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Catechesi proposta dai vescovi ai giovani italiani riuniti a Colonia

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  • Incontrare Cristo nell'Eucaristia (19 agosto 2005)
    • Con i Magi nella «casa del pane»
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Con i Magi nella «casa del pane»

Mario Russotto, vescovo di Caltanissetta

 

Carissimi Giovani,
"siamo venuti per adorarlo" è il tema di questa GMG a Colonia e tutti noi, sull'esempio dei Magi, abbiamo intrapreso un lungo e non facile viaggio per seguire la stella. E così anche noi ora siamo «entrati nella casa» per vedere «il Bambino con Maria sua Madre» e poter incontrare Cristo nella povertà e nella debolezza della potente e trasfigurante forza dell'Eucaristia.


1. Il coraggio di cercare
La nascita di questo Bambino mette in movimento tutta la storia, provoca le coscienze dei vicini e dei lontani, genera profonde inquietudini nel cuore di Erode e dei sacerdoti di Gerusalemme, mentre fa germogliare una gioia incredibile nel cuore dei Magi.

Diversamente da quanto riportato dal folklore della tradizione, i Magi non sono tre e non sono re. Matteo parla di alcuni Magi, cioè di alcuni sapienti venuti dall'oriente, e l'evangelista li descrive con un modo di essere e di agire in forte contrasto con quello dei sacerdoti e degli scribi ebrei; come in netto contrasto fra loro risultano Gerusalemme e Betlemme.

I Magi venivano considerati dei pagani, oggi potremmo definirli "lontani", non solo geograficamente ma anche dal punto di vista ecclesiale. E' gente "di fuori"; sono degli intellettuali e degli scienziati in cerca di Dio, ma non sanno nulla di religione - almeno nel senso tradizionale del termine -, non conoscono nemmeno la Bibbia. Confidando nelle proprie conoscenze e nel "segno" della stella si mettono in viaggio, mostrandosi umili nel coraggio di interrogare.

I Magi sono uomini in ricerca, ma anche portatori di un messaggio che in tutta Gerusalemme sprigiona una reazione a catena: il loro annunzio fa sì che tutti si sentano in ricerca. Tutti, infatti, vogliono sapere dove deve nascere il Messia e tutti si dimostrano competenti nella ricerca. Erode sa che deve consultare i maestri di Israele e questi sanno che debbono consultare le Scritture. La risposta alla ricerca di tutti, ebrei e non ebrei, è nella parola di Dio racchiusa nei libri santi. Non si può veramente conoscere Gesù se non attraverso lo studio e il confronto vivo con le Sacre Scritture e la ricerca dei "segni" nel creato.
Tuttavia, non basta la conoscenza, occorre mettere in marcia la vita in obbedienza a quella parola di Dio.


2. In cattedra i non credenti
I sacerdoti e gli intellettuali di Gerusalemme non fanno una bella figura in questo racconto: sanno tanto di Dio ma non l'hanno mai incontrato; lo incontreranno tante volte ma non sapranno riconoscerlo; conoscono a memoria la Bibbia, ma non sanno andare al di dei loro interessi; e quando Dio in Gesù si manifesterà loro con la potenza di opere e parole, lo faranno inchiodare al legno della croce pensando di aver messo finalmente in pace la loro coscienza.

Consultando le Scritture, i sacerdoti e gli intellettuali ebrei trovano una risposta chiara: se il Messia è davvero nato deve trovarsi a Betlemme. I maestri di Israele lo dicono ad Erode e il re lo dice ai Magi. Ora tutti sanno la verità, ma sulla via di Betlemme i Magi si trovano soli. Solo loro raggiungono la meta perché la stella riappare e li conduce fino a Gesù. La loro lunga ricerca è finita, la gioia è immensa: hanno trovato Gesù, il Messia, e lo riconoscono come "il Re" offrendogli i loro doni.

Ma sono soli, Israele non si è unito alla loro gioia. L'evangelista Matteo ci fa capire così che se vogliamo essere popolo messianico, dobbiamo unirci a tutti coloro che cercano Dio e sanno riconoscerne i segni anche nel creato, cioè nella dimensione più squisitamente umana della storia. La fede non è un possesso esclusivo dei cristiani "praticanti", ma un dono universale, un dono da riconoscere e condividere senza privilegi!


3. Grande perché piccolo
L'altro contrasto, a cui prima accennavo, è fra Betlemme e Gerusalemme. Matteo ci tiene a precisare in apertura del racconto che «Gesù nacque a Betlemme di Giudea». Sottolinea poi che i Magi dal lontano oriente «giunsero a Gerusalemme». Ma non è questa la loro meta.

Gerusalemme alla notizia portata dai Magi «restò turbata», non solo perché si diceva che era nato il re dei Giudei, ma anche perché questo Re-Messia nasce fuori Gerusalemme, nel villaggio natale di Davide. Gesù nasce non nella davidica capitale del regno, ma nella piccola borgata di Davide pastore. Per questo Matteo riporta un testo profetico di Michea (5,1) adattandolo al suo scopo teologico. Il testo di Michea recitava: «E tu, Betlemme di Efrata, sei troppo piccola per essere annoverata tra le città di Giuda». Matteo invece scrive: «E tu, Betlemme di Giudea, non sei più la più piccola città di Giuda, perché da te uscirà un pastore...».
Betlemme unisce la povertà di Davide e la povertà di Gesù; è la città del pastore Davide e in essa nasce il vero definitivo Pastore d'Israele. Con Gesù inizia una nuova storia, la precedente è ormai finita, chiusa!


4. «Il bambino con Maria, sua madre»
Quando i Magi giungono a Betlemme, «videro il Bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono» (Mt 2,11). La famiglia di Nazareth era formata da tre persone: Giuseppe, Maria e Gesù. Ma nella casa di Betlemme, l'evangelista ne presenta solo due: Gesù e Maria. I Magi poi adorano solo una persona: Gesù. Infatti, l'omaggio degli uomini venuti dall'oriente è reso solo al Bambino.

E tuttavia «videro il Bambino con Maria sua madre»: accanto al Bambino-Re c'è la Regina-Madre. L'immagine è bellissima e le prime generazioni cristiane ne hanno sentito tutta la forza e l'hanno immortalata negli affreschi catacombali e poi nella scultura: Maria seduta in trono con in braccio il Re-Bambino. Chi onora il Figlio rende felice la Madre! Cristologia e mariologia si concentrano in una sola immagine.

«Videro il Bambino con Maria sua madre». Così ha scritto il grande Papa Giovanni Paolo II nel suo messaggio ai Giovani per questa GMG: «Niente di straordinario a prima vista. Eppure quel Bambino è diverso dagli altri: è l'unigenito Figlio di Dio che si è spogliato della sua gloria ed è venuto sulla terra per morire in Croce. E' sceso tra noi e si è fatto povero per rivelarci la gloria divina, che contempleremo pienamente in Cielo, nostra patria beata. Chi avrebbe potuto inventare un segno d'amore più grande? Restiamo estasiati dinanzi al mistero di un Dio che si abbassa per assumere la nostra condizione umana sino ad immolarsi per noi sulla Croce. Nella sua povertà, è venuto ad offrire la salvezza ai peccatori Colui che – come ci ricorda San Paolo – "da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà" (2Cor 8,9)».


5. La forza della debolezza
Dio si è per ben tre volte "abbreviato" per essere ascoltato da noi, per essere il Dio con noi, per essere il Dio in noi. Egli è la Parola eterna, e si è abbreviato nelle parole degli uomini a noi consegnate nella sacra Scritture. Egli è il Creatore, Colui per mezzo del quale tutto è stato fatto, e si è abbreviato nel grembo di una creatura: Maria. Egli è Colui che tutti e tutto contiene in Sé e si è abbreviato nell'Eucaristia per poter rimanere in noi trasfigurandoci in Lui. E così l'Infinito si fa finito, l'Eterno entra nel tempo, l'Onnipotente si fa debole nel volto fragile di un Bambino.
Secondo il racconto dell'evangelista Luca, Gesù è il Dio infante, fasciato e deposto nella mangiatoia. Dio-Parola si fa Bambino infante, cioè senza parola: ha bisogno della parola degli angeli, dei pastori e dei Magi per annunciarsi. Dio si svela non nei segni strepitosi ed eclatanti ma, soprattutto, nella debolezza di una Parola muta, nella forza del silenzio. Il Dio della libertà si lascia fasciare, il Dio Creatore che ha posto l'uomo nel giardino della vita, si lascia deporre in una mangiatoia e poi, da Giuseppe d'Arimatea, si lascia avvolgere in un lenzuolo e deporre nella tomba della morte.

Gesù nasce per morire, e muore per dare la vita, che il Padre gli restituirà nella resurrezione. Dio sceglie la morte come prova estrema della sua solidarietà con gli uomini, si abbassa quasi ad un livello subumano, in una "kenosi" di debolezza che lo rende più povero dei poveri.

Voi, giovani, siete oggi i "senza voce" in un mondo dominato dai grandi imperatori della politica e dai mentecatti venditori di illusioni; il mondo cerca di "fasciarvi" comprimendovi nelle mode di un business che non vuole liberare la vostra libertà; vi si cerca di "deporre" nei sepolcri della morte buoni solo ad essere imbalsamati in clichè già confezionati dai "grandi" di questo mondo, che si credono i destinatori dei popoli e della storia. Miei carissimi Giovani, fate sentire la vostra voce, non permettete ad alcuno di fasciare la vostra libertà e deporre i vostri sogni nella tomba del non senso. Cari Giovani, voi che sperimentate la piccolezza, la fragilità e la debolezza, sappiate che in questa piccolezza è la vostra grandezza, nella debolezza è la vostra forza e nei vostri sogni sta il futuro dell'umanità.

La vostra forza viene anche dalla capacità di mettervi in marcia e in ricerca, come i Magi, per andare fino a Betlemme, camminando insieme come popolo di giovani, con la forza che viene dalla vostra giovinezza e con la potenza che scaturisce dalla vostra capacità di sognare ancora. Facilmente portati ad esperire la fragilità e la debolezza, a volte trovate difficoltà a trasformare queste ineludibili dimensioni della vita in forza propulsiva, in "talento" non da sotterrare ma da spendere e far fruttificare. Ma sappiate che Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti; Dio ha scelto di svelare la sua grandezza nella fragilità e nella debolezza del suo farsi Bambino.

La debolezza è diventata il volto di Dio; non si può entrare in relazione con Cristo se non facendo i conti realmente con essa; se il Signore ha assunto su di sé ogni debolezza, è per dare dignità ad essa e per additare ad ogni discepolo la strada lungo la quale lui cammina. È proprio la debolezza di Dio ciò che abbiamo più di ogni altra cosa estromesso dal nostro pensare cristiano; un Dio debole ci è troppo vicino, e ci mette in difficoltà.
La Croce, vertice della debolezza di Dio, è assunta più come motivo di consolazione che come chiave di interpretazione della vita, come norma e criterio per riorganizzare dentro la nostra coscienza le cose che valgono. Ma con questo stile di "debolezza" Dio si è fatto contemporaneo ad ogni uomo, si è lasciato coinvolgere ma non travolgere dalle questioni del suo tempo. Sulla Croce Gesù testimonia il volto di un Dio fattosi debole, vulnerabile, sottoposto fino in fondo alla libertà dell'uomo, di un Dio che ama e si dona nella pura gratuità. Gesù muore sulla Croce, pienamente fratello e amante dell'uomo. E allora, miei cari Giovani, anche noi quest'oggi vogliamo gridare con Paul Claudel: «Questa mano che il carnefice torce è la destra dell'Onnipotente. Si è legato l'Agnello per i piedi, si configge l'Onnipresente... Io non ho altro da cercare in cielo con l'eretico e il folle. A me basta questo Dio che sta tra quattro chiodi».

Solo se siamo consapevoli di questa nostra comune e radicata "debolezza", possiamo comprendere i nostri fratelli e maturare in noi l'umiltà necessaria per entrare nella relazione con gli uomini e, ancor più, con Dio. Ognuno di noi può essere un atomo disgregato dagli altri ma, se ci mettiamo insieme guidati dalla stella della Parola di Dio e nutriti dal Pane di Vita, saremo un vulcano capace di far esplodere una forza ineguagliabile di pace e di una nuova civiltà dell'Amore.


6. Con i Magi nella "casa del pane"
«Videro il Bambino con Maria sua madre»: quel Bambino oggi è il corpo che noi stiamo diventando e che Egli ci di diventare; quel Bambino è il corpo di Cristo Gesù già nato e sempre in via di nascere. E la sola maniera di avere accesso a questo Mistero è accettare di esservi inclusi, incorporati. Guardando questo Bambino, consegnato per il nostro compimento e la nostra gioia, noi contempliamo l'Amore che si consegna per liberarci e riceviamo, nel suo svelamento, l'infinito Mistero di Dio che nella debolezza svela tutta la potenza del suo Amore per noi.

I Magi incontrano Gesù a Betlemme, che in ebraico significa "casa del pane". Così ci scrive Giovanni Paolo II nel suo messaggio: «Nell'umile grotta di Betlemme giace, su un po' di paglia, il "chicco di grano" che morendo porterà "molto frutto"… Nella stalla di Betlemme si lasciò adorare, sotto le povere apparenze di un neonato…; nell'Ostia consacrata lo adoriamo sacramentalmente presente in corpo, sangue, anima e divinità, e a noi si offre come cibo di vita eterna».

La "mensa del pane eucaristico" è il compimento delle riunioni conviviali a cui Gesù ha preso parte durante il suo ministero di evangelizzazione, insieme a giusti e ingiusti, peccatori e innocenti. E , a tavola, Gesù andava manifestando l'amore e la misericordia, il perdono dei peccati e la guarigione delle malattie.

La prima cena riportata dai vangeli, infatti, è quella di Gesù con i pubblicani e i peccatori (Lc 5,27), come a dirci che noi veniamo invitati alla cena dell'amore così come siamo, con i nostri difetti e le nostre debolezze. Altre cene di Gesù si svolgono in casa di farisei, dove il Cristo rivela il Dio che perdona i peccati anche ad una prostituta (Lc 7,36-50), accoglie il figliol prodigo e cerca di riportare in casa il figlio maggiore per fare festa nel banchetto del figlio ritrovato (Lc 15). Noi siamo questi due figli: siamo il giovane figlio alienato da se stesso che nell'Eucaristia fa ritorno alla casa del Padre, ritrovando se stesso nell'abbraccio benedicente dell'amore di Dio; ma siamo anche il figlio maggiore che cova rancore, invidia e gelosia nel cuore: il banchetto d'amore è aperto anche a lui.

Prima dell'ultima Cena, Gesù si invita a mensa in casa di un pubblico peccatore di nome Zaccheo e il suo gesto d'amore, offerto in risposta al desiderio di Zaccheo di "vedere Gesù", provoca la conversione in una decisione di sbilanciamento della vita e in un gesto che testimonia la follia dell'amore: «dono metà dei miei beni ai poveri e se ho frodato qualcuno restituisco quattro volte tanto» (Lc 19,9). Anche a noi, poveri Zaccheo, Gesù nell'Eucaristia dice: «Oggi la salvezza è entrata in questa casa, perché anche tu sei figlio di Abramo. Il Figlio dell'uomo, infatti, è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto» (Lc 19,10).

L'Eucaristia, quindi, non si riduce al rito compiuto dentro il luogo sacro, ma deve trasformare i cristianicorpo mistico di Cristo – in pane spezzato e sangue versato per amore nella ferialità della storia. Sarebbe troppo comodo ridurre il nostro impegno cristiano alla partecipazione della Messa domenicale e ad un generico impegno ad essere più buoni. Occorre invece spezzare il proprio corpo e versare il proprio sangue per trasformare il mondo. Gesù ha fatto la sua parte, ora aspetta che anche noi facciamo la nostra!

Nell'Eucaristia Gesù ci ha aperto una strada e uno stile di vita, ha voluto consegnarci il modo di spezzare e donare il proprio corpo, il modo di versare e donare il proprio sangue. Per questo la partecipazione alla liturgia eucaristica non è un atto devozionale, ma una prova di coraggio, una decisione che pubblicamente assumiamo di voler essere pane spezzato e sangue versato per tutti, proprio come Cristo Gesù. Quando noi ci accostiamo all'Eucaristia con questa precisa volontà, siamo altri Gesù; siamo presenza di eucaristico amore nel mondo, siamo con lui corredentori dell'umanità!


7. Inginocchiarsi dinanzi al Dio inginocchiato
A Betlemme, nella "casa del pane", i Magi compiono il gesto liturgico dell'adorazione. Erano pagani, uomini in ricerca, ma quando arrivano prosekùnesan, si mettono adoranti in ginocchio davanti al Signore. Cari Giovani, scrive Giovanni Paolo II nel suo messaggio, «Siate adoratori dell'unico vero Dio, riconoscendogli il primo posto nella vostra esistenza!... Giovani, non cedete a mendaci illusioni e mode effimere che lasciano non di rado un tragico vuoto spirituale! Rifiutate le seduzioni del denaro, del consumismo e della subdola violenza che esercitano talora i mass-media. L'adorazione del vero Dio costituisce un autentico atto di resistenza contro ogni forma di idolatria. Adorate Cristo: Egli è la Roccia su cui costruire il vostro futuro e un mondo più giusto e solidale».

Dal momento dell'Incarnazione Gesù non ha fatto altro che discendere e abbassarsi, fino al punto estremo in cui lo contempliamo in ginocchio, nel gesto di lavare i piedi agli apostoli. Il Creatore si mette in ginocchio di fronte alla creatura! E' questo il senso dell'Eucaristia: Gesù si mette talmente in ginocchio e si fa talmente piccolo da farsi pane per noi, pane in noi! Nell'Eucaristia Gesù è luce che viene incontro all'enigma delle nostre tenebre, conducendoci sul Tabor della trasfigurazione perché, nutrendoci dell'Eucaristia noi, giusti o peccatori, re o mendicanti, veniamo trasfigurati in lui.

San Francesco, invitando i frati ad essere Eucaristia nella vita, diceva: «Guardate, frati, l'umiltà di Dio e aprite davanti a Lui i vostri cuori; umiliatevi anche voi perché egli vi esalti. Nulla, di voi, tenete per voi; affinché vi accolga tutti colui che a voi si tutto». Miei cari Giovani, non abbiamo paura! Inginocchiamoci, così come siamo – ora, in questo preciso istante – dinanzi al Signore Gesù, che per amore nostro si inginocchia in noi facendosi Eucaristia per noi. Dio, infatti, «non ci ama perché siamo buoni e belli, ma ci rende buoni e belli perché ci ama!» (Lutero).




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