Con i Magi
nella «casa del pane»
Mario
Russotto, vescovo di
Caltanissetta
Carissimi
Giovani,
"siamo venuti per adorarlo" è il tema di questa GMG a Colonia e tutti
noi, sull'esempio dei Magi, abbiamo intrapreso un lungo e non facile viaggio
per seguire la stella. E così anche noi ora siamo «entrati nella casa» per
vedere «il Bambino con Maria sua Madre» e poter incontrare Cristo nella povertà
e nella debolezza della potente e trasfigurante forza dell'Eucaristia.
1. Il coraggio di cercare
La
nascita di questo Bambino mette in movimento tutta la storia, provoca le
coscienze dei vicini e dei lontani, genera profonde inquietudini nel cuore di
Erode e dei sacerdoti di Gerusalemme, mentre fa germogliare una gioia
incredibile nel cuore dei Magi.
Diversamente da
quanto riportato dal folklore della tradizione, i Magi non sono tre e non sono
re. Matteo parla di alcuni Magi, cioè di alcuni sapienti venuti dall'oriente, e
l'evangelista li descrive con un modo di essere e di agire in forte contrasto
con quello dei sacerdoti e degli scribi ebrei; come in netto contrasto fra loro
risultano Gerusalemme e Betlemme.
I Magi venivano
considerati dei pagani, oggi potremmo definirli "lontani", non solo
geograficamente ma anche dal punto di vista ecclesiale. E' gente "di
fuori"; sono degli intellettuali e degli scienziati in cerca di Dio, ma
non sanno nulla di religione - almeno nel senso tradizionale del termine -, non
conoscono nemmeno la Bibbia. Confidando nelle proprie conoscenze e nel
"segno" della stella si mettono in viaggio, mostrandosi umili nel
coraggio di interrogare.
I Magi sono
uomini in ricerca, ma anche portatori di un messaggio che in tutta Gerusalemme
sprigiona una reazione a catena: il loro annunzio fa sì che tutti si sentano in
ricerca. Tutti, infatti, vogliono sapere dove deve nascere il Messia e tutti si
dimostrano competenti nella ricerca. Erode sa che deve consultare i maestri di
Israele e questi sanno che debbono consultare le Scritture. La risposta alla
ricerca di tutti, ebrei e non ebrei, è nella parola di Dio racchiusa nei libri
santi. Non si può veramente conoscere Gesù se non attraverso lo studio e il
confronto vivo con le Sacre Scritture e la ricerca dei "segni" nel
creato.
Tuttavia, non basta la conoscenza, occorre mettere in marcia la vita in
obbedienza a quella parola di Dio.
2. In cattedra i non credenti
I
sacerdoti e gli intellettuali di Gerusalemme non fanno una bella figura in
questo racconto: sanno tanto di Dio ma non l'hanno mai incontrato; lo
incontreranno tante volte ma non sapranno riconoscerlo; conoscono a memoria la
Bibbia, ma non sanno andare al di là dei loro interessi; e quando Dio in Gesù
si manifesterà loro con la potenza di opere e parole, lo faranno inchiodare al
legno della croce pensando di aver messo finalmente in pace la loro coscienza.
Consultando le
Scritture, i sacerdoti e gli intellettuali ebrei trovano una risposta chiara:
se il Messia è davvero nato deve trovarsi a Betlemme. I maestri di Israele lo
dicono ad Erode e il re lo dice ai Magi. Ora tutti sanno la verità, ma sulla
via di Betlemme i Magi si trovano soli. Solo loro raggiungono la meta perché la
stella riappare e li conduce fino a Gesù. La loro lunga ricerca è finita, la
gioia è immensa: hanno trovato Gesù, il Messia, e lo riconoscono come "il
Re" offrendogli i loro doni.
Ma sono soli,
Israele non si è unito alla loro gioia. L'evangelista Matteo ci fa capire così
che se vogliamo essere popolo messianico, dobbiamo unirci a tutti coloro che
cercano Dio e sanno riconoscerne i segni anche nel creato, cioè nella
dimensione più squisitamente umana della storia. La fede non è un possesso
esclusivo dei cristiani "praticanti", ma un dono universale, un dono
da riconoscere e condividere senza privilegi!
3. Grande perché piccolo
L'altro contrasto, a cui prima accennavo, è fra Betlemme e Gerusalemme.
Matteo ci tiene a precisare in apertura del racconto che «Gesù nacque a
Betlemme di Giudea». Sottolinea poi che i Magi dal lontano oriente «giunsero a
Gerusalemme». Ma non è questa la loro meta.
Gerusalemme alla
notizia portata dai Magi «restò turbata», non solo perché si diceva che era
nato il re dei Giudei, ma anche perché questo Re-Messia nasce fuori
Gerusalemme, nel villaggio natale di Davide. Gesù nasce non nella davidica
capitale del regno, ma nella piccola borgata di Davide pastore. Per questo
Matteo riporta un testo profetico di Michea (5,1) adattandolo al suo scopo
teologico. Il testo di Michea recitava: «E tu, Betlemme di Efrata, sei troppo
piccola per essere annoverata tra le città di Giuda». Matteo invece scrive: «E
tu, Betlemme di Giudea, non sei più la più piccola città di Giuda, perché da te
uscirà un pastore...».
Betlemme unisce la povertà di Davide e la povertà di Gesù; è la città del
pastore Davide e in essa nasce il vero definitivo Pastore d'Israele. Con Gesù
inizia una nuova storia, la precedente è ormai finita, chiusa!
4. «Il bambino con Maria, sua madre»
Quando i Magi giungono a Betlemme, «videro il Bambino con Maria sua madre,
e prostratisi lo adorarono» (Mt 2,11). La famiglia di Nazareth era formata da
tre persone: Giuseppe, Maria e Gesù. Ma nella casa di Betlemme, l'evangelista
ne presenta solo due: Gesù e Maria. I Magi poi adorano solo una persona: Gesù.
Infatti, l'omaggio degli uomini venuti dall'oriente è reso solo al Bambino.
E tuttavia
«videro il Bambino con Maria sua madre»: accanto al Bambino-Re c'è la
Regina-Madre. L'immagine è bellissima e le prime generazioni cristiane ne hanno
sentito tutta la forza e l'hanno immortalata negli affreschi catacombali e poi
nella scultura: Maria seduta in trono con in braccio il Re-Bambino. Chi onora
il Figlio rende felice la Madre! Cristologia e mariologia si concentrano in una
sola immagine.
«Videro il
Bambino con Maria sua madre». Così ha scritto il grande Papa Giovanni Paolo II
nel suo messaggio ai Giovani per questa GMG: «Niente di straordinario a prima
vista. Eppure quel Bambino è diverso dagli altri: è l'unigenito Figlio di Dio
che si è spogliato della sua gloria ed è venuto sulla terra per morire in
Croce. E' sceso tra noi e si è fatto povero per rivelarci la gloria divina, che
contempleremo pienamente in Cielo, nostra patria beata. Chi avrebbe potuto
inventare un segno d'amore più grande? Restiamo estasiati dinanzi al mistero di
un Dio che si abbassa per assumere la nostra condizione umana sino ad immolarsi
per noi sulla Croce. Nella sua povertà, è venuto ad offrire la salvezza ai
peccatori Colui che – come ci ricorda San Paolo – "da ricco che era, si è
fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua
povertà" (2Cor 8,9)».
5. La forza della debolezza
Dio si è per ben tre volte "abbreviato" per essere ascoltato da
noi, per essere il Dio con noi, per essere il Dio in noi. Egli è la Parola
eterna, e si è abbreviato nelle parole degli uomini a noi consegnate nella
sacra Scritture. Egli è il Creatore, Colui per mezzo del quale tutto è stato
fatto, e si è abbreviato nel grembo di una creatura: Maria. Egli è Colui che
tutti e tutto contiene in Sé e si è abbreviato nell'Eucaristia per poter
rimanere in noi trasfigurandoci in Lui. E così l'Infinito si fa finito,
l'Eterno entra nel tempo, l'Onnipotente si fa debole nel volto fragile di un
Bambino.
Secondo il racconto dell'evangelista Luca, Gesù è il Dio infante, fasciato e
deposto nella mangiatoia. Dio-Parola si fa Bambino infante, cioè senza parola:
ha bisogno della parola degli angeli, dei pastori e dei Magi per annunciarsi.
Dio si svela non nei segni strepitosi ed eclatanti ma, soprattutto, nella
debolezza di una Parola muta, nella forza del silenzio. Il Dio della libertà si
lascia fasciare, il Dio Creatore che ha posto l'uomo nel giardino della vita,
si lascia deporre in una mangiatoia e poi, da Giuseppe d'Arimatea, si lascia
avvolgere in un lenzuolo e deporre nella tomba della morte.
Gesù nasce per
morire, e muore per dare la vita, che il Padre gli restituirà nella
resurrezione. Dio sceglie la morte come prova estrema della sua solidarietà con
gli uomini, si abbassa quasi ad un livello subumano, in una "kenosi"
di debolezza che lo rende più povero dei poveri.
Voi, giovani,
siete oggi i "senza voce" in un mondo dominato dai grandi imperatori
della politica e dai mentecatti venditori di illusioni; il mondo cerca di
"fasciarvi" comprimendovi nelle mode di un business che non vuole
liberare la vostra libertà; vi si cerca di "deporre" nei sepolcri
della morte buoni solo ad essere imbalsamati in clichè già confezionati dai
"grandi" di questo mondo, che si credono i destinatori dei popoli e
della storia. Miei carissimi Giovani, fate sentire la vostra voce, non
permettete ad alcuno di fasciare la vostra libertà e deporre i vostri sogni
nella tomba del non senso. Cari Giovani, voi che sperimentate la piccolezza, la
fragilità e la debolezza, sappiate che in questa piccolezza è la vostra
grandezza, nella debolezza è la vostra forza e nei vostri sogni sta il futuro
dell'umanità.
La vostra forza
viene anche dalla capacità di mettervi in marcia e in ricerca, come i Magi, per
andare fino a Betlemme, camminando insieme come popolo di giovani, con la forza
che viene dalla vostra giovinezza e con la potenza che scaturisce dalla vostra
capacità di sognare ancora. Facilmente portati ad esperire la fragilità e la
debolezza, a volte trovate difficoltà a trasformare queste ineludibili
dimensioni della vita in forza propulsiva, in "talento" non da
sotterrare ma da spendere e far fruttificare. Ma sappiate che Dio ha scelto ciò
che nel mondo è debole per confondere i forti; Dio ha scelto di svelare la sua
grandezza nella fragilità e nella debolezza del suo farsi Bambino.
La debolezza è
diventata il volto di Dio; non si può entrare in relazione con Cristo se non
facendo i conti realmente con essa; se il Signore ha assunto su di sé ogni debolezza,
è per dare dignità ad essa e per additare ad ogni discepolo la strada lungo la
quale lui cammina. È proprio la debolezza di Dio ciò che abbiamo più di ogni
altra cosa estromesso dal nostro pensare cristiano; un Dio debole ci è troppo
vicino, e ci mette in difficoltà.
La Croce, vertice della debolezza di Dio, è assunta più come motivo di
consolazione che come chiave di interpretazione della vita, come norma e
criterio per riorganizzare dentro la nostra coscienza le cose che valgono. Ma
con questo stile di "debolezza" Dio si è fatto contemporaneo ad ogni
uomo, si è lasciato coinvolgere ma non travolgere dalle questioni del suo
tempo. Sulla Croce Gesù testimonia il volto di un Dio fattosi debole,
vulnerabile, sottoposto fino in fondo alla libertà dell'uomo, di un Dio che ama
e si dona nella pura gratuità. Gesù muore sulla Croce, pienamente fratello e
amante dell'uomo. E allora, miei cari Giovani, anche noi quest'oggi vogliamo
gridare con Paul Claudel: «Questa mano che il carnefice torce è la destra dell'Onnipotente.
Si è legato l'Agnello per i piedi, si configge l'Onnipresente... Io non ho
altro da cercare in cielo con l'eretico e il folle. A me basta questo Dio che
sta tra quattro chiodi».
Solo se siamo
consapevoli di questa nostra comune e radicata "debolezza", possiamo
comprendere i nostri fratelli e maturare in noi l'umiltà necessaria per entrare
nella relazione con gli uomini e, ancor più, con Dio. Ognuno di noi può essere
un atomo disgregato dagli altri ma, se ci mettiamo insieme guidati dalla stella
della Parola di Dio e nutriti dal Pane di Vita, saremo un vulcano capace di far
esplodere una forza ineguagliabile di pace e di una nuova civiltà dell'Amore.
6. Con i Magi nella "casa del pane"
«Videro il Bambino con Maria sua madre»: quel Bambino oggi è il corpo che
noi stiamo diventando e che Egli ci dà di diventare; quel Bambino è il corpo di
Cristo Gesù già nato e sempre in via di nascere. E la sola maniera di avere
accesso a questo Mistero è accettare di esservi inclusi, incorporati. Guardando
questo Bambino, consegnato per il nostro compimento e la nostra gioia, noi
contempliamo l'Amore che si consegna per liberarci e riceviamo, nel suo
svelamento, l'infinito Mistero di Dio che nella debolezza svela tutta la
potenza del suo Amore per noi.
I Magi incontrano
Gesù a Betlemme, che in ebraico significa "casa del pane". Così ci
scrive Giovanni Paolo II nel suo messaggio: «Nell'umile grotta di Betlemme
giace, su un po' di paglia, il "chicco di grano" che morendo porterà
"molto frutto"… Nella stalla di Betlemme si lasciò adorare, sotto le
povere apparenze di un neonato…; nell'Ostia consacrata lo adoriamo
sacramentalmente presente in corpo, sangue, anima e divinità, e a noi si offre
come cibo di vita eterna».
La "mensa
del pane eucaristico" è il compimento delle riunioni conviviali a cui Gesù
ha preso parte durante il suo ministero di evangelizzazione, insieme a giusti e
ingiusti, peccatori e innocenti. E lì, a tavola, Gesù andava manifestando
l'amore e la misericordia, il perdono dei peccati e la guarigione delle
malattie.
La prima cena
riportata dai vangeli, infatti, è quella di Gesù con i pubblicani e i peccatori
(Lc 5,27), come a dirci che noi veniamo invitati alla cena dell'amore così come
siamo, con i nostri difetti e le nostre debolezze. Altre cene di Gesù si
svolgono in casa di farisei, dove il Cristo rivela il Dio che perdona i peccati
anche ad una prostituta (Lc 7,36-50), accoglie il figliol prodigo e cerca di
riportare in casa il figlio maggiore per fare festa nel banchetto del figlio
ritrovato (Lc 15). Noi siamo questi due figli: siamo il giovane figlio alienato
da se stesso che nell'Eucaristia fa ritorno alla casa del Padre, ritrovando se
stesso nell'abbraccio benedicente dell'amore di Dio; ma siamo anche il figlio
maggiore che cova rancore, invidia e gelosia nel cuore: il banchetto d'amore è
aperto anche a lui.
Prima
dell'ultima Cena, Gesù si invita a mensa in casa di un pubblico peccatore di
nome Zaccheo e il suo gesto d'amore, offerto in risposta al desiderio di
Zaccheo di "vedere Gesù", provoca la conversione in una decisione di
sbilanciamento della vita e in un gesto che testimonia la follia dell'amore:
«dono metà dei miei beni ai poveri e se ho frodato qualcuno restituisco quattro
volte tanto» (Lc 19,9). Anche a noi, poveri Zaccheo, Gesù nell'Eucaristia dice:
«Oggi la salvezza è entrata in questa casa, perché anche tu sei figlio di
Abramo. Il Figlio dell'uomo, infatti, è venuto a cercare e a salvare ciò che
era perduto» (Lc 19,10).
L'Eucaristia,
quindi, non si riduce al rito compiuto dentro il luogo sacro, ma deve
trasformare i cristiani – corpo mistico di Cristo – in pane spezzato e sangue
versato per amore nella ferialità della storia. Sarebbe troppo comodo ridurre
il nostro impegno cristiano alla partecipazione della Messa domenicale e ad un
generico impegno ad essere più buoni. Occorre invece spezzare il proprio corpo
e versare il proprio sangue per trasformare il mondo. Gesù ha fatto la sua
parte, ora aspetta che anche noi facciamo la nostra!
Nell'Eucaristia
Gesù ci ha aperto una strada e uno stile di vita, ha voluto consegnarci il modo
di spezzare e donare il proprio corpo, il modo di versare e donare il proprio
sangue. Per questo la partecipazione alla liturgia eucaristica non è un atto
devozionale, ma una prova di coraggio, una decisione che pubblicamente
assumiamo di voler essere pane spezzato e sangue versato per tutti, proprio
come Cristo Gesù. Quando noi ci accostiamo all'Eucaristia con questa precisa
volontà, siamo altri Gesù; siamo presenza di eucaristico amore nel mondo, siamo
con lui corredentori dell'umanità!
7. Inginocchiarsi dinanzi al Dio inginocchiato
A Betlemme, nella "casa del pane", i Magi compiono il gesto
liturgico dell'adorazione. Erano pagani, uomini in ricerca, ma quando arrivano
lì prosekùnesan, si mettono adoranti in ginocchio davanti al Signore. Cari
Giovani, scrive Giovanni Paolo II nel suo messaggio, «Siate adoratori
dell'unico vero Dio, riconoscendogli il primo posto nella vostra esistenza!...
Giovani, non cedete a mendaci illusioni e mode effimere che lasciano non di
rado un tragico vuoto spirituale! Rifiutate le seduzioni del denaro, del
consumismo e della subdola violenza che esercitano talora i mass-media.
L'adorazione del vero Dio costituisce un autentico atto di resistenza contro
ogni forma di idolatria. Adorate Cristo: Egli è la Roccia su cui costruire il
vostro futuro e un mondo più giusto e solidale».
Dal momento
dell'Incarnazione Gesù non ha fatto altro che discendere e abbassarsi, fino al
punto estremo in cui lo contempliamo in ginocchio, nel gesto di lavare i piedi
agli apostoli. Il Creatore si mette in ginocchio di fronte alla creatura! E'
questo il senso dell'Eucaristia: Gesù si mette talmente in ginocchio e si fa
talmente piccolo da farsi pane per noi, pane in noi! Nell'Eucaristia Gesù è
luce che viene incontro all'enigma delle nostre tenebre, conducendoci sul Tabor
della trasfigurazione perché, nutrendoci dell'Eucaristia noi, giusti o
peccatori, re o mendicanti, veniamo trasfigurati in lui.
San Francesco,
invitando i frati ad essere Eucaristia nella vita, diceva: «Guardate, frati,
l'umiltà di Dio e aprite davanti a Lui i vostri cuori; umiliatevi anche voi
perché egli vi esalti. Nulla, di voi, tenete per voi; affinché vi accolga tutti
colui che a voi si dà tutto». Miei cari Giovani, non abbiamo paura! Inginocchiamoci,
così come siamo – ora, in questo preciso istante – dinanzi al Signore Gesù, che
per amore nostro si inginocchia in noi facendosi Eucaristia per noi. Dio,
infatti, «non ci ama perché siamo buoni e belli, ma ci rende buoni e belli
perché ci ama!» (Lutero).
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