Farsi «cifre»
del futuro promesso
Bruno
Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto
"Due flauti
suonano in modo diverso, ma uno stesso Spirito vi soffia dentro. Dice il primo:
'Egli è il più bello tra i figli degli uomini' (Sal 45,3); e il secondo, con
Isaia, dice: 'Lo abbiamo visto: non aveva più né bellezza, né decoro' (Is
53,2). I due flauti sono suonati da un unico Spirito: essi dunque non
discordano nel suono. Non devi rinunciare a sentirli, ma cercare di capirli.
Interroghiamo l'apostolo Paolo per sentire come ci spiega la perfetta armonia
dei due flauti. Suoni il primo: 'Il più bello tra i figli degli uomini';
'benché avesse la forma di Dio, non considerò un tesoro geloso la sua
uguaglianza con Dio' (Fil 2,6). Ecco in che cosa sorpassa in bellezza i figli
degli uomini. Suoni anche il secondo flauto: 'Lo abbiamo visto: non aveva più
né bellezza, né decoro': questo perché 'spogliò se stesso, assumendo la
condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana' (Fil
2,7). 'Egli non aveva bellezza né decoro' per dare a te bellezza e decoro.
Quale bellezza? Quale decoro? L'amore della carità, affinché tu possa correre
amando e amare correndo... Guarda a Colui dal quale sei stato fatto bello»
(Sant'Agostino, In Io. Ep., IX, 9).
È l'amore con
cui ci ha amati che trasfigura Gesù, "l'uomo dei dolori davanti a cui ci
si copre la faccia" (Is 53,3), e lo rende "il più bello dei figli
degli uomini": il Suo amore crocefisso è la bellezza che salva. Non è
difficile percepire il paradosso di questa affermazione: come può essere bello
un condannato, appeso al palo della vergogna? Non è la bellezza ordine e
armonia? Non è essa l'offrirsi del Tutto nel frammento, mediante quella
proporzione della forma capace di riprodurre nel piccolo l'armonia dell'intero
e di ripresentare nel frammento i "numeri del cielo"? Qui il
cristianesimo assume e tradisce Atene, perché - mentre aspira anch'esso
come il mondo greco classico a contemplare il Tutto nel frammento - confessa
che l'evento della bellezza si è compiuto una volta per sempre nel giardino
fuori di Gerusalemme. Sulla roccia del Calvario sta la Croce della Bellezza: il
Verbo eterno si dice in questo mondo per via dell'annientamento supremo, grazie
all'atto per il quale - in nulla costretto dall'infinitamente grande
- il Figlio si è lasciato contenere dall'infinitamente piccolo. Questo
atto è la Sua "kènosi", il Suo farsi vuoto e povero per accoglierci e
riempirci del Suo amore eterno. Veramente divino è questo contrarsi: «Non
coërceri maximo, contineri tamen a minimo, divinum est! – Non essere costretti
dal più grande, ma lasciarsi contenere dal più piccolo: questo è divino!»
(Elogium sepulcrale S. Ignatii)! Nell'"abbreviarsi" del Verbo nella
carne il Tutto dimora nel frammento, l'Infinito irrompe nel finito, non
nell'armonia della forma, ma nell'abbandono reso possibile dall'amore: il Dio
Crocifisso – rivelazione dell'infinita carità - è la forma e lo splendore
dell'eternità nel tempo. Sulla Croce ci è rivelata e donata la bellezza che
salva!
È questa la bellezza che i Magi riconobbero nell'umiltà della grotta e che rapi
il loro cuore, aprendolo allo stupore dell'adorazione: "Videro il bambino
con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono" (Mt 2,11). L'Eterno è
venuto ad abitare nel tempo, l'Infinito si è offerto in Colui che la Madre
stringe al suo petto e che i Magi adorano con meraviglia commossa,
riconoscendovi la meta del loro cammino, il luogo segnalato dalla stella. È in
quel Bambino che abita la verità; è Lui la bellezza che salva, il senso della
vita, la chiave della storia. Come non separarsi mai più da Lui? È questa la
domanda che nasce nel cuore dei cercatori della verità, che hanno finalmente
raggiunto l'approdo del loro cammino di pellegrini nella notte. Ed è Lui, il Verbo
venuto nella carne, il Figlio fatto uomo per amore nostro, a darci la risposta:
"Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine" (Gv
13,1). "Mentre mangiavano, Gesù prese il pane e, pronunziata la
benedizione, lo spezzò e lo diede ai discepoli dicendo: *Prendete e mangiate:
questo è il mio corpo+. Poi prese il calice e, dopo aver reso grazie, lo diede
loro, dicendo: *Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell'alleanza,
versato per molti, in remissione dei peccati+" (Mt 26,26-28). Nel
memoriale della Pasqua, consegnato ai suoi nell'Ultima Cena, è Lui ad offrirsi,
il "bel Pastore" che dà la vita per le sue pecore (Gv 10,11).
Nell'eucaristia è la bellezza che salva a raggiungerci, perché nel frammento
dei segni viene a rendersi presente in persona Colui che è l'infinito Amore:
questo evento di grazia e di bellezza, che colma il cuore di adorazione e di
stupore, si compie nel triplice segno del memoriale sacrificale, del convito
pasquale e dell'anticipazione della festa del Regno.
1. L'eucaristia
"memoriale pasquale"e il primato della dimensione contemplativa della
vita. In obbedienza al comando del Signore, nell'eucaristia la Chiesa fa
"memoria" di Lui (cf. Lc 22,19 e 1 Cor 11,24s): in senso biblico il
"memoriale" non è il semplice ricordo di un evento passato
paragonabile alla categoria occidentale di "memoria", che connota un
movimento puramente ideale dal presente al passato per una sorta di dilatazione
della mente ("extensio animi ad praeterita"): i termini ebraici
"zikkaron, azkarah", che il greco traduce con "anàmnesis,
mnemòsunon", indicano il movimento contrario, in quanto esprimono il farsi
contemporaneo dell'evento salvifico passato per l'azione della potenza divina
attualizzatrice: il "già" della storia della salvezza si ripresenta
nell'oggi del popolo di Dio pellegrino nel tempo. Quest'azione della potenza
divina è opera dello Spirito Santo, la "memoria potente" di Dio, che
attualizza nella storia la Pasqua riconciliatrice del Signore: "Il
Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli
v'insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto" (Gv
14,26). In tal senso, il memoriale che la Chiesa celebra nell'eucaristia è
ripresentazione dell'evento trinitario della nostra salvezza: invocando il Padre
perché mandi lo Spirito sui doni del pane e del vino e renda presente in essi
il Cristo nella sua passione e resurrezione (epiclesi e memoriale della Pasqua
del Signore), la Chiesa sa di venire edificata in "un solo corpo e un solo
spirito" (seconda invocazione o epiclesi dello Spirito). Il
"memoriale"dell'antica alleanza (cf. Es12,14 e Lv 2,2) cede il posto
al "memoriale" della nuova ed eterna alleanza: nell'eucaristia la
Chiesa celebra la memoria potente dell'iniziativa divina che l'ha voluta nel
tempo come segno e strumento di unità per tutto il genere umano. L'eucaristia
si configura perciò come la parabola dell'intera storia della salvezza che
giunge al suo compimento nel dono perfetto mediante cui il Tutto divino si
offre nel frammento del tempo e la bellezza eterna si "abbrevia" per
donarsi agli uomini. Celebrare il memoriale eucaristico significa allora
accogliere il Signore Gesù come la sorgente della bellezza di tutta la vita,
nostra e altrui, nel tempo e per l'eternità: questo si realizzerà in pienezza
se il memoriale sarà vissuto coltivando la dimensione contemplativa della vita,
e dunque in spirito di azione di grazie e di adorazione, riconoscendo
nell'eucaristia la fonte del discernimento spirituale e del servizio.
a) Nella celebrazione del memoriale eucaristico ciò che si richiede anzitutto è
lo spirito di azione di grazie e di adorazione: il primato non è del fare, ma
del ricevere. Lo stesso presidente della celebrazione, il ministro ordinato che
ha in essa il ruolo che ebbe Gesù durante l'Ultima Cena, è chiamato a porsi
nell'attitudine di chi invoca e accoglie il dono di Dio attraverso l'azione di
grazie e la profondità contemplativa della vita. "Presiedere" è
soprattutto ''ricevere": prima che un agire, la presidenza eucaristica è
un lasciarsi agire, un accettare di essere gestiti dall'Altro, il Signore della
vita e della storia. Come il Figlio è l'eterno Amato, così colui che agisce
"in persona Christi" e l'intera comunità celebrante sono anzitutto
gli amati, chiamati ad accogliere il dono. Per corrispondere a questa
condizione essi devono farsi silenzio, ascolto e gratitudine, lasciandosi
raggiungere ed abitare dalla bellezza dell'Amore crocifisso e risorto che è
offerto a loro e tramite loro al mondo. In forza del sacerdozio comune, esercitato
nella celebrazione dell'eucaristia, ogni battezzato è chiamato a vivere il
primato della dimensione contemplativa della vita dinanzi al dono di Dio: si
radica qui la vocazione di ogni cristiano ad essere uomo di preghiera, esperto
nell'ascolto e nell'accoglienza dei doni dello Spirito, "uomo
eucaristico" nella totalità del suo essere e del suo agire, testimone
vivente dell'infinita bellezza di Dio, da accogliere, adorare e irradiare con
la parola e con la vita. Preparata e seguita dall'adorazione, l'eucaristia
diviene veramente la scuola del grazie e della lode.
b) Dalla celebrazione del memoriale, in cui il divino viene ad abitare fra noi,
il battezzato impara a discernere e valorizzare il dono dall'alto che si fa
presente nei segni del tempo ed a corrispondervi sempre più nella fragilità
della sua condizione umana. Il memoriale dell'eucaristia è in tal senso scuola
del discernimento dei segni di Dio, fonte di luce e di grazia per il
discernimento spirituale. A questa scuola, il discepolo può divenire sempre più
esperto delle cose dell'alto, ricco di quella sapienza spirituale, che lo rende
atto a cogliere nella complessità del cuore dell'uomo e della storia le
impronte della divina presenza e le sorprendenti meraviglie della bellezza
dell'Altissimo, spesso nascoste nel segno del contrario ("sub contraria
specie"). Quest'attitudine al discernimento - nutrita di adorazione
profonda e perseverante del Mistero - dispone l'esistenza redenta a lasciarsi
sempre più configurare al Signore Gesù, Bellezza che salva e Verità che
illumina e trasforma.
c) Infine, alla scuola del memoriale eucaristico il cristiano impara a vivere
la vita come servizio, esperienza di carità continuamente ricevuta e donata.
"Esistenza accolta" nel riconoscimento del dono di Dio, il sacerdozio
battesimale è "esistenza donata" nell'offerta gratuita e irradiante
di questo dono agli altri: la celebrazione dell'eucaristia costituisce il
discepolo nella stessa condizione di servizio in cui si è posto il Signore
nell'Ultima Cena. I richiami biblici sottesi ai racconti dell'istituzione
dell'eucaristia concordano nel delineare la figura di Gesù come quella del
Servo. I Carmi del Servo sofferente del Deutero-Isaia lasciano intravedere la
conclusione di un alleanza (cf. Is 42,6; 49,8) nuova (cf. 42,9), che si farà
nella persona stessa del Servo (cf. 42,6; 49,8), e, mentre evocano l'immagine
sacrificale dell'agnello (cf. 53,7), insegnano anche l'espiazione dei peccati
mediante la sostituzione di una vittima innocente (cf. 53,10-12), offerta per
tutti (tale è il senso del "perì (ypèr) pollòn" = "per
molti", che figura in Mt 26,28 e Mc 14,24). Le influenze della figura del
Servo sofferente sul quadro dell'Ultima Cena sono dunque evidenti: esse vengono
peraltro confermate dall'evangelista Luca, che riferisce nel contesto della
Cena i due detti sul servizio di coloro che hanno autorità (Lc 22,24-27), e da
Giovanni, che vede nella lavanda dei piedi l'espressione perfetta del senso
interiore dell'eucaristia (cf. Gv 13,1-20). Il legame fra il Servo e la Cena non
è dunque accidentale, ma fa parte del senso stesso del memoriale eucaristico.
La Chiesa, che da questo memoriale è generata ed espressa, deve comunicare alla
sorte del Servo, diventando essa stessa serva: mangiando il corpo donato deve
diventare, per la forza che esso le comunica, corpo ecclesiale donato, corpo
per gli altri, corpo offerto per le moltitudini.
A partire dalla celebrazione del memoriale eucaristico la condizione del
cristiano appare allora veramente caratterizzata dalla vocazione al servizio e
al dono di sé fino alla fine, in cui si attualizza la bellezza
dell'"agape" crocifissa del Pastore bello, che dona la vita per le
sue pecore. Celebrare la Cena del Signore vuol dire imparare a servire e ad
impegnare la propria esistenza perché lo spirito di dono e di servizio cresca
in tutta la comunità ecclesiale, irradiando con la carità vissuta la bellezza
del Cristo. Questo servizio, modellato sul sacrificio della Croce, di cui
l'eucaristia è ripresentazione sacramentale, e alimentato dall'adorazione
prolungata Gesù del Mistero, fa dell'esistenza redenta un'autentica
"pro-esistenza", un esistere per gli altri, totalmente ricevendosi da
Dio e totalmente offrendosi, nella configurazione all'unico e perfetto
riceversi dal Padre e donarsi agli uomini, che è il sacrificio pasquale del
Figlio. La ripresentazione sacramentale del sacrificio non può non estendersi,
insomma, dalla celebrazione alla totalità dell'esistenza di chi offre il
sacrificio offrendosi in sacrificio: la bellezza che salva si fa eloquente
specialmente nel dono della vita quotidianamente offerta per amore...
2.
L'eucaristia "convito sacrificale" e la "comunione dei
santi". Il memoriale eucaristico è indissolubilmente congiunto al
banchetto, sin dall'atto della sua istituzione da parte del Signore Gesù. La
Chiesa nascente testimonia di aver percepito chiaramente questa inseparabile
unità: "Ogni volta che mangiate di questo pane e bevete di questo calice,
voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga" (1 Cor 11,26). Già
sul piano dei segni il pane della Cena è il pane della fraternità, come il
calice di vino esprime la condivisione di sorte: nella tradizione giudaica la
comunità conviviale è comunione di vita e il calice è l'immagine della sorte
dolorosa di un uomo. La frazione del pane su cui si è pronunciata la
benedizione, con la distribuzione di un pezzetto a ciascuno, e la
partecipazione allo stesso calice di vino benedetto sono segno di una profonda
solidarietà nella comunanza di vita e di destino. Gesù lega così esplicitamente
l'istituzione dell'eucaristia al banchetto della fraternità: Egli non sceglie
come segno del suo dono sacrificale un pane e un vino qualunque, ma il pane e
il calice della condivisione fraterna. Il memoriale pasquale risulta ecclesiale
nel suo stesso segno e per suo mezzo. Ne consegue che la celebrazione della
memoria del Signore esige e fonda la comunione dei convitati a Cristo e fra di
loro: la comunione ai santi doni ("communio sanctorum" nel senso del
genitivo plurale neutro) produce la comunione dei santi ("communio
sanctorum" nel senso del genitivo plurale personale). L'esistenza redenta
è nella comunione e per la comunione, esistenza ecclesiale nella sua stessa
vocazione e missione. Alla scuola del banchetto eucaristico impariamo ad essere
e a volerci Chiesa, ad amare la Chiesa e a servirla come primizia del Regno di
Dio che viene.
a) La radice profonda della comunione generata dal banchetto eucaristico sta
nell'unione che esso comporta a Cristo, Capo del Corpo ecclesiale: chi è unito
al Capo, è unito in Lui alle membra. La "relazione di origine", che
radica il sacerdozio battesimale nel mistero dell'unico e sommo Sacerdote della
nuova alleanza, Capo del Corpo che è la Chiesa, fonda al tempo stesso la
"relazione di comunione" del discepolo nei confronti dell'intero
popolo di Dio, e la "relazione di missione", rivolta alla Chiesa e al
mondo. In Cristo, cui è sacramentalmente unito, il discepolo è uno con tutti
coloro che come lui hanno ricevuto la grazia della vita dall'alto, uno nel
servizio con l'intero corpo ecclesiale del Signore. Quanto più egli tradurrà
sul piano esistenziale il suo rapporto a Cristo, alimentandolo con uno spirito
di adorazione costante, tanto più esprimerà nella vita la sua comunione col
Vescovo e con la Chiesa intera e ne testimonierà la bellezza. Il cristiano è
unito a Dio in Cristo per essere in comunione con tutti! Alla scuola
dell'eucaristia – banchetto di vita eterna – il discepolo impara a fare sempre
più di Cristo la sorgente della sua stessa vita, la forza di bellezza e di
pace, che lo unisce agli altri nell'amore.
b) La relazione di comunione è radicata in quella di origine e si esprime
anzitutto nel rapporto col Vescovo, con la Chiesa locale e con la
"Catholica" tutta intera, presieduta e significata dal Vescovo della Chiesa
che presiede nell'amore, il Vescovo di Roma. Questa comunione, proprio perché
nutrita dalla comune partecipazione al mistero del Signore, trova nella
celebrazione liturgica la sua più alta manifestazione. Anche qui la
corrispondenza fra l'esistenza e il mistero celebrato esige in ogni cristiano
un atteggiamento di umiltà, di docilità, di accoglienza, che traduca la
comunione effettiva coi Pastori in comunione affettiva, e quindi in reale
corresponsabilità e collaborazione pastorale: questa comunione - per quanto
possa essere a volte sofferta - è il segno della bellezza di Dio che unisce i
cuori di quanti ne hanno fatto profonda esperienza. Perché essa sia
effettivamente vissuta, è necessario che vengano pronunciati con la vita tre
"no" e tre "sì", radicati proprio nella partecipazione al
banchetto eucaristico.
Il primo "no" è al disimpegno, cui nessuno ha diritto, perché ognuno
è dotato di doni da vivere nel servizio, a partire proprio dalla comunione
eucaristica con Cristo e con la Chiesa: a questo "no" deve
corrispondere il "sì" alla corresponsabilità, per cui ognuno si
faccia carico per la propria parte del bene comune da realizzare secondo il
disegno di Dio. Il secondo "no" è alla divisione, che parimenti
nessuno può sentirsi autorizzato a produrre, perché i carismi vengono
dall'unico Signore e sono orientati alla costruzione dell'unico Corpo, che è la
Chiesa (cf. 1Cor 12,4-7), come mostra la comunione all'unico pane e all'unico
calice: il "sì" che corrisponde a questo "no" è quello al
dialogo fraterno, rispettoso della diversità e volto alla costante ricerca
della volontà del Signore. Il terzo "no" è alla stasi e alla
nostalgia del passato, cui nessuno può acconsentire, perché lo Spirito invocato
e donato nell'eucaristia è sempre vivo ed operante nello svolgersi dei tempi:
ad esso deve corrispondere il "sì" alla continua, necessaria
purificazione e riforma, per la quale ognuno possa corrispondere sempre più
fedelmente alla chiamata di Dio, e la Chiesa tutta possa celebrarne pienamente
la gloria. Attraverso questo triplice "no" e questo triplice
"sì", in maniera dunque dinamica e mai del tutto compiuta, la Chiesa
si presenta come icona viva della comunione trinitaria, partecipazione nel
tempo allo splendore della vita divina, "icona della Trinità". Lo
spirito di adorazione – che prepara e prolunga la celebrazione eucaristica –
nutrirà la capacità di dire con la vita i tre "no" e i tre
"sì", e dunque di far crescere nel tempo la comunione, di cui la Cena
del Signore è al tempo stesso espressione e sorgente.
c) Radicato nel mistero di Cristo, in comunione con i Pastori e con tutto il
popolo di Dio, il cristiano è chiamato a vivere la sua missione nei confronti
di tutti coloro cui il Signore lo manda: anche qui la celebrazione eucaristica
visibilizza e fonda al tempo stesso il compito proprio del discepolo. L'unità
del mistero proclamato, celebrato e vissuto esige da tutti i cristiani
l'impegno per l'unità del Corpo di Cristo al servizio dell'unità di tutta la
famiglia umana. L'impegno ecumenico appare in questa luce un frutto proprio e
decisivo del banchetto eucaristico: non celebra degnamente la Cena del Signore
chi non tende con tutte le sue forze a superare le divisioni che lacerano il
Suo Corpo ecclesiale. Nell'eucaristia, così, non solo è data la massima
attuazione del ministero profetico e di quello liturgico della vocazione
battesimale, ma è anche manifestata e per certi aspetti fondata la
responsabilità pastorale e missionaria del cristiano: il sacerdozio
battesimale, strettamente compreso nel suo costitutivo e specifico rapporto con
il convito eucaristico, è tutt'altro che esclusivamente cultuale. Esso
abbraccia la totalità del mistero proclamato, celebrato e vissuto, nel ruolo
proprio e specifico connesso ai carismi ricevuti da ciascuno, fondati nella
diversa configurazione al Cristo, il "bel Pastore", sorgente
dell'unità delle membra della Chiesa, Suo Corpo. Con il suo impegno
missionario, generato dal banchetto eucaristico e dall'adorazione che lo
prepara e lo prolunga, il cristiano mostra al mondo che il Cristo che annuncia
e fa presente non è solo vero e giusto, ma anche bello e capace di dare
bellezza alla vita di ciascuno e di unire tutti nella bellezza di Dio.
3. L'eucaristia
"pegno della gloria futura" e il perenne rinnovamento dell'esistenza
redenta. Nell'ultima Cena Gesù dichiara che non berrà più del frutto della vite
fino al giorno in cui lo berrà nuovo con i suoi nel Regno del Padre suo (cf. Mt
26,29; Mc 14,25; Lc 22,18). Mangiando il pane e bevendo al calice
dell'eucaristia i credenti annunzieranno la morte del Signore fino al Suo
ritorno (cf. 1 Cor 11,26). Il banchetto della nuova Pasqua rimanda dunque a un
altro banchetto, quello definitivo del Regno, di cui è anticipazione e promessa
e verso il quale fa lievitare la storia. Il memoriale, che Cristo confida ai
suoi, è eucaristia di speranza, apertura al futuro della promessa di Dio:
nell'evento eucaristico il "già" dell'amore rivelato e donato è
presente in pienezza per far crescere i credenti verso il "non
ancora" dell'amore promesso. Nell'evento eucaristico, anzi, il "non
ancora" della gloria diventa sempre più il "già" della storia:
l'eucaristia è perciò veramente il sacramento della speranza ecclesiale,
convito pasquale, "nel quale si riceve Cristo, l'anima viene ricolma di
grazia e ci è dato il pegno della gloria futura" (Concilio Vaticano II,
Costituzione Sacrosanctum Concilium, 47) Al tempo stesso, mentre fa presente il
Cristo glorioso e fa crescere la Chiesa verso il "non ancora" della
promessa, l'eucaristia porta i segni del "frattempo": il sacramento è
destinato a scomparire nella pienezza della Gloria, il frammento che nasconde a
cedere il posto alla manifestazione del Tutto, quando quel che qui celebriamo
sotto i veli dei segni, sarà finalmente manifesto. Proprio così l'eucaristia è
il sacramento della speranza del mondo, la promessa e l'anticipazione della
bellezza senza tramonto! Di qui tre conseguenze decisive per la vita e la
missione del discepolo di Gesù.
a) In quanto il banchetto eucaristico fa lievitare il "già" verso il
"non ancora", esso comporta in chi lo celebra l'esigenza di una
continua purificazione e di un incessante rinnovamento: il continuo nutrirsi
del "pane dei pellegrini" stimola il battezzato a vivere in costante
riforma, a non fermarsi mai nella seduzione del compimento e del possesso. E
quanto egli vive in prima persona è chiamato a testimoniarlo a tutti i
pellegrini di Dio: la celebrazione dell'eucaristia fa del cristiano - nello
specifico della vocazione ricevuta - il testimone della perenne conversione e
riforma della comunità ecclesiale, la "cifra" del futuro promesso,
che richiede di essere perseguito con incessante cammino. Il discepolo non
dovrà temere di farsi voce scomoda e inquietante, sentinella dell'avvenire di
Dio, che l'eucaristia anticipa ed annuncia, e che turba ogni falsa sicurezza ed
ogni presunzione tranquillizzante: la partecipazione al pane del cielo e
l'adorazione di esso spinge il credente a relativizzare ogni compimento,
misurandolo sull'ultimo e definitivo compimento, di cui il banchetto pasquale è
insieme annuncio ed anticipazione, e perciò a riconoscere nella povertà la
condizione propria dei pellegrini di Dio. La nostalgia della bellezza ultima,
rivelata e promessa in Gesù, dovrà bruciare sempre nel cuore dei credenti come
riserva critica nei confronti di ogni meta raggiunta nel cammino della fede
personale ed ecclesiale!
b) Questa stessa esperienza eucaristica del "già" e del "non
ancora" induce il discepolo a relativizzare ogni presunto assoluto
mondano: l'eucaristia è, in tal senso, la denuncia critica di ogni miopia che
ponga il "penultimo" al posto che solo all'"ultimo"
compete. Celebrare autenticamente la Cena del Signore esige in tal senso un
ruolo di vigilanza critica del cristiano nei confronti di tutte le grandezze
mondane con le quali il popolo di Dio viene a contatto nella sua vicenda
storica: ogni identificazione mondana del Regno va smascherata nella sua
debolezza; ogni manipolazione della speranza più grande va denunciata e
superata. Se non si facesse coscienza critica della storia di cui è parte in
nome della meta ultima, che l'eucaristia anticipa e segnala, il discepolo non
darebbe testimonianza della signoria di Dio sulla storia e la bellezza che
annuncia e di cui vive sarebbe confusa con un'evasione consolatoria o un
compromesso a buon mercato. Per la medesima ragione la denuncia si deve
congiungere all'annuncio: Colui che ha vinto il mondo, e che nell'eucaristia si
fa realmente presente nella Sua Chiesa, è il Totalmente Altro, fattosi
totalmente dentro al frammento e vicino alla storia dell'uomo per trasformarla
e condurla alla patria del Dio "tutto in tutti" (1 Cor 15,28).
Celebrare l'eucaristia ed adorarla significa perciò per ogni battezzato non
chiamarsi fuori dalla complessità delle situazioni storiche, ma in esse e per
esse annunciare credibilmente la bellezza del Regno e orientare ad essa il
cammino del popolo di Dio.
c) È questa testimonianza della bellezza, che non delude, che viene infine a
caratterizzare il discepolo nel suo nutrirsi dell'eucaristia, pane dei
pellegrini: in quanto "viatico", cibo che nutre la fatica del
cammino, il banchetto eucaristico sostiene l'esodo del tempo presente e lo
illumina della promessa di Dio. In esso il "non ancora" si fa
presente, sia pure se sotto i segni sacramentali: è questa "caparra"
veramente presente e nascosta, che il cristiano deve adorare, accogliere e
annunciare con la sua vita. "Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori,
pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è
in voi… con dolcezza e rispetto" (1 Pt 3,15). Il discepolo realizzerà
questo programma quanto più configurerà la sua vita al mistero che celebra
nell'eucaristia: il pane dei pellegrini infonde nel discepolo, che se ne nutre
e lo adora, la carità che lo fa immagine del Bel Pastore e lo rende testimone
credibile della speranza che in Lui, il Risorto dai morti, ci è stata
manifestata e donata. La santità del battezzato, nutrita dall'eucaristia
celebrata e adorata e vissuta nell'amore a Cristo e al prossimo, è la forma più
alta ed irradiante del suo annuncio delle cose venienti e nuove, anticipate e
promesse nel memoriale pasquale del Signore. Così anche nella vita del
cristiano i due flauti della bellezza suoneranno insieme: ed egli, condotto
dall'unico Spirito che soffia in essi, potrà veramente "correre amando e
amare correndo"...
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