Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText
Giuseppe Rovani
Valenzia Candiano

IntraText CT - Lettura del testo

  • VI   VALENZIA
Precedente - Successivo

Clicca qui per attivare i link alle concordanze

VI

 

VALENZIA.

 

Quasi nel mezzo dei lago d'Orta il più tranquillo, il più silenzioso, il più malinconico lago di Lombardia, è l'isoletta di San Giulio, assai rinomata per la vigorosa difesa che Uilla, moglie di Berengario, vi fece nel secolo X. Al lembo estremo di quell'isola, quasi dirimpetto al monte detto la Colma, sorgeva un palazzotto costruito a mo' di castello. In un'altra parte dell'isola eravi la chiesa di San Giulio con bei pavimenti a musaico, e due colonne di serpentino che sostengono la tribuna. Dalla sponda del lago vi si saliva su grandissimi gradini formati di sasso indigeno. Presso alla chiesa era allora un monastero che fu demolito, ed ora non se ne serba traccia. In fuori di questi edifici e delle casupole de' pochi isolani che vi abitavano, non era altro a vedersi in quell'isola; bensì poteva occupare gli sguardi la prospettiva delle acque, dei paeselli, che, a non molta distanza, sorgevano sulla riviera, e de' monti, che vietando alla vista di estendersi molto, rendevano cupe e malinconiche le acque in cui riflettevansi, appena che il cielo si adombrasse di qualche nubi, o calasse la sera senza addio di sole.

Ad una finestra su in alto del palazzotto posto rimpetto al monte della Colma, intenta ai fenomeni che presenta il tramonto del dì, giacchè non era altra cosa della vita esterna che la potesse occupare, se ne stava Valenzia una sera del mese di settembre di quell'anno 13.... Volgeva lo sguardo ora alle nuvole dorate che man mano ricevevano una tinta più oscura, ora alla montagna cosparsa in vetta di mille tinte tutte varie, e che non portan nome, ora al lago che faceva specchio a tutto quanto si vedeva. L'attenzione però che Valenzia prestava a quegli oggetti, non era tale che potesse fermare nella sua mente il corso di mille altri pensieri.

Già la sua floridezza giovanile aveva subita un notabile cambiamento, e il suo bel volto s'era venuto affilando, di maniera che non era difficile il comprendere che un assiduo patimento morale l'avea presa. Sola tutte le ore del dì, e lontana da chi più le stava sul cuore, e senza speranza che quell'ordine di vita si potesse cambiar così presto; una profonda malinconia mista ad un tedio mortale, e talora a certi impeti d'impazienza che non le facevano aver bene un istante, era stata per gran tempo la sua compagna indivisibile. Ma da tre giorni una cosa più prepotente, più procellosa, meno monotona della malinconia, le si era introdotta nel cuore, la gelosia.

L'arrivo del Conte di Virtù ad Angera subito si seppe anche all'isola di San Giulio, e chi aveva portata quella notizia aveva recata anche l'altra dell'arrivo di Fossano, e ciò non solo, ma la tresca di lui con la bella contessa Giulia. La povera Valenzia potè, per sua vera sciagura, ascoltare un dialogo tra un barcaiolo ed un suo servo, che le mise nell'animo il veleno mortale del sospetto; e a questo dava peso il considerar che ella faceva essersi le visite del suo Fossano all'isola man mano sempre più diradate: in quella sera poi mentre guardava le scene circostanti, pensava che da tre giorni egli era giunto sì presso, e non ancora lasciavasi vedere, ch'ella di fresco aveagli scritto una lettera alla quale non era stato risposto.

E non è a dire se queste idee la colpissero di forza nel più intimo del cuore, e più di tutto il pensiero della crudele ingratitudine di Alberigo, la quale le pareva così impossibile che quasi s'induceva a ricredersi de' propri sospetti.

Ma nel mentre stava considerando queste cose un punto nero, che apparve a molta distanza sul lago, e che s'avanzava con velocità, attrasse lo sguardo di lei; non poteva essere che un battello, ed ella sforzavasi quasi a render più acuta la pupilla per veder meglio, intanto che un moto indefinito di speranza cangiava d'improvviso la direzione a tutte lo sue idee. Chiamò la fante, il servo: entrarono ambidue, ed il servo precorse le domande di Valenzia dicendo: «Madonna, è qui l'illustrissimo cavalier Fossano.»

«Egli è qui! dunque non mi sono ingannata.»

E uscita in fretta di quella stanza, discese lesta per la scala, si fece agli scaglioni del palazzo, su cui sbatteva l'onda del lago.

Dopo alcuni momenti la barca fu alla proda, Alberigo saltò a terra e con lui il Malumbra.

Le prime parole di Valenzia furono un rimprovero.

«È da tre dì che t'aspetto, Alberigo: da qui ad Angera è così breve tragitto, perchè hai tardato?»

«Non fu mia colpa,» rispondeva freddo e riservato il Fossano, a cui la coscienza del proprio cuore scemava forza alla parola: «ma appena arrivati ad Angera dovetti accompagnare il duca nella sua gita ai castelli del lago, ed ora che ho potuto.... sono venuto qui. Ma guarda un tratto questo buon messere che ha voluto venire con me: egli mi ha recato una lettera di tuo padre, e tien l'ordine da lui di venire a vederti per potergli dire in che condizione t'ha trovata.»

E dicendo queste parole guardava a parte a parte la figura di Valenzia, che gli sembrava impallidita e smagrita oltremisura; pure era tanta la sua bellezza, accresciuta tanto più da quell'aria di languore e di mollezza indefinibile, che facendo i rapidi confronti tra lei e la contessa Giulia, si accorse come l'ultima fosse di lunga mano inferiore alla sua Valenzia, e in quel momento la strinse a sè con tanto affetto, che ella dovette pentirsi d'aver sospettato un momento solo.

E forse all'ingenua anima sua non si sarebbe mai più appreso un simile sentimento, se non fosse intervenuto un fatto che il Fossano, percorrendo tutti i possibili, non avrebbe giammai saputo imaginare.

La bella contessa Giulia s'era di tal modo venuta impigliando nell'amore d'Alberigo, che oramai non poteva vivere un dito discosto da lui con iscandalo di tutta la corte, e dispetto della eccellentissima duchessa Caterina Visconti, che saggia com'era, mal si poteva acconciare a permettere que' palesi amorazzi. Quando Alberigo partì pel lago d'Orta, pensò bene non dir nulla alla contessa, e di queto si tolse alla rocca d'Angera; ma tutto fu inutile, e la contessa avendone chiesto a tutti, giunse a sapere ch'avea noleggiata una barca per l'isola d'Orta, ove egli aveva un suo castello.

Appena venne in cognizione di ciò, eccitata da quell'astuta sua amica, che per una mezzana non v'era la migliore, s'intestò recarsi anch'essa a dispetto di mare e di vento, e più ancora del sessagenario marito, sulle traccie dell'amante, e così di fatto, all'insaputa della duchessa Caterina e del consorte, le sole persone che la mettevano in qualche trepidazione, in compagnia di quella sua amica e di quattro servi, si recò al lago d'Orta.

Giunta alla riviera verso la bass'ora del dì vicino, non volle perder tempo, e quantunque il lago fosse un po' grosso, prese una barchetta e volò all'isola. Approdato a non molta distanza del palazzo di Alberigo, e chiesto di lui a chi primo incontrò, gli fu da que' buoni isolani additato il palazzo che non le era lontano più d'un trar di balestra.

La contessa Giulia, come tutti coloro che facevan parte della corte del Conte di Virtù, ignorava al tutto che il Fossano fosse maritato. E per questa circostanza verrebbe a scemarsi la colpa della bella contessa, alla quale, se fosse mai trapelato com'era la cosa veramente, sarebbesi sforzata a rintuzzare fin dal suo primo nascere quella malaugurata passione che sentì per Fossano, e certo vi sarebbe riuscita.

Ma credendo in vece che Fossano fosse assolutamente libero di sè, e lontana le mille miglia dal sospettare che la più bella gentildonna gli fosse consorte; assai lieta di potergli fare una sorpresa, entrò di volo nel palazzo. Con quella balda sicurezza che è propria delle indoli avventate, ella, senza domandar altro, sali le scale, e già stava per metter piede nelle camere, quando le si fe' per caso incontro una fante a domandarle di chi cercava.

«Cerco del cavalier Fossano,» rispose la contessa non badando più che tanto alle parole della fante.

«Adesso.... per adesso, il cavaliere non c'è; ma non potrà badar molto a tornare. Intanto potete entrare nelle stanze di madonna.»

Quella semplice parola madonna, fu bastante per scompigliare in un momento tutti i pensieri della contessa, e

«Chi è questa madonna?» chiese subito alla fante.

«Ho voluto dire la moglie di messer Fossano,» quella rispose.

I primi movimenti che fa una persona quando d'improvviso è côlta da ciò che non si aspettava, e che al tutto è in opposizione allo stato dell'animo suo sono impossibili a rendersi con parole, d'altra parte que' movimenti della persona, que' contorcimenti dei viso sono così eterocliti, così strani, così opposti alle teorie del bello, che, quand'anche si sapessero rendere con esattezza del dagherrotipo, non meriterebbero poi la pena di essere conservati. E la povera contessa Giulia fece appuntò uno di que' movimenti, talchè le bellissime fattezze del suo florido volto si sconciarono un poco a quell'inaspettata notizia; e stava dubbiosa la poveretta di quanto dovesse fare, quando, chiamata dal suono delle voci che abbastanza s'eran fatte udire, entrò Valenzia medesima in quella camera.

A lei subito si volse la fante dicendole:

«Questa gentildonna aspetta di parlare al signor cavaliere.»

La Valenzia si trovò alquanto sconcertata vedendosi innanzi quella dama in così sfarzoso apparato, sconcertata tanto più per la paura di venire scoperta; pure, come cortese, «Voi siete la benvenuta,» le disse, «Alberigo non può star molto a ritornare, frattanto vogliate riposarvi un poco.» E con modi assai gentili la invitava a metter piede in un'altra camera.

La contessa Giulia, sopraffatta e attonita, entrava accompagnata da quella sua amica, che guardava di sottocchio la bella e geniale figura di Valenzia.

Questa, intanto che intrattenevasi in parole colla contessa, com'era ben ragionevole, le domandò con chi aveva il bene di conversare, e quando udì quel nome che tre dì prima così ingratamente le era suonato all'orecchio, si sentì per tutto il corpo scorrere un gelo con certe strette ai cuore che la resero più pallida la metà.

In quel momento per mala ventura entrava il Fossano, il quale, quantunque fosse stato avvisato dalla fante ch'egli era atteso da una dama d'alto affare, pure, lontano com'era dall'aspettarsi quella visita, entrò fidentissimo e desideroso soltanto di vedere chi fosse. E a tutta prima durò fatica per credere ai propri occhi, e si rimase sul sogliare dell'uscio perplesso ed esitante, ora guardando la Giulia ora la Valenzia, che, leggendo in quel momento sul volto del Fossano tutte le passioni che in gran contrasto allora gli tumultuavano in cuore, fu ridotta alla misera condizione di chi sente d'aver perduta ogni cosa al mondo.

Quella scena continuò così muta per qualche tempo. Alla fine si alzò la contessa Giulia, che dei tre non era già quella che si trovasse a miglior partito; tuttavia le bastò l'animo di dire queste parole al Fossano: «Mi chiamo assai fortunata, cavaliere, d'aver fatta la conoscenza della gentile vostra moglie, di cui non mi avete parlato pur una volta.» Le parole furon queste precisamente, ma nel suono della voce che tremava nel pronunciarle, era un misto di sdegno, di sarcasmo e d'angoscia con un tal quale singhiozzo, che era presso a mutarsi in pianto. Alberigo nulla rispose; passarono alcuni altri momenti di silenzio. La contessa Giulia uscì coll'amica; il Fossano e Valenzia rimasero soli.

La notte era sopraggiunta, e nella camera si era fatto buio del tutto; il Fossano, sbalordito e confuso, stette pur molto ancora senza parlare, poi scuotendosi un poco, e sentendo il respiro un po' affannoso di Valenzia, pensò accostarsele, e così, come gli parve, la toccò leggermente colla mano.... A quell'atto, come balestra che scocca, rispose Valenzia con uno scoppio di pianto, che le sgorgò improvvisamente, poscia singhiozzi a furia che minacciavano affogarla, e che destavano una pietà indicibile.... Il Fossano la udì, la tenerezza lo vinse, e di tal guisa che lo rese convulso per tutte le membra; le lagrime intanto calde calde gli cadevano dagli occhi, bagnandogli i labbri che aguzzandosi davano tremiti continuati.

Oh! era troppo duro ch'egli sviasse per sempre da quella dolce e gentile creatura, troppo cara l'idea che dovesse riabbracciarla pentito, e l'anima sua infatti si è d'improvviso sprigionata dalla colpa in quel momento, e da quel momento la povera sua Valenzia non doveva mai più uscirle dal cuore, mai più; ma sventurati tuttavia e ancor peggio. Pianto così in segreto una mezz'ora buonamente, il Fossano, lei che tuttavia piangeva chiamò per nome con una dolcezza della quale forse non aveva mai fatto uso prima d'allora. A Valenzia si rallentarono un momento i singhiozzi.... e lenta le uscì poi la parola dai labbri, e interrotta e piagnolosa, - Ah! Fossano! - e nessun'altra ne aggiunse, e tutto disse con quella.

Entrava allora la fante a recare i lumi nella camera, che di nulla potè accorgersi, e se ne uscì tosto.

Rimasti soli per la seconda volta senza muover parola, si guardarono a vicenda; il Fossano alla fine prese una mano alla sua Valenzia, che, vinta dall'aspetto contrito di lui, gliela concesse. Ma strana cosa ell'era che nè l'uno nè l'altro volesse affidare alle parole quel che loro era passato e passava tuttavia nel cuore. Vergognava il Fossano di confessare la propria colpa, quantunque vedesse che tutto era noto alla sua donna; e questa per un istinto di femminile dignità e superbia, vergognava sdegnarsi con lui perchè l'avesse posposta ad un'altra.

Alla fine il Fossano le si aprì con questi detti:

«Egli è già un anno, Valenzia, che tu te ne vivi qui sola e senza un sollievo al mondo, e a me bastò l'animo di vivere lontano da te....»

Valenzia, a queste parole, gli alzava in volto gli occhi, e li riabbassava tremando in tutta la persona per un improvviso soprassalto.

«O Valenzia,» continuava il Fossano, stringendola a sè, «che io non possa avere mai più bene nè vivo nè morto, se per mia maledetta sorte potessi mancare alla formata promessa che ti do in questo punto.» E qui, alzando la fede con modi concitati e con un'esaltazione di spirito straordinaria: «Per l'avvenire tu non vivrai più sola, io sarò sempre con te, noi vivremo all'amore, nella pace di quest'isola solitaria, lontani dal mondo dove non si raccoglie che pentimento e dolore. Le nostre anime non saranno mai più offuscate dai torbidi sospetti, e in quanto a me non vorrò pensare ad altro che ad accrescere la tua felicità, se mi sarà dato.»

«O Alberigo,» le rispondeva allora Valenzia, balzando dalla sua sedia come per un moto di gioia repentina, e lasciandosegli andare addosso con una confidenza piena di passione e di languore; «o Alberigo, faccia Iddio che le parole che tu dî siano sincere, che guai, se mi avessero a trarre in inganno un'altra volta.... Vivi dunque all'amore, giacchè tu stesso l'hai promesso il primo, vivi per me, che dopo tanta solitudine sì a lungo gemuta, io possa gettarmi sicura una volta nelle tue braccia per non istaccarmene mai più, mai più, giacchè i resti del mio vivere gioiti compiutamente con te, da questo momento e per sempre appena varranno a compensarmi le dubbiezze, le angosce e gl'insopportabili tormenti a cui non so come sopravvissi.»

«O mia Valenzia, che ogni tuo desiderio sia esaudito colla più scrupolosa osservanza, e che tu per lo innanzi abbi a lodarti di me tanto, che debba benedire quell'affanno che ti fu scala al bene di che godrai in appresso; questo io ti prometto, e Iddio ti benedica.»

Abbracciati strettamente quelle due giovani creature, stettero guardandosi in volto per assai tempo tacite, pensose e intenerite. Oh! la sorte potesse conceder loro di radicarsi eternamente in quel posto, come un gruppo d'indistruttibile marmo, che guai se alcuno si frapporrà a dividerle un istante; quell'istante sarà tutto, non si riuniranno mai più.

 

Al primo spuntare dell'alba vicina, il Fossano ripartiva, per quel giorno soltanto, dall'isola di San Giulio, giacchè, come aveva detto la notte prima a Valenzia, doveva recarsi ancora alla rocca d'Angera dov'era il duca Galeazzo, per prendere licenza da lui, e ottenere il permesso di vivere lontano dalla corte milanese. Si salutarono i due sposi, dicendosi a vicenda. Ci rivedremo domani; - e la Valenzia, nel momento che il Fossano stava per saltare nel battello, gli disse non so che parola all'orecchio, a cui l'altro rispose col porsi la mano sul cuore quasi a rinnovarle un giuramento.

Il Malumbra ripartiva esso pure con Alberigo, e Valenzia il pregò portasse a Candiano i sentimenti d'amore ch'ella nutriva pel generoso padre suo e le sue felicitazioni; e il tristo uomo, mentre, chinando la testa in atto di ossequio, rispondeva che avrebbe fatto, pensava già al miglior mezzo che gli rimaneva per condurre a fine i disegni del senator Barbarigo.

Di lì a poco la barchetta animata da un vento impetuoso volava sul lago, e la Valenzia dalla riva stette a guardarla, aguzzando sempre più la vista in fino a tantochè il battello toccò la riviera opposta.

Il viaggio da Orta ad Angera non era di molte ore. però, essendosi affrettati un poco, vi giunsero prima del mezzodì. Nell'intervallo della loro assenza aveva già avuto luogo un intermezzo che merita di essere qui ricordato.

La bella contessa Giulia, partita che si fu dalla presenza di Fossano e di Valenzia, tanto dolore e vergogna la prese, tanta disperazione, che maledisse mille volte a quella sua amica che non aveva saputo sconsigliarla dal recarsi ad Orta, e lungo il viaggio fu un continuo contrasto di lamenti e di scuse.

«Io ve'l diceva ch'egli era un passo troppo ardito e vergognoso; ma voi avete proprio voluto spingermi a tanto.»

«Io non ho secondato che il voler vostro; la mia colpa è tulta qui.»

«Ma perchè dirmi ch'egli aveva un suo castello a quella malaugurata isola di San Giulio, e che erasi colà recato?»

«Non l'ho fatto che a tener lontana la noia del vostro continuo tempestarmi per saper notizie di quel caro ed aggraziato cavaliere.»

«Oh maledetto il dì e l'ora ch'io misi il piede in quella stanza dove, mal mio grado, mi avete mandata, e dove, senza ch'io me l'attendessi, mi son trovata faccia a faccia con quel tristo....»

«Io non ci ho colpa nessuna.»

«Se voi non foste stata, io non sentirei adesso salirmi sul volto il rossore della vergogna, io non soffrirei queste pene d'inferno.»

Giunta ad Angera, volendo evitare le occasioni di trovarsi ancora col Fossano, erasi presentata all'eccellentissima duchessa Caterina Visconti, supplicandola, col mettere innanzi motivi di salute, le volesse concedere di tornare a Milano; la qual cosa non essendole stata rifiutata, la contessa Giulia era già in pronto di partire, nel punto che il Fossano arrivò. Tra le gravissime dame che formavano il corteggio e gli illustri cavalieri, non mancò chi parlasse a lungo di quell'improvvisa risoluzione, e ne ridesse anche un poco, tanto che il Fossano ebbe ad indispettirsi, considerando ch'egli pure tra breve sarebbesi presentato al duca per impetrare ciò che la bella contessa aveva già domandato ed ottenuto.

Il Malumbra intanto, sempre fingendosi altro da quello che era veramente, non cessava di raccomandare al Fossano, si guardasse dal mettere sotto la vista di tutti la sua Valenzia, che continuando a vivere in quell'isola di San Giulio, non avrebbe potuto esimersi dal ricevere molte visite che in breve avrebbero propalato chi era la donna sua e mille altre cose, di cui era assoluta necessità continuare a far mistero; però misurasse le parole nel domandare la licenza al duca, e piuttosto che affrettarsi col rischio di destare sospetti, tirasse la cosa d'oggi in domani finchè si presentasse la bella opportunità di allontanarsi dalla corte. - Il Fossano aveva, durante il viaggio, detto al Malumbra che bramava di condursi a vivere lontano dal mondo colla sua Valenzia, e quel dì medesimo voler trarre a fine il suo desiderio.

Verso sera seppe il Malumbra dal Fossano che per quel giorno non aveva mai potuto trovare il momento opportuno di parlare al duca, che però l'avrebbe potuto quella sera medesima, e che sperava ritornerebbe il dì dopo all'isola per non partirne mai più. Il Malumbra fece suo pro dell'avviso; avendo già da qualche tempo fisso un suo disegno, aveva tutto in pronto perchè nulla potesse mancare quando i momenti fossero per incalzare. Una cavalcatura l'attendeva a tutte le ore, una barca sul Verbano era continuamente a sua disposizione; e un'altra pure sul lago d'Orta; quella sera alle ventitrè si partì d'Angera, e a notte chiusa fu di ritorno all'isola di San Giulio.


 

 

 




Precedente - Successivo

Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC
IntraText® (V89) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2007. Content in this page is licensed under a Creative Commons License