Chi ha Dio non
manca di nulla
Cesare
Nosiglia, arcivescovo di Vicenza
I
falsi
idoli del nostro tempo sono tanti e si impongono in modi forti e coinvolgenti.
L'inganno che in genere propongono è affascinante: diventare più liberi e poter
decidere di sé come meglio piace. In realtà, seguendoli si diventa sempre più
succubi e schiavi e ci si lega al loro potere, che, a poco a poco, diventa come
una droga, impossibile da dominare o distruggere. L'idolatria è una schiavitù
che si traduce in costume di vita e governa i propri sentimenti e le proprie
azioni.
L'uomo non può fare a meno di adorare Dio, magari un suo dio costruito, come il
vitello d'oro dell'Esodo (cap. 32) a proprio uso e consumo. C'è chi erige a dio
il sesso e se ne lascia sedurre e conquistare diventandone servo fino alle più
estreme conseguenze; chi il denaro e la ricchezza di beni materiali; chi il
potere e il primato sugli altri.
Anche la negazione di Dio, il più puro ateismo, in realtà conduce ad adorare
qualcuno: se stesso. Il proprio io è eretto ad assoluto, la ragione a dogma e
ciò che piace ad unica regola morale da seguire. Conseguenza? L'illusione, la
noia infinita, il non senso della vita, la ricerca di esperienze sempre più
estreme e ai limiti della stessa vita fino all'autodistruzione di se stessi e
alla morte.
C'è poi una tentazione molto sottile, che percorre la vita di ogni giorno,
quella di credersi comunque capaci di fermarsi sul baratro, di poter smettere e
ritornare indietro. Il ragazzo che comincia ad usare le droghe leggere pensa:
"Ci provo tanto poi quando voglio smetto" e così passo, passo arriva
a quelle pesanti e ne diventa succube. Lo stesso discorso vale per la sete di
denaro, di piacere, di soddisfazione ed orgoglio. Il mito del successo,
dell'avere sempre di più, del prevalere sugli altri, dell'apparire ed essere
ammirato, si accompagna con la ricerca di ritualità misticheggianti, di riti
satanici, fatti magari per scherzo, all'inizio, e poi sperimentati in modi e
forme sempre più violente e devastanti.
Senza Dio non si può vivere? Bene, allora Dio è dappertutto, è dentro di me ed
io posso essere lui, identificarmi, immergermi in lui. Dio è una entità cosmica
che tutto abbraccia e comprende dentro di sé, anche la mia persona e la mia
vita. La religione vera è il non averne una di precisa, ma al contrario abbracciarle
tutte in un indefinito panteismo universale, che tutte le svuota del loro credo
e di fatto fa di Dio una proiezione di se stesso.
Essere adoratori dell'unico Dio va contro tutte queste forme alla moda, che
vengono reclamizzate anche tra i giovani mediante la musica, il canto, internet
e i linguaggi metaverbali che raggiungono il cuore prima che la mente e le
orecchie. E' per questo che il Papa afferma perentoriamente: "L'adorazione
del vero Dio costituisce un autentico atto di resistenza contro ogni forma
moderna di idolatria".
1. Che cosa significa adorare l'unico vero Dio?
Non vuol dire solo dire di no a tutte queste forme di idolatria, ma in
positivo mettere Dio al primo posto nella propria esistenza e farne il metro di
giudizio per le scelte ed i comportamenti. Il vero Dio, rivelato da Cristo, è
una persona reale e concreta, entrata nella storia con fatti e parole ed infine
nella persona stessa del suo Figlio. Possiamo qui riferirci ad un episodio del
Vangelo che tutti conoscete, l'incontro di Gesù con la samaritana al pozzo di
Sicar (cfr. Gv 4).
La donna si scandalizza che Gesù parli con lei ed adduce come motivo il fatto
che lei è samaritana e lui giudeo. Poi quando viene messa davanti alla sua
situazione di vita, ricca di contraddizioni e di non felicità, riconosce che
Gesù è un profeta ed aggiunge: "I nostri padri hanno adorato Dio su questo
monte e voi dite che è Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare Dio".
Gesù le risponde: "Credimi, donna, è giunto il momento che né su questo
monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. Ma è giunto il momento ed è questo
in cui i veri adoratori adoreranno Dio in spirito e verità; perché il Padre
cerca tali adoratori. Dio è spirito e quelli che lo adorano devono adorarlo in
spirito e verità". Questo significa che dal momento in cui Gesù è venuto
sulla terra, Dio si è reso visibile e vicino, chi lo vuole adorare lo può fare
accogliendo lo Spirito del Signore e la sua Parola di verità. Come dire: lo
deve adorare nell'Amore e nella verità. Chi adora Dio nell'amore vive di amore
e lo manifesta nelle sue azioni come faceva Gesù. Chi lo adora nella verità non
si lascia fuorviare da falsi messaggi ed idoli e cerca l'incontro con la Verità
che è Cristo stesso. La donna samaritana, che crede in Cristo e lo riconosce
Messia, diviene adoratrice di Dio in spirito e verità e subito testimonia e
parla a tutti gli abitanti di Samaria di quello che ha udito e visto e di come
Gesù le abbia rivelato la verità della sua vita e le abbia donato l'acqua viva
che disseta la sua sete di amore e di verità.
Così siamo chiamati a fare noi che crediamo in Cristo e vogliamo vivere ogni
giorno come veri adoratori di Dio in spirito e verità.
2. Quali sono le scelte coraggiose di testimonianza del Dio vero nel
nostro ambiente di vita?
I Magi ce ne indicano subito una molto importante: "per un'altra
strada fecero ritorno al loro paese" (Mt 2, 12).
Questo cambiare strada indica la conversione che chiunque incontra Gesù è
invitato a compiere. Convertirsi non è questione di un momento, ma di una vita.
Sempre siamo in via di conversione. Ogni volta che ascoltiamo la Parola di Dio
essa ci svela ombre e luci della nostra vita e ci sprona affinché abbiamo il
coraggio di tagliare ciò che va tagliato, egoismi, idolatrie, chiusure in se
stessi, scarso amore verso gli altri, e di vincere il male con il bene. La
Parola è come lampada che guida i nostri passi verso il Signore in un cammino
spesso tenebroso ma segnato dalla fiducia in lui. Convertirsi significa anche
lottare con coraggio contro le opere della carne, che impediscono allo Spirito
di fruttificare in noi. Infatti, l'uomo vecchio con le sue passioni
ingannatrici tende sempre a risorgere e a riconquistarci, ma lo Spirito, che
viene in aiuto della nostra debolezza, ci sostiene per risultare vincitori.
Il giovane ricco, che non ha il coraggio di lasciare le proprie ricchezze,
mostra di non volersi convertire, perché è troppo legato alle sue sicurezze e
non si fida di Cristo, malgrado abbia ricevuto da lui segni forti di amore.
Desidererebbe tenere i suoi soldi e avere la vita eterna: Dio e il denaro. Ma
non si può servire due padroni (cfr. Mt 6, 24).
Convertirsi significa anche seguire positivamente Gesù ed imitarlo: "Come
ho fatto io fate anche voi". La sequela è certamente l'aspetto più coinvolgente
della fede: come i Magi si sono fidati della stella e l'hanno seguita fino a
Betlemme, così ogni credente deve fidarsi di Cristo e seguirlo senza timore.
Lui è la via, la verità e la vita piena per ogni uomo (cfr. Gv 14, 6).
"Vieni e seguimi": questa parola risuona anche oggi in molti di noi
come è risuonata nel cuore dei primi discepoli. Per seguire il Signore bisogna
alzarsi e andare dietro a lui; non bisogna voltarsi indietro, nostalgici di
quello che abbiamo lasciato, perché chi mette mano all'aratro e poi si volge
indietro, dice Gesù, non è degno di me (cfr. Lc 9, 62). Certo, le condizioni
della sequela non sono facili, ma impegnative e a volte anche dolorose. Gesù
non promette a chi lo segue ricchezza, potere, soddisfazione e beni materiali, carriera
e riuscita nella vita. Al contrario, indica la via della croce, del perdono,
della povertà più radicale, della purezza e della lotta per la giustizia.
E' deciso nelle sue richieste: "Se vuoi essere mio discepolo, va' vendi
tutto quello che hai e dallo ai poveri, poi vieni e seguimi. Chi non rinuncia a
tutti i suoi averi non può essere mio discepolo. Chi ama il padre e la madre
più di me non è degno di me.... Chi vuole venire dietro a me rinneghi se
stesso, prenda la sua croce e mi segua" (cfr. Mt 13.19). Trovare Cristo
significa trovare il tesoro più prezioso, la perla più ricca per cui vale la
pena vendere tutto, rinunciare ad ogni altra cosa al mondo per possederla. Nei
vangeli il discepolato e le condizioni per seguire Gesù rappresentano una delle
catechesi più presenti e concrete con cui si misura la nostra vita. E sono
sempre condizioni che riguardano tutti i cristiani, non solo alcuni prediletti.
Ascoltiamo
queste famose parole, profonde e cariche di amore appassionato per Dio, di una
grande santa, Teresa di Avila, la quale dice:
Nulla ti turbi, nulla ti spaventi.
Tutto passa, Dio non cambia.
Chi ha Dio non manca di nulla.
Dio solo basta.
Mi direte:
"Teresa era una monaca ed è normale che parlasse così!". Io vi dico
che questa esperienza è possibile anche a ciascuno di voi. Dio si comunica ad
ognuno così. Tocca a noi saperlo accogliere con la stessa intensità di amore di
santa Teresa.
La via della sequela diviene possibile e quotidiana, se osserviamo una regola
di vita semplicissima: imitare Gesù. Poiché lui è uomo come noi, la sua umanità
ci è di esempio circa la possibilità di vivere anche noi la nostra umanità nei
suoi vari aspetti ogni giorno.
"Come ho fatto io, fate anche voi": come si comporterebbe Gesù se
fosse al mio posto? Proviamo ad applicare questa regola ad ogni nostra azione e
scelta di comportamento e vedremo quanto diventa fattibile l'imitazione di
Cristo, almeno come programma e obiettivo da perseguire. Così Cristo diviene il
nostro maestro e la nostra via. Egli, lo sappiamo, non sta solo davanti a noi,
come un modello, ma è anche dentro di noi con il suo Spirito e questo rende
possibile imitarlo veramente, perché lo Spirito ci trasforma in lui. San Paolo
arrivò a dire: "Non sono più io che vivo ma Cristo che vive in me"
(Gal 2, 20). E ancora: "Per me vivere è Cristo" (Fil 1, 21).
Più uno si immette in questa prospettiva di sequela-imitazione e più gli si
aprono davanti orizzonti grandi di impostazione di vita. Per me è stato così.
Quando frequentavo la scuola superiore, ho meditato a lungo su questo tema e ho
cominciato a sentire dentro di me il desiderio di orientare la mia vita sulla
via del sacerdozio.
A volte si sente dire che la vocazione al sacerdozio o alla vita consacrata
nasce dal desiderio di dedicarsi agli altri, ai poveri, ai più bisognosi. E
questo è certamente vero, perché donare la vita per gli altri fa parte delle
vocazioni di speciale consacrazione. Io penso però che la radice e la
motivazione vera di una vocazione non stia fuori di noi, non stia nel fare ma
nell'essere, stia cioè dentro di noi. Essa sta nell'amore di Cristo che fa
risuonare la sua chiamata dentro il cuore dell'uomo, lo vuole, lo interpella.
Rispondere significa fare un patto d'amore, innamorarsi e decidere di cementare
tale patto con il sì di fedeltà a Cristo. Egli, infatti, vuole che la vita
dell'uomo diventi una cosa sola con la sua e così si offra agli altri in
pienezza di amore come ha fatto lui.
"Li chiamò perché stessero con lui…e per mandarli a predicare": così
la chiamata dei Dodici sottolinea questo discorso in modo evidente. La chiamata
di Cristo è sempre per la felicità e la vita, come sottolinea Gesù stesso nel
Vangelo rivolgendosi al giovane ricco: "Se vuoi essere felice e avere la
vita eterna, seguimi" (cfr. Mc 10).
Anche qui voglio dirvi che chi risponde alla chiamata al sacerdozio o alla vita
consacrata non lo fa rinunciando a qualcosa o a qualcuno, ma lo fa per
acquistare qualcosa e qualcuno. E' per amore di Cristo e dei fratelli che ci si
fa preti o suore. La rinuncia ai beni della terra o a farsi una famiglia non è
in primo piano, ma segue di conseguenza l'altra scelta d'amore totale per
Cristo. "Se mi ami devi darmi tutto di te stesso e di te stessa" dice
Cristo e questo diviene lo scopo primo della vocazione da cui scaturisce poi la
forza di rendere unico ed assoluto tale amore, accogliendo in esso non una
persona soltanto, ma tutte le persone; non un gruppo, una famiglia, una
comunità, ma tutti gli uomini fino agli estremi confini della terra, se
necessario. Questa totalità d'amore sta a fondamento del "per sempre"
che il chiamato o la chiamata pronunciano davanti a Dio e alla Chiesa. Cosa del
resto propria di ogni vocazione, a cominciare dalla vocazione battesimale dove
il sì a Cristo conferma un patto di alleanza che nulla potrà mai distruggere
per arrivare al matrimonio, al sì definitivo ed indissolubile che pronunciano
gli sposi.
3. Vivere in questo mondo come adoratori del vero Dio significa infine
raccontare a tutti l'esperienza di incontro con Gesù Cristo.
Quando si incontra Cristo e si accoglie il Vangelo la vita cambia e si è
spinti a comunicare agli altri la propria esperienza. Si è spinti, ma purtroppo
spesso non si ha il coraggio di farlo, perché l'ambiente che ci circonda appare
refrattario, indifferente o perché non si ritiene necessario disturbare un
amico con simili proposte, alle quali magari non crede oppure crede ad altri
messaggi religiosi.
Ognuno ha diritto di avere la propria religione e a non essere forzato a
cambiarla. Rispettiamoci così come siamo. La missione non è dunque una indebita
ingerenza nella vita delle persone, le quali, nella nostra società, possono
agevolmente e liberamente decidere se credere o non credere, se credere in
Cristo o in un'altra religione.
Un falso concetto di libertà fonda una cultura che, in materia religiosa,
diviene neutra e dice no ad ogni forma di proselitismo o di coinvolgimento
forzato. Questo principio è profondamente cristiano. Gesù tante volte dice:
"Se vuoi essere mio discepolo" e rimprovera i giudei perché per fare
un proselito passano il mare e i monti per rendere poi schiava la persona di
precetti, che sono opera umana e non vengono da Dio.
La missione non è proselitismo, ma testimonianza ed invito che parte dalla
propria esperienza non da principi ideologici o da volontà di ricavarne un
vantaggio. Sono stato recentemente in Brasile a visitare i sacerdoti della mia
Diocesi che operano in quel Paese ed è scandaloso vedere nelle città e nei
villaggi come in ogni via ci siano decine di chiese e di cappelle di sette religiose,
le quali promettono guarigioni, ricchezza, soluzione di problemi personali e
familiari in cambio di denaro. Eppure tanta gente segue queste proposte e si
lascia catturare dalla propaganda martellante!
La missione parte da altri presupposti, soprattutto l'amore a Cristo e
all'uomo, e si realizza sul piano dell'annuncio accompagnato da segni concreti
di solidarietà e di amore verso tutti, in particolare i più poveri e
sofferenti, così come faceva Gesù. Dice il Papa nel Messaggio per la Giornata
mondiale della gioventù: "Cari giovani, la
Chiesa ha bisogno di autentici testimoni della nuova evangelizzazione: uomini e
donne la cui vita sia stata trasformata dall'incontro con Cristo; uomini e
donne capaci di comunicare tale esperienza agli altri. La Chiesa ha bisogno di
santi, perché solo i santi possono rinnovare l'umanità".
Giovanni Paolo II ha accompagnato queste parole con la sua vita, con l'esempio
che ci ha dato. Egli è stato un grande missionario dei nostri tempi, perché ha
comunicato non solo delle belle parole, ma se stesso, la sua testimonianza di
vita. Ha insegnato ai giovani a vivere e a morire da cristiani.
Ho chiesto a diversi giovani durante i giorni della morte di Giovanni Paolo II
perché erano venuti a Roma a rendere omaggio alla salma del Papa aspettando
anche 16 ore: " Perché glielo devo. Lui mi ha dato tanto e io ben poco a
lui. Ora questo atto di riconoscenza è il minimo che posso fare".
"Perché sei qui?": "Non ho mai partecipato alla GMG e ho sempre
guardato il Papa da lontano, perché non sono molto credente. Ma ora sono qui
perché ho capito che la sua morte mi priva di un punto di riferimento
importante che, malgrado tutto, sentivo di avere nella mia vita. Mi rincresce
solo di non aver saputo approfittare della sua presenza quando era vivo, ma lo
farò adesso e volevo dirglielo di persona". E ancora: "Sono qui
perché lui mi ha insegnato a perdonare. Quando ha perdonato il suo attentatore
ho capito che anch'io dovevo perdonare. Era da tempo che ci pensavo ma non
avevo il coraggio di farlo: il torto ricevuto mi sembrava troppo grande e il
rancore verso quella persona invece di diminuire cresceva in me. Poi ecco la
luce: quel gesto del papa mi come colpito nel cuore. Ora ho perdonato e sono
contento, ho ritrovato pace e serenità in me stessa".
Del resto, penso che ognuno di voi forse potrebbe raccontare qualche ricordo
del grande Papa che ha voluto le GMG e ora ci segue dal cielo.
"Santo subito" ha gridato la gente e santo, lo sappiamo bene, lo è
certamente. Per noi lo è da tempo. Egli ci ha indicato la via di Cristo, ci ha
amato profondamente, uno ad uno e ci ha dato speranza, sempre. La sua
testimonianza è per tutti i giovani che lo hanno conosciuto ed amato quale
icona vera di Cristo, pastore e amico, via, verità e vita.
Nel suo ultimo messaggio per questa Giornata mondiale della gioventù, Giovanni
Paolo II invita a pregare i santi perché, per la loro intercessione, si possa
seguire Cristo e manifestarlo a tutti negli ambienti di vita e di lavoro. Ci
ricorda, in particolare, sant'Alberto Magno, sepolto nella chiesa di S. Andrea
qui a Colonia, e santa Teresa Benedetta della Croce, Edith Stein che visse nel
Carmelo di Colonia, perché come i Magi hanno saputo cercare la verità mediante
la fede e la ragione mostrando che non c'è contraddizione tra queste due
realtà, entrambe doni di Dio.
Un invito che mi sembra oggi particolarmente importante per rendere la nostra
fede motivata e sicura e dare alla nostra ricerca, intellettuale oltre che
vitale, una solidità di riferimenti insieme biblici e culturali.
Molti di voi sono studenti nella scuola media superiore o all'università,
ambienti dove questo discorso è oggi particolarmente esatto in quanto elaborato
all'interno di istituzioni fondate sul sapere e dove spesso la fede viene
considerata estranea, dimenticando che nei secoli è stata proprio la fede a
promuovere la ricerca e la cultura più avanzate nei popoli del nostro
Continente europeo. Questo discorso ci fa comprendere che nessun ambiente e
nessuna realtà è estranea al Vangelo ed ovunque e con chiunque siamo chiamati a
testimoniare che siamo adoratori del vero Dio e solo lui serviamo.
Accogliamo dunque con gioia ed impegno l'invito che tante volte Giovanni Paolo
II ha fatto risuonare nelle GMG precedenti: "La fede cresce
donandola!".Se vuoi che la tua fede cresca e diventi forte, non devi
tenerla chiusa in te stesso o dentro la tua vita, ma donarla, portarla agli
altri senza timore, perché, alla fine, ti accorgerai che essa è diventata forte
anche nel tuo cuore. Dio, infatti, scrive in grande quello che noi scriviamo in
piccolo e trasforma in giardino anche il deserto là dove sembra tutto arido e
dove è inutile piantare o irrigare. Ma il cuore dell'uomo, di ogni uomo, anche
se appare un deserto, ha sempre un piccolo terreno buono dove il seme della
Parola di Dio e del buon esempio può attecchire e produrre un frutto abbondante
di conversione e di vita nuova.
Non stanchiamoci, dunque, di evangelizzare, mai! Facciamolo con gioia, perché
solo chi mostra di essere contento della propria fede in Cristo trasmette,
quasi per osmosi, la buona notizia del Vangelo e apre vie impensabili di
incontro con lui nel cuore di ogni persona ed in ogni ambiente. Amen
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