«Gli disse
Gesù: Io sono la Via, la Verità e la Vita» (Gv 14,1-8)
Luciono
Monari, vescovo di
Piacenza-Bobbio
Vengono da
lontano i Magi, dall'oriente remoto e misterioso. Hanno affrontato un viaggio
che deve essere stato scomodo e pericoloso, come tutti i viaggi lunghi
dell'antichità. Immagino un cammino lento – secondo il ritmo di una carovana di
cammelli; un cammino costante, appunto come l'andatura dei cammelli.
Ma perché hanno lasciato il loro paese? le loro sicurezze? Che cosa li spinge
ad affrontare rischi, imprevisti? Cosa cercano? Sono magi, astrologhi abituati
a leggere le stelle e a trovare nelle stelle le risposte. Ma questa volta hanno
letto nel cielo una domanda che li ha resi inquieti, cercatori; ha reso acuto
il loro desiderio: Andiamo! È tempo! C'è qualcosa; qualcuno che ci attira: una
stella, una strada, l'orizzonte: "Dov'è il re dei Giudei che è nato?"
Ecco la domanda: dove? Si chiede la latitudine, la longitudine, l'altezza, la
profondità, insomma le misure che definiscono la salvezza: ma è possibile che
la salvezza abbia coordinate mondane? Che possa essere trovata in mezzo agli
uomini? Una stella ha indirizzato la loro ricerca segnando il loro cammino.
Strana stella! Tutte le altre sorgono ogni notte da oriente, percorrono un arco
nel cielo attorno alla stella polare e tramontano dall'altra parte; quella no.
Quella ha percorso una via retta verso occidente, verso Gerusalemme, poi
Betlemme. "Dov'è il re dei Giudei che è nato? abbiamo visto sorgere la sua
stella… siamo venuti per adorarlo."
Non so quale desiderio abbia mosso i magi, ma certo era un desiderio di vivere.
Ogni desiderio è desiderio di vivere: quello dell'infante che cerca la poppa
della mamma per nutrirsi; quello dell'adolescente che si sente padrone del
mondo e vorrebbe cambiargli i connotati; quello del giovane che s'innamora e fa
progetti: tu e io insieme, di fronte al mondo intero; quello dell'adulto che
lavora e produce con paziente fatica; quello dell'anziano che scioglie poco
alla volta i legami del mondo e purifica così la speranza da tutti gli aspetti
superficiali, accessori.
È desiderio di vita quello del viveur che passa senza sosta da una donna
all'altra, da un'esperienza all'altra; ed è desiderio di vita quello della
ragazza che entra in clausura per sempre. Desideri di vita entrambi; ma dov'è
la vita autentica? Perché certo gli stili alternativi di vita non si
equivalgono. Non è la stessa cosa la scelta del drogato che si butta via,
deluso della vita che ha e quella del ricercatore che spende la vita per
trovare un rimedio alla malaria – anche se forse morirà senza averlo trovato,
senza aver potuto realizzare il suo sogno: salvare anche un solo bambino. Ai
magi interessa scoprire questo 'dove', avere un criterio per distinguere nel
desiderio del cuore ciò che è vero da ciò che è falso.
Dov'è la vita? La vita umana, intendo; la vita autentica , quella per cui vale
la pena vivere e vale la pena morire. Se non c'è davvero nulla per cui valga la
pena morire – diceva Heschel – non c'è nulla per cui valga la pena vivere. Ma
esiste qualcosa che sia così prezioso da giustificare il dono della vita?
Quella che chiamiamo 'verità' è la risposta a questa domanda; risposta
incompleta, forse; risposta aperta a correzioni, a completamenti. Ma risposta
capace di illuminare una vita, di distinguere ciò che edifica l'uomo da ciò che
lo mortifica; ciò che lo rende libero e capace di amare da ciò che lo irretisce
in dipendenze invincibili e lo svigorisce in consumi banali. Che cos'è la
verità? Dove la posso trovare?
A dire il vero, qualcuno pensa che sia sbagliata la domanda e che la vita
sia un prodotto da consumare, piuttosto che un progetto da costruire e che
l'unica domanda permessa sia: cosa mi può soddisfare al meglio, ora? La
strategia logica è chiara: scegliere i consumi più soddisfacenti e allontanarsi
dalle strade difficili, aspre, dai sentieri faticosi. Il mondo è un
iper-super-mercato: ti muovi da un reparto all'altro e prendi quello che ti
serve, o ti attira. Vuoi denti bianchi? C'è il prodotto che te li garantisce.
Un sorriso seducente, una capigliatura folta… un profumo, un tatuaggio, i
jeans, la moto… Tutto: "dalla spilla all'elefante" era un tempo la
promessa dei magazzini Harrod's, a Londra. E oggi c'è ancora di più. Il mondo
può dare tanto: emozioni a non finire, seduzioni che tolgono il fiato, sogni
patinati, realizzazioni sempre nuove. E se tutto quello che hai non ti ha
ancora dato la felicità, se senti ancora angoscia o paura o delusione o
vergogna, vuol dire che non hai ancora incrociato il prodotto giusto: quella
discoteca non va; ma ce n'è un'altra all'angolo. Quel week end è stato una
delusione, ma ne comincia un altro domani. Puoi provare ancora: le possibilità
sono infinite, le luci sempre diverse. Non avrai finito di sondare tutte le
possibilità prima che venga sorella morte e ti liberi dalla fatica di dover
cercare ancora, sempre di nuovo. Si può vivere tutta la vita passando da un
consumo all'altro, senza nemmeno sospettare che forse c'è qualcos'altro oltre
ai consumi; che forse c'è una verità; e che questa verità mi permette di
costruire me stesso, di comunicare con gli altri, di aprirmi al mondo, a Dio.
Che forse è possibile fare della vita una creazione, esprimere la verità che ho
nel cuore.
Come Michelangelo quando cercò di cavar fuori dal marmo quei quattro
'Prigioni', immagini di schiavi che dovevano ornare il sepolcro di Giulio II.
Sono lì, che escono a fatica dal marmo, ancora solo sbozzati tanto da apparire
incompiuti. Eppure, incompiuti come sembrano, hanno una forza impressionante,
come se lottassero col marmo per strapparne il loro spirito, la loro forza. È
possibile far uscire dal marmo una forma umana? Incidere nella durezza della
pietra dei sentimenti delicati? Fare del marmo un luogo di rivelazione della
verità?
Insomma: consumo o creazione? Comodità o verità? Soddisfazione o fatica, o
lotta, o duello con la vita e con la morte? Nei racconti dei chassidim raccolti
da Martin Buber si legge questo episodio: "Rabbi Baer di Radoschitz pregò
un giorno il rabbi Giacobbe Isacco di Lublino, suo maestro: "Indicatemi
una via universale al servizio di Dio." Rabbi Giacobbe Isacco rispose:
"Non si deve dire agli uomini quale via debbono percorrere. Perché c'è una
via in cui si serve Dio con lo studio e un'altra con la preghiera, una col
digiuno e un'altra mangiando. Ognuno deve guardare attentamente su quale via lo
spinge il suo cuore, e poi quella scegliere con tutte le sue forze."
Tante vie quanti sono gli uomini, ma tutte alla ricerca di Dio; strade per
diventare se stessi, originali, insostituibili; vie da scegliere con tutte le
forze e da percorrere con decisione, senza piegare a destra o a sinistra. Ma è
possibile? Non mi precludo in questo modo delle altre possibilità? Bisogna
essere convinti che la strada è buona. Forse non perfetta e compiuta; cosa può
mai esserci di perfetto in questo mondo? Ma buona perché conduce
all'autenticità umana; ma degna di essere scelta; ma meritevole degli sforzi e
delle rinunce che la scelta comporta. Insomma una strada che sia 'vera', non
falsa, non illusoria. Poi toccherà a me dare una forma responsabilmente al
materiale vario che costituisce la trama delle mie giornate. Non esistono
condizioni esterne di vita così favorevoli che garantiscano la riuscita; e non
esistono condizioni esterne di vita così sfavorevoli che impediscano all'uomo
di essere uomo, di produrre almeno dei lampi di bellezza. Questo, naturalmente,
non vuol dire che le condizioni esterne non abbiano valore – siamo carne e
sangue e mondo: carne e sangue e mondo influiscono anche sui pensieri e sui
desideri del cuore. Ma vuol dire che non ci sono mai condizioni 'senza
speranza', non ci sono bocce perse nel grande gioco della vita.
Bisogna dunque cercare. Ma
come?
"Io ho detto
in cuor mio: Vieni, dunque, ti voglio mettere alla prova con la gioia" –
così il vecchio Qohelet rivede il cammino della sua esistenza di saggio:
"Ho voluto soddisfare il mio corpo con il vino, con la pretesa di
dedicarmi con la menta alla sapienza e darmi alla follia, finché non scoprissi
che cosa convenga agli uomini compiere sotto il sole, nei giorni contati della
loro vita. Ho intrapreso grandi opere, mi sono fabbricato case, mi sono
piantato vigneti. Mi sono fatto parchi e giardini e vi ho piantato alberi da
frutta di ogni specie; mi sono fatto vasche, per irrigare con l'acqua le
piantagioni. Ho acquistato schiavi e schiave e altri ne ho avuti nati in casa e
ho posseduto anche armenti e greggi in gran numero più di tutti i miei
predecessori in Gerusalemme. Ho accumulato anche argento e oro, ricchezze di re
e di province; mi sono procurato cantori e cantatrici, insieme con le delizie
dei figli dell'uomo. Sono divenuto grande, più potente di tutti i miei
predecessori in Gerusalemme, pur conservando la mia sapienza. Non ho negato ai
miei occhi nulla di ciò che bramavano, né ho rifiutato alcuna soddisfazione al
mio cuore, che godeva d'ogni mia fatica; questa è stata la ricompensa di tutte
le mie fatiche. Ho considerato tutte le opere fatte dalle mie mani e tutta la
fatica che avevo durato a farle; ecco, tutto mi è apparsi vanità e un inseguire
il vento; non c'è alcun vantaggio sotto il sole." (Qo 2,1-11)
La
condizione di partenza di Qohelet è invidiabile: re, quindi ricco e potente.
Può permettersi tutti gli esperimenti che vuole, a differenza delle gente
comune che deve accontentarsi di qualcosa. E, di fatto, Qohelet ha sperimentato
tutto (v. 10). Alla fine si volta indietro, esamina tutto quello che ha fatto,
tira le somme. Il risultato? "vanità (vuoto, niente) – un inseguire il
vento (un desiderio vano) – non c'è vantaggio (non c'è compenso che giustifichi
la fatica di vivere)." Eppure Qohelet ha conosciuto l'abbondanza dei beni
(case, vasche, giardini); ha provato emozioni forti (oro, donne, spettacoli);
ha esercitato un potere indiscusso; eppure, "un infinito vuoto / dice
Qohelet / un infinito niente. / Tutto è vuoto niente." "Non c'è
vantaggio alcuno sotto il sole." Forse vale la pena che notiate: sotto il
sole, dal sole in giù. Vista da qui la vita è delusione: la morte rimane come
un inevitabile capace di dare scacco a tutte le soddisfazioni o i desideri.
Eppure…
Eppure sembra che
i magi siano felici. Quando vedono la stella che li accompagna a Betlemme
"provarono una gioia grande, molto"; quando vedono il bambino adorano
e offrono. Solo chi è contento sa donare, solo chi ha trovato una sorgente
abbondante di serenità e di speranza. Altrimenti l'uomo tiene per sé quello che
ha, si chiude e si difende. I magi tornano al loro paese più stanchi: hanno
camminato a lungo; tornano più poveri: oltre alle spese del viaggio, hanno
regalato oro, incenso e mirra. Eppure tornano felici: hanno trovato quello che
cercavano. Hanno la percezione chiara che il loro viaggio non è stato inutile:
c'è qualcosa per cui vale la pena faticare. Che cosa? Cos'hanno trovato?
Forse qui
c'è un paradosso. I magi sono studiosi, che conoscono la sapienza dei popoli.
Hanno forse trovato altri proverbi? Altre filosofie per arricchire il loro
patrimonio intellettuale? Hanno incontrato a Gerusalemme il potere di Erode: se
ne sono forse appropriati? Hanno raggiunto un patto? No: tutto quello che hanno
trovato è "il bambino con sua madre"; di fronte a quel bambino si
sono prostrati e hanno offerto doni.
Hanno
trovato un bambino, non un'idea. Le idee possono essere belle, possono essere
vere. Quando Socrate ha scoperto il concetto, la cultura umana ha fatto un
importante passo avanti; e così quando Platone ha contemplato le idee. Ma i
concetti, le idee sono astratte, non possono esaurire la ricchezza della vita.
E chissà se nel passare dal concreto all'astratto non si perda qualcosa di
essenziale.
Hanno trovato un
bambino, non una legge. Anche qui: l'importanza della legge è fuori
discussione. Quando Mosè ha trasmesso le dieci parole a Israele (i dieci
comandamenti) Israele ha avuto una base per la sua esistenza di popolo. Ma
anche la legge è astratta: può suscitare rispetto e obbedienza ma non riesce a
suscitare amore; l'amore è sempre concreto, si rivolge a qualcuno come se fosse
unico, insostituibile.
Hanno trovato un
bambino, un uomo, una persona concreta. Possibile che sia proprio lì il segreto
che cercano? Il 'dove' della verità, della vita? Presso l'uomo? Ma quale uomo?
- l'uomo
greco, equilibrato fisicamente e psicologicamente;
- l'uomo
potente, che impone il suo volere sugli altri;
- l'uomo
ricco, che può permettersi tutto quello che vuole (quasi);
- l'uomo
famoso che è ammirato e invidiato;
- l'uomo
colto, che conosce tante cose.
No: un bambino,
una speranza di uomo, che ha davanti a sé ancora tutte le possibilità aperte.
Ma dobbiamo precisare ancora: quali di queste possibilità si realizzeranno?
Quale tipo di uomo diventerà?
La immagine
fondamentale per comprendere è il crocifisso. Prendete, ad esempio, la
crocifissione di Gruenewald nella pala di Isenheim che esprime tutta la
tragedia della morte: le braccia, le dita sono irrigidite, sono diventate come
rami di un albero rinsecchito; le ossa hanno divorato la carne e rendono vere
le parole del salmo: "Hanno forato le mie mani e i miei piedi; hanno
contato tutte le mie ossa." Non è bello. Lo diceva il profeta Isaia:
"Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore
per trovare in lui diletto. Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori
che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia, era
disprezzato e non ne avevamo alcuna stima." (Is 53,2-3)
Non è forte tanto
che i passanti possono dire: "Ha salvato gli altri, non può salvare se
stesso" Non è ricco e i soldati possono dividersi le sue vesti. Non ha
onore e subisce gli insulti di tutti. Nemmeno i malfattori si sentono così
dappoco da non poterlo umiliare. Ma allora perché? Perché i magi lo cercano?
Perché sono contenti di averlo trovato? È un errore?
È vero: quel
bambino è debole e anche cresciuto conoscerà la debolezza; ma proprio per
questo diventerà fondamento di speranza per gli uomini deboli. Subisce il
peccato degli uomini e diventa via di liberazione: "Colui che non aveva
conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi
potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio." (2Cor 5,21)
Ha subito la
morte proprio per potere liberare noi dalla paura della morte: "Poiché i
figli hanno in comune il sangue e la carne, anch'egli ne è divenuto partecipe,
per ridurre all'impotenza, mediante la morte colui che della morte ha il potere
cioè il diavolo e liberare così quelli che per timore della morte erano soggetti
a schiavitù per tutta la vita." (Eb 2,14-15)
Ha conosciuto la
povertà; ma anche in questo caso si tratta di povertà feconda: "Da ricco
che era – scrive sempre san Paolo – si è fatto povero per arricchire noi con la
sua povertà." (2Cor 8,9)
Dietro a tutte queste
immagini c'è la dimensione dell'amore che si rivela nella vita e nella morte di
Gesù. Attraverso di Lui Dio stesso dice all'uomo il suo amore, la sua volontà
che l'uomo possa vivere; e lo dice in modo concreto: non con parole astratte,
ma con una vita come la nostra e una morte come la nostra. Per questo san
Giovanni potrà dire: "Noi abbiamo visto e abbiamo creduto l'amore che Dio
ha in noi: Dio è amore." Qui sta l'aspetto più sorprendente. "Che Dio
nel suo cielo è ricco – scriveva von Balthasar – lo sanno anche le altre
religioni. Che egli con le sue creature abbia voluto essere povero, soffrire, e
con l'incarnazione mettersi in grado di dimostrare alle creature il dolore
dell'amore, questo è l'inaudito."
A partire da
questo compimento della croce è possibile rileggere tutti i singoli elementi
della vita di Gesù come espressioni di amore. Le guarigioni, ad esempio, che
esprimono la premura di Dio per noi e il suo desiderio di fare vivere l'uomo. E
soprattutto gli esorcismi che esprimono la forza di Dio come capace di
'liberare' l'uomo. Se potete, non pensate alle manifestazioni orripilanti della
possessione diabolica che vanno per la maggiore. In questi casi – diceva
argutamente il card. Biffi – siamo di fronte a diavoli stupidi, che si fanno
riconoscere subito. I diavoli più temibili sono quelli nascosti, quelli che
imprigionano l'uomo dentro a falsità, cattiveria, crudeltà e lo fanno facendo
sembrare tutto questo intelligente e furbo e utile. Sono quei diavoli che
creano divisioni e lacerazioni e contrapposizioni infinite e distruggono nel
cuore dell'uomo l'amore per il bene, la fiducia che il bene è tale e che deve
essere praticato a qualunque costo. Sono questi gli esorcismi significativi:
quelli che fanno emergere l'umanità dell'uomo attraverso cumuli di macerie di
abitudini sbagliate, di cattiverie gratuite, di relazioni false. O pensate alla
parabola del Figlio prodigo con la quale Gesù ha cercato di spiegare il suo
comportamento: perché Gesù accoglie i peccatori e mangia insieme a loro? Forse
perché considera il peccato una cosa da poco? O una sovrastruttura sociale? O
perché non sa distinguere tra bene e male? No: piuttosto perché esprime l'amore
del Padre che non si rassegna a perdere un figlio, lo accoglie con infinita
tenerezza e gioisce di aver riavuto il figlio che sembrava perduto per sempre.
Così Gesù, così quell'amore che troverà sulla croce la sua manifestazione
completa e definitiva; perché "nessuno ha un amore più grande di questo:
dare la vita per i propri amici." (Gv 15,13)
Nella stessa
linea vanno comprese le parole di Gesù. Sono parole che dichiarano l'amore di
Dio per noi: Dio è un Padre ricco di tenerezza e di amore, che gode nel dare la
vita ai suoi figli, che li chiama, li attende, li perdona, li rigenera. Davanti
a lui l'atteggiamento giusto è quello della fiducia senza limiti,
dell'obbedienza prestata non per paura e nemmeno per interesse, ma per amore,
con la gioia di compiere ciò che piace a Lui. Le parole di Gesù danno un senso
ai diversi gesti di amore manifestandoli come gesti non episodici, superficiali
ma piuttosto come frammenti che, raccolti insieme, rivelano il mistero di Dio.
Sono parole, quelle di Gesù, che nello stesso tempo chiedono all'uomo l'amore
come risposta. Ma intendete bene: Dio chiede che noi amiamo non perché vuole
avere un 'ritorno' al suo gesto originario di amore. Piuttosto Dio vuole che
noi amiamo perché solo questa può essere la perfezione della nostra vita. Fino
a che l'uomo rimane aggrappato ai suoi interessi, alla difesa di se stesso,
fino a che l'uomo non riesce a superarsi nel gesto del dono gratuito,
l'esistenza dell'uomo rimane meschina, non ancora pienamente 'umana'. L'uomo
vero è quello che ama: che ama se stesso accettandosi così come è, che ama gli
altri favorendo nel modo corretto la vita di ciascuno, che ama Dio degno di
essere amato con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutte le forze. Che ci
sia chi è degno di essere amato così, chi suscita quindi in noi un amore del
genere è cosa stupenda perché ci permette di superare noi stessi e di
'realizzare' noi stessi nel dono completo dell'amore.
È per tutti
questi motivi che Gesù può rivelare ai suoi discepoli: "Io sono la via, la
verità e la vita." Gesù è la verità non perché ci spiegherebbe un'idea
perfetta da conoscere, ma perché in lui, nella sua vita – parole e opere,
azione e sofferenza, vita e morte – in tutto questo Gesù rivela l'amore di Dio
per noi. E questa è la verità, la rivelazione. Ho chiesto con insistenza a Dio:
"Fammi conoscere chi sono; dimmi cosa devo fare; fammi vedere la tua
faccia" e Dio mi ha risposto donandomi Gesù. Non c'è bisogno di altro.
Chi è Dio? mi
chiedo. M'interessa saperlo perché Dio, se c'è, è la sorgente e la misura di
tutto ciò che vale. Chi è dunque Dio? La risposta è Gesù: Dio è amore perché
Gesù è passato facendo del bene e amando fino alla morte.
Chi sono io?, mi
chiedo allora. E, paradossalmente, la risposta è ancora Gesù: sono uomo
chiamato a diventare immagine e somiglianza di Dio; quindi chiamato ad amare, a
fare della mia stessa esistenza un dono.
Che cos'è il
mondo? Questo cosmo bello e immenso nel quale mi trovo a esistere. È per me o è
contro di me? Mi vuole bene o male? La risposta è ancora Gesù: il cosmo è
materia nella quale Dio desidera imprimere il sigillo del suo amore. Lo ha già
fatto in quella frazione di mondo che è Gesù di Nazaret; desidera farlo nel
resto del cosmo attraverso il cammino di libertà dell'uomo.
Possiamo dirlo in
modo più disteso.
15 miliardi di
anni fa è iniziata l'avventura del nostro cosmo; non so se con il big bang o in
altro modo, ma il nostro cosmo ha iniziato a espandersi nella moltitudine della
galassie.
5 miliardi di
anni fa si è formato il sistema solare e la terra ha cominciato a esistere come
pianeta consolidato.
3 miliardi di
anni fa è il tempo in cui si formano i primi composti organici: si prepara
l'avvenuta straordinaria della vita con forme sempre più complesse: le alghe
azzurre, la vita vegetale poi quella animale; invertebrati e vertebrati; pesci,
anfibi, rettili, uccelli, mammiferi… l'uomo. Bisognerebbe dire più
precisamente: australopiteco, homo habilis, homo erectus, homo sapiens,
Neanderthal, Cro-magnon, homo sapiens sapiens. È un'avventura ammirevole da
seguire. E al termine nasce un'ulteriore domanda: e adesso? A ch4e cosa tende
questa incessante trasformazione della natura, questo suo salire verso forme
sempre più complesse? È forse terminata per sempre l'evoluzione? Sarebbe
difficile da pensare; eppure qualcosa è profondamente mutato. Perché l'uomo –
l'homo sapiens sapiens – è cosciente di sé; conosce il suo passato ed è in
grado di prendere in mano il suo cammino verso il futuro. Può scegliere la
direzione della sua vita. Ma verso dove? Dove andrà?
Qualcuno
parla di homo technologicus e vede nella tecnologia l'aspetto caratteristico
dell'uomo del futuro. Qualcuno sottolinea il prolungamento della vita; già ora
l'uomo potrebbe arrivare ai 120 anni. E in futuro, chissà: 130, 150… Evoluzione
tecnologica, evoluzione biologica…; chissà se ci sarà anche un'evoluzione della
libertà che conduca l'uomo verso una libertà più grande e soprattutto verso una
responsabilità più profonda. Beh, credo che questo sia l'annuncio della
rivelazione: il futuro dell'uomo è Cristo, è l'uomo che tende tutte le sue
capacità, possibilità verso una scelta di amore nel quale possa manifestarsi,
in qualche modo, l'amore di Dio. L'uomo divinizzato: "La sua potenza
divina ci ha fatto dono di ogni bene… ci ha donato i beni grandissimi e
preziosi che erano stati promessi, perché diventaste per loro mezzo partecipi
della natura divina." (2Pt 1,3-4) L'uomo immagine di Dio, l'uomo secondo
la forma di Gesù Cristo, figlio di Dio. La differenza da Adamo che aveva
cercato di farsi simile a Dio sta nel fatto che Adamo aveva cercato di farsi
Dio senza Dio, contro Dio, nell'affermazione solitaria della sua grandezza.
Mentre la vita della somiglianza con Dio consiste nello scambio libero e
generoso del dono: nel ricevere da Dio il dono della somiglianza con Lui e nel
ridare a Dio il dono della nostra stessa vita trasfigurata: appunto, quello che
è avvenuto in Gesù.
Questo cammino
verso il futuro non costituisce, però, un'evoluzione garantita perché si gioca
entro lo spazio della libertà dell'uomo e la libertà dell'uomo è cosa
tremendamente seria. Nel succedersi delle specie animali l'evoluzione ha
progredito secondo una legge di selezione della specie che portava (forse) alla
sopravvivenza del più adatto. Ma l'uomo ha imparato comportamenti nuovi,
inediti, che non sono giustificati dall'istinto di sopravvivenza e che non
determinano la sopravvivenza del più adatto.
Prendete, ad
esempio, il gesto di Massimiliano Kolbe che, nel campo di concentramento di
Auschwitz, consegna se stesso al posto di un padre di famiglia designato a
morire nella cella della fame. P. Kolbe muore liberamente perché un altro possa
vivere e sostenere la sua famiglia. È un gesto sorprendente perché l'amore – e
in questo caso l'amore per un estraneo, non conosciuto – prevale sull'istinto
di sopravvivenza. È qualcosa di nuovo nell'evoluzione della specie, qualcosa
che allude a un progresso diverso, a un mondo diverso.
O pensate a madre
Teresa che a Calcutta impegna tempo ed energie per onorare i moribondi e
aiutarli a morire in modo degno. Non per curarli perché vivano – non è più
possibile. Ma solo perché muoiano circondati da rispetto e onore, con accanto
un volto amico che li accompagna. Dal punto di vista biologico non ha alcun
senso: in tutti i modi quelle persone moriranno tra poco; non sono loro il
futuro della specie. La cura che si presta loro è per definizione inutile.
Eppure noi sappiamo riconoscere in questo gesto una manifestazione autentica di
umanità.
È una linea di
evoluzione nuova che comincia a manifestarsi. Non sono sicuro che questa linea
prevarrà per quello che dicevo sopra: è una linea che progredisce solo
attraverso la libertà. Ma sono sicuro che se evoluzione ci sarà, sarà in questa
direzione. Quella che ha annunciato Gesù stesso. Egli è venuto "non per
essere servito ma per servire e dare la sua vita come riscatto per la
moltitudine." Lui che è il Signore "si alzò da tavola, prese un
asciugatoio e se lo cinse. Poi cominciò a lavare i piedi dei suoi discepoli e
ad asciugarli con l'asciugatoio di cui si era cinto." Re dell'universo si
è manifestato "mite e umile di cuore." Insomma, Gesù Cristo ci è
presentato da Dio stesso come l'uomo del futuro, come irruzione nel mondo del
mistero di Dio da cui viene il mondo e verso cui il mondo è attratto.
Si potrebbe
obiettare che ho parlato di gesti unici e straordinari (padre Kolbe), di
persone irripetibili (Gesù di Nazaret, madre Teresa). Ma non è vero: la qualità
dei gesti di cui sto parlando è presente in molti comportamenti umani –
nell'amore di una madre o nel servizio di un volontario, nella dedizione di un
medico o nella passione di un maestro. Solo che generalmente i caratteri della
scrittura sono minuti e non è facile leggerli. Nella vita di Gesù e in quella
dei santi la presenza dell'amore che viene da Dio è molto più evidente. Ma
proprio per questo Gesù e i santi ci aiutano e leggere anche il resto della
vita in questa stessa logica. In ogni modo questo futuro non è un ideale o un
sogno. L'ideale sarebbe bello ma astratto; il sogno può essere affascinante ma
rimane illusorio. Gesù, i santi, non sono idee e non sono illusioni; sono
persone concrete che hanno camminato sulla nostra terra e hanno reso effettiva
una possibilità. A noi è offerta la medesima possibilità, come una sfida alla
quale siamo chiamati a rispondere.
Il libro
dell'Apocalisse incomincia con una grande visione descritta nel capp. 4 e 5.
Giovanni, il veggente, viene rapito in cielo e vede il trono su cui siede Dio,
creatore e Signore dell'universo. Il trono è avvolto da un arcobaleno simile a
smeraldo, immagine della straordinaria vitalità di Dio. Attorno al trono stanno
quattro viventi e ventiquattro vegliardi. Sono il simbolo del mondo nelle sue
diverse dimensioni e della storia nella sua grande varietà. Cosmo e storia
stanno attorno al trono di Dio dal quale sono governati; da loro sale a Dio
l'inno di lode e di ringraziamento. "E vidi nella mano destra di colui che
era assiso sul trono un libro a forma di rotolo, scritto sul lato interno e su
quello esterno, sigillato con sette sigilli. Vidi un angelo forte che
proclamava a gran voce: Chi è degno di aprire il libro e scioglierne i sigilli?
Ma nessuno né in cielo, né in terra, né sottoterra era in grado di aprire il
libro e di leggerlo. Io piangevo molto perché non si trovava nessuno degno di
aprire il libro e di leggerlo." Questo misterioso rotolo sigillato
contiene, evidentemente, il mistero del mondo e della storia, il senso del
cammino di evoluzione, di azione, di sofferenza che accompagna la storia
dell'uomo. È difficile cogliere il senso della storia; anzi è in realtà
impossibile. Per farlo bisognerebbe trovarsi alla fine (al compimento) della
storia e starne al di fuori. Per l'uomo che sta dentro la storia in un punto
particolare del suo svolgimento la visione della totalità è impossibile e di
conseguenza inconoscibile il significato. Per questo Shakespeare poteva dire
nel Macbeth che la vita umana è "come il racconto di un idiota, pieno di
furore ma che non significa niente." Così, inevitabilmente, appare il
dramma della storia umana dal di dentro. Ed è comprensibile il pianto del
veggente (v. 4) E' il pianto di chi teme che tutte le sofferenze umane siano
inutili, che tutti i desideri siano destinati alla delusione, che tutte le
ingiustizie finiscano per prevalere e l'onestà non abbia chi alla fine le renda
giustizia.
A questo
punto viene l'annuncio di rivelazione. "Uno dei vegliardi mi disse: Non
piangere più; ha vinto il leone della tribù di Giuda, il Germoglio di Davide, e
aprirà il libro e i suoi sette sigilli." Il leone, il germoglio sono
immagini note del Messia promesso dai profeti. Lui. Colui che viene, sarà in
grado di sciogliere l'enigma della storia. Vediamo come e perché. "poi
vidi in mezzo al trono circondato dai quattro esseri viventi e dai vegliardi un
Agnello, come immolato. Egli aveva sette corna e sette occhi, simbolo dei sette
spiriti di Dio mandati su tutta la terra. E l'Agnello prese il libro dalla
destra di Colui che era seduto sul trono." La coerenza dell'immagine
lascia un po' a desiderare: il leone è diventato un agnello; l'agnello è prima
ritto sul trono poi chiaramente spostato. Ma il messaggio è chiarissimo: il
Messia ha la maestà e la forza del leone, ma le esercita in modo mite, non
violento, appunto come un agnello. Ha un potere equivalente a quello di Dio ma
questo potere gli è dato da Dio stesso. Lui, questo agnello, ha il potere di
sciogliere i sigilli del libro. Ancora ci chiediamo: perché? È a motivo della
sua forza invincibile?
Della sua
sapienza ineguagliabile? Della sua ricchezza impareggiabile? No; il motivo è
proclamato da coloro che personificano le forze operanti nel mondo: "Tu
sei degno di prendere il libro e di aprirne i sigilli, perché sei stato
immolato e hai riscattato per Dio con il tuo sangue uomini di ogni tribù,
popolo e nazione e li hai costituiti per il nostro Dio un regno di sacerdoti e
regneranno sopra la terra." Il motivo, dunque, è che l'agnello è immolato,
è stato sacrificato. La sua morte – sacrificio per la salvezza del mondo – è
l'elemento decisivo. Il motivo l'abbiamo già ricordato: la morte di Gesù è
rivelazione dell'amore di Dio; è gesto umano di amore portato fino alla
totalità; lì, e solo lì il mistero è svelato. Non sono le folgoranti campagne
vittoriose di Alessandro Magno attraverso l'Asia che danno il senso ultimo alla
storia; non sono le riflessioni profonde e ammirevoli di Platone; è invece la
morte vergognosa di un crocifisso. Ma intendiamoci bene: non è la morte in
quanto tale ciò che rivela; e nemmeno le sofferenze indicibili che l'hanno
accompagnata. È piuttosto l'obbedienza con cui l'Agnello si è sottomesso alla
volontà del Padre e l'amore con cui ha cercato e prodotto la salvezza degli
uomini. Ha riscattato per Dio uomini di ogni popolo; e cioè ha ricondotto
l'umanità a Dio distruggendo il peccato dell'autosufficienza. Non è possibile
comprendere il mistero della storia se non la si riconduce a Dio. L'uomo,
staccato da Dio, cade nella contraddizione, nell'impossibilità di dare senso a
se stesso.
L'effetto della
morte di Gesù è, secondo l'Apocalisse, che gli uomini diventano un regno di
sacerdoti e regneranno sopra la terra. Re e sacerdoti, dunque. Re, anzitutto. È
vero: di fronte al mondo l'uomo è piccola cosa; la natura può schiacciarlo
senza nemmeno accorgersene. Verrebbe spontaneo, per un uomo consapevole della
sua piccola statura, rispondere alla potenza della natura con la paura. E
invece, a motivo del suo rapporto riconciliato con Dio, l'uomo può, deve vivere
nel mondo con libertà regale. Si legge nel profeta Geremia: "Così dice il
Signore: non imitate la condotta delle genti e non abbiate paura dei segni del
cielo; perché le genti hanno paura di essi. Poiché ciò che è il terrore dei
popoli è un nulla." (Ger 10,2-3) Proprio così: non abbiate paura dei segni
del cielo! Possiamo riprendere una parola simile di Paolo quando scrive ai
Corinzi: "Nessuno ponga la sua gloria negli uomini, perché tutto è vostro:
Paolo, Apollo, Cefa, il mondo, la vita, la morte, il presente, il futuro: tutto
è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio." (1Cor 3,21-23)
Parafrasi: attraverso Gesù Cristo, voi appartenete a Dio come suoi figli.
Ebbene, questa appartenenza vi sottrae a qualsiasi potere mondano – potere
degli uomini o delle potenze, del tempo o dello spazio. Non dovrete essere
schiavi di nessuno perché Cristo vi ha liberato. Se ci sono predicatori che voi
ascoltate con obbedienza, ciò non significa che diventate servi di loro; al
contrario sono loro a dover essere vostri servi annunciandovi il vangelo e solo
il vangelo. Se il mondo è più grande di voi, non deve però sedurvi con la
promessa della vita né impaurirvi con la minaccia della morte: la vostra vita è
già assicurata presso Dio e la vostra morte è già redenta per la resurrezione
del Signore. Non lasciatevi quindi dominare da nulla: siete re; siatelo davvero
con un'esistenza libera dal mondo.
Secondo
elemento: sacerdoti. Forse il messaggio è più difficile da capire, ma
altrettanto affascinante. Sacerdote è chi fa salire a Dio l'offerta che sia a
Lui gradita. Sacerdote è l'uomo quando, usando le cose del mondo e costruendo
così il mondo stesso, dà al mondo e alle cose una forma che sia gradita davanti
a Dio. L'uomo è trasformatore per natura: usa i metalli e ne fa strumenti; si
costruisce un ambiente nel quale poter vivere un'esistenza umana. Ma come
prende forma questa trasformazione? I metalli, trasformati, possono diventare
strumenti di pace e strumenti di guerra, possono dar forza all'odio dell'uomo,
al suo egoismo o, viceversa, al suo amore. Ebbene, l'uomo è sacerdote quando la
trasformazione che egli compie rende il mondo gradito a Dio, lo trasforma,
quindi, secondo la logica dell'amore e della generosità. Non è forse questa la
cosa più grande che l'uomo possa fare? Prendere terra e legno e ferro e,
usandoli, produrre amore e giustizia e fraternità. Questo dà senso alle cose;
questa è la 'verità' del mondo. C'è un mondo falso ed è quello costruito dalle
nostre scelte di interesse egoistico e di paura; c'è un mondo 'vero',
autentico: quello costruito dalle nostre scelte di amore e di comunione. Gesù è
il grande dono di Dio per questo: per assicurarci del suo amore e rendere noi
capaci di entrare liberamente, consapevolmente, nella dinamica dell'amore
facendovi entrare il mondo stesso che noi gestiamo.
A Pilato
che lo interrogava sulla sua regalità ("Dunque tu sei re?") Gesù ha
risposto: "Tu lo dici; io sono re. Per questo sono nato e per questo sono
venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla
verità ascolta la mia voce." Gesù è venuto nel mondo per esercitare un
potere regale. Ha conquistato questo potere senza eserciti, senza giochi
politici. Lo ha conquistato amando e, in questo modo, rivelando la 'verità',
cioè l'amore di Dio per l'uomo. Da allora ci sono persone che, ascoltando la
parola di Gesù, osservando la sua vita e la sua morte, vengono colpite nel profondo
del cuore da questa rivelazione. E si mettono al seguito di Gesù; come per
imparare da lui l'arte di amare. E non solo imparando intellettualmente ma
sperimentando anzitutto la gioia di essere amati e accolti e perdonati; poi,
con l'amore ricevuto da Gesù, provando ad amare a loro volta. Iniziano così un
cammino lungo e faticoso nel quale sono molti i passaggi stretti, i deserti
aridi. Ma nei quali sempre quella stella che hanno visto i magi continua a
indicare la strada e a rafforzare i cuori. Chissà; forse l'evoluzione
dell'umanità passa attraverso gente come loro. Gente che tenta, con umiltà e
perseveranza, di immettere la forma di Dio nella vita degli uomini. Morranno,
probabilmente, senza aver visto nessun cambiamento significativo; morranno nell'oscurità,
come tutti. Ma forse saranno capaci di affidarsi a quel Gesù che li ha amati,
li ama e ha promesso di accoglierli.
"Non sia
turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio, e abbiate fede anche in me, Nella
casa del Padre mio vi sono molti posti. Se no, ve l'avrei detto. Io vado a
prepararvi un posto; quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò
e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io. E del luogo dove io
vado voi conoscete la via. Gli disse Tommaso: Signore, non sappiamo dove vai e
come possiamo conoscere la via? Gli disse Gesù: Io sono la via, la verità e la
vita." (Gv 14,1-8).
|