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Giuseppe Rovani
Valenzia Candiano

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  • VIII   IL DOGE
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VIII

 

IL DOGE

 

Quindici giorni dopo, la campana grossa di San Marco in Venezia batteva tocchi gravi e frequenti, che spandevano un suon lugubre per gran tratto all'intorno. Innanzi al palazzo ducale se ne stava stivata un'immensa moltitudine di popolo. Era un parlare sommesso, un bisbiglio, un susurro incessante, un domandare, un rispondere continuo. Il doge, vecchio novantenne, aveva il innanzi resa l'anima a Dio, e di questo avvenimento era piena in quel tutta Venezia.

Un secolo prima dell'anno in cui ci troviamo con questa storia, la salma mortale del doge sarebbe già stata trasferita nella chiesetta di San Giovanni e Paolo senza apparato di sorta, e il popolo veneziano in vece di starsene colà innanzi al palazzo e sparso sulla gran piazza di San Marco a discorrere dell'evento, a raccontare i fasti dell'illustre trapassato, a pensare chi mai sarebbe stato il suo successore, sarebbe in vece entrato tumultuante nel palazzo ducale, ed avrebbe messo a sacco ed a ruba tutte le suppellettili del doge defunto, facendo schiamazzi e gettando altissime grida quasi si fosse trattato di una publica baldoria. Così aveva voluto la barbara rozzezza dei tempi; ma forse alla morte di qualche doge che assai avesse meritato della patria col mettere la propria vita alla sua difesa, la moltitudine percossa dalla sventura, intenerita per la gratitudine, rispettosa alla virtù del trapassato, di sua spontanea volontà avrà derogato a quel barbaro costume. Così il doge fu da quell'ora considerato alla sua morte pari almeno a tutti gli altri uomini, e si pensarono a rendere anche a lui quegli onori dovuti a chi non è più. Man mano poi si pensò a rendergli tributi pari alla sua dignità, e in ragione che questa, col volgere del tempo, venne sempre più acquistando di splendore, anche la funzione dei funerali del doge aggiunse una magnificenza grado grado sempre più sfarzosa.

A' tempi a cui si riferiscono queste pagine, allorchè si annunziava la morte del doge, venivano chiusi i tribunali e le giudicature, e temporariamente il governo della città passava nelle mani della quarantia criminale, e così erasi fatto in quel . Innanzi alla porta del palazzo ducale stavano a far guardia quattro arsenalotti, i quali di quando in quando lasciavano libero l'accesso ad un gruppo di persone a cui era permesso d'entrare negli appartamenti ducali a vedere la salma del doge, che vestito con tutti gli abiti della sua dignità, e col corno ducale in capo, stava esposto nella sala detta dello scudo, sopra un letto di parata. Poco mancando all'ora di vespro, entrarono in quella sala molti arsenalotti con torcie accese, e quando scoccarono le ventiquattro trasportarono il doge nella sala del publico, detta volgarmente del piovego; e lo deposero sovra di un gran catafalco. Per lo spazio di tre giorni doveva restare esposto colà, e due nobili in veste rossa e i canonici di San Marco, vi dovevano assistere fino al quarto nel quale si ordinava la sepoltura.

Se la sovranità del doge di Venezia non fosse stata elettiva, ma di successione, la morte di lui non avrebbe causato ne! popolo quella specie di tumultuosa incertezza che doveva nascere fra i cittadini, pensando a chi mai sarebbe stato il successore del doge. Ma appena in vece che si propalò la morte di lui, per non essere possibile verun'altra scossa essendo stato colui null'altro che un buon vecchio, dal quale Venezia non aveva raccolto troppo bene, troppo male, la prima parola che corse fra tutti i ceti fu: - Chi sarà ora il doge?.... - e fra i senatori, e fra i membri del gran consiglio specialmente.

L'opinione del popolo però, che veniva mosso da una molla medesima, presto fu concorde. Come i selvaggi che associano l'idea della divinità al sole, pel solo motivo che s'accorgono di ricevere da lui i vantaggi più immediati e più necessari, così il popolo per lo più nella bisogna di un'elezione, volge di preferenza lo sguardo a colui che più nel corso della vita gli ha dato nell'occhio, a colui del quale ebbe a riconoscere i più segnalati servigi, e appena fu pronunciata quella parola: - Chi sarà ora il doge?.... - molte voci risposero ad una: «Che gran ventura sarebbe s'ei fosse Candiano. Senza di lui forse i Genovesi e i Pisani sarebbero ora qui in Venezia; senza di lui chi sa quante volte il Turco ci avrebbe messi a mal partito

«Viva Candiano! se lui sarà il doge, bene sarà per Venezia, bene per tutti.»

«Viva Candiano, tanto buono, quanto prode, e che tratta il più povero di Venezia come se fosse un suo pari, e che è liberale del suo con tutti!»

«Se i destini volgono propizi per Venezia, il doge sarà Candiano

Queste opinioni, queste voci metteva fuori il popolo minuto; ma ben diversamente avveniva tra i senatori e i membri del gran Consiglio e i procuratori. Il popolo non aveva avuto riguardo che al publico interesse senz'altra mira, poichè sapeva che nessuno tra' plebei avrebbe potuto essere il doge. Ma i senatori e gli altri patrizi rivestiti di alcuna carica, erano mossi da passioni diverse, e da qui la diversità delle loro opinioni e de' loro giudizi.

Il senator Barbarigo, il quale, per essere uno de' più anziani de' senatori, era quello per lo più a cui si rivolgeva l'attenzione de' suoi colleghi allorchè trattavasi determinare alcuna cosa, quando fu in segreto interpellato intorno all'opinione sua, non fece altro che alzar le spalle, e far quell'atto di chi non ha ancora fermo il suo partito, e quando sentì com'era concorde l'opinione publica per Candiano, ed anche fra gli stessi suoi colleghi, e che dopo una lunga discussione i due terzi de' voti furono per l'ammiraglio, non disse mai parola favorevole contraria, e da cui potessero trapelare i suoi pensieri; essendo però assai conosciuta la cattiva disposizione dell'animo suo rispetto a Candiano, ognuno dovette credere ragionevolmente ch'egli anche in quest'occasione, come sempre, avrebbe dato il voto contrario.

Una sera nel suo palazzo medesimo, dove per caso vennero a trovarsi assieme gran parte de' senatori, s'era parlato a lungo di quella publica bisogna, e alcuni s'eran fatti leciti a richiedere palesemente il Barbarigo del suo consiglio, e il discorso era stato condotto in modo ch'egli si trovò nel punto di dover dare una decisa risposta. E, presa finalmente una risoluzione, già stava per parlare, quando un paggio gli si avvicinò ad annunciargli che un uomo gli voleva parlare. A quell'annunzio balzò in piedi il Barbarigo assai contento che per quell'improvviso accidente potesse ancora tener chiuso il proprio avviso sul conto dell'ammiraglio Candiano, e dette alcune parole di scusa agli onorevoli suoi colleghi, si recò nella stanza dove egli era aspettato.

Assai lontano dal credere chi dovesse capitargli innanzi a quell'ora, si rimase assai maravigliato quando in quell'uomo ravvisò il Malumbra:

«Sei tu!» gli disse, «e così?»

«E così, sono arrivato in questo momento a Venezia....»

«Ma che notizie mi porti, presto.»

«Ottime, illustrissimo, e qualcosa meglio che semplici notizie

«Cosa vuoi dire

«Valenzia è in Venezia

Il Barbarigo fu a un punto di abbracciare il tristo sgherro, e

«Come ti riuscì?....» gli domandò.

«Con qualche poco d'astuzia, e più che un po' d'oro si riesce a tutto, illustrissimo. Del resto ci furono molti pericoli e molti ostacoli, talchè ebbi sempre a vivere in qualche timore fino a che non toccai Venezia

«E dove hai tu nascosta codesta Valenzia

«È in luogo sicuro e ben guardato; ma temo che la poveretta non possa durar lungo tempo contro all'angoscia che non le lascia un'ora di bene

«Hai potuto comprendere se a lei sia trapelato nulla di quanto sappiam noi sul conto suo?»

«Con belle promesse e belle speranze io le feci percorrere gran tratto del viaggio; ma alla fine non volle più credere alle mie parole, e cominciò a disperarsi, a piangere, a scongiurarmi, poveretta, e non vi saprei narrare lo spavento da cui fu assalita quando potè accorgersi ch'io la conduceva per gli stati veneziani. E allora mi parve che le sia balenato qualche cosa in mente, quantunque io abbia adoperato ogni mezzo per farla riavere da que' timori e da quella disperazione

«Hai fatto bene sin qui; ed ora farai il resto

«Come volete, illustrissimo

«Siccome converrà ch'ella stia ancora nascosta per alcuni giorni, così tu la condurrai subito dove io ti dirò; e in luogo che sarà certamente più sicuro del tuo.»

«Va bene; ora vi dirò qualche cosa del Visconti

«Che! è forse qui esso pure

«No, ma ci verrà senz'altro.»

«Gli hai forse parlato

«No, illustrissimo, ma gli feci giungere a notizia che la Republica di Venezia lo avrebbe ospitato volentieri. E pare che questa notizia non gli sia dispiaciuta molto, che subito si mise in cammino, e forse in questo momento potrebb'essere anch'egli in Venezia

«È facile a comprendere che il diavolo ti ha dato il suo valido aiuto in questa circostanzadiceva il Barbarigo quasi esaltato della gioia.

«Credo bene che la sia così, perchè io solo non poteva bastare a far tutto.»

«E il Fossano? Non mi hai detto ancor nulla di lui.»

«Del Fossano, per dirvi la verità, da quando l'ho salutato ad Angera, non so poco molto; ma s'egli è così preso di Valenzia da non saperne vivere discosto un momento, e sol che sappia fiutar da lontano, scommetterei la testa che non passerà gran tempo, e lo vedremo in qualcuna delle nostre gondole

«Dovrebbe succedere così appunto; ma quand'anche non ci capitasse, non è già di lui che abbiamo il maggior bisogno. Ora io ti darò un ordine scritto, e condurrai tosto Valenzia nel convento di Santa Brigida

E scritto l'ordine contò al Malumbra alquanti ducati d'oro, e raccomandatogli si lasciasse veder presto, ritornò nella sala dove aveva lasciati i suoi colleghi impazienti di una risposta. Se in tanti giorni non aveva mai saputo determinarsi a far chiaro il suo avviso, lo potè in quel punto, e contro all'aspettazione universale, e probabilmente contro anche quella de' nostri lettori, riuscì a dire che in quanto a lui credeva doversi assolutamente acconciarsi col voto de' più, e che l'ammiraglio Candiano gli pareva il solo che fosse degno di vestire la clamide del doge.

Alcuni giorni dopo il senato fu convocato solennemente per l'elezione del doge, e l'ammiraglio Candiano fu quegli appunto che ebbe la maggiorità de' voti. Ciò non bastava però perchè egli fosse definitivamente eletto; bisognava che il gran consiglio in solenne assemblea approvasse la proposizione del senato, al far che dovevano interporsi, com'era l'uso a que' tempi, molti giorni ancora.

Le cose in Venezia erano a questa condizione, quando vi capitò il figlio di Bernabò Visconti col Bronzino: noi lo abbiamo lasciato nelle vicinanze di Castel Seprio, timorosi che il Malumbra volesse rimettere nelle sue mani la sventurata Valenzia. Ma il tristo sgherro dopo aver molto pensato e ripensato su quello che gli restava a fare, alla fine considerò che non gli conveniva tentare quel partito, che gli ordini del senator Barbarigo erano di condurre a Venezia tanto Valenzia quanto il Visconti, ciò che forse non sarebbe avvenuto se mai lo avesse messo al possedimento di quella che avrebbe dovuto essere sua consorte. In conseguenza di questa determinazione, avendo data una svolta al discorso, quand'era venuto a far parole col Bronzino, ed assicuratosi che colui nulla aveva sospettato della sua condizione delle donne che aveva con , prima che spuntasse l'alba se n'era uscito di quell'osteria, e d'uno in altro inganno con belle parole, come sa il lettore per bocca del medesimo Malumbra, aveva condotto Valenzia a Venezia.

In tutto questo tempo Alberigo Fossano, dopo aver frugato per ogni terricciuola del lago, e tentato tutto che gli era parso atto a metterlo sulle traccie della sua donna, messosi in mille sospetti, e in quello soprattutto che il Malumbra, spedito dal Candiano, fosse stato inviato dalla Republica veneziana a tendere insidie alla sua Valenzia, e non vedendo altra via per venire a capo di qualche cosa, pensò ridursi a Venezia egli stesso per sincerare il tutto, e recarsi dall'ammiraglio, e domandargli di sua figlia se mai per sua volontà fosse ritornata a Venezia o in qualche luogo presso; perchè ad escludere il terribile pensiero che ci avessero mano i Dieci, e che tutto fosse scoperto. pensiero che non bastava a sopportare, s'era acconciato con una certa compiacenza al credere che il buon Candiano, fatto istrutto dalla medesima Valenzia della trista condizione di lei e delle ingiurie patite, mandato il Malumbra sotto finti colori, avesse voluto richiamare a la figlia diletta. Pur troppo, codesto pensiero che pure è facile a credere quanto gli dovesse riuscire molesto, gli era tuttavia un conforto, un rifugio dell'orribile sospetto che al consiglio dei Dieci fosse stato rivelato il fatale segreto.


 

 

 




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