«Dov'è il re
dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella» (Mt. 2,2)
Siamo
qui convenuti, da diverse parti d'Italia e del mondo, perché abbiamo accolto
l'invito di Giovanni Paolo II a "ripercorrere idealmente l'itinerario dei
Magi", le cui reliquie, secondo la tradizione, ...
Padre
Gianfranco Todisco, Vescovo di Melfi – Rapolla - Venosa
Siamo qui
convenuti, da diverse parti d'Italia e del mondo, perché abbiamo accolto
l'invito di Giovanni Paolo II a "ripercorrere idealmente l'itinerario dei
Magi", le cui reliquie, secondo la tradizione, sono custodite nella
cattedrale di Colonia e soprattutto per incontrare "il Signore Gesù, il re
dei Giudei che è nato. Abbiamo vistola sua stella e siamo venuti per
adorarlo"
Lo abbiamo già
incontrato? So che la maggior parte dei giovani qui presenti ha già incontrato
il Signore, altrimenti non starebbe qui.
Altri sono
ancora alla ricerca di Gesù, pur sapendo chi Egli sia. Il Gesù che hanno
conosciuto attraverso i loro genitori, il Gesù del catechismo della Prima
Comunione o della Cresima non basta più.
Ne sa qualcosa
chi non s'è fermato a questa tappa della ricerca, perché la ricerca di Gesù non
termina mai. E' come "uno scrigno dal quale si tirano fuori continuamente
cose nuove cose e antiche" (Mt 13, 52)
Quanti giovani,
oggi, abbandonano presto la pratica religiosa – messa domenicale, lettura della
Parola di Dio, ecc – ma grazie a Dio non abbandonano Gesù. Continuano a restare
legati a Lui, anche se in modo tutto particolare.
I Magi non si arrendono quando non vedono più brillare nel cielo la stella che
li sta guidando alla ricerca di Gesù. In quel momento così buio e delicato
della loro esistenza, quando è normale essere presi dallo scoraggiamento perché
ti vengono a mancare alcune certezze della vita, chiedono:
"Dov'è il
re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella" (Mt 2,3)
Cosa stanno
cercando in realtà? Veramente una stella oppure qualcosa altro?
Sappiamo, dalla
tradizione, che erano astronomi. Scrutavano il Cielo, luogo della presenza di
Dio, e quindi cercavano una risposta agli interrogativi della vita che tutti,
prima o poi, ci facciamo, altrimenti corriamo il rischio di cadere in balia
delle onde, e quindi di perdere il controllo del timone della barca della
nostra vita, sballottati come merce di consumo, proprio come i prodotti
"usa e getta".
In realtà i Magi
sono alla ricerca della felicità, del " tesoro nascosto, la perla
preziosa", di cui parla Gesù nel Vangelo. Un bene che conserva intatta la
sua bellezza, la sua capacità di attrazione.
In una parola,
un bene che dura per sempre. Un bene che, col tempo, cresce di valore, non
certo come il prezzo della benzina, che anche se aumenta ogni giorno di più,
prima o poi dovrà essere sostituita – ce lo auguriamo - da un altro
"bene" meno costoso. E non solo la benzina, ma tutti gli altri beni
materiali, non hanno un valore assoluto ma relativo.
La ricerca dei
Magi diventa allora il segno di quella ricerca che l'uomo non deve mai
abbandonare, pena la perdita del senso della propria vita: la ricerca della
Verità, della Libertà, ossia di ciò che porta alla scoperta della vera
felicità.
"Dov'è il re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua
stella"
I Magi sono
certi che il re dei Giudei – ossia Gesù -, anche se ancora non l'hanno trovato,
è presente in mezzo a loro. Ne sono certi. Hanno visto sorgere la sua stella.
Deve essere nascosto da qualche parte.
Di fronte alla
difficoltà che incontrano – non sanno più dove andare, perché, non vedendo la
stella, si sentono smarriti, proprio come tanti giovani che non sempre trovano
risposte esaurienti e soddisfacenti.
"Chi sono?
Da dove vengo? Dove vado? Perché la presenza del male? Cosa ci sarà dopo questa
vita?"
Sono alcuni dei
tanti interrogativi che si trovano non solo negli scritti sacri di Israele ma
compaiono anche negli scritti di Confucio, Lao-Tze, oppure nella predicazione
di Budda.
La ricerca della
verità è proprio dell'uomo, a qualunque razza o religione appartenga.
Fino a qualche
tempo fa c'era ancora chi sosteneva che la fede è una proiezione dei bisogni
irrisolti o irrealizzabili dell'uomo. Anche Gesù, per alcuni, era un'invenzione
dei cristiani.
Grazie a Dio, la
storia e l'archeologia hanno sfatato anche questo mito. La fede, in qualunque
modo essa si esprima o manifesti, (cristiana, mussulmana, buddista, ecc.)
rappresenta sempre la sete di verità dell'uomo. E nessuno oggi si azzarda a
dire che Gesù non è mai esistito.
E' stata la
testimonianza chiara e coraggiosa di tanti cristiani – e non solo dei martiri
che hanno versato il loro sangue per Cristo ma di tanti santi hanno speso la
vita per Lui - a dimostrare che Gesù non è un'idea, ma la manifestazione
visibile di un Dio, che decide di piazzare la sua tenda in mezzo al mondo,
"perché il mondo creda".
Credere però
all'esistenza di Gesù non implica necessariamente avere fede in Lui, fidarsi
cioè di Lui, porre in Lui ogni attesa e speranza, in altre parole metterlo al
centro della vita e farlo diventare il punto di riferimento costante di ogni
azione.
Il fatto, poi,
che molti ostentino un segno religioso, come il crocifisso, per esempio, non
sempre è indice di accettazione di Cristo, della sua divinità, oltre che della
sua umanità e del suo messaggio di salvezza.
A questo punto
sorge spontanea la domanda: "Possono convivere fede e ragione? Si può
dimostrare la fede, così come si dimostra la veridicità di un'affermazione
scientifica, soggetta a ferree leggi che nessuno può negare? "
E perché si dice
che "chi vuole credere deve farlo ciecamente? " Ma, allora, per
credere, bisogna mettere da parte la ragione?
Il Catechismo della Chiesa cattolica definisce la fede " un'adesione
personale di tutto l'uomo a Dio che si rivela. Comporta un'adesione della
intelligenza e della volontà alla Rivelazione che Dio ha fatto di sé attraverso
le sue opere e le sue parole." (176)
"Credere" ha perciò un duplice riferimento: alla persona e alla
verità; alla verità per la fiducia che si accorda alla persona che l'afferma.(
177)
Potrei stare a parlarvi per ore o per giorni, senza darvi un briciolo di fede
oppure farla crescere un po'. Se i ragionamenti e le spiegazioni sulla fede non
sono accompagnati da gesti concreti che mostrano la fede, sarà difficile
crescere nella fede e nell'amore di Dio. .
Ci siamo mai
chiesti perché, dopo aver fatto la Prima Comunione e Cresima, tanti ragazzi e
giovani abbandonano la pratica religiosa? Se lo sono chiesto i genitori, e se
lo chiedono i catechisti ed i sacerdoti?
La mia,
ovviamente, è una domanda retorica, perché tutti, genitori, catechisti e
pastori si chiedono continuamente cosa fare per frenare questa "emorragia
religiosa".
Le cause sono
tante, a cominciare dalla nostra società secolarizzata, che ci bombarda di
messaggi spesso in chiara contraddizione con il messaggio cristiano.
Ma c'è un'altra
causa, a mio avviso, molto importante: il catechismo che abbiamo imparato e che
quindi ha impegnato la nostra conoscenza intellettuale non è stato accompagnato
da una vera esperienza di fede che porta ad una "adesione personale di
tutto l'uomo a Dio".
La fede è vista
piuttosto come una serie di cose da imparare o da fare: andare a Messa, fare i
buoni, non fare certe cose. Il grande assente nella vita di tanti cristiani è
proprio Lui, il Signore Gesù, anche se si parla di Lui e si scrivono bellissime
preghiere, lette anche il giorno della Prima Comunione e della Cresima.
Papa Giovanni
Paolo II, al termine del Grande Giubilelo dell'anno 2000, nella Lettera
Apostolica Novo millennio ineunte ha scritto:
"Non si
tratta di inventare un « nuovo programma ». Il programma c'è già: è quello di
sempre, raccolto dal Vangelo e dalla viva Tradizione. Esso si incentra, in
ultima analisi, in Cristo stesso, da conoscere, amare, imitare…" NMI 29
La necessità di
far conoscere innanzitutto la persona di Gesù ed il suo Vangelo, prima ancora
delle conseguenze che scaturiscono dall'accoglienza del suo messaggio di
salvezza - la vita sacramentale, il comportamento coerente con i principi
morali e sociali che ne derivano – ha indotto la Chiesa a riproporre ai
cristiani di oggi il Primo Annuncio di salvezza – il così detto kèrigma -,
finalizzato alla presentazione di Gesù come Signore e Salvatore,
all'accettazione del suo messaggio di salvezza, e suscitare in essi l'adesione
a Cristo.
In altri
termini, si tratta di riproporre tutto il cammino di fede che una volta era
riservato ai catecumeni, che si concludeva con la ricezione del Battesimo, la
Cresima e l'Eucaristia, chiamati appunto sacramenti dell'iniziazione cristiana.
La Chiesa
Italiana, da qualche hanno, è impegnata in questo programma di nuova
evangelizzazione, per arginare "l'ateismo pratico" di tanti fedeli i
quali, pur essendo stati battezzati, fatta la Prima Comunione e ricevuto il
Sacramento della Cresima, vivono senza far alcun riferimento all'insegnamento
di Cristo. In pratica, vivono come se Cristo non esistesse per loro.
Ma la fede è anche un atto umano.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica, di cui un compendio è stato appena
pubblicato alcune settimane fa, parlando della fede che non contraddice
l'intelligenza umana, dice:
"Non è contrario né alla libertà né all'intelligenza dell'uomo far credito
a Dio e aderire alle verità da lui rivelate. Anche nelle relazioni umane non è
contrario alla nostra dignità credere a ciò che altre persone ci dicono di sé e
delle loro intenzioni, e far credito alle loro promesse (come, per esempio,
quando un uomo e una donna si sposano), per entrare così in reciproca
comunione. Conseguentemente, ancor meno è contrario alla nostra dignità
"prestare, con la fede, la piena sottomissione della nostra intelligenza e
della nostra volontà a Dio quando si rivela" [Concilio Vaticano I:
Denz.-Schönm., 3008] ed entrare in tal modo in intima comunione con lui."
(Catechismo della Chiesa Cattolica n° 154)
Non sono pochi, anche tra i giovani, coloro che pensano che la fede è questione
di bambini, di vecchiette, di coloro che non fanno lavorare troppo il cervello,
ma credono passivamente tutto ciò che si dice loro. In altre parole, fede e
ragione non possono andare d'accordo.
Nell'enciclica
"Fides e ratio" del 1998 Giovanni Paolo II affronta proprio il tema
del rapporto tra fede e ragione e dice: "La fede e la ragione sono come
due ali con le quali lo spirito umano si innalza verso la contemplazione della
verità. E' Dio ad aver posto nel cuore dell'uomo il desiderio di conoscere la
verità e, in definitiva, di conoscere Lui perché, conoscendolo ed amandolo,
possa giungere anche alla piena verità su se stesso." (n.1)
Fede e ragione
possono benissimo coesistere. Per carpire il segreto della vita – giungere alla
piena verità su se stessi, ci dice il Papa – bisogna volare alto e, per volare,
c'è bisogno di due ali: la conoscenza e l'amore di Dio. Non è solo questione di
usare il cervello, bisogna far muovere il cuore, come lo muove Dio. Per questo,
la ricerca di Gesù, il re dei Giudei, spinge i Magi a non darsi pace, fino a
quando non hanno trovato il bambino Gesù.
Non c'è dubbio
che la GMG, soprattutto se ci si è preparati spiritualmente, è un'ottima
occasione per approfondire la fede di tantissimi giovani.
Tanti giovani
ritornano a casa non solo con il bellissimo ricordo di forti emozioni, a volte
difficile anche da spiegare, ma soprattutto con una fede completamente
rinnovata – con un nuovo look – perché queste giornate possono veramente
contribuire ad un incontro personale con Cristo, ad un'esperienza di fede che
permette a tanti giovani di lasciarsi alle spalle dubbi ed incertezze che ne
frenavano lo slancio e l'entusiasmo.
Ed ancora, nella stessa lettera apostolica NMI il Papa aggiunge:
"Non è
forse Cristo il segreto della vera libertà e della gioia profonda del cuore?
Non è Cristo l'amico supremo e insieme l'educatore di ogni autentica amicizia?
Se ai giovani Cristo è presentato col suo vero volto, essi lo sentono come una
risposta convincente e sono capaci di accoglierne il messaggio, anche se
esigente e segnato dalla Croce. Per questo, vibrando al loro entusiasmo, non ho
esitato a chiedere loro una scelta radicale di fede e di vita, additando un
compito stupendo: quello di farsi « sentinelle del mattino » (cfr Is 21,11-12)
in questa aurora del nuovo millennio." NM19
Il motivo per
cui tanti giovani trovano difficoltà a vivere la fede è perché spesso, il volto
di Cristo, viene presentato loro in una forma sbiadita, senza alcuna
attrazione, oppure mutilato, senza la radicalità del perdere la propria vita
per guadagnarla, del rinnegare se stessi e soprattutto della necessità di
abbracciare la propria croce e seguirlo. Paolo VI ripeteva spesso che
"oggi non abbiamo tanto bisogno di maestri quanto di testimoni". E,
grazie a Dio, non mancano, neanche ai nostri giorni, testimoni coraggiosi della
fede che conquistano con il loro esempio.
La croce è il
segno luminoso delle GMG. Questa croce ha già attraversato paesi, città,
nazioni, continenti. Ha viaggiato per terra e per mare, col caldo e col freddo.
Fino a quando non la abbracceremo con una vita coerente al Vangelo, non la
ameremo. E' bello vedere i giovani fare a gara per portare la croce della GMG.
Ma è ancora più bello vedere i giovani portare impresse nella loro vita i segni
della passione di Cristo, con lo stesso amore con cui Cristo ha abbracciato la
Croce e, quindi, tutti gli uomini
Cari Giovani,
non abbiate timore di essere "sentinelle del mattino" per tanti
vostri coetanei ancora addormentati o storditi dai rumori del mondo che
impediscono loro non solo di ascoltare la voce di Cristo ma di seguirne le
tracce. Contagiateli con il vostro schietto entusiasmo, radicato
nell'esperienza di un incontro che non potete più tacere. Sapete bene che
Cristo non ammette mezze misure: "Chi non è con me è contro di me" e
"Non potete servire Dio e mammona". E la scelta radicale che Egli
chiede ai suoi discepoli non deve affatto spaventare, perché essa è il banco di
prova di chi è pronto ad affrontare le sfide della vita, anche se segnate dalla
Croce. Proprio come ha fatto Gesù, "obbediente fino alla morte, e alla
morte di croce".
Ritornando ai
nostri Magi, osserviamo che la loro ricerca termina solamente quando si trovano
davanti ad un bambino di fronte al quale si prostrano e lo adorarono.
Finalmente fede
e ragione si incontrano. La caparbietà della loro ricerca viene premiata.
Finalmente ci siamo. Quel bambino che sta davanti a loro non è un bambino
qualsiasi, come tanti altri che hanno visto in braccio alle loro madri durante
il cammino oppure, incuriositi, avvicinarsi alla loro carovana, magari tendendo
loro la mano ed implorando la carità di qualcosa da mangiare.
I Magi credono
che quel bambino, che giace povero in una mangiatoia, è il re dei Giudei. Ed
allora, ciecamente, ossia senza fare ulteriori domande – oggi avremmo
sottoposto quel bambino alla prova del DNA per sapere se era veramente il
Figlio di Dio – si prostrano, lo adorano e gli offrono i loro doni.
Cari giovani,
sapete bene quante difficoltà oggi incontrano tanti vostri coetanei non solo
nella ricerca della fede ma anche nel credere che Gesù è vero Dio e vero uomo.
Fate loro capire
che per un cristiano la fede non è un concetto astratto ma una persona: Gesù
Cristo, il Figlio di Dio fatto uomo. In lui la verità di Dio si è manifestata
interamante. Egli è "pieno di grazia e di verità" (Gv 1,14), egli è
la "luce del mondo" (Gv8,12). "Chiunque crede in lui non rimane
nelle tenebre" (Gv12,46).
Parlate loro
della vostra esperienza di fede, di come avete incontrato il Signore.
Fate comprendere
loro che credere ciecamente in Gesù Cristo non significa mortificare la nostra
ragione ma, come ci ha ricordato Papa Giovanni Paolo II poco fa, fede e ragione
sono come due ali che ci permettono di dare stabilità alla nostra vita, per
evitare quelle "brutte cadute" che, per alcuni, sono state molto
gravi, procurando danni irreparabili.
L'adesione a
Cristo con tutto il cuore, con tutta la mente e con tutte le forze ci rivela la
verità dell'amore di Cristo. Un amore come dono di sé, sacrificio fino a dare
la vita per i propri amici.
Un amore eterno,
non come quello che si canta in tante canzoni e che a volte non dura neppure il
tempo di una stagione.
Di quanti amori
sono stati spettatori le Giornate Mondiali della Gioventù.
Mi auguro che
gli amori che sbocceranno durante questa GMG 2005 siamo amori radicati non solo
nella simpatia e nella bellezza esteriore – come certi amori che nascono
durante le vacanze al mare o in montagna, amori a volte infedeli, perché basati
sulla logica del "carpe diem": "approfittane, non lasciarti
sfuggire l'occasione, in fondo non c'è niente di male" – ma amori radicati
nella fede e nell'amore di Cristo. Amori che rendono capaci di dare la propria
vita per gli altri, fino al sacrificio di se stessi.
Gli amori a cui
mi riferisco non sono solamente quelli che potrebbero far maturale la vocazione
al matrimonio, ma anche quelli che potrebbero portare a donare tutta la propria
vita al servizio di Cristo nel sacerdozio e nella vita religiosa e, perché no,
a quella dei "singles" per il regno dei cieli!
In molte chiese
locali è ritornato a fiorire l'Ordo Virginum, la prima forma di vita religiosa
nella chiesa che, per molti secoli, ha lasciato il posto agli Ordini e alle Comunità
Religiose, ma che, dopo il Concilio, ha visto rifiorire questa antica forma di
consacrazione a Cristo, restando nel mondo, senza abbandonare la propria
famiglia o il lavoro, in mezzo agli amici di sempre, vivendo "radicalmente
la vita cristiana" sull'esempio di Cristo obbediente, povero e casto. E
mentre aumentano nella nostra società i "singles" che vivono da soli,
perché non attratti né dal matrimonio né dal sacerdozio o dalla vita religiosa,
auguriamoci che i "singles" per il regno dei cieli riflettano sempre
nella loro vita "il volto splendente di Cristo", così come sono
chiamati a fare gli sposi cristiani, i sacerdoti, le religiose ed i religiosi.
Tanti di noi
siamo stati testimoni di dichiarazioni d'amore fatte pubblicamente in occasione
della celebrazione del matrimonio di parenti o amici e poi, dopo qualche tempo,
della negazione di quel amore, perché finito con la separazione ed il divorzio.
Di fronte ad una
realtà che sta contagiando la vita di tante persone – aumenta vertiginosamente
ogni anno il numero delle separazioni e dei divorzi e, mentre diminuisce il
numero dei matrimoni in Chiesa, aumenta il numero delle convivenze – molti si
domandano: Dove sta la verità dell'amore? E la verità della pace? E quella
della giustizia e della solidarietà?
Ma, allora, non
c'è niente di assoluto? Ci stiamo abituando all'idea che tutto è relativo. A
poco a poco, come un tarlo, si fa strada l'idea che oramai non esiste più una
verità oggettiva o assoluta, ossia valida per tutti, ma verità parziali, tutte
degne di rispetto. Non parliamo poi della trasgressione, che sta diventando una
moda, approvata e giustificata da molti.
Dal pericolo del
relativismo, soprattutto in campo morale, ci ha messo in guardia Papa Giovanni
Paolo II in numerosissimi suoi interventi. Ne cito uno, durante la visita a
Cuba nel 1998, in cui si dirige direttamente ai giovani, quando afferma:
Attualmente,
purtroppo, per molti è facile cadere in un relativismo morale e in una mancanza
di identità di cui soffrono tanti giovani, vittime di schemi culturali privi di
senso o di ideologie che non offrono norme morali elevate e precise. Questo
relativismo morale genera egoismo, divisione, emarginazione, discriminazione,
timore e sfiducia nei confronti degli altri. Inoltre, quando un giovane vive «a
modo suo», idealizza ciò che è straniero, si lascia sedurre dal materialismo
sfrenato, perde le proprie radici e anela alla fuga. Pertanto, il vuoto
prodotto da questi atteggiamenti spiega molti mali che minacciano i giovani:
l'alcol, la sessualità malvissuta, la prostituzione che si nasconde sotto
diverse ragioni, e le cui cause non sempre sono soltanto personali, le scelte
fondate sul piacere o su atteggiamenti egoistici, sull'opportunismo, sulla
mancanza di un serio progetto di vita nel quale non c'è posto per un matrimonio
stabile, oltre al rifiuto di qualsiasi autorità legittima, il desiderio di
fuggire e di emigrare, sottraendosi all'impegno e alla responsabilità per
rifugiarsi in un mondo falso alla cui base vi sono l'alienazione e lo sradicamento.
(Visita Pastorale A Cuba Omelia di Giovanni Paolo II Plaza Ignacio Agramonte di
Camagüey, 23 gennaio 1998)
Sappiamo bene
che le conseguenze di questo relativismo morale non riguardano solamente i
giovani cubani a cui si riferisce la citazione, ma tutti i giovani del mondo.
Il Papa sta parlando anche di noi, di tanti giovani italiani, vittime ignare di
un modo di pensare, purtroppo condiviso da tanti.
Credere che
"tutto fa brodo", che ognuno ha diritto di agire come meglio crede,
di crearsi un "codice morale proprio", sta diventando una moda, per
non dire una vera "epidemia sociale", le cui conseguenze negative
sull'intera società non riusciamo neppure ad immaginare. Basti pensare
all'approvazione della legge sul matrimonio tra persone dello stesso sesso,
come è già avvenuto nei mesi scorsi in Belgio, Olanda, Spagna ed ultimamente
anche in Canada, per avere un'idea a quali grandi sfide sono chiamati oggi i
cristiani e come riaffermare, in un mondo dominato dal relativismo culturale,
la verità assoluta dell'amore, della morale e dell'istituto matrimoniale nella
nostra società.
Sullo stesso
tema del relativismo culturale è tornato più volta anche Papa Benedetto XVI, in
questi primi mesi del suo pontificato. Intervenendo all'apertura del convegno
ecclesiale della diocesi di Roma su "famiglia e comunità cristiana"
nella basilica di San Giovanni in Laterano, ha detto:
"Dentro a
un tale orizzonte relativistico non è possibile, quindi, una vera educazione
senza la luce della verità; prima o poi ogni persona è infatti condannata a
dubitare della bontà della sua stessa vita e dei rapporti che la costituiscono,
della validità del suo impegno per costruire con gli altri qualcosa in
comune." (6 giugno 2005)
L'adesione a
Cristo ed al suo insegnamento trasmesso dalla Chiesa, se da una parte ci porta
al rispetto delle culture e quindi a non imporre a nessuno la nostra fede e le
conseguenza morali che ne derivano, dall'altra non ci esimono dal dovere di
affermare coraggiosamente la nostra fede e di proporre, mai imporre, le implicazioni
che da essa derivano.
Le esperienza
pre-matrimoniali, la convivenza senza matrimonio né civile né religioso, lo
stesso matrimonio tra persone dello stesso sesso, tutte giustificate dalla
libertà umana e dal principio che non possiamo imporre la nostra morale agli
altri, nell'ottica della fede cristiana sono viste come un travisare
l'insegnamento che ci ha dato Gesù sull'amore. Né tanto meno di tratta di
optionals, lasciati al gusto di ognuno. La Chiesa, se vuole essere fedele a
Cristo, deve avere il coraggio di proporre questo insegnamento a tutti i suoi
figli, senza lasciarsi sedurre dalle ideologie e dalle mode correnti.
Al tema della
morale Giovanni Paolo II nel 1993 ha dedicato un'intera enciclica, Veritatis
Splendor, lo splendore della verità, su alcune questioni fondamentali
dell'insegnamento morale della chiesa.
"Lo
splendore della verità rifulge in tutte le opere del Creatore e, in modo
particolare, nell'uomo creato a immagine e somiglianza di Dio (cf. Gn 1,26): la
verità illumina l'intelligenza e informa la libertà dell'uomo, che in tal modo
viene guidato a conoscere ed amare il Signore". (Veritatis splendor,
Introduzione)
Se pensiamo a
ciò che hanno saputo fare le prime comunità cristiane che, sebbene una sparuta
minoranza, hanno portato la forza del vangelo al cuore delle istituzioni
politiche, economiche e sociali, impregnando della presenza di Cristo la
società del loro tempo, quanto resta ancora da fare alla Chiesa di oggi, per
continuare ad essere "sale della terra e luce del mondo" per far
risplendere la verità di Cristo non solo nell'uomo ma in tutte le opere del
Creatore.
Non possiamo
negare la difficoltà di conciliare la fede in Gesù con l'insegnamento che ne
deriva, non solo nel campo della morale sessuale ma anche in quello sociale e
personale. Solamente quando scopriremo che la fonte della moralità è sempre la
stessa, il Vangelo, e quindi in ultima analisi la persona di Gesù che abbiamo
accolto nella nostra vita come Signore e Salvatore, allora sarà possibile
vivere con gioia la nostra adesione a Lui, anche se ciò comporta abbracciare la
croce come ha fatto Lui.
"Ciò di cui
abbiamo soprattutto bisogno in questo momento della storia sono uomini che,
attraverso una fede illuminata e vissuta, rendano Dio credibile in questo
mondo. La testimonianza negativa di cristiani che parlavano di Dio e vivevano
contro di Lui, ha oscurato l'immagine di Dio e ha aperto la porta
all'incredulità. Abbiamo bisogno di uomini il cui intelletto sia illuminato
dalla luce di Dio e a cui il loro intelletto possa parlare all'intelletto degli
altri e il loro cuore possa aprire il cuore degli altri."
Sono parole del
Cardinale Ratzinger, pronunciate a Subiaco il primo Aprile 2005, pochi giorni
prima di essere eletto Papa Benedetto XVI; parole che non hanno tanto bisogno
di essere commentate quanto di essere accolte con fiducia e speranza.
Nella storia
millenaria della Chiesa non sono mancati esempi luminosi di santi che hanno
saputo illuminare con la loro chiara testimonianza di fede la ricerca della
verità di tante persone, approdata poi alla conversione e adesione a Cristo.
Due esempi
straordinari ci offre questa terra di Germania che ospita la XX GMG: S. Alberto
Magno, le cui spoglie riposano a Colonia, e Santa Teresa Benedetta della Croce,
morta nei campi di concentramento di Auschiwitz-Birkenau ai primi di agosto
1942.
Con lo stesso
atteggiamento interiore dei Magi, hanno appassionatamente cercato la verità ed
illuminato con il loro esempio la vita di tanti credenti.
S. Alberto Magno
(1100? – 1280): teologo, mistico e filosofo tra i più grandi nella storia della
Chiesa.. Maestro di san Tommaso, scrisse anche opere di fisica e matematica, di
botanica e zoologia, di chimica e mineralogia, di geologia e meteorologia, di
astronomia e medicina, di agricoltura e arte nautica.
Ma se Alberto si
mostrò un grande studioso di scienze naturali, egli fu innanzitutto un insigne
maestro di teologia, alla quale si avvicinò ricco di un'ottima preparazione
filosofica, cosa che gli permise di introdurre definitivamente e compiutamente
il metodo razionale nello studio della verità, aprendo il cammino che porterà
alla straordinaria sintesi di san Tommaso e comprendendo appieno che filosofia
e teologia non dovevano essere confuse, ma rimanere autonome.
Ma qualsiasi
ritratto della figura di questo protagonista della più genuina cultura
cattolica risulterebbe parziale, se non ne ricordassimo la straordinaria
spiritualità e l'alta levatura mistica.
Attento e acuto
conoscitore e commentatore della Sacra Scrittura, Alberto Magno è giustamente
considerato il padre della mistica medievale tedesca. Valga come esempio questa
sua preghiera che ci mostra come fede e ragione possono veramente "farci
volare" ed avvicinare sempre di più alla fonte della verità che è Gesù
Cristo:
"Signore
Gesù Cristo, che sei venuto in questo mondo per salvare i peccatori, congiungi
la mia anima a te, unico vero sposo e bene insostituibile.
Fa che essa per
tuo amore trascuri i sette mariti, cioè le sette arti liberali, e non si
dedichi più alle scienze che si acquistano con lo studio. Viva invece con fede,
speranza e carità secondo l'insegnamento della Sacra Scrittura e nell'annuncio
della tua Parola, svolga il suo ministero durante questo pellegrinaggio terreno
e possa aderire a Te con piena conoscenza e amore. E quando finalmente la
carità sarà perfetta per la conformità al fine, l'elevatezza delle virtù e
l'osservanza dei tuoi precetti, essa invaderà tutta l'anima e la trasformerà in
modo che non potrà amare niente altro all'infuori di Te, e giungerà a vedere le
cose non più nella loro immagine, ma in Te, che sei somma verità. Allora le
forze dell'intelletto le permetteranno di riconoscere perfettamente Te, Dio e
Uomo, invisibile ma visibile nel prossimo".
L'altro esempio è quello di Santa Teresa Benedetta della Croce (1891 – 1942),
al secolo Edith Stein. Undicesima figlia di una coppia di ebrei molto
religiosa, fin dall'infanzia manifesta un'intelligenza vivace e brillante, che
presto l'inclina a una visione razionalistica da cui deriverà il distacco dalla
religione, proprio come succede nella vita di tanti giovani.
Vera amante
della sapienza, accetta la fatica del pellegrinaggio esistenziale che,
attraverso tante vicende che la Provvidenza sa usare – come, per esempio, la
lettura degli Esercizi Spirituali di S. Ignazio di Loyola che fa, come ella
stessa racconta, quando ancora era atea – la porta prima alla conversione e poi
alla decisione di entrare nell'ordine carmelitano.
E' veramente interessante
leggere la storia di questo travaglio spirituale che porta Teresa Benedetta ad
abbracciare non solo la fede ma addirittura uno stile di vita non sempre
compreso, come quello della vita di clausura.
Quando il 14
ottobre 1933 entra nel Carmelo di Koln-Linderthal, dopo aver interrotto la sua
attività di conferenziera su temi filosofici e pedagogici e, in modo
particolare, sulla questione femminile, impegnandosi per la promozione umana,
sociale e religiosa della donna, scrive:
"Mi rivolsi
al Redentore — si legge nella biografia scritta da Teresia Renata de Spiritu
Sancto — e gli dissi che sapevo bene che era la sua croce che veniva posta in
quel momento sulle spalle del popolo ebraico; la maggior parte di esso non lo
comprendeva, ma quelli che avevano la grazia d'intenderlo, avrebbero dovuto
accettarla con pienezza di volontà a nome di tutti. Mi sentivo pronta e
domandavo soltanto al Signore che mi facesse vedere come dovevo farlo.
Terminata l'Ora Santa ebbi l'intima certezza di essere stata esaudita, sebbene
non sapessi ancora in cosa consistesse quella croce che mi veniva
imposta".
Ancor prima
dello scoppio della seconda guerra mondiale (1939-1945), suor Teresa Benedetta
della Croce giudica senza esitazioni gli avvenimenti, e interviene in essi,
seguendo la logica di Dio, quella della croce.
In una lettera a
madre Giovanna van Weersth, del Carmelo di Beek, in Olanda, scrive:
"[...]
prima è venuto dall'oriente il Bolscevismo, con la lotta contro Dio, poi il
Nazionalsocialismo, con la lotta contro la Chiesa. Ma né l'uno né l'altro
vincerà. Vincerà alla fine Cristo".
Alla sua priora,
nel marzo del 1939, chiede di poter offrire la propria vita per la pace:
"Cara
madre, [...] mi permetta di offrirmi [...] in sacrificio di espiazione per la
vera pace: perché il regno dell'anticristo sprofondi, se possibile senza un
nuovo conflitto mondiale, e che un nuovo ordine s'impianti".
I magi, di
fronte alla scomparsa della stella che li sta guidando alla ricerca del re dei
Giudei, non si arrendono. Interrogano, studiano, cercano. Alla fine la loro
caparbietà viene premiata con la scoperta del Bambino Gesù, l'oggetto della
loro lunga ricerca.
Tutti sappiamo che le GMG sono esperienze indimenticabili nella vita dei
giovani che vi partecipano, nonostante qualche piccolo inconveniente dovuto
all'alloggio, alle condizioni climatiche, al trasporto.
Sono momenti
forti di esperienza di fede che, se vissuti con sincerità ed impegno, possono
veramente segnare una svolta nella loro vita. E' quello che ci auguriamo dalla
partecipazione di tantissimi giovani a questa XX celebrazione della GMG a
Colonia.
Che ritornando
alle nostre case ed attività, non cessiamo mai di cercare la presenza del
Signore nella nostra vita, come i sapienti Magi, venuti dall'Oriente.
La ricerca
continua di Cristo, via verità e vita, ci permetterà di essere artefici di una
nuova civiltà dell'amore e testimoni di speranza per il mondo intero.
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