La ragione
della speranza
Dionigi
Tettamanzi, arcivescovo di Milano
Carissimi
giovani,
ho letto su alcune magliette queste parole: "Non sei Dio:
rilassati!". Mi hanno fatto riflettere e le ho subito messe in relazione
con il tema della GMG 2005 "Siamo venuti per adorarlo". In realtà,
colui che adora il Dio vivente sa esercitare una buona dose di autoironia e,
mentre è in cammino verso il regno di Dio, porta con sé radicata la convinzione
che Tommaso Moro ha espresso prima che la sua condanna a morte fosse eseguita:
"God, not man is the King!". "Dio, non l'uomo è il Re!".
La custodia profonda di questa dimensione è del tutto essenziale e decisiva per
il vero adoratore del XXI secolo e di ogni tempo. Infatti, se manca questo
senso radicale della trascendenza di Dio, il discorso religioso si riduce
- nella migliore delle ipotesi - all'impegno per alcuni valori
importanti, oppure ad una forma sociologica degna di attenzione. Sì, tutto qui!
Troppo poco.
Proviamo allora a disegnare alcuni lineamenti di uomini e donne che vogliono
vivere nel mondo come veri adoratori del Dio vivente. Lo facciamo con l'aiuto
di un semplice acrostico, che ci richiama la realtà viva e concreta
dell'adorazione. Certo, non abbiamo la pretesa di essere esaurienti. Ci basta
solo fissare nella nostra memoria e nel nostro cuore alcuni paletti
fondamentali, attorno ai quali sviluppare la nostra personale riflessione.
A come
ABITARE
Si tratta di abitare la terra, secondo la celebre espressione del salmista:
"Confida nel Signore e fa' il bene;
abita la terra e vivi con fede.
Cerca la gioia nel Signore,
esaudirà i desideri del tuo cuore" (Salmo 37,3-4)
Abitare la terra con fede, sporcandosi le mani, non sottraendosi alle sfide,
che vanno dal contesto locale in cui viviamo a quelle – inestricabilmente
connesse - della società e del mondo globalizzato, cui pure apparteniamo.
Abitare la terra con un impegno di servizio concreto, con un progetto che a
mano a mano si precisa. Mi chiedo: ci può essere oggi un giovane cristiano che
nel nostro mondo – all'interno cioè della comunità cristiana e/o nella società
– non abbia un impegno di dedizione serio e fedele? Uno può occuparsi solo
della sua formazione e/o del suo lavoro (a meno di essere particolarmente
pressato da impegni e problemi molto seri)?
Ma il salmo ci ricorda anche che la terra va abitata nella gioia che viene dal
Signore, confidando in Lui, senza sentirsi "il salvatore del mondo",
ma d'altra parte senza neppure sottrarsi alle sfide che ci circondano.
Penso che ci siano veramente tanti giovani che sono oziosi perché nessuno li ha
ancora chiamati, ma anche giovani oziosi perché non hanno voluto rispondere ad
un invito. Penso anche a chi è così preoccupato di se stesso, delle proprie
sensazioni, del proprio futuro, delle emozioni che vuole vivere in presa
diretta, da avere indurito il cuore così da non sentire più l'appello di Dio e
di chi li circonda. Preghiamo, allora, perché lo straordinario potenziale di
bene e di entusiasmo che c'è in ciascuno di noi, e in voi giovani in
particolare, possa essere liberato, sciolto e possa finalmente manifestarsi!
Carissimi giovani, abitiamola fino in fondo questa terra. Scuotiamoci da ogni
forma di torpore che ci frena e ci impedisce di esprimerci veramente. Questo
mondo ha disperatamente bisogno di noi, ma anche noi abbiamo un'estrema
necessità di sapere che qualcuno ha bisogno di noi.
D'altra parte a nessuno di noi è chiesto di aiutare il "prossimo".
Infatti, il prossimo non esiste! Gesù nella bellissima parabola del buon
samaritano (cfr. Luca 10, 29-37) parla di "farsi prossimo", di
diventare il prossimo di tutti coloro che lungo la strada, magari
silenziosamente ma realmente, gridano a noi perché percossi, feriti e lasciati
mezzi morti. Il prossimo sono io, nella forma dinamica del diventare prossimo
dei miei fratelli. Ci può essere altro modo per abitare la terra?
D come DAVANTI
Davanti
a che cosa? Davanti a chi? Davanti al Mistero di Dio Trinità santissima,
manifestato nella croce e nella risurrezione di Gesù. Davanti al Dio di Gesù, a
quel Padre che Gesù tante volte ha cercato nelle notti solitarie passate in
preghiera. Nel silenzio, in quel profondo silenzio che solo può custodire le
relazioni della vita quotidiana alla luce del vangelo di Gesù.
La sfida della preghiera è la sfida di chi accetta di sporgersi verso
l'infinito di Dio che abita in ciascuno di noi e nella storia, vincendo la
tentazione di ridurre questo "momento" ad un'"opera da compiere"
quando abbiamo terminato tutte le "cose da fare" della giornata.
Davanti, dunque, al fondamento stesso per vivere con lo Spirito di Gesù. Non
però così: a caso o solo secondo le circostanze. Ma cercando un metodo, magari
anche più di un modo. Personale e comunitario. Chiediamoci, allora: come prego?
con quali strumenti? con che tempi? cosa provo? chi mi accompagna in questo
cammino?
Tutto questo ci porta davanti alla verità della nostra coscienza, smascherando
in modo spietato le illusioni che la vita ci propone. Come ad esempio dice
l'antico scrittore biblico, il Siracide:
"Non dire: «Ho peccato, e che cosa mi è successo?»,
perché il Signore è paziente.
Non esser troppo sicuro del perdono tanto da aggiungere peccato a peccato.
Non dire: «La sua misericordia è grande;
mi perdonerà i molti peccati»,
perché presso di lui ci sono misericordia e ira,
il suo sdegno si riverserà sui peccatori.
Non aspettare a convertirti al Signore
e non rimandare di giorno in giorno…" (Siracide 5, 4-7).
Si tratta allora di smascherare il principale ostacolo alla vera adorazione che
è ogni forma di idolatria. Nessuna tendenza culturale e nessuna moda di
pensiero o di comportamento - ha scritto Giovanni Paolo II in una sua
enciclica - può "cancellare la specificità della nostra fede,
secondo la quale il Cristo è il «solo mediatore tra Dio e gli uomini» (1 Tim 2,
5) e l'unico Salvatore degli uomini" (Veritatis splendor, n. 31).
Idolatria è tutto ciò che si sostituisce indebitamente a Dio, e le forme
dell'idolatria sono una tentazione costante per l'uomo. Perciò chi vuole
veramente seguire Cristo non può lasciarsi influenzare da qualsiasi forma di
religione, da forme spiritistiche o esoteriche; non può affidarsi
all'occultismo o alla magia. Chi vuole veramente seguire Gesù deve riordinare
le sue priorità e le sue convinzioni per sottomettere tutta la sua vita alla
gloriosa signoria di Cristo, oggetto inconfondibile della nostra adorazione.
La vera adorazione implica tutta l'esistenza e smaschera il dominio di tanti falsi
ideali che la nostra società e cultura pesantemente ci impongono, pseudoideali
che tendono a cancellare i veri valori umani e cristiani, arrivando perfino a
penalizzarli o, comunque, a ridicolizzarli. La vera adorazione diviene, invece,
una forza che ci aiuta a reagire alle nuove forme di paganesimo, che producono
solo miseria e confusione in un mondo che rimane ed è assetato di Dio.
O come ORIGINALITA'
La fede e la gioia che viviamo insieme in queste giornate ci riportano a
riflettere sulla nostra vita di ogni giorno. E così, dopo aver portato a Gesù i
nostri doni, tutto quello che siamo e tutto quello che abbiamo, dopo essere
entrati nel mistero dell'adorazione del Signore, vorremmo prepararci a
ritornare al nostro paese e alle nostre case, al nostro lavoro e alle nostre
amicizie per un'altra strada, una strada nuova, la quale apra in noi la
conversione del cuore e della vita; e così potremo vivere nel mondo la vera
adorazione "nello spirito e nella verità", come chiedeva Gesù alla
donna di Samaria e come chiede a ogni suo discepolo (cfr Giovanni 4, 23-24).
Proprio questo è l'appello del papa Giovanni Paolo II nel suo
"Messaggio" per la XX GMG: "Il Vangelo precisa che, dopo aver
incontrato Cristo, i Magi tornarono al loro paese per un'altra strada. Questo
cambiamento di rotta può simboleggiare la conversione a cui coloro che
incontrano Gesù sono chiamati, per diventare i veri adoratori che Egli desidera
(cfr Gv 4, 23-24)" ( n. 6).
In altre parole questa strada nuova prende il nome di "originalità",
di conversione fonte di creatività. La quale non è però una fuga in avanti, ma
è piuttosto essere come "lo scriba divenuto discepolo del regno dei cieli
[che] è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose
antiche» (Matteo 13, 52).
Per la verità, un giovane sente certamente in modo forte il bisogno che la sua
vita non sia banale, ma stia sotto il segno della novità e della
significatività. Perché questo avvenga è necessario combinare tradizione e
originalità, la memoria di quanto ci è stato consegnato da chi ci ha preceduto
nella fede e, insieme, il compito attuale di rispondere alle sfide sempre nuove
che il nostro tempo ci presenta. Dunque né archeologia né l'illusione che il
mondo cominci con noi. Né la pseudo spiritualità dell' "abbiamo sempre
fatto così" - frase magari riferita alle esperienze degli ultimi
tre-cinque-dieci anni – né l'avventura verso il futuro in uno sperimentalismo
che dimentica la saggezza e i semi che lo Spirito Santo ha posto nella storia degli
uomini e nel cammino della Chiesa.
Così hanno fatto i Magi: è stato lo studio della saggezza, consegnata loro, a
consentire ai Magi di intraprendere un viaggio inedito e di inoltrarsi poi in
una nuova strada.
L'originalità cristiana non è, dunque, un salto nel vuoto, ma il dispiegarsi
della libertà che ha incontrato la persona e il mistero del Signore Gesù e che
non si stanca di manifestarne la contemporaneità.
Non ci può essere, quindi, vera novità al di fuori della storia delle nostre
chiese, della storia delle nostre parrocchie, associazioni e movimenti: senza
però che tutto questo diventi una camicia di forza, al limite un idolo che ci
imprigiona e ci impedisce di camminare.
R come RENDERE RAGIONE
Riascoltiamo un interessante brano della Prima Lettera dell'apostolo san
Pietro: "Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a
rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia
questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza, perché‚ nel
momento stesso in cui si parla male di voi rimangano svergognati quelli che
malignano sulla vostra buona condotta in Cristo. E' meglio infatti, se così
vuole Dio, soffrire operando il bene che facendo il male" (1 Pietro 3,
15-17).
L'adorazione è chiamata per sua intima natura e forza a diventare
testimonianza, in particolare nella forma del "rendere ragione". E'
questo che i Magi hanno fatto con quelli che hanno incontrato lungo il loro
viaggio. L'hanno fatto anche con il re Erode, a Gerusalemme.
L'adorazione, dunque, è punto supremo di arrivo e, nello stesso tempo, punto di
ripartenza. Adorare significa essere sempre pronti a rendere ragione della
speranza che è in noi. Non c'è, quindi, una separazione tra il tempo della
preghiera e lo stile di vita. Uno stile di vita fatto di dolcezza e di
rispetto, di "retta coscienza", ossia di grande chiarezza e
determinazione sulle priorità da rispettare. Una determinazione che non è in
nessun modo imparentata con forme, anche solo larvate, di fondamentalismo.
La vera adorazione non è soltanto un'atteggiamento di preghiera da coltivare,
ma è una maniera di vivere, che produce in noi una autentica conversione e si
traduce nel non sottrarsi al confronto, se non per ragioni gravi o gravissime.
Credere richiede un'intelligenza della fede "formata e capace", non
uno stile "pressapochistico" e superficiale. Neppure è possibile
l'ingenuità, quella che ha spinto Gesù a sferzare i suoi discepoli come meno
scaltri dei figli delle tenebre (cfr. Luca 16, 8).
E come EUCARISTIA
Al centro di tutto ciò sta l'Eucaristia, che veramente è "il caso
serio" della fede. Non per nulla, dopo la consacrazione, si dice:
"mistero della fede". Non "un" mistero, neanche
"il" mistero per eccellenza. Semplicemente così: Mistero. Mistero che
i Magi hanno visto con i loro occhi e toccato con le loro mani, ma del quale
non si sono cibati, come noi invece possiamo fare. Eppure – per meno di quello
che a noi, almeno di Domenica, è normalmente accessibile e consueto – hanno
rischiato tutta la loro vita. Noi non semplicemente vediamo la carne del Dio
vivente – come è stato per i Magi che accolsero il "bambino" offerto
loro da Maria (cfr. Matteo 2, 11) -, ma attuiamo il comando di Gesù:
"prendete e mangiate" (Matteo 26, 26). Eppure non sempre la nostra
comunione esistenziale – quella attuata nella e con la vita quotidiana -
è più profonda della loro. Viene da pensare anche a quella donna che da dodici
anni era affetta da emorragia e che è stata guarita e salvata solo per aver
toccato il lembo del mantello di Gesù, neanche per aver toccato il suo corpo
(cfr. Marco 5, 25-34). I Magi - come questa donna - non sono
entrati in comunione profonda con il Signore come possiamo fare noi, eppure
hanno scoperto il segreto dell'adorazione che cambia tutta la vita, il senso di
un incontro che modifica in modo radicale l'orientamento dei nostri passi.
Torniamo ora a un aspetto al quale abbiamo riservato un accenno nella catechesi
di mercoledì: se non c'è stupore, se non c'è meraviglia nel ricevere il corpo
di Cristo nella sua integralità e pienezza, non ci può essere vera e propria
adorazione: non solo nel particolare momento della celebrazione eucaristica, ma
neppure in quello generale della vita vissuta. Come dicevamo: la certezza di
ricevere, ossia di fare intimamente proprio, il modo stesso di Gesù di stare
nel mondo e di starci fino all'amore crocifisso – appunto, il dono totale di sé
nell'amore smisurato - non può affatto lasciarci a distanza, e privi di
slancio. Diviene legge di vita, esigenza cui non ci si può sottrarre!
Cari giovanissimi, portate nelle celebrazioni eucaristiche delle vostre
comunità il vostro contributo di freschezza e di creatività. Non mettetevi solo
"a vedere cosa succede", qual è la proposta. Non lamentatevi senza
aver provato a portare la "pietra viva" della vostra fede e di quella
dei vostri amici per la "costruzione" di un "tempio" sacro
che, nella gioia e nell'esultanza, glorifica il Signore. Senza sperimentalismi
ingenui, ma senza timidezza.
Vi dico ora una parola che può sembrare esagerata, ma che in realtà è vera,
assai vera. E' una parola che deve spingerci ad un amore più intenso
all'Eucaristia e ad un impegno più grande nella sua celebrazione: "senza
partecipare con frutto all'Eucaristia, non c'è Chiesa", ossia non c'è chi
sceglie e di fatto vive a immagine e somiglianza di Gesù, fino a dare la vita
per lui e per i fratelli. E se non c'è la Chiesa, non c'è neppure il Vangelo!
M come MISERICORDIA
Non c'è vita spirituale senza perdono! Anzi, non c'è vita! Non c'è
esperienza di Dio! Non c'è neppure relazione umana, che possa essere duratura e
profonda, se non sappiamo perdonarci.
Sì, senza l'esperienza di Dio che in Gesù prende su di sé le nostre colpe e
inchiodandole alla croce le azzera, senza la pace del cuore che viene dal
ricevere l'assoluzione sacramentale, senza la gratitudine che nasce dal sapere
che il Signore ci ha dato ancora fiducia; insomma, senza l'esperienza della
misericordia di Dio non c'è, in realtà, nessuna conoscenza del mistero del Dio
Trino e Uno e del mistero di Gesù.
Sapere che solo Dio ci può perdonare e che nel farlo fa festa con noi e per
noi, ci dà al tempo stesso la misura di quale sia la gravità del male che
possiamo compiere. Quanto è alto il prezzo pagato da Gesù per noi? Senza
l'esperienza del per-dono non ci può essere – in profondità - la
coscienza (e la ri-conoscenza) di essere figli e di potersi sempre abbandonare
nelle mani tenere e sicure del Padre.
Ma dobbiamo aggiungere altro ancora. Dobbiamo, in particolare, riconoscere che
la nostra esperienza umana diventa molto formale e ipocrita quando non sentiamo
di dover perdonare niente a nessuno e di non dover essere perdonati da nessuno.
Formale, perché nella migliore ipotesi stiamo scambiando il cristianesimo con
alcune regole di comportamento che non sono diretta espressione della sequela
di Gesù; ipocrita perché forse abbiamo messo da parte quelle relazioni in cui
c'erano problemi, oppure orgogliosamente non siamo disposti ad ammettere le
nostre mancanze, fossero anche solo di omissione.
Cosa deve spingermi all'adorazione? La paura davanti al "tremendum"
di Dio, ai suoi castighi possibili se non imminenti, o non piuttosto il timore
di "provocare" ancora una volta il perdono di Dio, avendo tradito la
sua fiducia?
Il salmista non ha dubbi e sceglie la seconda risposta: "Ma presso di te è
il perdono e avremo il tuo timore (Salmo 130, 4).
U come UNICITA'
Ciascuno di noi è realmente singolare e unico agli occhi di Dio. Non riesco
mai a dimenticare una parola formidabile, folgorante che il profeta Isaia fa
uscire dalla bocca di Dio: "Tu sei prezioso ai miei occhi, perché sei
degno di stima e io ti amo" (Isaia 43, 4). E' quanto Dio dice a ognuno di
noi, testimoniando così che ciascuno è davvero unico ai suoi occhi. Ma ciascuno
di noi è singolare e unico anche agli occhi degli altri, di ogni altro essere
umano. Ora questa unicità non può essere livellata da nessuna esperienza
comune, da nessuna imposizione della cultura, da nessuna ideologia, da nessuna
volontà personale.
Ma perché questa unicità sia tale veramente è necessario riconoscere che su
ognuno di noi c'è un progetto preciso: una vocazione. Una chiamata che ci
coinvolge in totalità, da capo a piedi, che tocca la forma dei nostri affetti
più intimi, come pure la nostra capacità lavorativa e professionale. Una
chiamata che dà senso alla vita e coinvolge il nostro destino presente e futuro
ed eterno!
Sono tanti i giovani che non vedono così la propria vita. Si interrogano con
nell'animo non pochi dubbi: ma sarà vero che Dio ha un progetto di bene su di
me per il bene di tutti? ma Dio come può occuparsi di tutti? come può seguirmi
in tutte le mie evoluzioni, in tutti i miei alti e bassi? il futuro non dipende
fondamentalmente dalle mie libere scelte?
Sono tanti anche i giovani che vedono la vita come vocazione. Ma solo in
termini generali, mentre trovano una grande, un'estrema difficoltà nel
concretizzare questa vocazione. O perché sono combattuti nella forma di vita
che vorrebbero scegliere: il matrimonio? o il sacerdozio? o la vita religiosa?
l'impegno nelle missioni? … O perché, anche avendola scelta questa forma di
vita, non è ancora avvenuto l'incontro che realizza davvero il proprio
desiderio. Ad esempio: se ho capito che la mia strada è il matrimonio e poi non
trovo la persona per me, cosa faccio? che metodo devo usare? se sono troppo
esigente perché voglio una relazione profonda e per tutta la vita, non è che
poi faccio spaventare e magari scappare chi incontro? E ancora: se intuisco che
la mia strada è il sacerdozio, come faccio a essere felice nel celibato? come
faccio a dedicarmi completamente al popolo di Dio senza tenere niente per me?
cosa penseranno di me i miei genitori e i miei amici?
Il vero adoratore è invece colui che – anche facendosi aiutare da una guida
spirituale – non scappa di fronte alla domanda sulla propria vocazione
irripetibile e la cerca con amore, con pazienza, con un serio e fiducioso
discernimento. Sapendo che il segno che una scelta viene da Dio è una pace
profonda del cuore, magari dopo un aspro combattimento interiore. Dio, infatti,
non chiama nessuno all'infelicità. Anche se a nessuno ha mai promesso una vita
senza prove!
Carissimi giovani, abbiate il coraggio di cercare – di continuare a cercare
- la vostra vocazione! Non rimandate questa domanda. Interpretate fino in
fondo le vostre esperienze. Fatevi però aiutare, perché è facile ingannarsi.
S come SESSUALITA'
La sessualità e la corporeità sono, per così dire, "la casa" in cui
abitiamo e camminiamo in questo mondo. Il nostro corpo è sempre definito
sessualmente: o maschio o femmina, come ci ricorda il libro antico e sempre
nuovo della Genesi: "Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo
creò; maschio e femmina li creò" (Genesi 1, 27) All'interno di questa
insuperabile separazione della realtà, sta l'esercizio della genitalità, con
tutto l'alfabeto delle sensazioni ed emozioni che essa porta con sé.
Negarlo sarebbe un errore irreparabile. Fare appello a valori che prescindono
da questa struttura, secondo cui è intimamente forgiato il nostro stesso essere
umano, sarebbe addirittura fuorviante. D'altra parte tutto questo ci fa capire
come la sessualità e la genitalità non sono per la virtualità, non sono per
ricadere su stessi, non sono per vagare nel labirinto dei propri pensieri, ma
sono invece per stare nella realtà fino in fondo: per porla al servizio del
"vero" amore interpersonale, nella comunione reciproca e
nell'apertura al dono della vita.
E' importante allora che ci chiediamo quali scelte stiamo facendo in questo
campo. Come ci prepariamo alla ricerca della nostra vocazione, come stiamo
vivendo quella che abbiamo già scelto. Su questo non possiamo autoingannarci!
Non possiamo affermare valori di principio e prendere poi altre strade. Non
sono in gioco solo questioni come i rapporti prematrimoniali, l'autoerotismo e
la contraccezione, ma il modo stesso di vivere il nostro corpo – sempre
sessualmente identificato – ogni giorno della vita. Con il nostro modo di
vestirci, di alimentarci, di abitare il mondo dei mass media con tutto
l'innervarsi di immagini e modelli di vita che propongono.
Pensare che si possa essere veri adoratori del Dio vivente senza aver fatto i
conti con questa dimensione essenziale della persona è, alla radice, ingannevole
e illusorio!
Concludendo
Ci siamo serviti di questo acrostico per delineare alcune dimensioni
fondamentali della vita come adorazione: adorazione che ci coinvolge totalmente
e non solo episodicamente. Sono dimensioni non opzionali ma irrinunciabili per
chi vuole mettersi alla sequela di Gesù, una sequela sempre a caro prezzo, come
i santi di ogni tempo sanno bene. Pensiamo anche solo semplicemente alla figura
di Edith Stein, che qui a Colonia ha vissuto e che ha lottato non poco per fare
sue queste dinamiche a partire dall'incontro con Cristo crocifisso.
Allora:
A come Abitare
D come Davanti
O come Originalità
R come Rendere Ragione
E come Eucaristia
M come Misericordia
U come Unicità
S come Sessualità
A.D.O.R.E.M.U.S!
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