Vedere,
incontrare, adorare
«Videro
il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono» (Mt 2,11) Vedo qui
davanti a me tanti giovani. Mi domandavo spesso, quando ero parroco a Legnano,
nella diocesi di Milano, e ...
Adriano
Caprioli, vescovo di Reggio Emilia-Guastalla
Vedo qui davanti
a me tanti giovani.
Mi domandavo
spesso, quando ero parroco a Legnano, nella diocesi di Milano, e vedevo venire
in chiesa i miei giovani: "Perché i giovani si mettono in fondo alla
chiesa, appena dentro alla porta?"
Magari c'era
ancora posto davanti.
Pensavo: c'è chi
arriva in ritardo, a Messa già avviata, e non vuole disturbare.
Pensavo anche:
forse, è lui che non vuole essere disturbato, e preferisce starsene tranquillo
nel suo cantuccio.
Forse, però,
l'atteggiamento di chi si ferma sulla soglia è un altro: quello di attendere
qualcosa o qualcuno capace di interessarlo, coinvolgerlo.
SÌ, VEDERE È AVERE DELLE ATTESE
Non è poco. È
già un buon inizio.
Immagino che
anche i Magi, quando si sono messi in cammino a seguito della stella per andare
a vedere ciò che stava succedendo altrove, avessero nel loro cuore delle
attese, delle domande.
Cerco di
immaginare le attese e le domande che vi hanno portato a venire alla GMG
attorno a questi atteggiamenti:
· il
primo è quello di vedere, come di chi dice o si sente dire dai suoi amici:
"Andiamo a vedere, perché non provare?"
· il
secondo atteggiamento è quello di venire per incontrare: "abbiamo saputo
che qui si incontra tanta gente, gente nuova, diversa… non le solite
facce!"
· il
terzo atteggiamento è quello che più ci avvicina al cammino dei Magi: adorare.
Qualcuno potrebbe dire: "Adorare? Non so cosa voglia dire adorare… è una
cosa che so che fanno i mussulmani? qualcuno me lo spiegherà…"
VEDERE
Vedere è
l'atteggiamento che ripetiamo spesso: alle volte con noia, altre volte con
curiosità, altre ancora con forte desiderio.
Ho ancora i miei
occhi pieni della folla che, quattro mesi fa, ha invaso le vie di Roma per
cercare di farsi il più vicino possibile a Giovanni Paolo II adagiato nel
mistero della morte, nella Basilica di S. Pietro.
Penso
soprattutto ai tanti giovani che anche dalle nostre parrocchie sono andati in
pellegrinaggio a Roma per vedere il Papa morto.
Qualche giovane
della mia Diocesi sotto i 27 anni – gli anni del pontificato del Santo Padre –
mi ha confidato, non avendo mai visto morire in vita sua un Papa, di aver
provato come la sensazione di abbandono di un padre, di un fratello, di una
persona familiare.
I giovani,
quando vedono un uomo capace di incontro, si affidano.
È stato,
Giovanni Paolo II, il Papa del dialogo, della "mano tesa" al mondo
ebraico e musulmano, del riconoscimento dei torti dalla propria parte.
Qualcosa, a ben
pensarci, di atipico, che forse gli ha provocato incomprensioni, ma che gli ha
conquistato un enorme rispetto da parte di chi professa religioni diverse da
quella cattolica e anche nel mondo dei non credenti.
E la stessa
partecipazione in quei giorni alla liturgia di commiato è stata una evidente
testimonianza.
Nei giorni
immediatamente dopo la morte del Papa, nella mia Diocesi sono incominciate le
iscrizioni alla GMG, in un crescendo impensabile: subito 200, poi 700, infine
siamo arrivati a 2000.
Me lo sono
domandato spesso: che cosa ha spinto, in questi 20 anni di GMG, tanti giovani a
incontrarsi a Roma, Santiago di Compostela, Manila, Denver, Parigi, Toronto e
ora qui a Colonia?
L'abbiamo visto
tutti il Papa, in questi ultimi anni, non camminare più da solo, ma nella
malattia progressiva prima avere bisogno di un bastone, poi di essere portato
per mano dai suoi stessi giovani.
Vedendolo
entrare sulla spianata di Tor Vergata a Roma nel 2000, mano nella mano di
alcuni giovani, mi domandavo: "È il Papa che conduce per mano i suoi
giovani, oppure sono i giovani stessi che quasi portano il Papa?".
Ma questo essere
portato da altri era incominciato presto, dal primo giorno del suo ministero
pastorale. Sono andato a rileggere il suo primo discorso appena eletto Papa:
"Pietro è
venuto a Roma! Cosa lo ha guidato e condotto a quest'urbe, cuore dell'Impero
Romano, se non l'obbedienza all'ispirazione ricevuta dal Signore? Forse, questo
pescatore di Galilea non avrebbe voluto venire fin qui. Forse, avrebbe
preferito restare là, sulle rive del lago di Genesareth, con la sua barca, con
le sue reti. Ma, guidato dal Signore, obbediente alla sua ispirazione, è giunto
qui!".
Vengono alla
mente le pagine del suo diario, dove Karol Wojtyla racconta delle sue vacanze
sui monti Tatra e delle gare di canoa con i suoi giovani amici, fino al giorno
in cui, chiamato urgentemente dal suo Cardinale a Cracovia, si trovò di fronte
a quella impensata nomina a vescovo.
Così impensata
che si era dimenticato di portare la veste talare!
Ora, a questa XX
GMG, ci siamo noi. Ci siete voi, cari giovani. Perché siete qui? Che cosa siete
venuti a cercare? A vedere? A incontrare? Quali le attese?
Sono domande che
chiedono una risposta personale.
Le situazioni
possono essere diverse. C'è chi viene per la prima volta alla GMG, spinto
magari dall'emozione, portato dal grande numero di giovani che ci vanno,
sollecitato dalla curiosità, ma non si immerge completamente nel clima e nella
proposta.
Guarda, osserva
che "effetto che fa", come dice la canzone, "sfrutta" il
bel clima, l'amicizia, la vacanza, ma domani sarà già tutto come prima.
Viene alla mente
la figura di Zaccheo, appollaiato sul sicomoro in attesa del passaggio di
questo personaggio, Gesù (Lc 19,1-10). Oggi Zaccheo avrebbe scelto di starsene
a casa, comodamente appollaiato in poltrona anatomica a godersi con meno fatica
lo spettacolo.
E c'è invece chi
è venuto per scelta, magari a prezzo di qualche rinuncia ad altro e ad altri
incontri. C'è chi ritorna, la seconda, la terza e la quarta volta, per crescere
in un'esperienza che lo ha fatto maturare, gli ha dato il coraggio di scelte di
vita.
Mi hanno colpito
alcune testimonianze sull'inserto di Noi, genitori e figli del quotidiano
Avvenire (31 luglio 2005), dove la storia di amore di alcune coppie è
intrecciata con altrettante parole chiare del Papa: "Costruite famiglie sane…
Vi esorto a decidere in modo definitivo la direzione del vostro cammino… Voi
sentinelle del mattino difenderete la vita in ogni momento del suo
sviluppo".
C'è anche chi
ritorna con il figlio quattordicenne, con il suo zainetto in spalla. C'è chi
ritorna per una verifica del proprio cammino di fede su strade come la
consacrazione di vita al Signore, l'esperienza di volontariato in missione,
l'impegno di catechista ed educatore in parrocchia.
Anch'io vi
ritorno, per la seconda volta, dopo la Veglia in quella "notte
magica" di Roma nel 2000, con più di 2 milioni di giovani con le loro
fiaccole in terra a gara con altrettante stelle in cielo.
Vi ritorno
sempre da vescovo! Anche un vescovo ha bisogno di GMG. Ho sempre avuto paura,
con gli anni che passano, di dimenticare come un giovane vede il mondo, gli
altri, se stesso, e anche come vede la Chiesa.
La Chiesa è
certamente "esperta in umanità", ci hanno ricordato più volte Paolo
VI e Giovanni Paolo II, quando parlava dell'"uomo via della Chiesa".
Ma questo non vuol dire che noi vescovi, preti, popolo delle parrocchie,
associazioni e movimenti, laici devoti… siamo abbastanza esperti di
"questa" umanità.
Del modo con cui
gli altri – i giovani in particolare - vedono il mondo, la vita, le
istituzioni religiose comprese, noi abbiamo alle volte un'immagine sfuocata,
intellettualistica, devota.
Li giudichiamo
contrari, indifferenti, agnostici in certi atteggiamenti – e in parte lo sono
certamente -, per poi scoprire che in realtà essi sentono il fascino di correnti
di pensiero intrise di spiritualità.
L'umile
riconoscimento della nostra inesperienza è un passo non facile. Ma necessario.
Noi "dobbiamo di bel nuovo imparare la lingua di questa umanità che non
parla nessun linguaggio a noi abituale".
Non si tratta di
adattare il Vangelo ai destinatari, ma di adattare noi, testimoni del Vangelo,
ai destinatari. Ma questo è possibile quando c'è l'incontro tra le persone.
Siamo così al
secondo atteggiamento della nostra catechesi.
INCONTRARE
Incontrare
è una "cosa del cuore". Incontrare è il vedere di due innamorati.
Un ragazzo e una
ragazza si incontrano, si conoscono, si amano. Scoprono di intendersi con
semplicità e immediatezza, di trovare l'uno nell'altro il senso e la pienezza
di vita che andavano inconsapevolmente cercando.
Sono sorpresi e
riconoscenti per quello che sta loro accadendo. progettano il loro futuro.
"Amare non è guardarsi negli occhi, ma guardare insieme verso la stessa
direzione" (A. De S. Exupéry).
Quando però il
futuro diventa presente, quando la vita a due si fa esperienza quotidiana,
allora emerge anche l'aspetto faticoso e incerto dell'amore, e talvolta la
tentazione del dubbio e del sospetto reciproco.
Bergmann, il
regista di Scene da un Matrimonio fa dire alla coppia protagonista del film,
che si incontrano dopo la separazione: "Noi abbiamo creduto troppo al
nostro amore. Ne abbiamo fatto una cosa nostra, assoluta, chiusa, mentre
l'amore è credere in un Amore più grande".
Incontrare è
affidarsi ad un amore più grande. Che cosa dice il Vangelo?
"Passando
lungo il mare di Galilea, Gesù vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre
gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: SEGUITEMI,
vi farò pescatori di uomini. E SUBITO, lasciate le reti, lo seguirono" (Mc
1,16-18).
È bastato dunque
uno sguardo: "vide". È bastata una parola: "seguitemi".
Ma non è
avvenuto tutto troppo in fretta?
Viene voglia di
pensare che questi due uomini non si siano comportati molto ragionevolmente.
Sembrano come accecati e travolti da una specie di incantamento acritico e
irresistibile.
Il sospetto di
plagio nei confronti dei cristiani del suo tempo era l'accusa di Giuliano,
l'imperatore romano prima cristiano e poi diventato apostata, che come molti
nostri contemporanei conosceva l'avvenimento cristiano solo quanto bastava per
non capirlo!
La decisione
apparentemente frettolosa dei primi discepoli a seguire Gesù era stata
preceduta però da un lungo cammino.
Dal Vangelo di
Giovanni veniamo a sapere che quei pescatori erano stati discepoli di Giovanni
il Battista, e proprio su indicazione di quel loro primo maestro avevano
cercato di entrare nella familiarità del giovane profeta di Nazareth.
"Dove
abiti, Maestro?", gli avevano domandato. "Venite e vedete",
aveva risposto Gesù (cf. Gv 1,38-39).
E così, a poco a
poco, erano entrati nella familiarità con Gesù.
Essi dunque,
quando Gesù viene a chiamarli sulle rive del lago, lo conoscono già.
Probabilmente stavano già pensando a Lui.
La decisione di
mettersi al suo seguito, a tempo pieno, è stata certamente la risposta di un
cuore innamorato.
Ma, prima
ancora, l'invito del Signore è stato il venire alla luce di una attesa segreta,
di una ricerca che già da tempo risuonava nei loro pensieri.
Questa è la
legge fondamentale per la sequela evangelica: non si ama, se non si conosce; ma
anche non si conosce davvero, se non amando e impegnando la vita.
Conoscere Gesù e
il Vangelo non è come conoscere il teorema di Pitagora! Si può sapere che il
quadrato costruito sull'ipotenusa è equivalente alla somma dei quadrati
costruiti sui cateti, senza essere innamorati dell'ipotenusa né vibrare di
particolare affetto verso i cateti!
Conoscere Gesù e
il suo Vangelo è seguire Gesù e diventare suoi discepoli.
E il segno più
chiaro del crescere di questa conoscenza di Gesù è il fatto che tutte le altre
conoscenze si relativizzano. Non scompaiono, ma si relativizzano. Le
apprezziamo tutte, le ricerchiamo, ma non ci saziano più. Anzi, non ci
interessano più, se non come riverberi della luce che è Lui.
Il Vangelo non è
una teoria o un insieme di idee a cui aderire, ma una scelta di vita che nasce
dall'incontro personale con Gesù.
È quello che
Giovanni Paolo II ha ricordato ai giovani per la XIX Giornata mondiale della
gioventù con il messaggio Vogliamo vedere Gesù:
"Volete
anche voi, cari giovani, contemplare la bellezza di questo volto? Ecco la
domanda che vi rivolgo in questa Giornata mondiale della gioventù. Non
rispondete troppo in fretta. Innanzitutto fate dentro di voi il silenzio… Il
Cristianesimo non è semplicemente una dottrina; è un incontro di fede con Dio
fattosi presente nella nostra storia con l'Incarnazione di Gesù… E non
dimenticate di cercare il Cristo e di riconoscere la sua presenza nella Chiesa"
(Messaggio nn. 3.5).
ADORARE
"Videro
il Bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono".
Siamo così al
terzo punto della nostra catechesi. Non basta vedere, occorre incontrare, e
incontrare con tutta la povertà e ricchezza della propria umanità.
Anche l'incontro
con Cristo assume una irrinunciabile dimensione corporea.
Alcuni anni fa,
in un pellegrinaggio in Russia con alcuni della mia parrocchia di Legnano,
mentre si visitava una delle chiese ortodosse, ero rimasto stupito della
bellezza di alcune icone che raffiguravano il Signore.
Mentre stavo in
contemplazione di quella rara bellezza, un monaco mi si è accostato e mi dice:
"Tu guardi all'icona, ma non sei tu che guardi all'icona, ma è il Signore
che attraverso l'icona guarda a te!"
Ho ricevuto in
questi giorni la lettera di una giovane di 27 anni che mi invitava alla sua
Messa di consacrazione in una comunità monastica così:
"Sono una
natura esuberante, volitiva: Egli mi ha sedotta e io mi sono lasciata sedurre,
ma quando ho capito che la risposta ad ogni mia domanda, ad ogni mia ricerca di
verità era in questo Amore che mi precedeva e mi sorpassava, ho voluto che
tutta la mia vita, ogni mio affetto, ogni mia energia fosse donata a Colui che
a me si era donato, che mi si era rivelato con prepotenza come il Signore, il
Dio della vita e della gioia, il Dio della Croce".
E poi, con
notevole dose di sincerità con se stessa, scrive: "All'inizio ci sono
state come sempre l'innamoramento e l'incoscienza, poi l'illusione
volontaristica e superba di essere capace di servire il Signore, di seguirlo
fino alla morte di Croce.
È stata questa
la tentazione… della perfezione, dei contorni precisi, del bene e del male che
stanno ciascuno al suo posto in recipienti ordinati…
In questi anni
ho sperimentato in modo amaro il fallimento della mia vita,… dei miei sforzi
per diventare così come mi pareva si dovesse diventare per essere sposa di
Cristo.
Ho sperimentato
lo scacco profondo della mia vita su tutti i fronti: preghiera, vita fraterna,
affettività, lavoro… E nei momenti più duri mi ha concesso di RESISTERE, di non
fuggire… E in quei momenti la mia vita è cambiata".
E concludeva:
"Mi sarà possibile anche a me nei lunghi giorni che verranno rimeditare il
senso di questa consacrazione così: sono di Qualcuno che ha posto gli occhi su
di me, che mi ha voluta così, certamente per un atto di liberissimo Amore. Sono
semplicemente sua: la sua chiamata mi impedisce a non concedere ad alcuno un
amore di sposa, ma sarò figlia affettuosa, vivrò l'amicizia, saprò essere materna,
sarò testimone come parabola vivente della sua Parola.
Che cos'è allora
l'Eucaristia, l'incontro con Cristo nell'Eucaristia? È esattamente questo
"essere guardati da Lui, da Cristo". Diceva Giovanni Paolo II:
"Per vedere Gesù, occorre anzitutto lasciarsi guardare da Lui".
Per guardarci da
vicino, il Figlio di Dio si è fatto uomo nel mistero della sua incarnazione,
così si è lasciato guardare dai Magi.
Per continuare a
guardarci da vicino ha inventato il dono della sua presenza nel suo stesso
Corpo nel Mistero dell'Eucaristia.
Adesso lo
sappiamo: come i Magi anche noi possiamo arrivare a Lui, perché Lui stesso è
sceso fino a noi con la sua Presenza, che dona vita alla nostra vita e dà corpo
alla nostra attesa.
La Messa diventa
allora il vero appuntamento di amore con Colui che ha dato tutto se stesso per
noi. Adorare il Signore presente con il suo Corpo nell'Eucaristia è "cosa
del cuore".
Andare a Messa
non è un ennesimo dovere che si aggiunge a tanti altri, come andare a scuola,
al lavoro, ad un esame.
Non è neanche un
andare solo per far festa. Così mi confidava un giovane: "Le Messe noiose,
inamidate e ingessate non le sopporto più. La vita mi chiede già tante altre
cose serie e impegnative. Che sia possibile, almeno alla Domenica alla Messa,
fare un po' di festa con gli amici?".
È vero, la Messa
è l'invito a fare festa, ma è l'invito di chi? Dimentichiamo che la festa,
prima che un far festa tra amici, è lasciare che il Signore ci introduca alla
sua festa.
Il rischio è che
il Signore Gesù sia il grande assente delle nostre feste. Lui è la festa, il
motivo della gioia. La settimana inizia con la Domenica, che è il giorno del
Signore.
Noi oggi stiamo
perdendo il senso della Domenica, quando lo riduciamo a semplice "fine
settimana". Cristiani la Domenica, pagani durante la settimana. Non è un
caso che i giorni della settimana portano ancora il nome di divinità pagane:
Luna, Marte, Mercurio, Giove, Venere. Come vivere i giorni della settimana con
il "cuore della festa"?
Quand'ero
parroco a Legnano ero colpito dal fatto che, appena aperta la chiesa al mattino
c'era gente - giovani e meno giovani - che prima di andare a scuola
o al lavoro entravano in chiesa e, non potendo partecipare alla Messa,
sostavano in preghiera in fondo alla chiesa.
Qualcuno si
accostava al libro della Parola di Dio aperto sulle letture del giorno per
trarre qualche ispirazione, quasi "il filo rosso" che avrebbe
annodato i vari momenti e incontri della giornata.
Confesso di non
sentirmi molto partecipe quando qualcuno, dopo aver visitato per esempio il
deserto, mi viene a dire: "È meraviglioso. Lì ti senti veramente a
contatto con Dio. Lì senti il respiro di Dio".
Sarà, ma la
presenza di Dio è un'altra cosa, a meno di pensare che Dio voglia offrirsi con
particolare premura a quelli che – turisticamente parlando – possono
"farsi il deserto".
La verità è
un'altra.
Non si tratta di
cercare Dio in qualche luogo privilegiato, perché è Dio che viene a cercare
noi. Dovunque siamo.
Il deserto,
luogo di Dio, è anche nel cuore della città, è nel nostro cuore. Perciò
làsciati trovare da Lui lungo le tante occasioni disseminate nella tua
giornata.
Carlo Carretto,
che pure con i piccoli fratelli di Charles De Foucauld ha vissuto l'esperienza
del deserto, ci ha trasmesso questo meraviglioso messaggio: "Fare il
deserto nella città". Ci riusciremo?
Concludo con un racconto...
Una volta un
gruppo di scienziati europei andarono in Africa per fare delle ricerche. Poiché
dovevano inoltrarsi nella foresta per molti chilometri e non potevano andare in
macchina presero dei portatori per i loro macchinari e i loro bagagli.
Avevano delle
scadenze piuttosto rigide, quindi camminarono molto velocemente per alcuni
giorni. Il quarto mattino, al momento di partire, i portatori si rifiutarono di
muoversi. Fu tentato tutto il possibile per convincerli: promesse, minacce, ma
invano.
Passò la
giornata, la notte, e quando gli scienziati avevano perse le speranze, i
portatori si fecero trovare pronti a partire. Alla domanda: "Che cosa è
successo? Perché prima no, e ora sì?".
Risposero:
"Avete per alcuni giorni fatto correre, correre, correre i nostri corpi
così che le nostre anime sono rimaste indietro. Le abbiamo attese; ora sono
arrivate. Ora siamo veramente completi. Ora possiamo ripartire".
Dice il
proverbio che "Chi si ferma è perduto!", ma forse dobbiamo imparare a
fare un po' il contrario e dirci "Chi non si ferma mai è perduto!".
Lascio a voi ora
la parola per le domande che vorrete fare
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