderei ad effetto.»
«Lascia fare
al tempo, Attilio, e a rivederci domani.»
Queste parole
di congedo furono pronunciate dal Barbarigo, quando sentì bussare alla porta
della camera.
Attilio si
tolse di là, mentre entrava Apostolo Malumbra.
Il suono de'
sistri era cessato, il romore dalle sale era passato ai piedi del palazzo, e
sulle gondole partivano le persone ch'erano intervenute alla festa.
Il senator
Barbarigo, chiusa allora la porta della camera a chiavistello,
«Siamo soli,»
disse al Malumbra, «ora tu puoi parlare liberamente. Raccontami tutto;» e si
gettò a sedere su di un ampio seggiolone.
«Prima vorrei
pregare la signoria vostra illustrissima a farmi degno di dirle due parole con
libertà.»
Il senatore
gli accennò che parlasse.
«Io so che la
Serenissima Republica dà trecento ducati di premio a chi sa svelarle alcuna
cosa di grave importanza.»
«E tu avrai i
trecento ducati dalla Serenissima, e qualche cosa di più ti verrà dato dalla
mia borsa particolare. Ti dirò poi quando tu debba presentarti innanzi al
consiglio dei Dieci.»
«Va bene, ora
udrete da me tali cose che in mille anni mai non avreste imaginate le simili.»
Erano le
ultime ore della notte, le sole ore di profonda quiete in Venezia. Il vecchio
Barbarigo, colla testa china e colle mani incrocicchiate sul petto, si pose ad
ascoltare le parole del Malumbra.
Siccome
questi nel fare il suo racconto dovette di ragione tacere assai cose che il
Barbarigo già sapeva, ma che per la chiara intelligenza del tutto, al nostro
lettore deve importar di conoscere, così noi medesimi ci faremo a narrare la
storia del fatto, al quale non ci sovviene d'aver trovato mai caso che
rassomigli in alcuna parte; che se dessa parrà un po' strana e maravigliosa,
preghiamo il lettore a non volerla poi tacciare d'inverosimile, ed a
considerare in vece che ci fu tramandata da un cronista contemporaneo agli
avvenimenti che imprendiamo a narrare; che appunto perchè alquanto maravigliosa,
fu scelta ad argomento di queste pagine, non mettendo conto di raccontare ciò
che siam usi a vedere in ogni incontro della vita comune; che l'essere il fatto
straordinario, e l'esservi implicati uomini d'una tempra per certo qual modo
straordinaria ci aprirà forse il campo a scoprire alcun nuovo rapporto tra le
cose di questo mondo ed a svolgere qualche piega intentata dei cuore umano.
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