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Autori vari Catechesi proposta dai vescovi ai giovani italiani riuniti a Colonia IntraText CT - Lettura del testo |
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«Gli disse Gesù: Io sono la Via, la Verità e la Vita» (Gv 14,1-8) Luciono Monari, vescovo di Piacenza-Bobbio
Vengono da
lontano i Magi, dall'oriente remoto e misterioso. Hanno affrontato un viaggio
che deve essere stato scomodo e pericoloso, come tutti i viaggi lunghi
dell'antichità. Immagino un cammino lento – secondo il ritmo di una carovana di
cammelli; un cammino costante, appunto come l'andatura dei cammelli. "Io ho detto in cuor mio: Vieni, dunque, ti voglio mettere alla prova con la gioia" – così il vecchio Qohelet rivede il cammino della sua esistenza di saggio: "Ho voluto soddisfare il mio corpo con il vino, con la pretesa di dedicarmi con la menta alla sapienza e darmi alla follia, finché non scoprissi che cosa convenga agli uomini compiere sotto il sole, nei giorni contati della loro vita. Ho intrapreso grandi opere, mi sono fabbricato case, mi sono piantato vigneti. Mi sono fatto parchi e giardini e vi ho piantato alberi da frutta di ogni specie; mi sono fatto vasche, per irrigare con l'acqua le piantagioni. Ho acquistato schiavi e schiave e altri ne ho avuti nati in casa e ho posseduto anche armenti e greggi in gran numero più di tutti i miei predecessori in Gerusalemme. Ho accumulato anche argento e oro, ricchezze di re e di province; mi sono procurato cantori e cantatrici, insieme con le delizie dei figli dell'uomo. Sono divenuto grande, più potente di tutti i miei predecessori in Gerusalemme, pur conservando la mia sapienza. Non ho negato ai miei occhi nulla di ciò che bramavano, né ho rifiutato alcuna soddisfazione al mio cuore, che godeva d'ogni mia fatica; questa è stata la ricompensa di tutte le mie fatiche. Ho considerato tutte le opere fatte dalle mie mani e tutta la fatica che avevo durato a farle; ecco, tutto mi è apparsi vanità e un inseguire il vento; non c'è alcun vantaggio sotto il sole." (Qo 2,1-11) La condizione di partenza di Qohelet è invidiabile: re, quindi ricco e potente. Può permettersi tutti gli esperimenti che vuole, a differenza delle gente comune che deve accontentarsi di qualcosa. E, di fatto, Qohelet ha sperimentato tutto (v. 10). Alla fine si volta indietro, esamina tutto quello che ha fatto, tira le somme. Il risultato? "vanità (vuoto, niente) – un inseguire il vento (un desiderio vano) – non c'è vantaggio (non c'è compenso che giustifichi la fatica di vivere)." Eppure Qohelet ha conosciuto l'abbondanza dei beni (case, vasche, giardini); ha provato emozioni forti (oro, donne, spettacoli); ha esercitato un potere indiscusso; eppure, "un infinito vuoto / dice Qohelet / un infinito niente. / Tutto è vuoto niente." "Non c'è vantaggio alcuno sotto il sole." Forse vale la pena che notiate: sotto il sole, dal sole in giù. Vista da qui la vita è delusione: la morte rimane come un inevitabile capace di dare scacco a tutte le soddisfazioni o i desideri. Eppure…
Eppure sembra che i magi siano felici. Quando vedono la stella che li accompagna a Betlemme "provarono una gioia grande, molto"; quando vedono il bambino adorano e offrono. Solo chi è contento sa donare, solo chi ha trovato una sorgente abbondante di serenità e di speranza. Altrimenti l'uomo tiene per sé quello che ha, si chiude e si difende. I magi tornano al loro paese più stanchi: hanno camminato a lungo; tornano più poveri: oltre alle spese del viaggio, hanno regalato oro, incenso e mirra. Eppure tornano felici: hanno trovato quello che cercavano. Hanno la percezione chiara che il loro viaggio non è stato inutile: c'è qualcosa per cui vale la pena faticare. Che cosa? Cos'hanno trovato?
Forse qui c'è un paradosso. I magi sono studiosi, che conoscono la sapienza dei popoli. Hanno forse trovato altri proverbi? Altre filosofie per arricchire il loro patrimonio intellettuale? Hanno incontrato a Gerusalemme il potere di Erode: se ne sono forse appropriati? Hanno raggiunto un patto? No: tutto quello che hanno trovato è "il bambino con sua madre"; di fronte a quel bambino si sono prostrati e hanno offerto doni.
Hanno trovato un bambino, non un'idea. Le idee possono essere belle, possono essere vere. Quando Socrate ha scoperto il concetto, la cultura umana ha fatto un importante passo avanti; e così quando Platone ha contemplato le idee. Ma i concetti, le idee sono astratte, non possono esaurire la ricchezza della vita. E chissà se nel passare dal concreto all'astratto non si perda qualcosa di essenziale.
Hanno trovato un bambino, non una legge. Anche qui: l'importanza della legge è fuori discussione. Quando Mosè ha trasmesso le dieci parole a Israele (i dieci comandamenti) Israele ha avuto una base per la sua esistenza di popolo. Ma anche la legge è astratta: può suscitare rispetto e obbedienza ma non riesce a suscitare amore; l'amore è sempre concreto, si rivolge a qualcuno come se fosse unico, insostituibile.
Hanno trovato un bambino, un uomo, una persona concreta. Possibile che sia proprio lì il segreto che cercano? Il 'dove' della verità, della vita? Presso l'uomo? Ma quale uomo? - l'uomo greco, equilibrato fisicamente e psicologicamente; - l'uomo potente, che impone il suo volere sugli altri; - l'uomo ricco, che può permettersi tutto quello che vuole (quasi); - l'uomo famoso che è ammirato e invidiato; - l'uomo colto, che conosce tante cose. No: un bambino, una speranza di uomo, che ha davanti a sé ancora tutte le possibilità aperte. Ma dobbiamo precisare ancora: quali di queste possibilità si realizzeranno? Quale tipo di uomo diventerà? La immagine fondamentale per comprendere è il crocifisso. Prendete, ad esempio, la crocifissione di Gruenewald nella pala di Isenheim che esprime tutta la tragedia della morte: le braccia, le dita sono irrigidite, sono diventate come rami di un albero rinsecchito; le ossa hanno divorato la carne e rendono vere le parole del salmo: "Hanno forato le mie mani e i miei piedi; hanno contato tutte le mie ossa." Non è bello. Lo diceva il profeta Isaia: "Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per trovare in lui diletto. Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia, era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima." (Is 53,2-3) Non è forte tanto che i passanti possono dire: "Ha salvato gli altri, non può salvare se stesso" Non è ricco e i soldati possono dividersi le sue vesti. Non ha onore e subisce gli insulti di tutti. Nemmeno i malfattori si sentono così dappoco da non poterlo umiliare. Ma allora perché? Perché i magi lo cercano? Perché sono contenti di averlo trovato? È un errore?
È vero: quel bambino è debole e anche cresciuto conoscerà la debolezza; ma proprio per questo diventerà fondamento di speranza per gli uomini deboli. Subisce il peccato degli uomini e diventa via di liberazione: "Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio." (2Cor 5,21)
Ha subito la morte proprio per potere liberare noi dalla paura della morte: "Poiché i figli hanno in comune il sangue e la carne, anch'egli ne è divenuto partecipe, per ridurre all'impotenza, mediante la morte colui che della morte ha il potere cioè il diavolo e liberare così quelli che per timore della morte erano soggetti a schiavitù per tutta la vita." (Eb 2,14-15)
Ha conosciuto la povertà; ma anche in questo caso si tratta di povertà feconda: "Da ricco che era – scrive sempre san Paolo – si è fatto povero per arricchire noi con la sua povertà." (2Cor 8,9) Dietro a tutte queste immagini c'è la dimensione dell'amore che si rivela nella vita e nella morte di Gesù. Attraverso di Lui Dio stesso dice all'uomo il suo amore, la sua volontà che l'uomo possa vivere; e lo dice in modo concreto: non con parole astratte, ma con una vita come la nostra e una morte come la nostra. Per questo san Giovanni potrà dire: "Noi abbiamo visto e abbiamo creduto l'amore che Dio ha in noi: Dio è amore." Qui sta l'aspetto più sorprendente. "Che Dio nel suo cielo è ricco – scriveva von Balthasar – lo sanno anche le altre religioni. Che egli con le sue creature abbia voluto essere povero, soffrire, e con l'incarnazione mettersi in grado di dimostrare alle creature il dolore dell'amore, questo è l'inaudito." A partire da questo compimento della croce è possibile rileggere tutti i singoli elementi della vita di Gesù come espressioni di amore. Le guarigioni, ad esempio, che esprimono la premura di Dio per noi e il suo desiderio di fare vivere l'uomo. E soprattutto gli esorcismi che esprimono la forza di Dio come capace di 'liberare' l'uomo. Se potete, non pensate alle manifestazioni orripilanti della possessione diabolica che vanno per la maggiore. In questi casi – diceva argutamente il card. Biffi – siamo di fronte a diavoli stupidi, che si fanno riconoscere subito. I diavoli più temibili sono quelli nascosti, quelli che imprigionano l'uomo dentro a falsità, cattiveria, crudeltà e lo fanno facendo sembrare tutto questo intelligente e furbo e utile. Sono quei diavoli che creano divisioni e lacerazioni e contrapposizioni infinite e distruggono nel cuore dell'uomo l'amore per il bene, la fiducia che il bene è tale e che deve essere praticato a qualunque costo. Sono questi gli esorcismi significativi: quelli che fanno emergere l'umanità dell'uomo attraverso cumuli di macerie di abitudini sbagliate, di cattiverie gratuite, di relazioni false. O pensate alla parabola del Figlio prodigo con la quale Gesù ha cercato di spiegare il suo comportamento: perché Gesù accoglie i peccatori e mangia insieme a loro? Forse perché considera il peccato una cosa da poco? O una sovrastruttura sociale? O perché non sa distinguere tra bene e male? No: piuttosto perché esprime l'amore del Padre che non si rassegna a perdere un figlio, lo accoglie con infinita tenerezza e gioisce di aver riavuto il figlio che sembrava perduto per sempre. Così Gesù, così quell'amore che troverà sulla croce la sua manifestazione completa e definitiva; perché "nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici." (Gv 15,13) Nella stessa linea vanno comprese le parole di Gesù. Sono parole che dichiarano l'amore di Dio per noi: Dio è un Padre ricco di tenerezza e di amore, che gode nel dare la vita ai suoi figli, che li chiama, li attende, li perdona, li rigenera. Davanti a lui l'atteggiamento giusto è quello della fiducia senza limiti, dell'obbedienza prestata non per paura e nemmeno per interesse, ma per amore, con la gioia di compiere ciò che piace a Lui. Le parole di Gesù danno un senso ai diversi gesti di amore manifestandoli come gesti non episodici, superficiali ma piuttosto come frammenti che, raccolti insieme, rivelano il mistero di Dio. Sono parole, quelle di Gesù, che nello stesso tempo chiedono all'uomo l'amore come risposta. Ma intendete bene: Dio chiede che noi amiamo non perché vuole avere un 'ritorno' al suo gesto originario di amore. Piuttosto Dio vuole che noi amiamo perché solo questa può essere la perfezione della nostra vita. Fino a che l'uomo rimane aggrappato ai suoi interessi, alla difesa di se stesso, fino a che l'uomo non riesce a superarsi nel gesto del dono gratuito, l'esistenza dell'uomo rimane meschina, non ancora pienamente 'umana'. L'uomo vero è quello che ama: che ama se stesso accettandosi così come è, che ama gli altri favorendo nel modo corretto la vita di ciascuno, che ama Dio degno di essere amato con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutte le forze. Che ci sia chi è degno di essere amato così, chi suscita quindi in noi un amore del genere è cosa stupenda perché ci permette di superare noi stessi e di 'realizzare' noi stessi nel dono completo dell'amore.
È per tutti questi motivi che Gesù può rivelare ai suoi discepoli: "Io sono la via, la verità e la vita." Gesù è la verità non perché ci spiegherebbe un'idea perfetta da conoscere, ma perché in lui, nella sua vita – parole e opere, azione e sofferenza, vita e morte – in tutto questo Gesù rivela l'amore di Dio per noi. E questa è la verità, la rivelazione. Ho chiesto con insistenza a Dio: "Fammi conoscere chi sono; dimmi cosa devo fare; fammi vedere la tua faccia" e Dio mi ha risposto donandomi Gesù. Non c'è bisogno di altro. Chi è Dio? mi chiedo. M'interessa saperlo perché Dio, se c'è, è la sorgente e la misura di tutto ciò che vale. Chi è dunque Dio? La risposta è Gesù: Dio è amore perché Gesù è passato facendo del bene e amando fino alla morte.
Chi sono io?, mi chiedo allora. E, paradossalmente, la risposta è ancora Gesù: sono uomo chiamato a diventare immagine e somiglianza di Dio; quindi chiamato ad amare, a fare della mia stessa esistenza un dono.
Che cos'è il mondo? Questo cosmo bello e immenso nel quale mi trovo a esistere. È per me o è contro di me? Mi vuole bene o male? La risposta è ancora Gesù: il cosmo è materia nella quale Dio desidera imprimere il sigillo del suo amore. Lo ha già fatto in quella frazione di mondo che è Gesù di Nazaret; desidera farlo nel resto del cosmo attraverso il cammino di libertà dell'uomo. Possiamo dirlo in modo più disteso.
15 miliardi di anni fa è iniziata l'avventura del nostro cosmo; non so se con il big bang o in altro modo, ma il nostro cosmo ha iniziato a espandersi nella moltitudine della galassie. 5 miliardi di anni fa si è formato il sistema solare e la terra ha cominciato a esistere come pianeta consolidato. 3 miliardi di anni fa è il tempo in cui si formano i primi composti organici: si prepara l'avvenuta straordinaria della vita con forme sempre più complesse: le alghe azzurre, la vita vegetale poi quella animale; invertebrati e vertebrati; pesci, anfibi, rettili, uccelli, mammiferi… l'uomo. Bisognerebbe dire più precisamente: australopiteco, homo habilis, homo erectus, homo sapiens, Neanderthal, Cro-magnon, homo sapiens sapiens. È un'avventura ammirevole da seguire. E al termine nasce un'ulteriore domanda: e adesso? A ch4e cosa tende questa incessante trasformazione della natura, questo suo salire verso forme sempre più complesse? È forse terminata per sempre l'evoluzione? Sarebbe difficile da pensare; eppure qualcosa è profondamente mutato. Perché l'uomo – l'homo sapiens sapiens – è cosciente di sé; conosce il suo passato ed è in grado di prendere in mano il suo cammino verso il futuro. Può scegliere la direzione della sua vita. Ma verso dove? Dove andrà? Qualcuno parla di homo technologicus e vede nella tecnologia l'aspetto caratteristico dell'uomo del futuro. Qualcuno sottolinea il prolungamento della vita; già ora l'uomo potrebbe arrivare ai 120 anni. E in futuro, chissà: 130, 150… Evoluzione tecnologica, evoluzione biologica…; chissà se ci sarà anche un'evoluzione della libertà che conduca l'uomo verso una libertà più grande e soprattutto verso una responsabilità più profonda. Beh, credo che questo sia l'annuncio della rivelazione: il futuro dell'uomo è Cristo, è l'uomo che tende tutte le sue capacità, possibilità verso una scelta di amore nel quale possa manifestarsi, in qualche modo, l'amore di Dio. L'uomo divinizzato: "La sua potenza divina ci ha fatto dono di ogni bene… ci ha donato i beni grandissimi e preziosi che erano stati promessi, perché diventaste per loro mezzo partecipi della natura divina." (2Pt 1,3-4) L'uomo immagine di Dio, l'uomo secondo la forma di Gesù Cristo, figlio di Dio. La differenza da Adamo che aveva cercato di farsi simile a Dio sta nel fatto che Adamo aveva cercato di farsi Dio senza Dio, contro Dio, nell'affermazione solitaria della sua grandezza. Mentre la vita della somiglianza con Dio consiste nello scambio libero e generoso del dono: nel ricevere da Dio il dono della somiglianza con Lui e nel ridare a Dio il dono della nostra stessa vita trasfigurata: appunto, quello che è avvenuto in Gesù.
Questo cammino verso il futuro non costituisce, però, un'evoluzione garantita perché si gioca entro lo spazio della libertà dell'uomo e la libertà dell'uomo è cosa tremendamente seria. Nel succedersi delle specie animali l'evoluzione ha progredito secondo una legge di selezione della specie che portava (forse) alla sopravvivenza del più adatto. Ma l'uomo ha imparato comportamenti nuovi, inediti, che non sono giustificati dall'istinto di sopravvivenza e che non determinano la sopravvivenza del più adatto.
Prendete, ad esempio, il gesto di Massimiliano Kolbe che, nel campo di concentramento di Auschwitz, consegna se stesso al posto di un padre di famiglia designato a morire nella cella della fame. P. Kolbe muore liberamente perché un altro possa vivere e sostenere la sua famiglia. È un gesto sorprendente perché l'amore – e in questo caso l'amore per un estraneo, non conosciuto – prevale sull'istinto di sopravvivenza. È qualcosa di nuovo nell'evoluzione della specie, qualcosa che allude a un progresso diverso, a un mondo diverso.
O pensate a madre Teresa che a Calcutta impegna tempo ed energie per onorare i moribondi e aiutarli a morire in modo degno. Non per curarli perché vivano – non è più possibile. Ma solo perché muoiano circondati da rispetto e onore, con accanto un volto amico che li accompagna. Dal punto di vista biologico non ha alcun senso: in tutti i modi quelle persone moriranno tra poco; non sono loro il futuro della specie. La cura che si presta loro è per definizione inutile. Eppure noi sappiamo riconoscere in questo gesto una manifestazione autentica di umanità.
È una linea di evoluzione nuova che comincia a manifestarsi. Non sono sicuro che questa linea prevarrà per quello che dicevo sopra: è una linea che progredisce solo attraverso la libertà. Ma sono sicuro che se evoluzione ci sarà, sarà in questa direzione. Quella che ha annunciato Gesù stesso. Egli è venuto "non per essere servito ma per servire e dare la sua vita come riscatto per la moltitudine." Lui che è il Signore "si alzò da tavola, prese un asciugatoio e se lo cinse. Poi cominciò a lavare i piedi dei suoi discepoli e ad asciugarli con l'asciugatoio di cui si era cinto." Re dell'universo si è manifestato "mite e umile di cuore." Insomma, Gesù Cristo ci è presentato da Dio stesso come l'uomo del futuro, come irruzione nel mondo del mistero di Dio da cui viene il mondo e verso cui il mondo è attratto.
Si potrebbe obiettare che ho parlato di gesti unici e straordinari (padre Kolbe), di persone irripetibili (Gesù di Nazaret, madre Teresa). Ma non è vero: la qualità dei gesti di cui sto parlando è presente in molti comportamenti umani – nell'amore di una madre o nel servizio di un volontario, nella dedizione di un medico o nella passione di un maestro. Solo che generalmente i caratteri della scrittura sono minuti e non è facile leggerli. Nella vita di Gesù e in quella dei santi la presenza dell'amore che viene da Dio è molto più evidente. Ma proprio per questo Gesù e i santi ci aiutano e leggere anche il resto della vita in questa stessa logica. In ogni modo questo futuro non è un ideale o un sogno. L'ideale sarebbe bello ma astratto; il sogno può essere affascinante ma rimane illusorio. Gesù, i santi, non sono idee e non sono illusioni; sono persone concrete che hanno camminato sulla nostra terra e hanno reso effettiva una possibilità. A noi è offerta la medesima possibilità, come una sfida alla quale siamo chiamati a rispondere.
Il libro dell'Apocalisse incomincia con una grande visione descritta nel capp. 4 e 5. Giovanni, il veggente, viene rapito in cielo e vede il trono su cui siede Dio, creatore e Signore dell'universo. Il trono è avvolto da un arcobaleno simile a smeraldo, immagine della straordinaria vitalità di Dio. Attorno al trono stanno quattro viventi e ventiquattro vegliardi. Sono il simbolo del mondo nelle sue diverse dimensioni e della storia nella sua grande varietà. Cosmo e storia stanno attorno al trono di Dio dal quale sono governati; da loro sale a Dio l'inno di lode e di ringraziamento. "E vidi nella mano destra di colui che era assiso sul trono un libro a forma di rotolo, scritto sul lato interno e su quello esterno, sigillato con sette sigilli. Vidi un angelo forte che proclamava a gran voce: Chi è degno di aprire il libro e scioglierne i sigilli? Ma nessuno né in cielo, né in terra, né sottoterra era in grado di aprire il libro e di leggerlo. Io piangevo molto perché non si trovava nessuno degno di aprire il libro e di leggerlo." Questo misterioso rotolo sigillato contiene, evidentemente, il mistero del mondo e della storia, il senso del cammino di evoluzione, di azione, di sofferenza che accompagna la storia dell'uomo. È difficile cogliere il senso della storia; anzi è in realtà impossibile. Per farlo bisognerebbe trovarsi alla fine (al compimento) della storia e starne al di fuori. Per l'uomo che sta dentro la storia in un punto particolare del suo svolgimento la visione della totalità è impossibile e di conseguenza inconoscibile il significato. Per questo Shakespeare poteva dire nel Macbeth che la vita umana è "come il racconto di un idiota, pieno di furore ma che non significa niente." Così, inevitabilmente, appare il dramma della storia umana dal di dentro. Ed è comprensibile il pianto del veggente (v. 4) E' il pianto di chi teme che tutte le sofferenze umane siano inutili, che tutti i desideri siano destinati alla delusione, che tutte le ingiustizie finiscano per prevalere e l'onestà non abbia chi alla fine le renda giustizia. A questo punto viene l'annuncio di rivelazione. "Uno dei vegliardi mi disse: Non piangere più; ha vinto il leone della tribù di Giuda, il Germoglio di Davide, e aprirà il libro e i suoi sette sigilli." Il leone, il germoglio sono immagini note del Messia promesso dai profeti. Lui. Colui che viene, sarà in grado di sciogliere l'enigma della storia. Vediamo come e perché. "poi vidi in mezzo al trono circondato dai quattro esseri viventi e dai vegliardi un Agnello, come immolato. Egli aveva sette corna e sette occhi, simbolo dei sette spiriti di Dio mandati su tutta la terra. E l'Agnello prese il libro dalla destra di Colui che era seduto sul trono." La coerenza dell'immagine lascia un po' a desiderare: il leone è diventato un agnello; l'agnello è prima ritto sul trono poi chiaramente spostato. Ma il messaggio è chiarissimo: il Messia ha la maestà e la forza del leone, ma le esercita in modo mite, non violento, appunto come un agnello. Ha un potere equivalente a quello di Dio ma questo potere gli è dato da Dio stesso. Lui, questo agnello, ha il potere di sciogliere i sigilli del libro. Ancora ci chiediamo: perché? È a motivo della sua forza invincibile?
Della sua sapienza ineguagliabile? Della sua ricchezza impareggiabile? No; il motivo è proclamato da coloro che personificano le forze operanti nel mondo: "Tu sei degno di prendere il libro e di aprirne i sigilli, perché sei stato immolato e hai riscattato per Dio con il tuo sangue uomini di ogni tribù, popolo e nazione e li hai costituiti per il nostro Dio un regno di sacerdoti e regneranno sopra la terra." Il motivo, dunque, è che l'agnello è immolato, è stato sacrificato. La sua morte – sacrificio per la salvezza del mondo – è l'elemento decisivo. Il motivo l'abbiamo già ricordato: la morte di Gesù è rivelazione dell'amore di Dio; è gesto umano di amore portato fino alla totalità; lì, e solo lì il mistero è svelato. Non sono le folgoranti campagne vittoriose di Alessandro Magno attraverso l'Asia che danno il senso ultimo alla storia; non sono le riflessioni profonde e ammirevoli di Platone; è invece la morte vergognosa di un crocifisso. Ma intendiamoci bene: non è la morte in quanto tale ciò che rivela; e nemmeno le sofferenze indicibili che l'hanno accompagnata. È piuttosto l'obbedienza con cui l'Agnello si è sottomesso alla volontà del Padre e l'amore con cui ha cercato e prodotto la salvezza degli uomini. Ha riscattato per Dio uomini di ogni popolo; e cioè ha ricondotto l'umanità a Dio distruggendo il peccato dell'autosufficienza. Non è possibile comprendere il mistero della storia se non la si riconduce a Dio. L'uomo, staccato da Dio, cade nella contraddizione, nell'impossibilità di dare senso a se stesso.
L'effetto della morte di Gesù è, secondo l'Apocalisse, che gli uomini diventano un regno di sacerdoti e regneranno sopra la terra. Re e sacerdoti, dunque. Re, anzitutto. È vero: di fronte al mondo l'uomo è piccola cosa; la natura può schiacciarlo senza nemmeno accorgersene. Verrebbe spontaneo, per un uomo consapevole della sua piccola statura, rispondere alla potenza della natura con la paura. E invece, a motivo del suo rapporto riconciliato con Dio, l'uomo può, deve vivere nel mondo con libertà regale. Si legge nel profeta Geremia: "Così dice il Signore: non imitate la condotta delle genti e non abbiate paura dei segni del cielo; perché le genti hanno paura di essi. Poiché ciò che è il terrore dei popoli è un nulla." (Ger 10,2-3) Proprio così: non abbiate paura dei segni del cielo! Possiamo riprendere una parola simile di Paolo quando scrive ai Corinzi: "Nessuno ponga la sua gloria negli uomini, perché tutto è vostro: Paolo, Apollo, Cefa, il mondo, la vita, la morte, il presente, il futuro: tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio." (1Cor 3,21-23) Parafrasi: attraverso Gesù Cristo, voi appartenete a Dio come suoi figli. Ebbene, questa appartenenza vi sottrae a qualsiasi potere mondano – potere degli uomini o delle potenze, del tempo o dello spazio. Non dovrete essere schiavi di nessuno perché Cristo vi ha liberato. Se ci sono predicatori che voi ascoltate con obbedienza, ciò non significa che diventate servi di loro; al contrario sono loro a dover essere vostri servi annunciandovi il vangelo e solo il vangelo. Se il mondo è più grande di voi, non deve però sedurvi con la promessa della vita né impaurirvi con la minaccia della morte: la vostra vita è già assicurata presso Dio e la vostra morte è già redenta per la resurrezione del Signore. Non lasciatevi quindi dominare da nulla: siete re; siatelo davvero con un'esistenza libera dal mondo. Secondo elemento: sacerdoti. Forse il messaggio è più difficile da capire, ma altrettanto affascinante. Sacerdote è chi fa salire a Dio l'offerta che sia a Lui gradita. Sacerdote è l'uomo quando, usando le cose del mondo e costruendo così il mondo stesso, dà al mondo e alle cose una forma che sia gradita davanti a Dio. L'uomo è trasformatore per natura: usa i metalli e ne fa strumenti; si costruisce un ambiente nel quale poter vivere un'esistenza umana. Ma come prende forma questa trasformazione? I metalli, trasformati, possono diventare strumenti di pace e strumenti di guerra, possono dar forza all'odio dell'uomo, al suo egoismo o, viceversa, al suo amore. Ebbene, l'uomo è sacerdote quando la trasformazione che egli compie rende il mondo gradito a Dio, lo trasforma, quindi, secondo la logica dell'amore e della generosità. Non è forse questa la cosa più grande che l'uomo possa fare? Prendere terra e legno e ferro e, usandoli, produrre amore e giustizia e fraternità. Questo dà senso alle cose; questa è la 'verità' del mondo. C'è un mondo falso ed è quello costruito dalle nostre scelte di interesse egoistico e di paura; c'è un mondo 'vero', autentico: quello costruito dalle nostre scelte di amore e di comunione. Gesù è il grande dono di Dio per questo: per assicurarci del suo amore e rendere noi capaci di entrare liberamente, consapevolmente, nella dinamica dell'amore facendovi entrare il mondo stesso che noi gestiamo. A Pilato che lo interrogava sulla sua regalità ("Dunque tu sei re?") Gesù ha risposto: "Tu lo dici; io sono re. Per questo sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità ascolta la mia voce." Gesù è venuto nel mondo per esercitare un potere regale. Ha conquistato questo potere senza eserciti, senza giochi politici. Lo ha conquistato amando e, in questo modo, rivelando la 'verità', cioè l'amore di Dio per l'uomo. Da allora ci sono persone che, ascoltando la parola di Gesù, osservando la sua vita e la sua morte, vengono colpite nel profondo del cuore da questa rivelazione. E si mettono al seguito di Gesù; come per imparare da lui l'arte di amare. E non solo imparando intellettualmente ma sperimentando anzitutto la gioia di essere amati e accolti e perdonati; poi, con l'amore ricevuto da Gesù, provando ad amare a loro volta. Iniziano così un cammino lungo e faticoso nel quale sono molti i passaggi stretti, i deserti aridi. Ma nei quali sempre quella stella che hanno visto i magi continua a indicare la strada e a rafforzare i cuori. Chissà; forse l'evoluzione dell'umanità passa attraverso gente come loro. Gente che tenta, con umiltà e perseveranza, di immettere la forma di Dio nella vita degli uomini. Morranno, probabilmente, senza aver visto nessun cambiamento significativo; morranno nell'oscurità, come tutti. Ma forse saranno capaci di affidarsi a quel Gesù che li ha amati, li ama e ha promesso di accoglierli.
"Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio, e abbiate fede anche in me, Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Se no, ve l'avrei detto. Io vado a prepararvi un posto; quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io. E del luogo dove io vado voi conoscete la via. Gli disse Tommaso: Signore, non sappiamo dove vai e come possiamo conoscere la via? Gli disse Gesù: Io sono la via, la verità e la vita." (Gv 14,1-8).
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