La condizione
del ritorno: insieme
Angelo
Scola, patriarca di Venezia
1. Sulla
strada: vagabondi o pellegrini?
a) Entro
domenica saremo qui in un milione. Per questo ci siamo messi sulla strada da
193 Paesi. Non diamo per scontato questo evento. Domandiamoci: sulla strada,
perché?
Scrive Jack Kerouac nel romanzo-simbolo della beat-generation – On the Road
- che presto diventerà un film:
«Un tipo alto e dinoccolato con un cappello a larghe tese fermò la sua macchina
in contromano e attraversò verso di noi; aveva l'aria di uno sceriffo. Noi
preparammo segretamente le nostre storie. Lui si avvicinò senza affrettarsi.
"Andate da qualche parte di preciso, voi ragazzi, o viaggiate senza
meta?". Non capimmo la domanda, eppure era una domanda maledettamente
chiara. "Perché?" "… sono proprietario di un piccolo Luna-park
che è sistemato a pochi chilometri da qui sulla strada e sto cercando dei bravi
ragazzi che abbiamo voglia di lavorare e di guadagnarsi qualche dollaro. Ho la
licenza per una roulette e per un tiro agli anelli, sapete, di quelli che si
buttano attorno alle bambole e chi vince vince. Se volete lavorare per me,
ragazzi, potete avere il trenta per cento sugli incassi". "Vitto e
alloggio?". "Avrete un letto ma niente vitto. Vi toccherà mangiare in
paese. Noi viaggiamo parecchio". Ci pensammo su. "È una buona
occasione" disse lui e attese pazientemente che ci decidessimo. Ci
sentivamo sciocchi e non sapevamo che cosa dire, e io prima di tutto non volevo
restare impegolato con un Luna-park. Avevo una tale maledetta fretta di
raggiungere la comitiva a Denver. Risposi: "Non so, vado più presto che
posso e non credo di avere tempo". Eddie disse la stessa cosa, e il
vecchio salutò con la mano e con indifferenza tornò lentamente all'automobile e
partì. E questo fu tutto» (Jack Kerouac, Sulla strada, Mondadori 1995, 55).
Lo stare sulla
strada può identificarsi, come per Kerouac, con l'essere trascinati dalla
frenesia di un andare senza fine, nell'illusione di cancellare la noia, in
tutte le sue varianti. Illudendosi in fondo di esorcizzare il terrore della
morte. In questo caso la meta è non avere meta. Ognuno di noi percepisce che il
fascino di questa posizione è perverso perché la posizione è perversa:
contraddice la stoffa dell'io/libertà. Tuttavia rischiano di vivere così anche
molti uomini di oggi, non importa se impegnati con affetti e lavoro (si
impegnano con queste realtà per non soccombere alla noia mortale). Infatti,
come dice Baudelaire, «La noia [è un] mostro delicato che, senza strepito, con
uno sbadiglio, inghiotte il mondo» .
Vivere sulla strada: questo era l'ideale di vita per Kerouac e per tutta la
beat-generation: vagabondare. Per noi il rischio è peggiore: vivere come
vagabondi comodi.
b) I Magi invece
camminavano, sfidando ogni avversità e prova, perché una stella – potremmo
anche usare la parola segno o promessa - li assicurava di una presenza
viva (il Re dei Giudei, quel Bambino) che stavano cercando da tutta la loro
vita. «Siamo venuti per adorarlo». Adorare è camminare avendo presente
qualcuno. L'uomo ragionevole (i Magi) si mette in viaggio perché desidera il
compimento (soddisfazione, perfezione). Il pellegrinaggio è questo: portare a
termine (perficere) un inizio in una meta.
Noi siamo venuti qui avendo negli occhi e nel cuore la meta. (Il verbo latino
ad-orare contiene la radice os, oris, che indica il volto).
Ecco il punto: i Magi sono pellegrini, non vagabondi.
Così deve essere anche per noi: pellegrini consapevoli, non vagabondi comodi.
2. Adorarlo, cioè incontrarlo e riconoscerlo come il vero Bene
Giunti alla meta i Magi cosa fanno?
• «…dei Magi, venuti da Oriente, si presentarono a Gerusalemme, dicendo:
"Dov'è il re dei Giudei ch'è nato?"» Domandano a tutto campo, senza
paura di comunicare il positivo che li ha mossi. Questo domandare a 360°
costruisce rapporti che evidentemente, come tutti i rapporti umani, possono
essere anche forieri di conflitto. «Udito ciò, il re Erode si turbò e tutta Gerusalemme
con lui».
• Lo adorano: si prostrano, come secondo il costume orientale si faceva davanti
ad un re. Lo riconoscono per quello che è, il Signore. Così Lo incontrano.
«Anche i santi hanno mani, e i pellegrini le possono toccare» .
• Gli offrono doni: oro (perché "riconoscono la sua regale
divinità"); incenso (perché "lo confessano come sacerdote della nuova
Alleanza") e mirra (perché "celebrano il profeta che verserà il
proprio sangue per riconciliare l'umanità con il Padre") [dal Messaggio di
Giovanni Paolo II per la Giornata Mondiale della Gioventù di Colonia].
Giunti alla meta
noi, pellegrini come i Magi, cosa facciamo?
• Lo riconosciamo qui e ora: lo incontriamo. Per questo comunichiamo – tra noi
e con tutti – la bellezza di questo incontro e, a 360° in tutte le occasioni
che ci sono date, domandiamo di costruire rapporti veri.
• Lo adoriamo compiendo i gesti che ci sono chiesti (le catechesi, la
condivisione della vita, l'Eucaristia, la Veglia con il Santo Padre,
l'adorazione del S.S., la confessione… fino ai particolari più minuti, come i
canti).
• Offriamo doni (l'oro della nostra libertà, l'incenso della preghiera e la
mirra del dono di noi stessi, dell'offerta).
3. Per un'altra strada: il ritorno come verifica
Quando i Magi raggiungono la meta, cioè quando per grazia il Bambino viene
al loro incontro e la promessa si realizza, cosa fanno? Si apre per loro
l'impegno del ritorno.
Il test che la meta è quella vera (compie il desiderio, porta a termine
l'inizio) è il ritorno. Il ritorno è la verifica della meta. Il viaggio dei
Magi infatti, come quello di ogni pellegrino, ha un'andata, ma anche un
ritorno. Nel Vangelo però il verbo greco dice una sfumatura in più: non il
semplice ritornare ma più propriamente"rincasare". Ed indica il
tornare alla propria casa, alla propria vita quotidiana.
Come nell'andata i Magi non temettero di seguire la stella, anche al prezzo di
non piccole fatiche e sacrifici, perché conduceva ad un luogo ben preciso (il
segno porta sempre con sé la promessa della meta e detta le condizioni per
raggiungerla), così per non tradire quel che avevano visto «per un'altra strada
fecero ritorno alle loro case» (Mt 2, 12). Accettarono, ancora una volta, la
condizione imposta loro dalla meta.
È così anche per noi. Da pellegrini abbiamo accettato le condizioni e siamo
giunti alla meta. Lo stiamo incontrando. Per grazia qui, di fronte a quel
Bambino con Maria sua madre, ci sentiamo rinascere. Ora tocca anche a noi la
verifica del ritorno: dobbiamo cambiare strada.
Questo atteggiamento si chiama conversione. San Paolo: «non conformatevi alla
mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente» (Rm
12, 2). Ciò implica un urto, è un'esigente provocazione. Ma dobbiamo sentire
anche il fascino di questa parola. La conversione infatti non ci chiede
necessariamente di vivere in modo strano, ma certamente di vivere in modo vero,
cioè all'altezza del nostro desiderio. Il desiderio non si realizza senza
sacrificio; non c'è volere senza dovere. Non si può separare la soddisfazione
dalla conversione.
4. Fermarsi all'idolo?
Il ritorno, ogni ritorno, è sempre drammatico. Chi non capisce questo vive
da nostalgico, con la testa voltata indietro. Nostalgia: infantile malattia
dell'uomo che non sa costruire [cantante australiano].
Eliot, nel Viaggio dei Magi, descrive il dramma del ritorno a casa:
E ritornammo qui, nel nostro paese,
in questi Regni; ma non più felici
con quell'antica legge, in mezzo a gente
a noi stranita
che s'aggrappava forte
agli iddii.
(Il viaggio dei Magi Thomas Stearns Eliot, 1888-1965)
a) Un'imponente
conferma del dramma di quel «tornarono alle proprie case» ce lo ha ricordato
più volte Benedetto XVI: la bellezza del gesto che in questi giorni stiamo
vivendo sembra scontrarsi con l'incomprensione di molti che sembrano attaccati
a quelli che il poeta chiama iddii (idoli). Anche a noi, dunque, come ai Magi
non è risparmiata la dura sorte di sentirci stranieri a casa propria, tra i
nostri compagni, magari con la nostra ragazza che non è qui.
b) Una domanda ci rode dentro come un tarlo: non sono forse beni quelli che i
nostri amici, ragazzi e ragazze come noi, perseguono – affetti (per la
ragazza/o, per i genitori…); lavoro (successo a scuola o sul lavoro); riposo
(divertimento) -? Perché allora dobbiamo cambiare, perché si insiste tanto
sulla conversione? In che senso è necessario l'urto, il sacrificio, il dovere?
c) Se non sono vigilante e non vivo questi beni (ragazza, amici, bellezza e
forma fisica, successo scolastico, lavoro soddisfacente e gratificante, divertimento…)
come i Magi vissero la stella – cioè come un segno, una promessa della meta -,
ma li trasformo nella meta stessa, come se fossero il tutto , quando non lo
sono, allora inesorabilmente mi si sfaldano tra le mani, come fiori secchi,
senza vita. Gli idoli infatti sono muti: «Hanno bocca e non parlano; hanno
occhi e non vedono; hanno orecchi e non odono; non c'è respiro nella loro
bocca, hanno bocca ma non parlano» (Sal 135, 16-17). Se non voglio perdere gli
umani beni, devo far spazio a Colui che dà loro consistenza. Essi giustamente
ci attirano , ma poi altrettanto facilmente sembrano dissolversi davanti ai
nostri occhi. Chi ce li assicura nella loro consistenza, strappandoli al
fallimento che genera noia? Gesù, la Via alla Verità e alla Vita. Il dramma
della conversione, allora, non è altro che la lotta per la verità, passare
dall'idolo al Dio vivente. Solo così amare, lavorare, riposare diventano
fattori di soddisfazione. Tutti i beni durano se tu, o Cristo, sei il mio bene.
È questo il senso dell'essere "veri adoratori".
5. La condizione: insieme. Comunità
Il pellegrinaggio in tutta la sua pienezza (essere venuti, adorare,
ritornare alle nostre case) diventa figura, emblema dell'avventura della vita.
Il pellegrinaggio ci salva dall'essere vagabondi senza meta e ci preserva dagli
idoli. Ad una condizione: se non stiamo soli. La vicenda dei Magi è sempre al
plurale. I Magi si muovono in tre, adorano in tre e tornano in tre.
La traversata dell'intera realtà, l'impresa affascinante e drammatica cui il
Padre ci chiama, è personale, ma non individuale. Impossibile compierla senza
una compagnia.
Attenzione però a non "svendere" questo connotato costitutivo della
nostra umana esperienza. La compagnia di cui sto parlando non è surrogabile con
quella 'compagnoneria' di cui spesso ci accontentiamo ma che, non sapendo (né
potendo) rispondere al nostro bisogno più radicale, ultimamente ci lascia soli
. Il nome proprio di questa compagnia è Chiesa, comunità cristiana.
Nella traversata del mondo non siamo soli, camminiamo dentro un popolo in cui
tanti Santi marciano con noi. I Santi di questa terra tedesca ["Bonifacio,
l'apostolo della Germania, e i Santi di Colonia, in particolare Orsola, Alberto
Magno, Teresa Benedetta della Croce (Edith Stein) e il beato Adolph Kolping":
dal Messaggio di Giovanni Paolo II cit.] e i Santi di tutte le terre da cui
veniamo. L'immensa comunione dei Santi che ci ha preceduto sull'altra riva e
quelli che sono ancora in mezzo a noi per guidarci nel compito, arduo ma
affascinante, per cui il Signore ci manda: vivere le dimensioni del mondo come
veri adoratori di Dio.
6. Conclusione
Possiamo stare dentro il reale ed edificare anche nella durezza dell'attuale
società post-moderna. La Vergine Madre, «di speranza fontana vivace», ci
protegge e ci accompagna. Accompagna le parrocchie, le associazioni, i
movimenti ad essere vere comunità, perché luoghi in cui si impara ad essere
uomini e donne, luoghi in cui si può invitare chiunque a vedere («Venite e
vedete» Gv 1, 39), perché ci si educa al gratuito, al "pensiero di
Cristo", a vivere le dimensioni del mondo.
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