III.
Il Manzoni a scuola.
Io non mi fermerò ora a darvi notizie della culla del Manzoni, che
fu ritrovata e si conserva in una villa del signor Rosinelli a Mozzana sopra
Galbiate; nè della cascina detta La Costa, ove il grand'uomo fu
allattato da Caterina Zanzeri, nè di questa nutrice, la quale vogliono che
fosse svelta, vivace e piacevolona6. Ma non è senza importanza il fatto
che a soli sei anni il fanciullo Manzoni fu allontanato da casa sua e chiuso nel
Collegio de' Frati Somaschi di Merate, ove rimase dall'anno 1791 all'anno 17967. La mamma ve l'accompagnò, ma scomparve
intanto che il fanciullo era tenuto a bada da un frate maestro. Si possono
facilmente immaginare gli strilli del povero fanciullo non appena egli
s'accorse che la mamma sua l'aveva lasciato; ma, poichè ad uno de' prefetti
parve pure che il pianto durasse troppo, il fanciullo ricevette un colpo sulla
guancia accompagnato da queste parole: «E quando la finirete di piangere?»
Quello fu il primo dolore provato dal grand'uomo, che se ne rammentava anche
negli ultimi anni della sua vita. «Buona gente (del resto egli concludeva,
parlando di que' suoi primi istitutori), quantunque, come educatori,
lasciassero troppo a desiderare che fossero prima un po' più educati loro
stessi.» I frati di Merate lo avvezzarono dunque ai primi castighi. Ad undici
anni, Alessandro Manzoni passò nel Collegio di Lugano, ove gli toccò la buona
fortuna di avere tra i suoi maestri il buon padre Francesco Soave, onesto
letterato e, per quei tempi, educatore assai liberale, sebbene s'indispettisse
contro il nostro piccolo scolaro, che s'ostinava a scrivere le parole Re,
Imperatore e Papa con la prima lettera minuscola. Il Manzoni parlando un
giorno del Soave a Cesare Cantù gli disse, tra l'altre cose: «Teneva nella
manica della tonaca una sottile bacchetta, presso a poco come quella che fa i
miracoli dei giocolieri; e quando alcuno di noi gli facesse scappare la
pazienza, egli la impugnava, e la vibrava terque quaterque verso la
testa o le spalle del monello, senza toccarlo; poi la riponeva e tornava in
calma.» Al Manzoni rincresceva d'avere talvolta inquietato quel Padre, che
tanto fece, sebbene non sempre il meglio, per l'istruzione della gioventù.
Narrava pure il Manzoni come una volta gli scappasse detto in iscuola «ne
faremo anche a meno,» quando il Padre Soave annunziò che fra poco ci sarebbe
stata la lezione d'aritmetica. Il Padre maestro si levò allora dalla cattedra,
e si mosse gravemente verso il piccolo ribelle, che si sentiva già agghiacciare
per lo sgomento il sangue nelle vene; gli si accostò, gli pose sulla guancia
legermente due dita, come per carezzarlo, ma dicendogli con voce grossa:
"E di queste ne farete a meno?" come se lo avesse percosso ferocemente.
Il Manzoni, come assicura lo Stoppani e come si può ben credere, rimase
«profondamente colpito da tanta mitezza, e ne parlava ancora con vera
compiacenza quasi 70 anni più tardi.»]
Ma la via crucis de' collegi non era ancora finita pel
nostro piccolo proscritto. Verso il suo tredicesimo anno, lasciati i Somaschi
di Lugano, egli veniva raccomandato ai Barnabiti del Collegio di Castellazzo,
poscia a quelli del Collegio de' Nobili di Milano; e qui sebbene egli n'abbia
poi detto un gran male nei noti versi In morte di Carlo Imbonati, nacque
e si rivelò fra il tredicesimo e il quindicesimo anno il suo genio poetico, o
per lo meno, la sua felice attitudine al poetare.
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