Come agnelli
fra i lupi
Italo
Castellani, arcivescovo di Lucca
«Per
un'altra strada fecero ritorno al loro paese» (Mt. 2,12)
I Magi tornarono al loro paese, ma per un'altra strada. Ora che hanno trovato
il Signore della vita - "l'Atteso delle genti" (Mc.8,29), colui
che da sempre cercavano, la 'luce' che illumina il cammino – la loro vita ne
esce profondamente trasformata.
La strada di ritorno – "per un'altra strada" (Mt. 2,12), rispetto a
quella che avevano percorso per arrivare a Betlemme – è figura di un cammino
nuovo, di un modo nuovo di pensare e vivere la vita.
Tornano a casa come veri adoratori di Dio!
I Magi, con il Signore nel cuore, sanno d'ora in poi di poter contare sulla
forza che viene da Dio, dall'Alto; e sono mossi dal desiderio profondo di
arrivare, raccontare e donare la Verità del Verbo di Dio che hanno adorato e
conosciuto a tutti coloro che incontreranno lungo il cammino di ritorno, e a
quanti hanno lasciato nelle loro città.
In proposito già Giovanni Paolo II, invitandoci qui a Colonia, con il messaggio
ai giovani di tutto il mondo nell'Agosto dell'anno scorso, offriva queste
considerazioni e proposte: "Il cambiamento di rotta dei Magi" –
"per un'altra strada fecero ritorno al loro paese" – "può
simboleggiare la 'conversione' a cui coloro che incontrano Gesù sono chiamati
per diventare i veri adoratori che Egli desidera" (cf. Gv. 4,23-24). Ciò
comporta l'imitazione del suo modo di agire facendo di se stessi, come scrive
l'Apostolo Paolo, un "sacrificio vivente, santo e gradito a Dio" (Giovanni
Paolo II, Messaggio ai giovani del mondo in occasione della XX Giornata
Mondiale della Gioventù, 6 agosto 2004, 6).
Sono certo che ciascuno di noi non riprenderà la strada di casa, dopo queste
giornate di grazia a Colonia, senza aver fatto delle scelte significative, che
scaturiscono da un rinnovato incontro con il Signore che si sta avverando per
ciascuno di noi.
Un interrogativo s'impone: cosa comporta per noi, che "siamo venuti per
adorare il Signore", ritornare alle nostre città, nelle nostre famiglie,
tra i nostri amici, nel lavoro o a scuola, come "veri adoratori di
Dio" (cf Gv 4,11)?
Desidero offrirvi un punto fermo attorno a cui fare sintesi dei momenti di
preghiera e di festa, delle proposte di catechesi, delle celebrazioni
eucaristiche e penitenziali, dei non programmati e arricchenti incontri
personali di queste giornate.
Vivere nel mondo come "veri adoratori" significa fare nostro il
segreto, la verità stessa di Gesù, Egli fa la volontà del Padre: "sia
fatta la tua volontà, non la mia" (Gv.6,38).
Gesù non ci risparmia la verità: "Non chiunque mi dice: Signore! Signore!
entrerà nel regno dei cieli ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei
cieli (Mt. 7,21). E, come se non bastasse: "Chiunque ascolta queste mie
parole e non le mette in pratica è simile ad un uomo stolto che ha costruito la
sua casa sulla sabbia" (Mt. 7,26). Vogliamo essere di questi?
Come si fa a capire la volontà di Dio, si chiederà qualcuno.
Non è sempre facile! Non perché la 'volontà di Dio' non si manifesti, ma perché
siamo molto attaccati alla nostra volontà, ai nostri punti di vista, ai nostri
'mi piace – non mi piace'; in definitiva siamo troppo attaccati ad una
interpretazione troppo terrena della vita!
È opportuno cominciare a pensare la vita come un lungo cammino o, in ogni modo,
un bel cammino che Dio ha pensato personalmente per ciascuno di noi, ce ne ha
fatto dono, ce ne fa dono ogni giorno!
Queste sono le "altre strade" su cui incamminarci, da percorrere
senza sosta, per imparare a discernere e fare la 'volontà di Dio'.
La prima via è la Parola di Dio
È una strada chiara, sempre a portata dell'uomo. Per essere più concreto vi
dico: mentre accogliamo "la Parola di Dio qual essa è, e non come parola
di uomo" – con lo spirito di carità e di amore di Gesù prendiamo il
Vangelo, le Sacre Scritture, alla lettera. Con questo voglio dire: non
adattiamola troppo ai nostri gusti, ma restiamo fedeli all'interpretazione e
dono che ne fa la Chiesa.
Diamo fiducia, la nostra personale fiducia, alla Parola del Signore, la Sacra
Scrittura, come Parola del Signore rivolta personalmente a ciascuno di noi e ad
ogni uomo di buona volontà.
In questa ottica personalizzo la mia riflessione e a ciascuno dico:
Per "entrare"nel cuore, la Parola di Dio ha bisogno che tu le apra la
porta della tua vita… Sta a te prendere questa decisione…
Concretamente: non rinviare all'infinito questa decisione: l'uomo serio non
mette in aspettativa né se stesso né Dio!
Credi all'efficacia della Parola di Dio, alla sua potenza! Se ha dato il via
alla vita ("Sia la luce… e fu luce"), se ha creato l'uomo
("Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza"), la Parola del
Signore può essere lampada, luce ai tuoi passi, può creare e ricreare
costantemente la tua vita.
Concretamente: credere alla Parola di Dio significa: trovare tempo per la
preghiera personale (… qualche minuto ogni giorno in ginocchio nella propria
stanza); dare un po' del nostro tempo alla meditazione (…magari partendo dal
brano della Parola di Dio ascoltata nella Messa domenicale); nutrirci di
qualche buona lettura (la vita dei Santi, le riviste dell'associazione di cui
fai parte); confrontarci con gli altri, credenti e non credenti, sul
significato di quanto avviene nella chiesa e nella società (…partecipando a
proposte culturali e di studio); trovare del tempo solo ed essenzialmente per
la vita nello Spirito, per la propria formazione spirituale (…magari
accogliendo la proposta degli Esercizi Spirituali).
La seconda via sono gli avvenimenti della vita
La nostra vicenda quotidiana è segnata da tanti avvenimenti: il Signore ci
passa accanto e ci parla, manifesta la sua volontà attraverso i fatti
quotidiani che sono la vita, la morte, spesso la salute, le doti e le
deficienze, il successo e l'insuccesso, le amicizie e le inimicizie, l'amore e
l'incomprensione, i mutamenti sociali, culturali, le guerre, i cataclismi… gli
attentati dei nostri giorni.
A questo proposito – e mi scuso del riferimento personale, a cui ricorro per
spiegarmi meglio - ricordo un fatto di sofferenza che nella mia vita mi
ha fatto molto bene. Qualche anno fa ho subito un incidente gravissimo che,
oltre un delicato intervento durato dieci ore, mi ha tenuto immobile (e quindi
non autonomo nei movimenti) per diversi mesi. Ad un amico (che non era nella
mia stessa onda di fede nella lettura di questo fatto) al quale confidavo che
il tutto era stato dono, reagiva commiserandomi e mettendo in dubbio se non
avessi qualche conseguenza alla testa. Sì, in quella occasione, Dio mi passò
accanto e mi fece rileggere la mia vita; imparai a discernere ciò che è
essenziale, nella vita quotidiana, da ciò che non lo è: ciò per cui vale la
pena 'arrabbiarsi' e ciò per cui non ne vale proprio la pena, e che è invece
all'ordine del giorno della nostra esperienza quotidiana; imparai a saper stare
accanto a chi sta male davvero nel corpo e nello spirito… anche se non ho mai
imparato abbastanza! Alla fin fine l'unica forza nel buio degli avvenimenti è
il pensiero di piacere a Dio in tutto, di mai stancarci dalla luce della sua
volontà: "Cammina alla mia presenza e sii perfetto" (Gn.17,1), ha
detto Dio al primo eletto: Abramo.
Romano Guardini, un teologo e pensatore del secolo scorso, scriveva:
"Rassegnarsi alla volontà di Dio; adattarsi alla volontà di Dio; volere la
volontà di Dio; amare la volontà di Dio. È questione di pochi secondi. Prima di
cominciare qualsiasi attività pensa: che cosa vuole Dio da me in questa
faccenda? E, con la grazia divina, agisci".
La terza via è l'adempimento dei propri doveri
È la strada più difficile per discernere la volontà di Dio, ma molto
realistica. La volontà di Dio si discerne vivendo con volontà e molto amore i
nostri doveri. Ci sono doveri inerenti al proprio stato, alla propria vocazione
di genitori o di figlio. Ci sono doveri inerenti alla professione, al lavoro:
studente, lavoratore dipendente o in proprio, nel pubblico o nel privato. Ci
sono doveri inerenti al ministero o servizio ecclesiale, a cui siamo stati
chiamati dalla e nella comunità ecclesiale: catechista, animatore liturgico,
animatore del gruppo o associazione giovanile, responsabile del gruppo
fidanzati o sposi, ecc.
Si tratta di non saltare il quotidiano! Ovvero occorre testimoniare la santità
nel quotidiano. Sì, è l'umile e spesso nascosta realtà di ogni giorno la vera
evidenza della fede, luogo privilegiato di testimonianza. È nel tessere
continuamente rapporti veri, è nell'onestà, nella dedizione, nell'accoglienza e
nella ricerca della giustizia, che prende forma la testimonianza. È nella
quotidiana fedeltà di uomini e donne all'evangelo, che la presenza di Cristo
viene narrata nuovamente oggi. Ma questa attenzione al quotidiano vuol dire
essenzialmente perseveranza, capacità di resistere alla prova della durata, di
dare continuità ad una scelta, di vivere una fedeltà narrando la fedeltà di
Dio.
La quarta via è 'amare il nostro tempo', come dono di Dio e come
"tempo propizio", affidato alla nostra responsabilità
Il nostro tempo, la situazione storica contemporanea è condizione da accogliere
come "tempo propizio": kairòs! Come vero dono di Dio!
I "segni dei tempi", piccoli e spesso impercettibili, sono di fatto
anticipazioni che lo Spirito fa fiorire nell'"oggi di Dio", che è la
nostra storia.
In particolare il "cambiamento rapido e profondo", la "crisi del
nostro tempo", è da accogliere come "dono", "grazia"
responsabilizzante.
Una lettura e accoglienza del nostro tempo come "kairòs" si oppone al
possibile atteggiamento di pessimismo o disfattismo che può albergare nel
nostro cuore e non conduce da nessuna parte.
È lo Spirito che conduce e orienta la "Storia": il "credente
contemplativo" – che guarda la vita con gli occhi di Dio – si lascia
condurre e guidare dall'"Amore Trinitario", dalla "forza di
Dio" e da null'altro! Si tratta di accettare gioiosamente il kairòs: il
Signore che passa qui e ora nella storia dell'umanità, della Chiesa, della mia
Chiesa locale,della mia famiglia,del gruppo ecclesiale di cui facevo parte,
della mia vita che mi passa accanto qui nella Giornata Mondiale della Gioventù
a Colonia!…
Il 'discepolo' che si pone in "religioso ascolto", ovvero in un
"ascolto contemplativo" dell'oggi, può riconoscere nei "segni
dei tempi" delle indicazioni per un "cammino spirituale"
personale ed ecclesiale.
Il riconoscimento e il "discernimento" dei "segni dei
tempi", fugato ogni pessimismo, chiama il "credente" e l'uomo di
"buona volontà" ad affrontare "il mondo che cambia" con un
atteggiamento profondamente "teologale" e lo corresponsabilizza verso
se stesso e nel suo servizio all'umanità.
Desidero passare a voi giovani questo "grido profetico" che Arturo
Paoli, Piccolo Fratello di Gesù, oggi un 'giovane novantaquattrenne' e con 35
anni di vita donata notte e giorno per amore di Dio tra i ragazzi di strada in
Brasile, ha lanciato ai giovani della mia Diocesi: "BISOGNA SCHIODARE GESÙ
DALLA CROCE!"
Che significa? "Si tratta di andare con fiducia verso gli altri. Verso i
'feriti' del nostro tempo. Come faceva Gesù che è vissuto sulla strada",
sottolinea Fr. Arturo. È lì che incontrava i 'feriti' del suo e nostro tempo:
ammalati, storpi, poveri… In definitiva persone abbandonate, sole!
Anche a noi è chiesto di uscire di casa – dal nostro individualismo, dalle
nostre sicurezze, alla fin fine dalla nostra solitudine, che ci fa infelici –
per andare verso gli altri e farci carico dei 'feriti': nella nostra famiglia,
tra gli amici di scuola, nelle nostre città, in parrocchia… tra gli ultimi!
Si tratta di avere e coltivare nel cuore, nei fatti, la passione, l'Amore per
gli altri.
Dio ci accompagna nella nostra responsabilità verso questo 'mondo ferito', che
invoca pace e solidarietà, donandoci forza, luce, ma lasciando a noi la nostra
responsabilità.
La quinta via è partecipare in prima persona a creare una 'cultura di
pace'
"Vivere
nel mondo come veri adoratori di Dio" significa sentirsi in prima persona
responsabili di partecipare a creare una 'cultura di pace' per la vita e la
pace del mondo.
Augurando e offrendo la pace ai suoi discepoli, Gesù risorto dona se stesso,
poiché "Egli è la nostra pace" (Ef. 2,14).
Pace è uno dei nomi più significativi di Dio. Tanti oggi invocano la pace, e
mentre lo fanno non sanno di stare invocando Dio.
Proprio perché la pace è una dimensione o qualità del suo essere, Dio, donando
la pace si dà come pace, secondo la sovrabbondanza del suo amore. Dono e frutto
della straripante partecipazione di pace del Padre è Cristo, nostra pace,
l'uomo che porta il buon annuncio del Regno di pace, nel quale far entrare
tutta l'umanità liberata dall'inimicizia.
La pace è quindi il mistero di Dio, è il nome di Gesù, è il nome del Vangelo.
Per questo essa è uno dei luoghi supremi della confessione della fede. La pace
non può quindi essere separata dal Vangelo.
Nel momento in cui in nome del Vangelo giudichiamo la guerra come antievangelo,
dobbiamo testimoniare, come agnelli in mezzo ai lupi, il perdono e la
riconciliazione.
Per piantare la bandiera della pace nel cuore di ciascuno e nel cuore dei
grandi conflitti, sono fragili ma al contempo decisive le armi a disposizione
della Chiesa: la fede, la parola, la giustizia, il Vangelo, la preghiera, il
perdono vicendevole. Fragili e decisive come lo stile che deve caratterizzare
il cristiano, quello della non violenza.
"Da qui sorgono alcune sollecitazioni, come possibili atteggiamenti per
partecipare a creare una 'cultura di pace', "per la vita e la pace del
mondo".
• Pace con noi stessi: nella cella del cuore di ciascuno è in atto la battaglia
spirituale contro le grandi dominanti culturali che seducono il mondo.
Solo se disarmeremo i nostri cuori, disarmeremo anche gli eserciti.
• Pace nella comunità: per risultare credibile, l'annuncio del Vangelo della
pace esige coerenza di vita da parte della Chiesa e di ogni comunità. Una
Chiesa divisa, piena di divisioni, gelosie ed invidie, non potrà mai annunciare
con verità il Vangelo della pace.
• Pace nella storia e fra gli uomini: una Chiesa evangelizzata dal Messia della
pace può portare la sua parola profetica al cuore dei conflitti, può denunciare
l'idolatria della guerra, può consegnare con verità la parola del perdono e
della riconciliazione e le opere coerenti con queste parole. È necessario prima
di tutto educare alla pace, crescere nella mitezza, e partendo dalla più tenera
età sensibilizzare e informare sulla realtà dei paesi più poveri. A chiunque attraversa
i territori delle nostre comunità, siamo chiamati a dare prima di tutto la
possibilità di sperimentare la pace, ad accogliere tutti senza distinzione di
persone: se faremo qualche preferenza, questa sarà per i poveri, i piccoli, per
gli ultimi. Per questo la presenza di molti immigrati ci chiama a vincere lo
spirito di superiorità e di razzismo. Inoltre, il fatto che molti di essi siano
cristiani (ad es. Ortodossi…) ci chiede di ospitarli perché essi possano
celebrare la fede secondo le loro tradizioni.
• Pace con il creato: rispettare la creazione non è atteggiamento ecologico,
bensì conseguenza di uno sguardo contemplativo. Si tratta di vedere i segni di
Dio nella creazione che ce la consegnano come sacramento, cioè come traccia di
comunione con Lui. Ecco perché il creato non può essere oggetto di violenza, di
rapina, di possesso per pochi privilegiati. Il cristiano sa di essere
"tramite" tra il Dio Trinità e la creazione, ma accoglie la creazione
come "tramite" tra il Dio Trinità e l'umanità.
• Pace con Dio: la pace potrà realizzarsi solo se siamo pronti a vivere in pace
con Dio, a lasciarsi trasfigurare da Lui, a renderci disponibili ai suoi
disegni su di noi.
Alcune domande
per la riflessione personale o di gruppo
1) "Vivere nel mondo come veri adoratori di Dio": tra le 'strade'
indicate quali sono particolarmente chiamato a percorrere nell'oggi della mia
vita?
2) Quale/Quali scelte di vita cristiana mi sollecita l'esperienza della
"Giornata Mondiale della Gioventù"?
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