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Catechesi proposta dai vescovi ai giovani italiani riuniti a Colonia

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  • Ricercare la verità, senso profondo dell'esistenza umana (17 agosto 2005)
    • La ricerca che «fa» la verità
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La ricerca che «fa» la verità

Oscar Cantoni, vescovo di Crema

 

1. L'uomo: un viandante, un pellegrino in ricerca senza tregua, di sé e dell'Altro

L'icona dei Re Magi, la cui tomba veneriamo nella preziosa cattedrale di Colonia, evoca e ci costringe a rivisitare il meraviglioso racconto di Matteo (2,1-12). In essa si respira un senso di universalità: abbraccia la terra e il cielo, l'oriente e l'occidente, la città e la campagna, il mondo dei potenti e quello degli umili. Ma non solo. Vi è la presenza di un'umanità in cammino al di fuori di confini precisi su strade che portano verso orizzonti lontani. Un po' quello che è capitato per molti di noi in questi giorni. Ma questo ci ricorda immediatamente che l'uomo è per sua natura un viandante, un inquieto divoratore di strade (homo viator). E si può essere viandanti anche senza abbandonare la propria casa, quando a muoversi è il cuore, con il suo interrogare, il suo desiderare, il suo inquieto cercare. "Ci hai fatti per te e il nostro cuore è inquieto fino a quando non riposa in te" scriveva il grande Agostino. E dunque è una tenace, a volte confusa e inconsapevole ricerca di Dio, la ragione ultima del camminare, che caratterizza l'esistenza di ogni uomo. I Magi, inoltre, hanno vissuto una ricerca che di volta in volta ha fatto i conti con manifestazioni di Dio molto diverse: da quella cosmica a quella storica, fino a quella del Natale, che inaugura il momento supremo della manifestazione agli uomini del volto di Dio. Per raggiungere questa meta i Magi hanno dovuto percorrere un lungo cammino, dal lontano Oriente fino a Gerusalemme, da Gerusalemme fino a Betlemme, e poi ancora – da morti, secondo la tradizione – Milano…, Colonia. Questo lungo cammino è figura, a sua volta, di ogni cammino spirituale, di ogni ricerca autentica e convinta, di ogni tensione verso un autentico incontro. E incontrare seriamente una persona non è facile. Si passa accanto a molte persone, si parla magari con loro, ma incontrarli nella verità non accade spesso. L'incontro dell'Altro è un'arte, non un accadimento. Per questo ogni vero cammino è inevitabilmente segnato da momenti di gioia e di sofferenza, di dubbi e di speranze. Nelle regioni dello spirito i percorsi riservano continue avventure, ora esaltanti ora estremamente faticose. Ti addentri nella ricerca di ciò che dovrebbe costituire il senso ultimo di tutta la tua esistenza e ti senti investito dalla stanchezza, dal dubbio, dall'indifferenza degli altri, perfino dalla derisione. Oppure tu sperimenti in te stesso molti "sé" e al di fuori di te trovi una pluralità di modelli per la tua esistenza. E vivere questa situazione significa essere divisi in profondità, significa rifuggire da quel processo di unificazione interiore che la Parola di Dio raccomanda e che spesso è stata la molla che ti ha messo in cammino, significa essere alienati da pluralità di presenze che ci dominano, significa sottrarsi alla propria verità. E' una delle esperienze più dolorose: avere il cuore colmo di una passione che ti brucia e ti fa camminare per fare della propria vita un capolavoro e non riuscire a realizzarla, arrestare il cammino, il percorso di ricerca e di discernimento.

 

2. La ricerca del senso e di quanto può rendere felici: la verità essenziale dell'uomo

I Magi sono personaggi meravigliosi non tanto per la loro collocazione sociale, ma per la loro animazione interiore: per la loro passione di sollevare alte domande, di interrogarsi e di interrogare, di inseguire il senso profondo di tutto ciò che appartiene alla storia degli uomini e al destino di ogni uomo. Ci fanno pensare a quegli animi inquieti di chi si sente sempre nomade, in cammino, pellegrino verso una meta lontana, capace di appagare ogni attesa. Il viaggio, si sa, ha un grande valore simbolico. Camminare, in tutte le culture, è visto come un aspetto sacro della vita. L'essere nomade è in profonda sintonia con l'essere uomo. E la Bibbia esalta la condizione nomade, lasciando capire che Dio stesso è sempre in cammino e che certamente sta dalla parte di chi è in cammino. Non ci viene forse anche da Gesù l'immagine dell'uomo che cammina? Dunque è importante guardare con ammirazione a tutti quelli che cercano, che sono in cammino, anche se i loro percorsi dovessero snodarsi unicamente nelle regioni dello spirito. Forse qualcuno si chiede dove sono oggi quegli inquieti cercatori di ciò che sta sempre oltre, al di là dei confini dell'abitudine e dell'ufficialità. Rispondo che qui, oggi, se ne possono riconoscere molti. E comunque questi non sono necessariamente dove sono, di solito, i santuari della cultura. Forse può essere vero che i randagi dello spirito, in ricerca del volto di Dio, verità dell'uomo, possono sembrare pochi. Ma non bisogna mai dimenticare che anche quelli che abitualmente si disinteressano di Dio, anch'essi, pur perduti dietro altri interessi che inseguono come fossero valori assoluti, non fanno altro che cercare 'oltre', quindi, in qualche modo, che inseguire le orme di Dio, che sta sempre oltre. Non per niente la tradizione cristiana ha sempre visto nell'icona dei Magi, che si sono numericamente moltiplicati quasi a dismisura, un simbolo di qualche ricerca umana molto concreta e circostanziata. E un autore contemporaneo, rivisitando in chiave romanzesca la vicenda di questi Re, venuti da lontano, ha attribuito a ciascuno una passione molto terrestre: a uno la ricerca del piacere erotico, a un altro quella del piacere estetico, al terzo la passione per il piacere politico. Credevano su questi percorsi di raggiungere un bene assoluto e non sapevano che il loro cuore, intanto, andava cercando qualche cosa d'altro, anzi qualcuno a cui consegnare tutta la loro speranza e la loro fame di felicità. E per quale ragione – del resto – ci sentiamo attratti da tutto quanto riteniamo 'vero' e 'bello' se non perché ci auguriamo di rinforzare la speranza di un futuro migliore? Dovremmo poter dire, con tutti i compagni di viaggio che incontriamo sui nostri cammini: "Siamo tutti cercatori di Dio. Tu di un Dio che ancora non conosci o di quel Dio che ti sembra di aver abbandonato, io di un Dio che mi ha fatto sentire la sua voce, ma che non posso dire di conoscere pienamente. Siamo, dunque, tutti in cammino, apparentati da una comune e segreta inquietudine: quella che contraddistingue il patrimonio genetico dell'uomo".

 

3. Dalla ricerca del senso a quella di Colui che dà senso ad ogni cosa

Guardiamo ora, per un attimo, anche a coloro che i Magi incontrano sul loro percorso di ricerca. Erode, gli Scribi e i suoi Sacerdoti, che pure dispongono di un grande patrimonio di sapienza umana e religiosa: sono personaggi spenti, perché hanno smesso di cercare. Sono gli uomini delle risposte, non delle domande. I personaggi vivi sono gli uomini dell'interrogazione, sempre in cammino e sempre in ascolto, sulla soglia del mistero. Se non hanno una fede religiosa si domandano: "E' giusto, è umano lasciarsi vivere senza capire e arrendersi al nulla?" E se hanno una fede religiosa chiedono pregando: "Mostrami, Signore, il tuo volto; che ti possa conoscere come si conosce il volto della persona che si ama!" Dunque anche i credenti devono interrogarsi e cercare continuamente: "Tu non mi cercheresti se non mi avessi già trovato", fa dire Pascal al Signore. L'ascolto, diventa per il credente, il passo successivo a quello del mettersi in cammino per rispondere alla propria esigenza di verità, per incontrare Dio. Perché Egli, in certi momenti della storia dell'uomo, ha fatto sentire la sua voce e ha fatto conoscere la sua parola. Di questa parola, contenuta nei libri sacri, erano gelosi custodi e interpreti a Gerusalemme gli Scribi, di cui parla il racconto di Matteo. Ad essi si rivolge Erode per essere informato sulla nascita del futuro re dei Giudei. Ma la parola, per essere accolta, ha bisogno dell'ascolto, di quell'ascolto-docilità che Erode non aveva e che neppure gli Scribi avevano, visti che non si sono mossi per cercare il bambino annunciato dai profeti; l'avevano i Magi, i quali fanno tesoro delle indicazioni avute dai custodi ufficiali della Parola di Dio. Per questo giungono a comprendere che questa volta la parola di Dio, il Verbo, non è solo da ascoltare, ma da adorare, fatta carne, nella fragile carne di un bambino. Siamo dunque, tutti cercatori, questuanti, mendicanti. Soffriamo di un vuoto che invoca una pienezza, di una fame che invoca un appagamento. Ma viene il momento in cui dobbiamo porgere ascolto, attento e docile, alla domanda che Gesù ha posto ai due discepoli di Giovanni che hanno deciso di seguirlo, e che riguarda certamente anche noi: "Che cercate?" (Gv 1,38) I due non rispondono. Del resto, come avrebbero potuto? E pure noi ne siamo radicalmente sorpresi. Potremmo dire: "Sto cercando la mia felicità e quella delle persone che mi sono vicine, sto cercando amicizie vere che non vengano meno nelle ore difficili, sto cercando la riuscita della mia vita…" Ma al tempo stesso saremmo convinti che una volta raggiunti anche gli obbiettivi più alti e più significativi, la ricerca non sarebbe finita. Perché cerchiamo sempre qualcosa che sta al di là della condizione presente, sempre 'oltre'. E come esseri inquieti, esseri di desiderio, noi abbiamo talvolta l'impressione che la felicità ci piombi addosso all'improvviso, quasi alla curva di un cammino, in quella zona confusa che sta tra il sogno e la realtà. E' quanto è avvenuto in quel pomeriggio (erano le quattro del pomeriggio, dice il vangelo) per i due discepoli già ricordati, che hanno incontrato Gesù. In quel momento il bisogno di qualcosa (che cercate?) che aveva messo loro nel cuore l'ansia di ricercare, è divenuto immediatamente il bisogno di qualcuno (Maestro, dove abiti?). Sì, perché le risposte di cui siamo cercatori tormentati e, a volte, randagi, non sono legate all'avere, al possesso, alla conquista di un'affermazione personale, ma quasi sempre, se non sempre, alla presenza di una persona. Le troviamo – in altre parole – quando c'è qualcuno che incontra il nostro sguardo, ci chiama per nome, ci offre la sua amicizia, mentre dimostra di avere a cuore la nostra. E' quanto è capitato a Maria di Magdala, la quale, disperata per aver trovato il sepolcro vuoto, si affanna a ricercare il Maestro, ma ha come un sussulto, una specie di rigenerazione quando si sente chiamare per nome e dire: "Perché piangi, chi cerchi?" (Gv 20,15). Per coloro che sono disposti a questo spostamento di orizzonte, dal 'che cosa' al 'chi', il Signore non risulta lontano. Non è nel loro passato. Non è sepolto sotto una grossa pietra. Gesù Cristo, il Signore, è vicino, respira e trepida per loro. E' vicino e li ama. Anche se non tutti se ne accorgono. Ma Gesù – secondo il racconto dell'evangelista Giovanni - non desidera soltanto che qualcuno lo ricerchi e lo segua, ma pretende di accertarne le motivazioni. Si tratta di vedere perché uno si mette sulla sua strada per incontrarlo. C'è ricerca e ricerca. C'è quella che conduce all'incontro e c'è quella che rimane infruttuosa o perfino negativa. Tutti i personaggi che si incontrano con Gesù sono coinvolti nella sua ricerca, come Nicodemo, la samaritana, l'ufficiale regio, il paralitico il cieco nato, Lazzaro e le sorelle, e la folla stessa. Si può cercare Gesù per motivi validi e giusti o per motivi sbagliati e ostili. I due discepoli passano tutto il pomeriggio con Gesù. Ma non viene detto nulla circa quanto hanno visto. Del resto come avrebbero potuto riferire. Possono soltanto riportare un'emozione che si tramuta in un grido di gioia: "Abbiamo trovato il Messia!" (Gv 1,41). Che fa eco e quasi spiega le parole dei Magi: "Abbiamo visto sorgere la sua stella e siamo venuti ad adorarlo!" (Mt 2,2) Anche noi, nella misura in cui siamo uniti a lui, riusciamo a vedere chiaramente, nella sua luce, ogni cosa: il mondo, il corso della storia e la nostra stessa vita. La nostra vita, senza la luce del Cristo, resterebbe un profondo enigma. La totalità della realtà, l'esistenza, si apre in questa luce.
Ma questo trovare non è la fine dell'avventura: è solo l'inizio. E' un trovare che mette in cammino, spesso "per altra via". E' un abitare con Gesù per capire che Gesù non altra dimora che l'amore del Padre. Da quel momento, seguendo Gesù, avrebbero intuito l'amore che c'era nel suo cuore, vedendo in quale modo accoglieva ogni essere umano e con quale libertà era pronto ad affrontare la solitudine e anche la morte.

 

4. Gesù, la verità: la risposta ad ogni ricerca più vera e più radicale

L'inquietudine dell'uomo che lo fa essere un affamato d'amore e l'essere di Dio-amore' si incontrano in Gesù Cristo. Dio è un mistero insondabile, che nessuno può mostrare, ma non rimane confinato nella gloria celeste. La sua trascendenza non è cosmologica (come nel paganesimo).E' un Dio la cui gloria non sta innanzitutto nei cieli, ma nella sua discesa in mezzo agli uomini. Soltanto in Gesù Cristo il desiderio di vedere Dio, comune a tutti gli uomini, si realizza in pienezza. Egli sceglie di mostrarsi secondo la nostra misura nel Figlio dell'Uomo, il quale è anche il Figlio di Dio. Incontrare Gesù Cristo significa soddisfare tutti i nostri desideri di Dio e le nostre ansie di verità. La verità di Cristo non è riducibile a una teoria astratta, né si tratta di una verità semplicemente da capire intellettualmente. E' piuttosto una verità in rapporto con la vita, tocca la persona, al punto che si identifica con Cristo stesso, il quale si definisce proprio "la verità" (Gv 14,6). Dunque Dio si è fatto uomo perché l'uomo diventi veramente uomo. "Afferma Pascal: Non soltanto non conosciamo Dio se non attraverso Gesù Cristo, ma neppure non conosciamo noi stessi se non attraverso Gesù Cristo" (Pensieri, 548). Dio si è fatto uomo in Gesù di Nazareth per mostrarci l'uomo autentico, quello vero; l'uomo fatto a sua immagine e somiglianza; per insegnarci a vivere in pienezza la nostra condizione umana, fino a conoscere non solo giorni pieni di gioia, ma addirittura la 'gloria', riservata da Dio per l'uomo. Noi cristiani professiamo e proclamiamo a voce alta che Dio si è fatto umano, che Dio si è reso leggibile nella vita dell'uomo e che solo nella sua esistenza umana Dio si è espresso in pienezza. Rivelando se stesso, Cristo ha permesso che anche l'uomo fosse rivelato a se stesso. "In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo" (GS 22). Gesù è, dunque, per i cristiani, l'immagine visibile del Dio invisibile, è colui che ha raccontato Dio e pertanto Figlio di Dio, ma allo stesso tempo Figlio dell'Uomo, l'uomo per eccellenza. I Vangeli, infatti, ci presentano Gesù come uomo in tutto e fino alla fine, fino alla morte, una morte violenta e ingiusta, ma conseguenza della stessa esistenza umana di Gesù: una vita in cui le parole erano carne e sangue; il comportamento era la negazione della pretesa di vivere per se stesso e senza l'Altro, le scelte erano un rifiuto della violenza e una vicinanza agli ultimi, la difesa e la resistenza alle accuse era restare fino alla fine e nonostante tutto un uomo di comunione, un uomo che sa amare anche i propri nemici. Così alcuni uomini e poche donne, coinvolti dalla sua vita perché capace di esaudire i loro aneliti più radicali, divenuti suoi discepoli, hanno saputo scorgere i tratti divini nella sua umanità, per questo lo hanno chiamato Signore, sotto ispirazione dello Spirito Santo. Quelli che lo avevano visto vivere e morire hanno dovuto credere alla forza dell'amore più forte della morte, a quell'uomo che aveva veramente raccontato Dio attraverso la verità della sua esistenza. L'esistenza di Gesù di Nazareth vissuta nella libertà e per amore è apparsa a quegli uomini e a quelle donne che l'avevano condivisa, la vita stessa di Dio. Proprio in quella vita la manifestazione piena di Dio, ma anche la manifestazione dell'uomo per tutta l'umanità. Gesù dunque può insegnare a vivere: allora come oggi. E coloro che vivono radicalmente il vangelo possono vedere con più verità nella propria vita e possono sentirsi attratti a imitare la forma di vita di Gesù attraverso la sequela.


5. La ricerca appassionata della verità: "chi fa la verità viene alla luce"

Il Vangelo di Giovanni, tra i tanti incontri di Gesù, ci racconta anche quello avuto con Nicodemo, un notabile giudeo, molto onesto, che una notte aveva chiesto di intrattenersi con Lui per essere aiutato nella sua ricerca di verità e di luce circa il Regno di Dio. E Gesù, più volte, in questo lungo dialogo tocca il tema della 'vita eterna', cioè quella vita qualitativamente diversa, sottratta a tutti i limiti abituali e trasfigurata da una bellezza che può venire solo da Dio. L'uomo, lasciato a se stesso, non ha la possibilità di appagare questo anelito e d'altra parte tutti i suoi desideri, le sue passioni, i suoi slanci, perfino i suoi errori, esprimono la sua tensione verso un superamento dell'esistente e la conquista di una condizione inedita, che attinga alla condizione del divino. Una specie di 'rinascita' ad una vita diversa, un venire alla luce che non appaia come inizio di morte. Sempre Giovanni dice a proposito di Gesù: "In Lui era la vita e la vita era la luce degli uomini" (1,4). Ora se l'uomo non può salire a Dio, c'è un Dio che discende verso l'uomo. Un Dio che non intende giudicare, ma salvare; aiutare, cioè, l'uomo a sollevarsi verso quelle altezze di verità, di bellezza, di amore, a cui da solo non arriverebbe mai. E la strada lungo la quale Gesù ha realizzato questo progetto di elevazione dell'uomo è la croce. E' sulla croce che la potenza di Dio, che è potenza di amore, esprime tutta la sua gloria e la sua forza di salvezza. La croce è la sua gloria di Figlio rivelatore del padre, la più sfolgorante delle teofanie. E pertanto, la stessa croce costituisce anche per l'uomo la via del suo innalzamento, del suo venire alla luce; il vero ponte di passaggio, dal basso verso l'alto, dalle tenebre verso la luce. Guardare la croce vuol dire contemplare l'amore di Dio. E credere a questo amore è la condizione decisiva in ordine alla salvezza. E' questo il senso che Gesù vuol dare alle sue parole quando dice: "Chi opera la verità viene alla luce" ( Gv 3,21). E' anzitutto una questione di fede: l'onestà viene dopo. Non si è onesti perché ci si crede buoni, ma lo si è quando ci si sente amati da Dio. L'esperienza di amore cristiano è sempre anzitutto esperienza di un amore passivo, cioè di un amore che ci precede, un amore che ci fonda e ci struttura in esseri capaci di amore, un amore unilaterale e gratuito. Solo se mi sento amato da un Altro, solo se ho sperimentato che Dio mi ama, solo se ho conosciuto questo amore che genera la vita e la sostiene, solo allora potrò essere a mia volta testimone di amore. Amando, compromettendosi nell'amore, i cristiani realizzeranno progressivamente la verità di cui sono portatori. Tra verità e amore esiste un rapporto di reciprocità. Più si comprende il messaggio, più si sente la spinta a impegnarsi nell'amore; il messaggio tende a diventare amore e l'amore a farsi messaggio. La verità, diventando concreta nella vita, non rimane passiva: possiede una sua forza di espansione. Una vita che atta la verità non può che progredire. E d'altra parte, la verità, mentre illumina la vita, in un certo senso si maggiora e diventa più ricca, come ci ricorda s.Paolo in Ef 4,15: "Facendo la verità, cresciamo nell'amore".

 

6. Una verità che libera: "la verità vi farà liberi" (Gv 8,32)

Messi in movimento dall'ansia e dalla ricerca di verità – come i Magi e molti altri con loro – dobbiamo subito precisare che nel mondo di oggi spesso si pensa e si afferma che la verità invece di rendere liberi, può ottenere, a volte, l'effetto contrario. A fronte di una parola di Gesù molto chiara in proposito: "La verità vi farà liberi". I "maestri del sospetto" hanno ucciso il gusto della verità. La domanda di verità, allora, si ripiega su se stessa, il cammino si ferma, l'interrogazione che ravviva l'intelligenza, zittisce. L'ultimo ideale sembra infatti essere quello di non averne alcuno. Il Nulla, il nikilismo. Del resto nel Vangelo – quale dimostrazione! – troviamo persone che credono di possedere la verità più alta, cioè quella religiosa, che proprio in forza di questo loro credo diventano violenti e intolleranti. Proprio come oggi, in molte parti del pianeta. Bisogna avere il coraggio di dirlo: c'è una certa verità religiosa la quale, per il fatto di essere male interpretata, può rendere perfino fanatici. Succede quando la verità diventa ideologia e si esibisce come un sistema di pensiero assoluto e incontrovertibile. Leggendo il vangelo ci si accorge che ben diverso è il pensiero di Gesù. Per Lui la verità non è qualcosa che si possiede, ma che si conquista a poco a poco, con vigilanza, pazienza e perseveranza. Se fosse una dottrina potremmo anche possederla, ma poiché essa è la presenza viva di Cristo (Io sono la verità!), non abbiamo mai finito di conoscere la verità, come non abbiamo mai finito di essere discepoli di Cristo. Ricco di verità, secondo il Vangelo, non è colui che sa più cose su Dio e che magari utilizza al momento giusto 'contro' gli altri, ma il discepolo di Cristo, colui che è disposto a seguirlo anche sulla strada della croce. Si potrebbe dire che la verità non è mai un possesso, ma un cammino: chi crede di averla, come i giudei, la perde, chi invece la cerca continuamente alla scuola di Cristo, la trova. Il cristiano vive nella verità soltanto quando egli cerca continuamente di assimilarla, per lasciarsi progressivamente trasformare da essa. E questa verità ci libera perché mette in discussione tutti i nostri idoli, le nostre mezze verità, i nostri schemi mentali: in una parola tutto ciò che è vecchio. Perché il nostro Dio, attraverso Cristo, scompiglia continuamente il nostro ordine e ci promette il dono di una continua giovinezza.

 

7. L'artefice del nostro cammino: lo Spirito Santo vi guiderà alla verità tutta intera ( Gv 16,13)

Nella vicenda dei Magi, icona da cui è scaturita questa meditazione, c'è il ruolo e lo spazio di "una stella" che non dobbiamo dimenticare e sottovalutare. Così nel nostro itinerario di ricerca c'è l'azione e il lavorio dello Spirito Santo, memoria viva di Cristo, che ci permette una comprensione sempre più profonda delle parole e della missione di salvezza di Gesù, Figlio di Dio: "vi guiderà alla verità tutta intera". Lo Spirito Santo mantiene vivo l'insegnamento di Gesù, ne mette in luce il significato vero e lo fa "penetrare nei cuori". Suo compito perciò non è di portare una nuova rivelazione, ma di far comprendere, di far interiorizzare e assimilare la verità di Gesù. La verità più alta, più abbagliante e anche più influente sul senso ultimo del nostro vivere è quella che riguarda l'immagine di Dio, quale ci è stata rivelata da Gesù. E lo Spirito ci è dato non per accrescere il numero delle nostre nozioni su Dio, ma per conoscere Dio attraverso un'esperienza viva. Che vuol dire che lo Spirito non ci porta a impossessarci di Dio, ma a dimorare in Dio. Egli è la grande dimora in cui viviamo, ci muoviamo, siamo. Dio è un mistero che ci avvolge e ci compenetra. E – secondo i mistici – è il grembo oscuro in cui il bambino che siamo vive per nascere alla vita. Lo Spirito ci fa conoscere la verità di Dio facendoci dimorare in Lui. E' dimorando in Dio che noi, con quel senso di abbandono che è del piccolo nel grembo della madre, conosciamo sempre più profondamente Dio. "Ci ha fatti per Te e il nostro cuore è inquieto fino a quando non risposa in Te" (Agostino).




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