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Autori vari
Catechesi proposta dai vescovi ai giovani italiani riuniti a Colonia

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  • Vivere nel mondo come veri adoratori di Dio (19 agosto 2005)
    • La ragione della speranza
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La ragione della speranza

Dionigi Tettamanzi, arcivescovo di Milano

 

Carissimi giovani,
ho letto su alcune magliette queste parole: "Non sei Dio: rilassati!". Mi hanno fatto riflettere e le ho subito messe in relazione con il tema della GMG 2005 "Siamo venuti per adorarlo". In realtà, colui che adora il Dio vivente sa esercitare una buona dose di autoironia e, mentre è in cammino verso il regno di Dio, porta con sé radicata la convinzione che Tommaso Moro ha espresso prima che la sua condanna a morte fosse eseguita: "God, not man is the King!". "Dio, non l'uomo è il Re!".
La custodia profonda di questa dimensione è del tutto essenziale e decisiva per il vero adoratore del XXI secolo e di ogni tempo. Infatti, se manca questo senso radicale della trascendenza di Dio, il discorso religioso si riduce  - nella migliore delle ipotesi  - all'impegno per alcuni valori importanti, oppure ad una forma sociologica degna di attenzione. Sì, tutto qui! Troppo poco.
Proviamo allora a disegnare alcuni lineamenti di uomini e donne che vogliono vivere nel mondo come veri adoratori del Dio vivente. Lo facciamo con l'aiuto di un semplice acrostico, che ci richiama la realtà viva e concreta dell'adorazione. Certo, non abbiamo la pretesa di essere esaurienti. Ci basta solo fissare nella nostra memoria e nel nostro cuore alcuni paletti fondamentali, attorno ai quali sviluppare la nostra personale riflessione.

 

A come ABITARE
Si tratta di abitare la terra, secondo la celebre espressione del salmista: "Confida nel Signore e fa' il bene;
abita la terra e vivi con fede.
Cerca la gioia nel Signore,
esaudirà i desideri del tuo cuore" (Salmo 37,3-4)
Abitare la terra con fede, sporcandosi le mani, non sottraendosi alle sfide, che vanno dal contesto locale in cui viviamo a quelle – inestricabilmente connesse  - della società e del mondo globalizzato, cui pure apparteniamo.
Abitare la terra con un impegno di servizio concreto, con un progetto che a mano a mano si precisa. Mi chiedo: ci può essere oggi un giovane cristiano che nel nostro mondo – all'interno cioè della comunità cristiana e/o nella società – non abbia un impegno di dedizione serio e fedele? Uno può occuparsi solo della sua formazione e/o del suo lavoro (a meno di essere particolarmente pressato da impegni e problemi molto seri)?
Ma il salmo ci ricorda anche che la terra va abitata nella gioia che viene dal Signore, confidando in Lui, senza sentirsi "il salvatore del mondo", ma d'altra parte senza neppure sottrarsi alle sfide che ci circondano.
Penso che ci siano veramente tanti giovani che sono oziosi perché nessuno li ha ancora chiamati, ma anche giovani oziosi perché non hanno voluto rispondere ad un invito. Penso anche a chi è così preoccupato di se stesso, delle proprie sensazioni, del proprio futuro, delle emozioni che vuole vivere in presa diretta, da avere indurito il cuore così da non sentire più l'appello di Dio e di chi li circonda. Preghiamo, allora, perché lo straordinario potenziale di bene e di entusiasmo che c'è in ciascuno di noi, e in voi giovani in particolare, possa essere liberato, sciolto e possa finalmente manifestarsi!
Carissimi giovani, abitiamola fino in fondo questa terra. Scuotiamoci da ogni forma di torpore che ci frena e ci impedisce di esprimerci veramente. Questo mondo ha disperatamente bisogno di noi, ma anche noi abbiamo un'estrema necessità di sapere che qualcuno ha bisogno di noi.
D'altra parte a nessuno di noi è chiesto di aiutare il "prossimo". Infatti, il prossimo non esiste! Gesù nella bellissima parabola del buon samaritano (cfr. Luca 10, 29-37) parla di "farsi prossimo", di diventare il prossimo di tutti coloro che lungo la strada, magari silenziosamente ma realmente, gridano a noi perché percossi, feriti e lasciati mezzi morti. Il prossimo sono io, nella forma dinamica del diventare prossimo dei miei fratelli. Ci può essere altro modo per abitare la terra?


D come DAVANTI
Davanti a che cosa? Davanti a chi? Davanti al Mistero di Dio Trinità santissima, manifestato nella croce e nella risurrezione di Gesù. Davanti al Dio di Gesù, a quel Padre che Gesù tante volte ha cercato nelle notti solitarie passate in preghiera. Nel silenzio, in quel profondo silenzio che solo può custodire le relazioni della vita quotidiana alla luce del vangelo di Gesù.
La sfida della preghiera è la sfida di chi accetta di sporgersi verso l'infinito di Dio che abita in ciascuno di noi e nella storia, vincendo la tentazione di ridurre questo "momento" ad un'"opera da compiere" quando abbiamo terminato tutte le "cose da fare" della giornata.
Davanti, dunque, al fondamento stesso per vivere con lo Spirito di Gesù. Non però così: a caso o solo secondo le circostanze. Ma cercando un metodo, magari anche più di un modo. Personale e comunitario. Chiediamoci, allora: come prego? con quali strumenti? con che tempi? cosa provo? chi mi accompagna in questo cammino?
Tutto questo ci porta davanti alla verità della nostra coscienza, smascherando in modo spietato le illusioni che la vita ci propone. Come ad esempio dice l'antico scrittore biblico, il Siracide:
"Non dire: «Ho peccato, e che cosa mi è successo?»,
perché il Signore è paziente.
Non esser troppo sicuro del perdono tanto da aggiungere peccato a peccato.
Non dire: «La sua misericordia è grande;
mi perdonerà i molti peccati»,
perché presso di lui ci sono misericordia e ira,
il suo sdegno si riverserà sui peccatori.
Non aspettare a convertirti al Signore
e non rimandare di giorno in giorno…" (Siracide 5, 4-7).
Si tratta allora di smascherare il principale ostacolo alla vera adorazione che è ogni forma di idolatria. Nessuna tendenza culturale e nessuna moda di pensiero o di comportamento  - ha scritto Giovanni Paolo II in una sua enciclica  - può "cancellare la specificità della nostra fede, secondo la quale il Cristo è il «solo mediatore tra Dio e gli uomini» (1 Tim 2, 5) e l'unico Salvatore degli uomini" (Veritatis splendor, n. 31).
Idolatria è tutto ciò che si sostituisce indebitamente a Dio, e le forme dell'idolatria sono una tentazione costante per l'uomo. Perciò chi vuole veramente seguire Cristo non può lasciarsi influenzare da qualsiasi forma di religione, da forme spiritistiche o esoteriche; non può affidarsi all'occultismo o alla magia. Chi vuole veramente seguire Gesù deve riordinare le sue priorità e le sue convinzioni per sottomettere tutta la sua vita alla gloriosa signoria di Cristo, oggetto inconfondibile della nostra adorazione.
La vera adorazione implica tutta l'esistenza e smaschera il dominio di tanti falsi ideali che la nostra società e cultura pesantemente ci impongono, pseudoideali che tendono a cancellare i veri valori umani e cristiani, arrivando perfino a penalizzarli o, comunque, a ridicolizzarli. La vera adorazione diviene, invece, una forza che ci aiuta a reagire alle nuove forme di paganesimo, che producono solo miseria e confusione in un mondo che rimane ed è assetato di Dio.


O come ORIGINALITA'
La fede e la gioia che viviamo insieme in queste giornate ci riportano a riflettere sulla nostra vita di ogni giorno. E così, dopo aver portato a Gesù i nostri doni, tutto quello che siamo e tutto quello che abbiamo, dopo essere entrati nel mistero dell'adorazione del Signore, vorremmo prepararci a ritornare al nostro paese e alle nostre case, al nostro lavoro e alle nostre amicizie per un'altra strada, una strada nuova, la quale apra in noi la conversione del cuore e della vita; e così potremo vivere nel mondo la vera adorazione "nello spirito e nella verità", come chiedeva Gesù alla donna di Samaria e come chiede a ogni suo discepolo (cfr Giovanni 4, 23-24).
Proprio questo è l'appello del papa Giovanni Paolo II nel suo "Messaggio" per la XX GMG: "Il Vangelo precisa che, dopo aver incontrato Cristo, i Magi tornarono al loro paese per un'altra strada. Questo cambiamento di rotta può simboleggiare la conversione a cui coloro che incontrano Gesù sono chiamati, per diventare i veri adoratori che Egli desidera (cfr Gv 4, 23-24)" ( n. 6).
In altre parole questa strada nuova prende il nome di "originalità", di conversione fonte di creatività. La quale non è però una fuga in avanti, ma è piuttosto essere come "lo scriba divenuto discepolo del regno dei cieli [che] è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche» (Matteo 13, 52).
Per la verità, un giovane sente certamente in modo forte il bisogno che la sua vita non sia banale, ma stia sotto il segno della novità e della significatività. Perché questo avvenga è necessario combinare tradizione e originalità, la memoria di quanto ci è stato consegnato da chi ci ha preceduto nella fede e, insieme, il compito attuale di rispondere alle sfide sempre nuove che il nostro tempo ci presenta. Dunque né archeologia né l'illusione che il mondo cominci con noi. Né la pseudo spiritualità dell' "abbiamo sempre fatto così"  - frase magari riferita alle esperienze degli ultimi tre-cinque-dieci anni – né l'avventura verso il futuro in uno sperimentalismo che dimentica la saggezza e i semi che lo Spirito Santo ha posto nella storia degli uomini e nel cammino della Chiesa.
Così hanno fatto i Magi: è stato lo studio della saggezza, consegnata loro, a consentire ai Magi di intraprendere un viaggio inedito e di inoltrarsi poi in una nuova strada.
L'originalità cristiana non è, dunque, un salto nel vuoto, ma il dispiegarsi della libertà che ha incontrato la persona e il mistero del Signore Gesù e che non si stanca di manifestarne la contemporaneità.
Non ci può essere, quindi, vera novità al di fuori della storia delle nostre chiese, della storia delle nostre parrocchie, associazioni e movimenti: senza però che tutto questo diventi una camicia di forza, al limite un idolo che ci imprigiona e ci impedisce di camminare.


R come RENDERE RAGIONE
Riascoltiamo un interessante brano della Prima Lettera dell'apostolo san Pietro: "Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza, perché‚ nel momento stesso in cui si parla male di voi rimangano svergognati quelli che malignano sulla vostra buona condotta in Cristo. E' meglio infatti, se così vuole Dio, soffrire operando il bene che facendo il male" (1 Pietro 3, 15-17).
L'adorazione è chiamata per sua intima natura e forza a diventare testimonianza, in particolare nella forma del "rendere ragione". E' questo che i Magi hanno fatto con quelli che hanno incontrato lungo il loro viaggio. L'hanno fatto anche con il re Erode, a Gerusalemme.
L'adorazione, dunque, è punto supremo di arrivo e, nello stesso tempo, punto di ripartenza. Adorare significa essere sempre pronti a rendere ragione della speranza che è in noi. Non c'è, quindi, una separazione tra il tempo della preghiera e lo stile di vita. Uno stile di vita fatto di dolcezza e di rispetto, di "retta coscienza", ossia di grande chiarezza e determinazione sulle priorità da rispettare. Una determinazione che non è in nessun modo imparentata con forme, anche solo larvate, di fondamentalismo.
La vera adorazione non è soltanto un'atteggiamento di preghiera da coltivare, ma è una maniera di vivere, che produce in noi una autentica conversione e si traduce nel non sottrarsi al confronto, se non per ragioni gravi o gravissime. Credere richiede un'intelligenza della fede "formata e capace", non uno stile "pressapochistico" e superficiale. Neppure è possibile l'ingenuità, quella che ha spinto Gesù a sferzare i suoi discepoli come meno scaltri dei figli delle tenebre (cfr. Luca 16, 8).
 

E come EUCARISTIA
Al centro di tutto ciò sta l'Eucaristia, che veramente è "il caso serio" della fede. Non per nulla, dopo la consacrazione, si dice: "mistero della fede". Non "un" mistero, neanche "il" mistero per eccellenza. Semplicemente così: Mistero. Mistero che i Magi hanno visto con i loro occhi e toccato con le loro mani, ma del quale non si sono cibati, come noi invece possiamo fare. Eppure – per meno di quello che a noi, almeno di Domenica, è normalmente accessibile e consueto – hanno rischiato tutta la loro vita. Noi non semplicemente vediamo la carne del Dio vivente – come è stato per i Magi che accolsero il "bambino" offerto loro da Maria (cfr. Matteo 2, 11) -, ma attuiamo il comando di Gesù: "prendete e mangiate" (Matteo 26, 26). Eppure non sempre la nostra comunione esistenziale – quella attuata nella e con la vita quotidiana  - è più profonda della loro. Viene da pensare anche a quella donna che da dodici anni era affetta da emorragia e che è stata guarita e salvata solo per aver toccato il lembo del mantello di Gesù, neanche per aver toccato il suo corpo (cfr. Marco 5, 25-34). I Magi  - come questa donna  - non sono entrati in comunione profonda con il Signore come possiamo fare noi, eppure hanno scoperto il segreto dell'adorazione che cambia tutta la vita, il senso di un incontro che modifica in modo radicale l'orientamento dei nostri passi.
Torniamo ora a un aspetto al quale abbiamo riservato un accenno nella catechesi di mercoledì: se non c'è stupore, se non c'è meraviglia nel ricevere il corpo di Cristo nella sua integralità e pienezza, non ci può essere vera e propria adorazione: non solo nel particolare momento della celebrazione eucaristica, ma neppure in quello generale della vita vissuta. Come dicevamo: la certezza di ricevere, ossia di fare intimamente proprio, il modo stesso di Gesù di stare nel mondo e di starci fino all'amore crocifissoappunto, il dono totale di sé nell'amore smisurato  - non può affatto lasciarci a distanza, e privi di slancio. Diviene legge di vita, esigenza cui non ci si può sottrarre!
Cari giovanissimi, portate nelle celebrazioni eucaristiche delle vostre comunità il vostro contributo di freschezza e di creatività. Non mettetevi solo "a vedere cosa succede", qual è la proposta. Non lamentatevi senza aver provato a portare la "pietra viva" della vostra fede e di quella dei vostri amici per la "costruzione" di un "tempio" sacro che, nella gioia e nell'esultanza, glorifica il Signore. Senza sperimentalismi ingenui, ma senza timidezza.
Vi dico ora una parola che può sembrare esagerata, ma che in realtà è vera, assai vera. E' una parola che deve spingerci ad un amore più intenso all'Eucaristia e ad un impegno più grande nella sua celebrazione: "senza partecipare con frutto all'Eucaristia, non c'è Chiesa", ossia non c'è chi sceglie e di fatto vive a immagine e somiglianza di Gesù, fino a dare la vita per lui e per i fratelli. E se non c'è la Chiesa, non c'è neppure il Vangelo!


M come MISERICORDIA
Non c'è vita spirituale senza perdono! Anzi, non c'è vita! Non c'è esperienza di Dio! Non c'è neppure relazione umana, che possa essere duratura e profonda, se non sappiamo perdonarci.
Sì, senza l'esperienza di Dio che in Gesù prende su di sé le nostre colpe e inchiodandole alla croce le azzera, senza la pace del cuore che viene dal ricevere l'assoluzione sacramentale, senza la gratitudine che nasce dal sapere che il Signore ci ha dato ancora fiducia; insomma, senza l'esperienza della misericordia di Dio non c'è, in realtà, nessuna conoscenza del mistero del Dio Trino e Uno e del mistero di Gesù.
Sapere che solo Dio ci può perdonare e che nel farlo fa festa con noi e per noi, ci al tempo stesso la misura di quale sia la gravità del male che possiamo compiere. Quanto è alto il prezzo pagato da Gesù per noi? Senza l'esperienza del per-dono non ci può essere – in profondità  - la coscienza (e la ri-conoscenza) di essere figli e di potersi sempre abbandonare nelle mani tenere e sicure del Padre.
Ma dobbiamo aggiungere altro ancora. Dobbiamo, in particolare, riconoscere che la nostra esperienza umana diventa molto formale e ipocrita quando non sentiamo di dover perdonare niente a nessuno e di non dover essere perdonati da nessuno. Formale, perché nella migliore ipotesi stiamo scambiando il cristianesimo con alcune regole di comportamento che non sono diretta espressione della sequela di Gesù; ipocrita perché forse abbiamo messo da parte quelle relazioni in cui c'erano problemi, oppure orgogliosamente non siamo disposti ad ammettere le nostre mancanze, fossero anche solo di omissione.
Cosa deve spingermi all'adorazione? La paura davanti al "tremendum" di Dio, ai suoi castighi possibili se non imminenti, o non piuttosto il timore di "provocare" ancora una volta il perdono di Dio, avendo tradito la sua fiducia?
Il salmista non ha dubbi e sceglie la seconda risposta: "Ma presso di te è il perdono e avremo il tuo timore (Salmo 130, 4).


U come UNICITA'
Ciascuno di noi è realmente singolare e unico agli occhi di Dio. Non riesco mai a dimenticare una parola formidabile, folgorante che il profeta Isaia fa uscire dalla bocca di Dio: "Tu sei prezioso ai miei occhi, perché sei degno di stima e io ti amo" (Isaia 43, 4). E' quanto Dio dice a ognuno di noi, testimoniando così che ciascuno è davvero unico ai suoi occhi. Ma ciascuno di noi è singolare e unico anche agli occhi degli altri, di ogni altro essere umano. Ora questa unicità non può essere livellata da nessuna esperienza comune, da nessuna imposizione della cultura, da nessuna ideologia, da nessuna volontà personale.
Ma perché questa unicità sia tale veramente è necessario riconoscere che su ognuno di noi c'è un progetto preciso: una vocazione. Una chiamata che ci coinvolge in totalità, da capo a piedi, che tocca la forma dei nostri affetti più intimi, come pure la nostra capacità lavorativa e professionale. Una chiamata che senso alla vita e coinvolge il nostro destino presente e futuro ed eterno!
Sono tanti i giovani che non vedono così la propria vita. Si interrogano con nell'animo non pochi dubbi: ma sarà vero che Dio ha un progetto di bene su di me per il bene di tutti? ma Dio come può occuparsi di tutti? come può seguirmi in tutte le mie evoluzioni, in tutti i miei alti e bassi? il futuro non dipende fondamentalmente dalle mie libere scelte?
Sono tanti anche i giovani che vedono la vita come vocazione. Ma solo in termini generali, mentre trovano una grande, un'estrema difficoltà nel concretizzare questa vocazione. O perché sono combattuti nella forma di vita che vorrebbero scegliere: il matrimonio? o il sacerdozio? o la vita religiosa? l'impegno nelle missioni? … O perché, anche avendola scelta questa forma di vita, non è ancora avvenuto l'incontro che realizza davvero il proprio desiderio. Ad esempio: se ho capito che la mia strada è il matrimonio e poi non trovo la persona per me, cosa faccio? che metodo devo usare? se sono troppo esigente perché voglio una relazione profonda e per tutta la vita, non è che poi faccio spaventare e magari scappare chi incontro? E ancora: se intuisco che la mia strada è il sacerdozio, come faccio a essere felice nel celibato? come faccio a dedicarmi completamente al popolo di Dio senza tenere niente per me? cosa penseranno di me i miei genitori e i miei amici?
Il vero adoratore è invece colui che – anche facendosi aiutare da una guida spirituale – non scappa di fronte alla domanda sulla propria vocazione irripetibile e la cerca con amore, con pazienza, con un serio e fiducioso discernimento. Sapendo che il segno che una scelta viene da Dio è una pace profonda del cuore, magari dopo un aspro combattimento interiore. Dio, infatti, non chiama nessuno all'infelicità. Anche se a nessuno ha mai promesso una vita senza prove!
Carissimi giovani, abbiate il coraggio di cercare – di continuare a cercare  - la vostra vocazione! Non rimandate questa domanda. Interpretate fino in fondo le vostre esperienze. Fatevi però aiutare, perché è facile ingannarsi.


S come SESSUALITA'
La sessualità e la corporeità sono, per così dire, "la casa" in cui abitiamo e camminiamo in questo mondo. Il nostro corpo è sempre definito sessualmente: o maschio o femmina, come ci ricorda il libro antico e sempre nuovo della Genesi: "Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò" (Genesi 1, 27) All'interno di questa insuperabile separazione della realtà, sta l'esercizio della genitalità, con tutto l'alfabeto delle sensazioni ed emozioni che essa porta con sé.
Negarlo sarebbe un errore irreparabile. Fare appello a valori che prescindono da questa struttura, secondo cui è intimamente forgiato il nostro stesso essere umano, sarebbe addirittura fuorviante. D'altra parte tutto questo ci fa capire come la sessualità e la genitalità non sono per la virtualità, non sono per ricadere su stessi, non sono per vagare nel labirinto dei propri pensieri, ma sono invece per stare nella realtà fino in fondo: per porla al servizio del "vero" amore interpersonale, nella comunione reciproca e nell'apertura al dono della vita.
E' importante allora che ci chiediamo quali scelte stiamo facendo in questo campo. Come ci prepariamo alla ricerca della nostra vocazione, come stiamo vivendo quella che abbiamo già scelto. Su questo non possiamo autoingannarci! Non possiamo affermare valori di principio e prendere poi altre strade. Non sono in gioco solo questioni come i rapporti prematrimoniali, l'autoerotismo e la contraccezione, ma il modo stesso di vivere il nostro corpo – sempre sessualmente identificato – ogni giorno della vita. Con il nostro modo di vestirci, di alimentarci, di abitare il mondo dei mass media con tutto l'innervarsi di immagini e modelli di vita che propongono.
Pensare che si possa essere veri adoratori del Dio vivente senza aver fatto i conti con questa dimensione essenziale della persona è, alla radice, ingannevole e illusorio!


Concludendo
Ci siamo serviti di questo acrostico per delineare alcune dimensioni fondamentali della vita come adorazione: adorazione che ci coinvolge totalmente e non solo episodicamente. Sono dimensioni non opzionali ma irrinunciabili per chi vuole mettersi alla sequela di Gesù, una sequela sempre a caro prezzo, come i santi di ogni tempo sanno bene. Pensiamo anche solo semplicemente alla figura di Edith Stein, che qui a Colonia ha vissuto e che ha lottato non poco per fare sue queste dinamiche a partire dall'incontro con Cristo crocifisso.

Allora:
A come Abitare
D come Davanti
O come Originalità
R come Rendere Ragione
E come Eucaristia
M come Misericordia
U come Unicità
S come Sessualità

A.D.O.R.E.M.U.S!




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