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Giuseppe Rovani
Valenzia Candiano

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  • III   APOSTOLO MALUMBRA
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III

 

APOSTOLO MALUMBRA.

 

Un'ora dopo, quando già cominciava ad albeggiare, dalla finestra d'una delle case che danno in sulla saliciata di San Lio, sporgeva il capo una donna.

«Ehi.... Marta! Marta!»

Trascorso qualche momento, «Chi mi comanda?» si sentiva rispondere... e dalla finestra vicina vedevasi sporgere un'altra testa di donna.

«Buon dì Marta, avete sentito a batter l'ore a San Marco?»

«Ho sentito: suonarono undici ore. Ma cosa è che stamattina vi siete alzata così per tempo.»

«Sto aspettando il marito mio che se n'è andato alle feste dell'illustrissimo signor Barbarigo, e può badar pochissimo a tornare.»

«Oh! Il signor Apostolo Malumbra s'è posto anch'egli a filare del gran signore, Ghita mia.»

«Che cosa volete: dopo ch'egli s'è messo a commerciare di proprio, la fortuna s'è cangiata un pochino nella nostra povera casa. Voi ben sapete quanto un tempo ci stringeva il bisogno, e a cinque figliuoli, che tanti ne aveva, non c'era propriamente da dar pane la mattina. Ma ora, sia lode a Dio, possiamo far più che altri, e si vivono giorni dal più al meno tranquilli.»

«Ne ho gran piacere, Ghita mia, che tanto mi seppe male quando ho sentito dire ch'egli così ingiustamente era stato cacciato dal banco del signor Morosini.»

«E si dovette penare un anno intero, che nessuno non gli volse più dare avviamento, e non si pensava alla moglie e ai cinque figliuoletti che morivano di fame.»

«Ah, pur troppo il mondo è assai tristo.»

«Lode a Dio per altro che non l'ha avuto il piacere di vederci languir sempre d'inedia, e venne il nostro buon tempo anche per noi.»

«Torno a dirvi ch'io ne godo nel fondo dell'animo, e per verità io non ho mai conosciuto altr'uomo al mondo che più meritasse fortuna, del signor Apostolo Malumbra, e mi sento movere a sdegno quando sento alcuno a dir male del marito vostro.»

«In Venezia, sapete bene, che non ci fu mai penuria di chi si dilettasse a dir male d'altrui.»

«Davvero ch'ella è così, e ieri l'altro ebbi una lunga contesa colla Spadaccini che sta in Merceria, la quale osava nientemeno di sostenere.... dite un po'... Ghituccia..?»

«Dio mio, chi può mai indovinare che cosa possa mai aver detto quella donna?»

«Cose di fuoco! Ma io ho ben saputo mandarle in gola tutto il veleno che versò fuori da quella sua bocca maligna. La è così, cara Ghituccia mia; osava di sostenere niente di manco che il signor Apostolo Malumbra ora può scialarla e stare in sul grande, perchè serve l'eccelso consiglio dei Dieci in qualità di spione; figuratevi, Ghituccia mia, se ciò può stare.»

«O Santa Maria! che cosa mi tocca mai di sentire! S'egli lo sapesse, vi so dir io che morirebbe di crepacuore al solo pensarvi. Egli che ha sempre avuto in orrore quell'abbominevole mestiere. Ma non gli dirò nulla, nulla di certo, perchè m'avvedo che nascerebbero di brutti guai. In quanto poi alla signora Spadaccini, sapete bene, dovrebbe tacere colei.... che non porterebbe nè il guarnello di broccato, nè gli orecchini a perle, nè quelle ricche trine, se non fossero i begli occhi della sua figlia. Già saprete anche voi che l'illustrissimo signor Attilio Gritti ha la pratica di quella casa.»

«E chi non lo sa, Ghituccia. Ma, se non sbaglio, mi pare di vedere laggiù il marito vostro che se ne venga verso casa.»

«È lui; è lui. Ecco, egli è qui presso: corro ad aprirgli. Addio, Marta.» E se ne andava.

Poco di poi l'Apostolo Malumbra metteva il piede nelle sue stanze.

«È un pezzo che ti stava aspettando, Apostolo.»

«Hai fatto male; te l'ho pur detto che io sarei ritornato a mattina; ma io mi sento addosso un tedio mortale, e muoio di sonno.»

«Ebbene va a dormire.»

«Alla campana di mezzodì verrai a svegliarmi.»

«Va benissimo.»

«Ora hai da sapere....»

«Che cosa?»

«Che stasera... o tutt'al più domani mattina ho a tornare a Milano.»

«A Milano?»

«Sì, Ghita: del resto ho qui quattrocento ducati d'oro; vedi; son quattro rotoli che danno piacere alla vista.»

«Mi ricordo... quando i figli avevan fame... e non si aveva neppure un grosso da comperare del pane. Ora è ben altra cosa.»

«Certo... è ben altra cosa.»

«Ti ricordi del povero Anselmuccio?»

«Mi ricordo, Ghita.»

«È morto in tre dì...»

«Pur troppo... per aver patita la fame,»

«Questo io ti dico perchè tu debba ringraziar mille volte la tua sorte che s'è voluta mutare. Ed ora... guarda come son floridi i nostri quattro figli che ci rimasero; guarda con che pace sfiorano l'ultimo sonno.»

Il Malumbra gettava un'occhiata sui letticini dove dormivano i piccoli suoi figli, e mentre li guardava, la sua faccia subiva un'espressione particolare.

«Ora dormirò anch'io,» soggiunse poi; «lasciami solo.» E recavasi in una stanza vicina.

Solo che fu, si spogliò la zimarra e il giustacuore, e accostatosi al letto stette un pezzo fermo su' due piedi colle braccia incrocicchiate al petto, e cogli occhi rivolti su que' quattro rotoli di ducatoni d'oro che aveva deposti su d'una tavola vicina; stato così qualche po' d'ora... «Oh sono pazzo io,» uscì a dire, «poniamoci a dormire; alla fin fine ebbero essi alcuna pietà per me?.... Buttiamoci a dormire, i miei figli non avranno più a morir di fame.» Dette queste parole così fra labbro e labbro si pose a giacere, e un momento dopo dormiva profondamente.

Come il lettore si sarà bene accorto, l'Apostolo Malumbra era proprio uno spione al servigio del consiglio dei Dieci. Sotto colore di viaggiare per commercio nelle varie città soggette al dominio Veneto e più lontano ancora, andava raccogliendo tutte le notizie che meglio potevano importare alla Serenissima Republica, per poi rigurgitarle innanzi al consiglio dei Dieci o a qualche individuo che v'appartenesse. Scopriva trame, frugava nel pensiero altrui, teneva dietro a certe fila lunghissime e tortuose, fino a tanto che riusciva a sapere dove andavano a metter capo, per poi renderne perfettamente istrutti coloro a cui spettava. Era alla società come l'insetto impercettibile che rode e guasta, come il mal sottile in un corpo apparentemente rigoglioso e sano. Se si avesse a raccontare la storia delle centinaia di vittime ch'egli col suo sordo e lento, ma continuo lavoro, aveva condotto all'ultima rovina, sarebbe una vera pietà.

Del resto il lettore non voglia già credere che codesto Malumbra fosse dotato di quelle misteriose e quasi magiche virtù, onde piacque sin qui comporre l'esistenza di tutti gli spioni che servirono la Republica veneziana; imperocchè intorno a codesta razza d'uomini, vi sono tuttavia molte false idee a rettificare.

Gli sgherri, i delatori al soldo della Republica veneta, erano certamente esseri un po' misteriosi; ma il mistero che li copriva, non era già nel senso col quale e fu descritto e fu inteso da tanti scrittori e lettori che parlarono e s'occuparono di quella terribile oligarchia. L'essere uno spione spettatore di tutto col privilegio di rimanere poi sempre invisibile altrui, l'entrare nelle case, il conoscerne i più intimi penetrali, eziandio assai più di chi ne era l'abitatore; il sapere per filo tutte le azioni di un uomo del quale siasi messo sulle tracce, e talmente da conoscerne anche i pensieri i più interni; sono cose che la sciocca credulità popolare ha ammesse, che la storia destituita di criterio ha perpetuato, che la fantasia de' poeti ha afferrata per surrogare nelle creazioni dell'ingegno una nuova macchina, un nuovo maraviglioso all'antico col fine di abbagliare le povere menti pronte tanto più ad applaudire, quanto più sembra che un fatto si dilunghi dal procedimento comune della vita pratica. Il Malumbra adunque era un tristo che aveva a sangue freddo sagrificato un numero grandissimo de' suoi concittadini, ma era un tristo umanamente, nè mai aveva fatto cosa che avesse richiesto poco più di un'astuzia e simulazione volgare. Bensì, prima d'essersi dato a quell'infame mestiere, il Malumbra era stato un uomo che non aveva avuto bisogno di tormentare altrui per sostentare sè stesso, nè le circostanze della sua vita non erano mai state così potenti da far sviluppare in lui quel germe di perfidia che la natura aveagli dato; però ch'egli è da credere che, siccome le occasioni fanno emergere gli ingegni e le virtù straordinarie, le quali, abbandonate a sè, sarebbero forse state mute eternamente, così le prave tendenze sviluppano improvvise appena che l'occasione dia loro quel tanto che si vuole a farle crescere.

Fino all'età di trent'anni egli era stato a' servigi di un negoziante veneziano, il quale trovandosi a un tratto mancare una grossa somma di denaro, nè sapendo al primo congetturarne il colpevole, pensò essere buon partito quello di licenziare tutti i suoi agenti. Fra costoro si trovò il Malumbra che senza avere una colpa al mondo si trovò solo, abbandonato a sè, privo di speranza di trovare un pane, che nessuno avrebbe voluto averlo a' suoi servigi con quel poco di sospetto che si aveva di lui. Egli era innocente, eppure non è da biasimare chi lo aveva scacciato da sè, e tutti coloro che si erano rifiutati a dargli pane non erano per verun modo degni di riprensione. Ma un'ingiustizia tuttavia erasi commessa, e il Malumbra ne era stato la vittima. Che un uomo soffra il disprezzo, sopporti la miseria, patisca la fame, e si disperi, è un fatto così minuto, così impercettibile, che la società nella continua e vorticosa sua faccenda o non può, o non sa, o non vuole accorgersene. Ma l'individuo, per quanto sia misero, ha pur fatto un mondo in sè, e così prepotente è in lui il bisogno della conservazione che, a lungo andare, tenta di sostenersi a spese di quella società medesima, e cogli ingegnosi sofismi chiamando le male arti necessità della vita, si dispone lentamente a vendicarsi della crudele noncuranza che lo circonda. Non è sventura al mondo, non è patimento che valga a sradicare la virtù da chi veramente l'ha in sè inviscerata. Questa è sentenza comune, è sentenza secolare, è sentenza che la società fa suonar alto a propria discolpa. Ma posto ancora ch'ella sia vera, non è egli del più grave momento il preservare i corruttibili dal veleno della tentazione?

E in quanto al Malumbra non si sarebbe certo indotto a recar tanto danno altrui, s'egli nel mondo avesse potuto percorrere la sua strada senza ostacoli e senza patimenti. Certo che anche in una prospera condizione la sua mano non si sarebbe aperta così facilmente a beneficare il suo simile; e la sua patria, nei pericolosi momenti, non avrebbe trovato in lui il più valido puntello: ma dall'essere inutile all'esser dannoso è immensurabile distanza, e pare che la società non consideri che il numero degli eroi è di una pochezza desolante su questa terra.

Del resto nella persona del Malumbra si potevano ravvisare quasi due uomini diversi: l'uomo del mondo, l'uomo della famiglia; nel primo era pessimo; nel secondo, come forse abbiamo potuto accorgerci, era ottimo; che anzi tutte le buone qualità di che manifestamente era dotato nel seno della propria casa, erano quelle appunto che lo intristivano appena che il padre ed il marito trasmutavansi in uomo della società. Strana contraddizione, ma più apparente che reale, imperocchè, che cosa mai sarebbe stato della moglie e de' figli, se colui, nella desolata condizione in che la fortuna avealo gettato, fosse stato l'amico universale! Così la società, in mezzo a cui viveva, e che meritamente lo avrebbe caricato d'obbrobrio e peggio, se appena avesse in lui scoperto il proprio nemico, non s'accorgeva ch'ella medesima era colpevole della di lui colpa, e che a guisa dell'insetto, il quale s'introduce tra pelo e pelo, e vessa e martoria impunemente il corpo immane della belva che prima aveva minacciato schiacciarlo, egli celatamente s'era introdotto tra uomo ed uomo per vendicarsi di chi prima lo aveva con indifferenza crudele e ributtato e calpesto.

Qui potrà forse domandare taluno, se a raggiungere il detestabile suo fine, non avrebbe potuto avviarsi per altro sentiero, scegliere altri mezzi più atroci forse, ma meno vili assai. E certo che, se fosse stato solo al mondo, se non fosse nato in Venezia, e, più che tutto, se la natura avessegli dato più coraggio che acutezza, in vece di suggere i segreti agli uomini che avvicinava, li avrebbe aspettati al varco ascoso dietro la siepe. In quei giorni che, scacciato e svergognato, provò la miseria senza la speranza d'umano soccorso, e tosto lo arse il desiderio di operare alcuna cosa al danno della società, pensò al modo di aggiungere a questo fine rimanendo ciò non pertanto al sicuro d'ogni pena legale, che diversamente la famiglia avrebbe dovuto soccombere con lui. Allora, dopo essersi guardato ben d'attorno, un dì che nel palazzo ducale osservava così a caso quella bocca terribile del leone, che pareva dicesse: Denunziate! denunziate! gli balzò un pensiero alla mente, e conobbe che pur v'era un mezzo di gettarsi a man salva sugli uomini, non lasciando loro possibilità di difesa senza che perciò dovesse vivere in timore delle leggi; e coi sofismi giunse a persuadersi che egli, buttandosi al mestiero dello sgherro, veniva anzi a servirle più che altri, e in certo modo a ben meritare della patria, svelando le trame che erano in onta alle sue istituzioni, e a dividere la gloria del difenderla col prode che metteva la vita a rintuzzare i suoi nemici. Così accorciando d'un tratto l'immensurabile distanza che è tra la gloria e l'infamia, raccostando queste due cose sì opposte in modo da fonderle in una, potè indursi a credere che l'obbrobrio di cui caricavasi uno sgherro dei Dieci, altro non era che un pregiudizio, e appena gli si presentò occasione, gettò innanzi al consiglio una denunzia, e n'ebbe il prezzo. La prima sua vittima fu quel medesimo Morosini che avealo scacciato dal suo banco, poi altri che, povero, lo avevano ributtato; per un pezzo continuò a dar la caccia a tutti coloro che direttamente lo avevano offeso; per un pezzo la vendetta fu la spinta e la susta d'ogni sua opera, e all'oro che gli fruttava, univa la voluttà dell'ira saziata. A poco a poco però, cessati gli odi, gli rimase il nudo mestiero; cessate le gioie della vendetta non gli restò che l'oro. Non ebbe più nemici diretti; tutto il mondo fu suo nemico. Ciò non pertanto, anche dopo aver fatto il callo a tanta perfidia, di quando in quando, e specialmente se fosse il caso di recar danno a qualche dabben uomo, sentiva in sè qualche cosa che somigliava ad un rimorso, e di fatto, allorchè nella gola del leone mise l'accusa contro il Candiano, e ne raccontò la misteriosa istoria al Barbarigo, sentì in fondo del cuore una simile puntura, ma che tosto dileguò come dileguarono, coi sogni di quel mattino, le triste imagini che glieli aveano conturbati.

Quando suonò la campana del mezzodì, la moglie del Malumbra fu presta a destarlo; ed egi, rivestitosi così di fretta e, uscito di casa, si recò al palazzo Candiano.

Il senatore e l'ammiraglio stavano confabulando tra loro, quando il Malumbra fu annunciato.

«Ditegli che aspetti un momento,» diceva Candiano al fante: «adesso, come vedete, sto coll'illustrissimo senatore.»

«Oh! fatelo entrare, ammiraglio, è un uomo dabbene che non si vuol rimandarlo.»

«Benissimo, senatore; fatelo dunque entrare.»

Il lettore sa che la notte prima il medesimo Barbarigo aveva ingiunto all'Apostolo Malumbra, che intorno a quell'ora facesse di trovarsi nelle stanze dell'ammiraglio.

«Buon dì, Malumbra,» disse il Candiano a colui, appena ebbe messo il piede nella sala, e lo disse con quella franca e sincera bonomia, che tanto gli era abituale; e continuava poi mezzo sorridendo: «io ho poi a lamentarmi di te.»

«Di me?»

«Che non sii venuto a farmi vedere quelle belle fogge d'armi che tu hai comprate a Milano.»

«Vi chiedo perdono, illustrissimo, ma stamattina per questo appunto io son venuto da voi; così, dovendo io tornare questa notte medesima a Milano, spero mi vorrete far degno de' vostri ordini.»

«Bene, bene.»

«Questo diavolo di Malumbra,» entrava a dire il senatore, «si gode il mondo assai più che altri.»

«Lo so bene.»

«Egli viaggia e fa buon sangue coi ducatoni de' nostri patrizi. Ma a proposito di Milano, tu ci dovresti ora far contenti di qualche notizia intorno a quel paese.»

«Buone notizie, illustrissimo, e per verità che quei poveri Milanesi possono ora rifarsi qualche poco, chè il Conte di Virtù concede loro di respirare un po' più liberamente.»

«Quel Bernabò era un gran tristo; e dopo tante vicende, e tante guerre, e tanti interdetti e scomuniche, non ha mai saputo imparare a starsene tranquillo.»

«Dio lo avesse voluto, illustrissimo, ma d'aggiunta quand'egli era tormentato dalla podagra, e non poteva pensare al resto, v'era il suo secondogenito, Carlo, che, se non era peggiore di Bernabò, non gli stava indietro di certo.»

«Non pronunciare un'altra volta il nome di Carlo, ed abbi rispetto al dolore di un padre;» dicendo queste parole, il senatore accennava a Candiano, il quale chinava la testa, ed aggrottava le ciglia.

«Io ci ho rispetto senza dubbio, e tacerò... ma mi resta sempre tuttavia a confortarmi seco pensando che ogni sventura è nulla, se si confronti a quella di aver per genero quel terribile Visconti.»

«E a te non intervenne mai nulla viaggiando per que' paesi quando ancora dominava il Bernabò?» soggiungeva Candiano a dare una svolta al discorso.

«A me no, sino a questo punto, ma ne portai però sempre con me la paura, e vi so dire che n'aveva di mestieri, che sotto Bernabò dalla vita alla morte, dal desco alla forca, il passo era assai breve colà, e non si aveva rispetto a nessuno; nè ci poteva giovare l'esser figli della Republica, che voi ben sapete quel che avvenne a Sua Santità. Però, quando trovavami entro le mura di Milano, me ne stava quasi sempre ne' quartieri dove allora aveva le ragioni il Conte di Virtù, che, per verità, vi si vivea un po' più tranquillamente. Adesso poi non c'è più ad avere un timore, e Gian Galeazzo, se non è tutt'oro di zecca, è le mille volte più umano del Bernabò.»

«Questo furbo di Malumbra la sa lunga.»

«La vita preme a tutti, illustrissimo. Ed anche i signori gentiluomini e i cavalieri aurati non istavano gran fatto meglio colà, che se non s'acconciavano al volere de' principi, non potevano più contare d'essere nè gentiluomini, nè cavalieri. In somma.... la caduta di Bernabò, fu la buona ventura per tutti, e....»

Qui si fermava qualche poco come a richiamarsi in mente alcuna cosa, poi continuava:

«Però, a quel Carlo Visconti non cadde l'animo affatto, ch'egli dopo essersene stato in Francia per più d'un anno, tornò di nascosto nelle terre del Conte, e in proposito; ho sentito a narrare colà una terribile ventura... e non mi fuggì di memoria perchè n'era oggetto nientemeno che quel povero Alberigo Fossano, il quale avrebbe fatto pur meglio a starsene qui all'ombra della cupola di San Marco.»

Gli occhi penetrativi del senator Barbarigo si volsero di celato ad esplorare il volto di Candiano, che, come tutti gli uomini sinceri ed aperti, mal sapendosi dominare, aveva dato un crollo a quel nome del Fossano.

Il Malumbra seguiva a dire:

«A quel giovane cavaliere venne in testa di fare ciò che buon per lui se non avesse fatto; voglio dire che ha dato l'anello ad una bella fanciulla, una bellezza straordinaria.»

«Chi era questa fanciulla?» domandava il Barbarigo.

«Il nome non me lo domandate, chè anche colà è un mistero per tutti; ma per dirvi ciò che io so in breve, quantunque il Fossano si fosse nascosto colla bella moglie in un suo castello fuori del milanese, la fama della bellezza di lei giunse all'orecchio di quel demonio dell'inferno, voglio dire di Carlo Visconti...»

«Chi te lo ha detto, Malumbra?»

Le parole che Candiano aveva pronunciate erano queste precisamente; ma l'atto con che le aveva accompagnate, fu così repentino e furibondo che chicchessia se ne sarebbe maravigliato. Non si maravigliarono per altro nè il Malumbra, nè il senatore.

Quest'ultimo soltanto, con un sorriso che gli serpeggiava pelle pelle, e gli faceva tremolare di compiacenza la pupilla che in quel punto vibrava più luccicante del solito,

«All'ammiraglio,» disse, «fa male questo nome di Carlo. Te l'ho pur detto, Malumbra, di tacerlo alla sua presenza.»

«Davvero, Barbarigo, che questi Visconti mi guastano il sangue,» rispose Candiano sforzandosi a smorzare l'ira che di subito gli si era accesa nell'animo; «tuttavia continua il tuo racconto, Malumbra.»

«È presto finito; colaggiù a Milano si parla di un fatto... d'una sventura avvenuta non son molti mesi alla donna del Fossano, ma il resto s'ignora.»

Il vecchio Candiano abbassò la testa senza più aggiunger parola. Intanto il senator Barbarigo, alzatosi, e fatto d'occhio al Malumbra, si dispose ad uscire.

«Ammiraglio,» disse, «io son costretto a lasciarvi, che prima di nona si ha a votare nel gran consiglio: stasera ci rivedremo dai Malipieri.»

«Va benissimo, ci rivedremo.»

Il Candiano e il Malumbra si trovarono soli, passò molto tempo senza che nè per l'una, nè per l'altra parte si dicesse una sola parola: ma il Malumbra, avendo parlato finalmente per licenziarsi, fece alzare un momento il capo all'ammiraglio che gli disse d'aspettare.

«Malumbra, ascoltami,» e sì dicendo si alzava dalla sua seggiola, e gli posava una mano sulla spalla; «ascoltami: tu l'hai veduto a Milano quel giovane?»

«Chi?»

«Alberigo Fossano.»

«L'ho veduto, ma non gli ho parlato però.»

«Malumbra, tu m'hai detto che vai a Milano?»

«Parto questa medesima notte.»

«Io ho bisogno che tu riveda Alberigo Fossano.»

«Converrà ch'io ne vada in cerca.»

«Ho bisogno che tu gli parli, cioè... aspetta, prima di partire fa di venire da me stasera.»

«Ci verrò senz'altro.»

«Ti darò una lettera che tu consegnerai ad Alberigo.»

«Farò quel che volete.»

«Prendi, Malumbra, io ti sarò eternamente obbligato,» e gli donava la borsa: «questa sera avrai altrettanto: ma ricordati di venire, che guai se tu manchi.»

«Non dubitate.»

«A vespro.»

«Benissimo, a vespro,» e senza aggiunger più nulla si licenziò dall'ammiraglio Candiano il quale, manifestamente sconcertato dalle parole del Malumbra, si gettò di bel nuovo nel suo seggiolone fisso in mille e terribili pensieri.

Il Malumbra nell'uscire di quel palazzo pensava alla virtù e bontà straordinaria dell'ammiraglio Candiano, pensava all'oro che ne aveva ricevuto in compenso, pensava che la vita di quel prode vegliardo era preziosa più di quella di ciascun altro Veneziano, e fu un momento, un fuggitivo momento, in cui pensò di non farne altro, e ingannare il senator Barbarigo e la Serenissima Republica; ma i secondi pensieri l'avvisarono che ciò non gli poteva convenire per nulla, e che per fare il vantaggio di un uomo dabbene, forse avrebbe corso pericolo di far male a sè; crollò il capo e disse: «A chi tocca tocca; quand'io non trovava nemmeno un grosso a comprar pane, nessuno mi ebbe riguardo, e più d'una volta ebbi a dormire alla fresca e a stomaco vuoto. Ch'io fossi o no un galantuomo, nessuno mostrò nemmeno pensarci. I gondolieri non cessarono il loro canto; i patrizi continuarono nella loro vita scioperata; le fanciulle non si rimasero dai pensieri d'amore; la zecchinetta continuò ad ingoiare fiorini. A chi tocca tocca, anch'io continuerò la mia strada.»

A vespro si recò al palazzo di Candiano, ed ebbe la lettera; e di quella lettera, prima che il Malumbra si partisse di Venezia, il senator Barbarigo sapeva benissimo il contenuto.


 

 

 




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