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Autori vari Catechesi proposta dai vescovi ai giovani italiani riuniti a Colonia IntraText CT - Lettura del testo |
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Ricerca e rivelazione Camillo Ruini, presidente della Cei
Quello della Giornata Mondiale della Gioventù è un cammino di incontro, tra noi e con il Signore, e di testimonianza della nostra fede. Ma è anche, inevitabilmente, un cammino di ricerca, perché per tutta la vita ogni uomo è "in via", secondo un'antica espressione cristiana, ossia in cammino verso la sua patria definitiva e finché non la raggiunge è in stato di ricerca. Questo vale specialmente oggi, quando ciascuno di noi è provocato, dall'ambiente molto pluralista in cui vive, a prendere una decisione personale, riguardo alla direzione della sua esistenza, decisione che matura soprattutto negli anni della giovinezza. È possibile stabilire così un paragone tra noi e i Re Magi, nella loro ricerca del "Re dei Giudei": come i Magi rappresentano l'Oriente, e in definitiva il vasto mondo, che cerca l'incontro con il Salvatore, così voi giovani della GMG venite dall'Europa e da tutto il mondo e siete anche voi alla ricerca del medesimo Salvatore.
Ci sono però anche della grandi differenze, con le quali dobbiamo fare i conti. La prima differenza riguarda proprio la ricerca: i Magi, come dicevo, cercano il Re dei Giudei, che è visto come colui che può salvare il mondo. Tradotto in termini attuali ciò corrisponde al titolo di questa catechesi: "Ricercare la verità, senso profondo dell'esistenza umana". Ma oggi il discorso riguardo alla ricerca in realtà è molto articolato. La parola "ricerca" da una parte è usata per indicare la ricerca scientifica e tecnologica (scienza e tecnologia oggi di fatto si alimentano reciprocamente e costituiscono una specie di grande spirale, che cresce sempre di più): questa ricerca però non è automaticamente ricerca della verità, nemmeno della verità scientifica, nel senso cioè di scoprire attraverso le scienze come è la realtà, ma, almeno prevalentemente, è ricerca di ciò che si può fare e si riesce a fare o realizzare, mentre la verità per molti uomini di scienza rimane un concetto provvisorio e in qualche modo secondario.
Un'altra grande dimensione attuale della "ricerca" trova espressione nella frase "sono in ricerca" usata soprattutto dai giovani. Si tratta di una ricerca personale, esistenziale, riguardo alle scelte di lavoro, di un ragazzo o di una ragazza con cui condividere la vita, più ampiamente alle proprie scelte di vita, e anche alla ricerca di Dio o, come dice il titolo della nostra catechesi, del senso della nostra vita. Anche in questo caso la ricerca non si caratterizza prevalentemente come ricerca di verità, ma piuttosto di autenticità e di soddisfazione delle nostre attese, realizzazione di noi stessi, felicità (per usare una parola grossa). In questa ricerca, a differenza che nell'altra, quella scientifica, Dio può entrare in gioco, ma spesso vi entra soltanto in rapporto a noi stessi, come Colui che cerchiamo per trovare la nostra soddisfazione o consolazione: manca cioè il senso dell'adorazione, il riconoscere Dio come Dio e il donarsi e sottomettersi a Lui.
Questa sembra oggi la situazione prevalente della ricerca, ma è una situazione che rimane "aperta", da tutte e due le parti. Dalla parte della ricerca esistenziale molti avvertono infatti che una vera autenticità e realizzazione di noi stessi non possiamo raggiungerla da soli, ma soltanto in un rapporto positivo e serio con gli altri, alla fine (almeno come apertura e orientamento della nostra vita) con tutti gli altri: abbiamo così un orizzonte di universalità, e di pienezza, che sembra rimandare a qualcosa, o meglio a qualcuno, di più grande e più stabile.
Dalla parte della ricerca scientifica, man mano che le scienze (fisiche, astronomiche, biologiche …) avanzano, gli uomini di scienza, in numero sempre maggiore, tendono a porsi domande, e anche a dare risposte, che vanno al di là di ciò che è verificabile empiricamente (e quindi propriamente scientifico) e si pongono come spiegazioni globali della realtà, e all'interno di essa dell'uomo. L'esempio più evidente è una certa maniera di intendere la "teoria generale dell'evoluzione": già J. Monod, in un libro famoso pubblicato oltre 30 anni fa, dal titolo "Il caso e la necessità", sosteneva che l'evoluzione, che avviene tramite mutazioni casuali e selezione naturale, è in grado di spiegare in maniera totale e autosufficiente l'intera realtà. Anche qui si esprime la tendenza profonda dell'uomo a non fermarsi davanti ad alcun limite: in questo caso a non fermarsi, dal punto di vista della ricerca intellettuale, entro i limiti della conoscenza scientifica, ma spingersi fino a tentare di rispondere all'ultima domanda possibile.
In ultima analisi il dibattito attuale tra gli uomini di scienza ( e i filosofi della scienza) è se l'universo fisico sia autosufficiente o rimandi invece a un'intelligenza, diversa da esso e sua origine: in Italia siamo forse troppo poco informati di questo dibattito, che è vivo soprattutto nel mondo anglosassone, dove la filosofia e le scienze sono a più stretto contatto: proprio nel 2004-2005 sta facendo scalpore, ad esempio, la presa di posizione di un celebre filosofo analitico (ossia filosofo del linguaggio e delle scienze), A. Flew. Egli è stato per decenni il rappresentante forse più combattivo della tesi che l'universo si spiega da se stesso e quindi ogni ipotesi di Dio è inutile e gratuita, mentre ora sostiene pubblicamente che proprio la riflessione sui recenti sviluppi delle conoscenze scientifiche (in particolare della biologia) indica come sia molto difficile spiegare l'universo e la vita facendo a meno di un'intelligenza creatrice.
Così però ritroviamo il dilemma antico delle grandi religioni: ciascuna di esse riconosce e in qualche modo adora quello che possiamo chiamare il "fondo dell'essere", ossia la realtà originaria e alla fine unica (anche le religioni politeiste riconoscono in realtà questa unica realtà originaria, al di sotto – o al di sopra – dei molti dei). Il dilemma è se questo "fondo dell'essere" sia alla fine la natura stessa, o un tutto indistinto (come affermano ad esempio le grandi religioni orientali), oppure sia un Dio che crea tramite la sua "parola", ossia la sua intelligenza e volontà (come affermano le cosiddette "religioni del libro", ebraismo, cristianesimo e islam), quella parola che per il cristianesimo è il Verbo stesso di Dio.
Senza chiedere alle scienze risposte che esse non possono dare, perché le domande stesse esulano dal loro metodo di ricerca, sono convinto anch'io che proprio gli sviluppi delle scienze fisiche e biologiche, e i loro risultati pratici che confermano come le scienze raggiungano e dominino la realtà, rendono sempre più evidente il dato di fondo che la natura è "intelligibile", ha cioè dentro di sé una struttura logica, che la rende conoscibile dalla nostra intelligenza. La punta estrema e più evidente di questa intelligibilità è "l'informazione", ossia tutto quel complesso di informazioni che si trovano nei codici genetici e presiedono alla dinamica della vita. Questo dato dell'intelligibilità della natura però, come ogni altro dato, non basta registrarlo: l'intelligenza umana ha la tendenza e il bisogno di spiegarlo. Così, partendo dai dati delle scienze e conducendo una riflessione ulteriore su di essi (riflessione che non è più scientifica ma che è comunque razionale: le scienze non sono infatti l'unica forma di razionalità umana), si pone oggi con grande forza la prospettiva dell'intelligenza creatrice come origine dell'intelligibilità dell'universo e, all'interno di esso, dell'intelligibilità del fenomeno della vita.
A questo punto dobbiamo operare un "cambio di marcia", che ci riporta piuttosto sul piano personale ed esistenziale e soprattutto ci fa cambiare direzione: non si tratta più della "ricerca", che parte da noi per cercare di arrivare a Dio. Si tratta invece della "rivelazione", che parte da Dio e si rivolge a noi. In realtà ogni tentativo di ricerca di Dio, anche se arriva all'Intelligenza creatrice, non può arrivare al dialogo con Lei, ad affermare che possiamo rivolgerci a questa Intelligenza e che Essa ci ascolta e ci risponde. Certo, le religioni (almeno tutte quelle che sono autenticamente religioni) hanno invece sempre riposto la loro forza proprio in questo dialogo, cioè nella preghiera e nella speranza che la preghiera sia esaudita. Ma questa, umanamente parlando, rimane un'aspirazione e una speranza, che non può essere fondata razionalmente: viene fondata invece ricorrendo al mito (nell'antichità) o al sentimento e al cuore (nell'epoca moderna).
La grande novità dell'ebraismo, portata a compimento nel cristianesimo (e partecipata poi in certa misura dall'islam), è che invece la stessa Intelligenza creatrice si fa carico di questo dialogo, ne prende liberamente l'iniziativa e così manifesta a noi il proprio "volto", ossia il suo atteggiamento e rapporto personale con noi. È questa la "rivelazione" di Dio, a cui corrisponde da parte nostra la "fede", che dunque non è anzitutto un nostro sentimento, ma la nostra risposta, a sua volta libera, al libero manifestarsi e rivelarsi di Dio. Da tre secoli è in atto in Europa (ossia nei paesi di cultura cristiana) un grande tentativo di ricondurre questa rivelazione dentro al "mito" e così di toglierle realtà e verità: è questa la principale radice e forma della "scristianizzazione". Ma la rivelazione ebraico-cristiana ha una struttura ben diversa dal mito: è infatti una rivelazione "storica", che avviene cioè attraverso precisi e concreti eventi storici. Essa inoltre viene incontro alle esigenze della ragione umana mediante dei "segni", che sono a loro volta storici e verificabili (dalla traversata del Mar Rosso alla risurrezione di Cristo alle testimonianze di vita dei santi) e che nello stesso tempo rimandano al Mistero, cioè a Dio che supera l'uomo e la sua ragione (perciò si tratta di "segni" e non di prove in senso stretto, che rinchiuderebbero Dio dentro alla nostra intelligenza).
In concreto l'Intelligenza creatrice si rivela e si mostra come Colei che ci è estremamente e intimamente vicina, fino a diventare uno di noi (il Verbo si è fatto carne) e questo perché Essa è l'Amore stesso, non un amore impersonale ma una realtà personale, o più esattamente interpersonale, di intelligenza e di amore, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, che ci coinvolge, si dona a noi e ci attira a sé. Così sia la ricerca come dimensione intellettuale, sia la ricerca come dimensione personale e affettiva, trovano insieme il loro compimento, ma con due fondamentali precisazioni. In primo luogo, trovano questo compimento solo se noi a nostra volta ci doniamo, ossia adoriamo l'unico Dio Padre, Figlio e Spirito Santo. In secondo luogo, questo compimento non lo troviamo del tutto, ma cominciamo soltanto a trovarlo: tutta la nostra vita è infatti un cammino verso questo compimento, ossia verso Dio, un cammino sempre incompiuto finché siamo in questo mondo. Perciò sia la ricerca della verità che quella dell'autenticità e dell'amore in questa vita continuano sempre: se ci fermiamo mostriamo di non cercare e non amare veramente. In concreto, si cerca e si ama Dio non solo nell'intimo del nostro cuore, ma con il dono concreto della vita, spesa per amore e a servizio dei fratelli.
Proprio affinché noi possiamo continuare ad amarlo e cercarlo Dio continua sempre a farsi a noi vicino, intimamente vicino, a donarsi a noi, a chiederci di riconoscerlo come Signore, di donarci a Lui e di adorarlo: lo fa in modo personale ed intimo, ma anche comunitario e visibile (sia pure sempre nel mistero), ossia ecclesiale e sacramentale. È questo il tema della prossima catechesi: «Incontrare Cristo nell'Eucaristia».
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