L'esigenza di
una conversione profonda
Domenico
Calcagno, vescovo di Savona-Noli
L'insieme dei
tre titoli delle Catechesi viene dettato dalla dinamica del racconto di Mt
2,1-12, individuata nei tre momenti: chiamata dei Magi attraverso i loro modi
di ricerca della verità; il riconoscimento del "re grande" e
l'adorazione "in casa"; il ritorno al paese di origine con il compito
della testimonianza. L'adorazione e il riconoscimento attraverso i doni
simbolici sono il punto centrale del brano. La scelta di questo
"racconto" non è estranea alla presenza delle reliquie dei Re Magi
nella Cattedrale di Colonia; la sua interpretazione eucaristica è soltanto
derivata dalla originale valenza cristologica e messianica.
Questa terza
catechesi è intitolata: Vivere nel mondo come veri adoratori di Dio, partendo
dall'affermazione di Matteo: "Per un'altra strada fecero ritorno al loro
paese" (Mt 2,12)
Da un punto di
vista esegetico gli elementi che dobbiamo tenere presenti sono:
- l'entrata nella "casa" (la "casa" in Matteo spesso
significa "chiesa", dove Gesù può manifestarsi in tutta la sua natura
a coloro che lo accettano nella fede);
- l'incontro con il Bambino in braccio alla Madre;
- la proskinesis o adorazione perché si riconosce la presenza del
"re dei Giudei che è nato" o si intuisce la natura
dell'Emanuele";
- l'offerta dei doni che significano la fede.
- il ritorno a casa per un'altra strada.
1. Eucaristia culmine e fonte della vita della Chiesa
Certamente già avete riflettuto nella precedente catechesi sul mistero
dell'Eucaristia, culmine e fonte della vita della Chiesa.
Cerchiamo, in questa terza catechesi, di considerare la collocazione di questo
grande mistero all'interno della vita della Chiesa e della nostra vita. Meglio
dovremmo dire che dobbiamo collocare la nostra vita e la vita della Chiesa
all'interno del grande mistero dell'amore di Dio, l'Eucaristia.
Guardando al grande mistero, bisogna tenere presente che c'è un "prima"
della celebrazione, come per i Magi c'è stato un prima dell'incontro adorante
con Gesù.
Bisogna saper portare all'altare la realtà che forma la nostra vita;
anche il riconoscimento dei propri peccati o di quanto manchi ancora alla
realizzazione del disegno di Dio è punto sufficiente di partenza;
c'è un "durante" la celebrazione eucaristica:
- il rinnovamento dell'alleanza nel sangue del Signore;
- l'aspetto di sacrificio dell'Agnello "che toglie il peccato del
mondo";
- l'aspetto di "testamento" del Signore, nella consegna del
comando "nuovo"
Tutte le componenti teologiche ci possono far comprendere la realtà
dell'esperienza del cristiano nel "mistero della fede"; soprattutto
il lasciarci elevare dall'azione santificatrice e riunificatrice dello Spirito,
per formare il Corpo del Signore: la sua Chiesa;
c'è un "dopo" la celebrazione: ci sono aspetti della celebrazione
eucaristica che puntano soprattutto sul dopo, come la consegna della
responsabilità della Chiesa per il mondo: Cristo morente lascia la Chiesa come
sua sposa perché possa generare figli allo Sposo di sangue attraverso la Parola
seminata, la celebrazione dei sacramenti e la testimonianza della vita.La
presenza reale di Cristo anche dopo la celebrazione, fa memoria di questo
compito della Chiesa tutta.
Per il cristiano, quindi, l'Eucaristia deve essere esperienza di Chiesa, per
potervi incontrare Cristo:
- le singole persone devono inserirsi, con la loro fisionomia,
nell'organismo vivo della Chiesa, per vivere come carisma ecclesiale l'insieme
dei doni che esse hanno;
- l'esperienza viva del momento sacramentale si deve quindi proiettare
nel momento della testimonianza e del compito nei riguardi dell'umanità intera,
alla maniera dei Profeti che riconoscono l'azione di Dio, la preparano e
l'accompagnano.
L'oggetto della loro conoscenza e della loro predicazione non è il
"futuro", ma il progressivo inserirsi di Dio nella storia
dell'umanità.
Al tempo del NT l'inserimento di Dio è la sua presenza personale, che i profeti
del NT devono saper discernere, illuminare e proclamare. L'esserci di Dio, è
appunto l'Emmanuele, soprattutto nel momento della Resurrezione del Figlio
dell'uomo, e nel suo rimanere con noi.
2. La presenza di Cristo nella storia dell'umanità
Parallelamente alla serie di testi che parlano della presenza di Dio in
Cristo, di Cristo nella Chiesa che prega, del Risorto nella missione è
significativo considerare l'inserimento di Cristo nell'umanità nella visione
del vangelo di Matteo:
- Mt 5,1-16: Troviamo la proclamazione delle Beatitudini: all'inizio del
suo apostolato Cristo indica le categorie di persone che possono comprenderlo:
visivamente possiamo descrivere Gesù che si pone davanti a coloro che possono
avere una esperienza forte del Regno; chiama a sé i suoi discepoli perché
possano avere sollievo e forza: "Venite a me voi tutti che siete
affaticati .."( Mt 11,25-30.
L'immagine del giogo ci indica Gesù che si abbassa fino ad offrirsi come
compagno di lavoro per portare insieme il peso della fatica e dell'oppressione,
e si identifica con i poveri. (Mt 25,31-46)
Anche il miracolo della moltiplicazione del pane e la ricerca di Gesù da parte
dei presenti, ci porta a considerare l'adorazione come riconoscimento di una
presenza, della presenza di Cristo.
E Luca, nel suo Vangelo e negli Atti degli Apostoli, ci presenta una serie di
impegni vissuti dalla prima comunità cristiana, dai quali non possiamo
esimerci:
- Condividere il pane eucaristico:
- Cristo lo si riconosce allo spezzare il pane
- Chiesa apostolica fedele alla didaché degli apostoli, alla koinonia,
alla frazione del pane, alle preghiere.
Il fedele che riceve e incontra Cristo nell'Eucaristia e ascolta la Parola:
accoglie, comprende, custodisce, ringrazia, adora, fa fruttificare.
3. Il sacrificio di Cristo ed il 'sacrificio spirituale' della Chiesa
nell'Eucaristia
I Magi, compiuta la loro ricerca e trovato il Messia, sono ritornati al loro
paese. Avevano adorato il bambino e non si erano fermati, perché dovevano
ritornare alle loro case. Così è e sarà per noi: torneremo al nostro paese,
alla vita di ogni giorno, con la ricchezza del dono che viene da Cristo.
Faremo tesoro del comando che Gesù ha dato ai suoi discepoli: "Fate questo
in memoria di me, ogni volta infatti che mangiate di questo pane e bevete di
questo calice, voi annunziate la morte del Signore, finché egli venga" (1
cor 11,25-26).
Partendo da quel comando la Chiesa ha sempre inteso rinnovare il sacrificio di
Cristo celebrando l'Eucaristia e ha riconosciuto che il pane e il vino
consacrati, diventano il Corpo e il Sangue del Signore risorto, pur conservando
le apparenze di pane e di vino: sapremo anche noi riconoscere e adorare il
Signore Gesù nell'Eucaristia.
Come possiamo meglio esplicitare l'atteggiamento che ci è richiesto di fronte
all'Eucaristia?
Ancora oggi, le preghiere eucaristiche che utilizziamo indicano chiaramente che
anche noi abbiamo l'intenzione di collocarci nella prospettiva che aveva
caratterizzato Gesù quando si era proposto come liberatore-redentore e
fondamento della nuova alleanza:
• la lode di ringraziamento al Padre per tutti i benefici che ha donato, per le
meraviglie del suo amore, perché ha tanto amato gli uomini da mandare il suo
figlio come redentore e
• l'attenzione posta affinché i discepoli comprendessero che il mistero della
sua passione e morte non era 'per caso', ma era il compimento della volontà del
Padre, in un gesto di donazione piena per i suoi fratelli.
Gesù dunque ha ordinato ai suoi discepoli di prendere e di mangiare quel pane,
di prendere e di bere quel vino, dicendo che ogni volta che avrebbero compiuto
quel mistero, lo avrebbero compiuto in memoria di Lui, in attesa della sua
ultima venuta.
Mi chiedo con voi: che cosa voleva far comprendere Gesù ai suoi discepoli con
quelle parole?
Fate questo in memoria di me indica certamente il rito celebrativo riferito al
mistero della sua morte e resurrezione.
Ma il 'questo' cui Gesù si riferisce non è soltanto il rito: è anche e più
profondamente tutto il mistero di grazia e di redenzione che era espresso nei
gesti e nelle parole del rito.
Davanti al Padre Cristo una volta per tutte ha annullato il peccato con il
sacrificio di se stesso e di conseguenza Cristo non ha bisogno di offrire
sacrifici ogni giorno. Perché dunque Gesù chiede di rinnovare in sua memoria
quel rito sacramentale, finché Egli venga?
E' certamente riduttivo pensare solo al rito: occorre andare oltre e
comprendere ciò che nel rito è espresso, perché è quello che Gesù intende che i
suoi discepoli compiano, rinnovando il rito e prolungandone gli effetti nella
vita.
Torniamo allora a Gesù: che ha fatto nell'ultima cena?
-Cristo ha pregato con la preghiera di lode-ringraziamento rivolta al Padre
-Ha presentato al Padre, in obbedienza e fedeltà l'offerta di se stesso e ha
fatto della sua vita un 'sacrificio spirituale', fatto secondo lo Spirito di
Dio.
-Affinché gli Apostoli comprendessero il senso sacrificale della sua imminente
passione e morte, ha trasferito nei segni sacramentali del pane e del vino il
riferimento al suo corpo sacrificato e al suo sangue versato per l'alleanza:
questo è il mio corpo, questo è il calice della nuova alleanza nel mio sangue.
-Ha dato ai suoi Apostoli da mangiare il suo corpo e da bere il suo sangue per
indicare il mistero di immedesimazione-identificazione con il suo sacrificio
(che culminava negli eventi pasquali, ma era espresso in tutti i momenti della
sua vita), comandando, infine, che tutto questo d'ora in poi lo facessero in
memoria di Lui.
Comprendiamo allora, amici, che Gesù ha indicato non solo un rito, ma ha
indicato anche il modo in cui i suoi discepoli avrebbero dovuto celebrare quel
rito, rendendosi parte viva del significato e del contenuto del gesto rituale
con una preghiera di lode-ringraziamento al Padre per tutto quello che il Padre
ha fatto per mezzo del Figlio suo nello Spirito Santo e con un impegno
conseguente a fare essi, per Cristo e nello Spirito Santo, la volontà del Padre
ogni giorno della vita.
Anche per i discepoli, per la Chiesa, per noi che siamo qui, l'incontro con
Cristo nell'Eucaristia deve diventare un sacrificio spirituale, reso possibile
dallo Spirito (pregate fratelli perché il mio e vostro sacrificio sia gradito a
Dio Padre onnipotente..)
Il pane ed il vino portati all'altare per l'offerta, esprimono simbolicamente
la volontà del celebrante e di tutta la comunità di essere sacrificio
spirituale gradito al Padre ed il Padre vede in essi il medesimo valore che
avevano la sera dell'ultima cena: coinvolgono la Chiesa nell'offerta che Cristo
ha fatto di sé al Padre, per una vita di amore e di oblazione.
E' Cristo stesso che prende in mano il pane ed il vino offerti dai discepoli e
dà a quell'offerta la stessa consistenza del suo sacrificio spirituale offerto
una volta per sempre. Egli riconosce in quell'offerta, sebbene povera e debole,
la volontà di obbedienza e di fedeltà alla parola del Padre che aveva lui e
unendo a sé la sua comunità può ancora dire, su quel pane e su quel vino
'Questo è il mio corpo…questo è il calice del mio sangue..'
E' evidente che è sul pane e sul vino offerti sull'altare, nei quali il
sacrificio di Cristo si unisce al sacrificio della sua Chiesa, che sono
indirizzati il gesto e le parole di consacrazione, ma lo Spirito Santo invocato
nella celebrazione liturgica, agisce anche sulla Chiesa, il cui 'sacrificio
spirituale' viene integrato nel sacrificio di Cristo, 'per compiere quello che
manca alla Passione di Lui.' (Col 1,24)
'Fate questo in memoria di me' assume allora le dimensioni del vissuto
quotidiano in una configurazione a Cristo di tutta la Chiesa, per essere veri
adoratori di Dio, secondo la richiesta di Gesù. E infatti le parole usuali che
pronunciamo dopo la consacrazione ci ricordano bene questo legame inscindibile:
annunciamo la tua morte, proclamiamo la tua risurrezione, nell'attesa della tua
venuta.
Anche il fare la comunione, allora, e la adorazione eucaristica durante la
giornata, non esprimono semplicemente un atto di devozione, ma dicono dal
profondo del cuore l'accettazione-immedesimazione nel sacrificio di Cristo che
è pane di vita eterna: finalmente comprendiamo il significato di quel pane che
ci dà vigore e ci rende sempre più capaci di fare della volontà del Padre il
nostro cibo.
Ci ricorda Sant'Agostino che "nella sua umanità Cristo è sacerdote, anzi è
nello stesso tempo offerente e offerta. E di questa sua realtà egli ha voluto
che ne fosse sacramento quotidiano il sacrificio della Chiesa; in esso infatti
la Chiesa, essendo corpo di Cristo, impara ad offrire se stessa per mezzo di
lui". (De Civ. Dei 10,20)
Riflessioni
finali
I
sacramenti sono per noi uomini, perché possiamo incontrare Cristo e, aderendo a
Lui, possiamo essere compartecipi della sua stessa vita come Figli e amici di
Dio.
Questa affermazione vale in modo particolare per l'eucaristia: nella
celebrazione Eucaristica, infatti, il mistero di grazia e di bontà che fluisce
per opera dello Spirito Santo, ci configura a Cristo Gesù, ci rende parte viva
del popolo di Dio, popolo della nuova Alleanza, capaci di offrire il nostro
sacrificio povero e debole, ma che, unito al sacrificio di Cristo trasforma
anche noi interiormente a sua immagine, come veri adoratori del Padre.
La vera adorazione sgorga dal cuore rinnovato e impregna tutta la vita: è il
frutto dell'incontro personale con Cristo che produce in noi una vera conversione
e si esprime nel concreto delle nostre scelte quotidiane.
Il Vangelo precisa che, dopo avere incontrato Gesù, i Magi tornarono al loro
paese per un'altra strada.
Certamente avevano scelto di non tornare da Erode, ma quella scelta di 'tornare
per un'altra strada' indica anche a noi l'esigenza di una conversione profonda,
per diventare veri adoratori del Padre, come Gesù desidera.
Questo è reso possibile dal dono dello Spirito che Cristo fa ai suoi discepoli,
a coloro che ascoltano la sua Parola e vogliono seguirlo per le strade della
vita.
Non per nulla, come già ho ricordato, la preghiera eucaristica presenta due
invocazioni dello Spirito Santo: una prima, chiede che Egli trasformi le
offerte nel corpo e nel sangue del Signore; l'altra, chiede che egli produca in
noi il frutto di quella presenza, mediante l'amore che ci riunisce in un solo
corpo.
Grazie al dono dello Spirito, appare l'intima comunione di Cristo e della sua
Chiesa che si fanno reciproco dono.
C'è nell'Eucaristia un ricorrente rapporto tra corpo sacramentale e corpo
ecclesiale, come due forme diverse dell'unico corpo di Cristo, nato da Maria
Vergine ed ora glorioso alla destra del Padre"(ECC 17). Anche l'adorazopne
eucaristica deve richiamare questa realtà.
Il Concilio Vaticano II, parlando della Chiesa, la collega direttamente al
mistero della redenzione operato da Cristo. Questo vale non solo per il sorgere
della Chiesa, popolo della nuova alleanza, corpo mistico di Cristo, ma vale in
riferimento alla vita continua di grazia e di configurazione a Cristo: 'Ogni
volta che il sacrificio della croce, col quale Cristo, nostro agnello pasquale,
è stato immolato, viene celebrato sull'altare, si rinnova l'opera della nostra
redenzione'(LG 3).
La Eucaristia è veramente il cuore della Chiesa, è il culmine e la fonte di
tutta la vita cristiana: dal mistero celebrato e partecipato sgorgano gli
effetti di grazia nelle singole persone e nella Chiesa intera.
4. Eucaristia e Chiesa
La configurazione a Cristo, l'appartenenza a Lui, come suo corpo dilatato nel
tempo e nello spazio, ci fa comprendere a quale profondità scende l'effetto
dell'incontro con il Salvatore. Il dono del suo Spirito rende la nostra debole
umanità e l'umanità della Chiesa capace di cose grandi, perché ci ristabilisce
nella amicizia filiale di un popolo liberato dal male e trasferito nel Regno
del Figlio. Noi siamo a Lui uniti, apparteniamo a Lui, chiamati ad osservare i
suoi precetti di carità, di umiltà, di servizio.
'Partecipando realmente del corpo del Signore nella frazione del pane
eucaristico, siamo elevati alla comunione con lui e tra di noi: "poiché
c'è un solo pane, noi tutti non formiamo che un solo corpo, partecipando noi
tutti di uno stesso pane"(1Cor 10,17). Così noi tutti diventiamo membri di
quel corpo "e siamo membri gli uni degli altri"(Rom 12,5).
Siamo configurati a Cristo nel particolare atteggiamento che lo caratterizza
nella celebrazione della Pasqua: è Gesù che si dona al Padre per i suoi
fratelli, per radunare tutte le genti nell'unità del Padre, del Figlio e dello
Spirito Santo. L'atteggiamento che l'Eucaristia richiede alla Chiesa intera, è
un atteggiamento di adorazione-lode-riconoscenza verso il Padre e di donazione
per essere carità condivisa con tutti, come è stato Cristo che ci offre il suo
corpo dato a morte ed il suo sangue sparso in remissione dei peccati e per una
alleanza nuova.
La comunità di Gerusalemme, descritta nei primi capitoli degli atti degli
Apostoli e più sopra richiamata, ci ricorda che il fondamento della comunione
ecclesiale sta nello spezzare il pane e nella condivisione dei beni
Per edificare la Chiesa (pag. 23 ECC n. 26)
1. Educati alla testimonianza: nella Chiesa sono visibili le grandi opere di
Dio
2. Educati alla missione: inviati al mondo intero. Anche se Gesù non avesse dato
il mandato missionario, la assunzione del suo atteggiamento avrebbe condotto
alla stessa conclusione: Gesù è il Cristo, noi non possiamo tacere.
"Quello che abbiamo visto e contemplato con i nostri occhi, toccato con le
nostre mani, mangiato con la nostra bocca, non solo dobbiamo annunziarlo ma
viverlo, rendendo 'Eucaristia' tutti i nostri rapporti col mondo, fino alla
testimonianza del martirio al quale Cristo ci chiama per essergli
somiglianti"(Cat. Adulti pag. 244).
Se così è, anche
per noi vale l'esclamazione: senza Eucaristia non possiamo vivere! Non è una
esclamazione sentimentale; è un forte riconoscimento delle grandi opere
compiute dal Signore per cui senza l'incontro con il Signore, la nostra vita è
vuota e rischia di restare senza senso.
E' Cristo, infatti, la fonte viva, è lui il centro, il cuore della nostra
esistenza: di ognuno di noi e di tutta la Chiesa. Nel mistero della cena
riviviamo il nostro coinvolgimento personale ed ecclesiale in pienezza, in
attesa della liturgia del cielo.
5. Adorare è "servire" questa presenza
Come i profeti: non con una predicazione da "ambasciator non porta
pena", ma con tutto il personale coinvolgimento nel messaggio che si
porta, perché il giudizio di Dio, la sua presenza di fuoco la dobbiamo prima di
tutto provare in noi stessi.
Si è "luce [di Cristo] per il mondo" e "sale che da' sapore alla
pasta" con la proclamazione personale delle beatitudini "in
situazione" e immergendosi nelle realtà umane con questa coscienza,
sapendo in particolare riconoscere e adorare il Signore Gesù nel Sacramento
dell'Eucaristia lungo tutto il trascorrere dei giorni;
Mangiando il pane eucaristico e incontrando il Signore Gesù nel Sacramento
dell'Eucaristia, dobbiamo imparare a con-dividere i beni della terra come
condividiamo il pane eucaristico:
- Cristo lo si riconosce allo spezzare il pane come i discepoli di
Emmaus,
- ka Chiesa apostolica era fedele alla didaché degli apostoli, alla
koinonia, alla frazione del pane, alle preghiere.
Così la Chiesa eucaristica deve diventare un richiamo vivo alla società per una
sempre maggior giustizia sociale, per una equa distribuzione dei beni, per un
servizio reale dei poveri. L'adorazione della presenza di Cristo deve portare a
riconoscerlo particolarmente nei poveri e nei sofferenti, per una azione sempre
più decisa per la costruzione del Regno di Dio: come in cielo così in terra (Mt
6,10).
6. Come Maria
Come Maria, anello debole della catena dell'autosufficienza dell'uomo sempre
aperta al trascendente e capace di farlo incarnare in se stessa: ascolta la
Parola di Gesù, l'accoglie, la comprende, la fa fruttificare, la custodisce.
In Maria la partecipazione alla vicenda di Cristo è piena e pienamente
condivisa: in Lei grandi cose ha fatto l'Onnipotente, da Lei è nato, per avere
accolto l'annuncio dell'Angelo, il Redentore. Da Lei, che conservava la Parola
di Dio nel suo cuore, e si è lasciata modellare dallo Spirito Santo, impariamo
a vivere in atteggiamento di ascolto, di fede, di adorazione e di com-passione
con Cristo nostro Signore in attesa dell'incontro definitivo in Cielo, finché
Egli venga
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