II.
COME È NATO
Carlo Dossi non ci viene da lontano; la sua nascita coincide con
una grave e dolorosa sconfitta italiana, anzi ne fu sollecitata, come a noi
insegnò a volere, con maggior tenacia e fortuna, l'indipendenza nostra: egli
soferse, insieme alla sua crescita, quella della patria e ne espresse
l'adolesceza ebefrenica. Mentre la miseranda cannonata d'Agogna contro Novara aveva
condotto un giovane principe a Vignale, davanti ad un maresciallo austriaco
imbaldanzito arbitro di guerra e di pace, e tornava a boccheggiare la patria
nel sangue sparso a Milano, a Brescia, a Vicenza, a Venezia ed a Roma; egli
nasceva il 27 di Marzo 1849 a Zenevredo, un borgo sulli Appennini dell'Oltrepò
pavese, in vedetta della battaglia, risparmiato a pena dall'incendio, anzi,
per un prossimo incendio, spaventata la giovane madre, settimino.
Ed egli fu precoce autore: (suol dire e distinguere: «De Amicis,
Fogazzaro, Barrili, Rovetta ed altri non sono autori; cioè nulla aggiungono al
patrimonio letterario italiano, ma semplici scrittori»). E subito il Demone lo
richiese e se lo imprigionò. Egli non se ne pentirà mai: «3 Tredici
anni sono passati da allora, la mia esperienza è, più che matura, già marcia,
e, non solo non sento rimorso alcuno di quel mio adolescente peccato, ma lo
ristampo. - Resti dunque a dormire, nel suo sepolcro di versi, il consiglio del
cisposo Orazio. - Per conto mio son ben contento di essermi alzato ai primi
albori per cominciare questo viaggio, non breve, di una vita letteraria».
Bimbo, ama già il libro; precorre coll'imaginazione le pagine che
va leggendo, le quali gli servono per altri più belli, personali e meravigliosi
motivi. Ricama di tutta sua fattura sulli spunti di un verso, di una frase;
compie a suo modo l'avventura già scritta. Tal quale il mimmo vede, nella Casetta
di Gigio, un mondo scoprirsi a lui nel buio fantastico di sotto le coltri;
al Dossi furono dati voli eccelsi per le nuvole e le stelle e gesta ipogee;
donde la sua ebrietà di imagini, che sorprendono la brava gente astemia e
sobria di entusiasmo: s'egli ha immerso, come il Silfo di Pope, le ali
nell'arcobaleno, come Guymplaine risorge anche dalli inferni.
Il libro-passione, spesso, gli acquetò e gli spense la
passione-amore. Carezza con mano innamorata le pagine, come il suo sguardo si
posa, con ogni delicatezza, sopra il profilo delle bellezze desiderate ed
ottenute. Ma possedere significa produrre; anzi, massimo possesso ed esclusivo,
veder viva, materiata la cosa sua, erotta da sè, aver raggiunto alcun che di
più a quanto già esiste, dirsi autore, poeta. Testè, mentre si correggevano
insieme le ultime bozze dell'ultima edizione, che ce lo porge intiero, nei
pomeriggi freschi e lariani del Dosso, tra le raccolte del suo archivio, che lo
completano, tra le leggende scritte sopra le pareti di marmo e di cemento, che,
come fogli perenni, dicono la sua storia con quella di coloro che ha amato e lo
amarono; - gli tremava la mano che reggeva la pagina, la voce che leggeva le
righe; lo vidi lagrimare silenziosamente sopra la sua creatura. Fresca,
intatta, vergine gli usciva dopo quarant'anni; sonoro, giovanile l'accento
persuasivo e malinconico; l'adolescenza, la maturità tornavano dentro il volume
a parlargli: nulla si era perduto nell'aspettare, nessuna grazia avvizzita, non
una bellezza sciupata; quanto caduco il corpo del padre, ma come vigile e
costante il nato dalla sua intelligenza! Carlo Dossi non accoglieva al ritorno
il Figliuol prodigo, ma Cordelia la più cara, la più devota, la più dolorosa
delle figlie di re Lear: ed il bacio, che lo estasiava, lo faceva sofrire
insieme.
Perchè il Demone gli diede occhi, mani, orecchi, membra e sentimenti
specialissimi onde potesse rievocare il mondo diversamente: e tutti se ne
meravigliarono e gli imputarono, i più, a posa menzognera la sua schiettezza,
se ebbe il coraggio della massima sincerità; mirabile impostura del luogo
comune! Egli se ne era allontanato, con quello disprezzando la gente comune,
costituendo una vera rivoluzione in estetica contro i romantici, i classici, i
cruscanti, i naturalisti, li idealisti; e fu sè stesso. - Ed il Demone gli
dettò dentro le parole semplici naturali, e perciò misteriose; e lo credettero
involuto, astruso, difficile: e il Demone gli porse in mano una penna temprata
come uno stile, acuta, incisiva, incorruttibile, elastica, inossidabile
qualunque fosse l'inchiostro dentro cui s'inzuppasse, acqua, lagrime, sangue,
mota, cielo, coscienza umana, egoismo, folgore di ribellione e paradisiache
bontà umiliate; ed egli ne usò, bambino gazzettiere, per giuoco, adolescente,
per la malinconia dell'inquieto crescere, giovane, per i dolori e le crudeltà
dell'amore, uomo, per le memorie e per l'istoria.
Sì che egli lo confessa ne' suoi Amori: «Amai i libri ancor
prima che li sapessi leggere... parmi di aver davanti una folla di amici… li
palpo sul dorso come generosi destrieri e li bacio anche, e sedendomi, qualche
volta, sullo sporto della libreria, appoggio la mia testa contr'essi e lì
rimango beato come sulle spalle di una donna cara, quasi assorbendo -
feconda pioggia - il lor genio, quasi
sentendo il mio ferro, al contatto della loro magnete, farsi magnete».
Primaticcio in tutto, per consentire alla sua nascita, sembra
indovini le cose che la sua fanciullezza gli impedisce di conoscere; come d'un
serbatoio d'esperienze altrui e di scienza atavica, elabora idee, concetti cui
l'età giovanissima non gli concederebbe. I Quinterio, per parte di madre, gli
avevano legato un fondamento di virtù pratiche e disinteressate; i Pisani
l'avventuroso ritentare, il coraggio delle battaglie aperte, il piacere delle
cose difficili e delle congiure - Don Carlo il nonno, tipico e romantico
stipite de' Federati -: d'ambo i lati amore e culto per la patria. Carlo
Dossi, al fomento di questa genealogia, presumeva ed indovinava giustamente;
appartato dalla vita, la sapeva meglio di chi, in mezzo al suo estuare
frenetico, la eserciti, ma non ne racconti le fasi.
Fanciullo undicenne, nel 1861, gli balena nella vergine fantasia
un Don Chisciotte della Mancia; epigrammi, canzoni d'occasione, versi
sciorina; milanesi quelli: «In occasion d'on invit a festa de ball». La
Caduta di Milano (1862) sfoggia l'ottava rima; per le teste di legno del
suo teatrino da marionette, annoda l'intrigo della Cacciata dei Re,
recitata a viva voce da lui e Guido, fratello minore; nel 1865, pubblica
rappresentazione di una comedia: Ludovico Ariosto, collaboratore, per la prima
volta, Gigi Perelli, vestiarista di genio, Tranquillo Cremona, che disegna i
figurini de' costumi indossati per la recita dai bimbi dell'asilo, cui Claudia
Antona-Traversi, parente de' Pisani, istituì a Sannazzaro de' Burgondi.
Poco dopo, si dà al giornalismo e spaccia l'infantile La
Trombetta, due o tre numeri, cinquanta centesimi la copia manoscritta in
redazione con Guido: - trasformata in Giornale delle Famiglie, numero
unico, a contenere nientemeno che La Convenzione (di settembre), Lumi sull'antica
scrittura egizia, seguiti da una gramatica, Progetto d'imposta lucrosissima
allo Stato, ed il resto. Ma L'Aurora sorge ed assorbe il Giornale;
ebdomadaria, poligrafata, tenera, porporina si completa nell'azzurro di un
altro mattino raggiante, dopo quattro numeri dì vita (1864-65). La Palestra
letteraria.
Intanto, scolaro ginnasiale, Carlo Dossi aveva perduto appetito,
salute, sonno dietro una nuova e geniale interpretazione de1 geroglifici
figurativi d'Egitto, e ne aveva, come vedemmo, proposta la grammatica, forse
più logica delle altre molte, che, oggi, i dotti, nei loro dizionarii empirici,
mandano a torno per riempire le teste e li scaffali delle librerie. Poi,
sedendo sulle panche liceali, appunta la critica contro la così detta pubblica
istruzione; la dimostra seminario e semenzajo di coscienze già bacate, sopra le
quali si deposita la patina del clericalume. il primo racconto che si legge in:
«Giannetto pregò un dì la mamma che il lasciasse andare a scuola...» -
ed il titolo stesso è già per sè una acuta ironia, per quanto evidentemente
ispirato dai capitoli del Lorenzo Benoni di Giovanni Ruffini - descrive costumi
sacerdotali ed educativi, ha il medesimo significato morale; termina colla
morte dell'innocente, col trionfo delle canaglie, precisamente, come nella
vita. A riscontro, Luigi Perelli gli poneva Istruzione secolare», perchè
ìa pedanteria laica, vale il gesuitismo bigotto; e l'equilibrio
si ristabilisce così, ottimamente, in Italia. - L'anno dopo, da solo, Carlo
Dossi ritenta la pubblicità, nel breve cerchio dell'ambito famigliare: «Per
me si va tra la perduta gente». Spunto iniziale de' Ritratti umani;
grotteschi, schizzati a volo, della Gente-per-Bene, caricature di
scombiccheratori illustri, patentati, academici di tele e di carta; punge
l'amaro assenzio tra le verbene e le violette profumate del sentimentalismo,
tra le rosate vainiglie, elettuari delle speranze. Beppe Marini, il
protagonista, sofre e si riconsola; contempla fantasime di fede e di speranza,
ritto al capezzale della sposa seminuda, angelicamente, sognando, mentre la
luna la inalba.
Di quel tempo, sorse la Società del Pensiero; il Dossi ne
divenne l'anima, il segretario perpetuo; mentre Luigi Perelli, organizzatore
nato, la attuava funzionalmente. Fondata un 14 Marzo del 1865. visse due anni;
ragunata intima e precoce, «che doveva, poi, in breve, trasformarsi nella Palestra
Letteraria. La sola idea di questa gara geniale ch'ei promoveva, altruista
anche in questo, tra i nuovi ingegni italiani, lo poneva in rapporto con quanto
vi era di grande in Italia»4 Sette furono i soci giovanetti della
Academia novissima: e vi andavano a leggere, senza catedra e senza inamidata e
cinica grettezza, o: Una discussione tra il sole e la Luna udita da quei
famosi astronomi Perelli e Pisani, o: Un viaggio alla ricerca delle
origini di un filo di ferro, o: Le osservazioni sopra due vasi antichi,
o: La pena di morte, o: Delle origini delli stuzzicadenti, o: Le
osservazioni contro il cristian uso della inumazione dei cadaveri. - Sfoggi
di ironia, di erudizione, di bizzarrie aforismatiche, di compromissioni, tra la
serietà e la scienza, dileggio, funambolica imaginazione; contenevano, in
germe, l'arte e l'atteggiamento della prosa completa di Carlo Dossi. Questi ne
sottoscriveva un Album scientifico letterario, espressione stampata ed
ufficiale della Società, il quale ebbe due numeri soli, il primo del 27
Marzo 1866, l'altro del 30 Aprile, essendosene sospese le pubblicazioni «stante
le attuali eventualità di guerra» - Bella prova di letteratura, che correva a
trasformarsi in azione armata, che abbandonava la penna per la carabina! Sì che
le ragioni della patria, dopo i campi cruenti, venivano a manifestarsi in altre
pacifiche battaglie, non diversamente proficue e nobili per la integrazione d'Italia;
e da quelle unite riplasmavasi il nostro moderno carattere nazionale, auspice La
Palestra letteraria.
Si diffuse, e durò tre anni, da una specie di sottoscala ampio e
basso di Via Monte Napoleone 26, - Casa Padulla -, immesso tra la
portineria e l'appartamento de' Pisani, in ragione verticale, dove pochi
gradini più in su, si aprivano a due battenti le porte di quella
abitazione5 «a quanti buoni e geniali vi faceva convenire fortuna, da
Tranquillo Cremona, ancor tutto elegante come la sua prima maniera, a quel
mingherlino e pallido Prinnetto, milanese ancor di Ferrara, che, sotto
la materna carezza di donna Ida, la mamma del Dossi, scioglieva spesso in
lagrime dolci la naturale mestizia».
Quello stanzino ingombro riboccava di carte, di mobili, di idee:
vi giungeva Gigi Perelli pieno della conversazione con Rovani, da cui aveva
immagazzinato ingegno per una settimana6, «epigrammatici lampi, frasi
degne, or di scatolino e di bambagia, ora di bronzo, un subbisso di imagini e
tutte nuove fiammanti, comiche antitesi e osservazioni soavissime si
rincorrevano senza riposo sulle sue labbra». Ma, a riordinar l'estetico
guazzabuglio, concorreva Primo Levi; le sue mani venivano a visitare la
confusione, col sole, che ciarlava col suo raggio più alto in mezzo al
solfeggio della conversazione giovanile; perchè, qui, conveniva a sfoggiare la
propria ed alacre primavera quella gazzetteria garrula, spregiudicata, intensa,
cordiale, coraggiosa, tumida di molte virtù, che ai tempi grigi della borghesia
arrivata, appajono, se non delitti, riprovevoli esuberanze.
Si lesse il primo numero della Palestra nel dicembre 1867;
bandiva un programma di continua fragranza: «Offrire alla gioventù, che ama
muovere i primi passi nella letteratura, un campo vergine, esclusivo ad essa,
dove provare le proprie forze:» proclamava: «tutta la gioventù italiana è
chiamata a far parte della società.» Si era istituita una commissione
esaminatrice dei lavori da pubblicarsi; i più bei nomi vi facevan parte; oggi,
li vantiamo glorie nelle scienze e nelle arti. Un Luigi Cremona; un Paolo
Ferrari, indicato dai recenti trionfi di sulla ribalta comica; un Leopoldo
Marengo, che faceva lagrimare i belli occhioni lombardi sopra la patetica di Celeste;
un Vincenzo Masserotti fisico e medico di tono italianissimo, allievo di Scarpa
e di Borda; un Giuseppe Pellegrini, filosofo del diritto di alta dottrina
vichiana, istitutore privato, più tosto che piegarsi alle imposizioni dell'I.
R. governo austriaco; Giuseppe Rovani; Giovanni Schiapparelli, illustratore del
cielo e della terra; Bersezio, Dall'Ongaro repubblicano poeta di stornelli per
l'indipendenza; Guerrazzi; Mauri, che allevava l'infanzia con tenerezza di
nonna e perdonava ai capricci dei giovanetti con bonomia manzoniana;
Settembrini, che spumeggiava anticlericalismo e repubblica insieme e demoliva i
Promessi Sposi; Tommaseo; Correnti; Cibrario, storico d'alto garbo
guicciardinesco, più amico della verità che di Cavour, di Garibaldi e di re
Vittorio; Mamiani filologo e diplomatico; Mantegazza; Gabriel Rossa; Carducci
di fresco assunto ad una catedra bolognese, dopo di avere, per il primo,
cantato il tricolore in Piazza della Signoria nel '59, e, per il primo,
bestemiato d'Italia dopo Mentana, coincisa in sull'anno rattazzino; Arnaldo
Fusinato, Fra Fusina, delle satire e delle lepidezze politiche e
patriottiche - Per tre volumi completi la pubblicazione si avvicendò; ora
introvabili, eccitano la cupidigia del bibliofilo; se li leggete rappresentano,
in breve, aureo anello, le più belle ragioni, le più ricche e rosee illusioni,
lo sforzo nativo e sincero verso il divenire di una generazione, verso
l'assettarsi di una patria. La Palestra Letteraria, come La Diceria,
come La Giunta alla Derrata, proposta da Giosuè Carducci per rintuzzare
le burle, le invettive, le caricature, che dai cruscanti academici e dai
frigidi fanulloni delle lèttere andava buscandosi lo spirito innovatore, si
riportava contro il catedrante, li uomini del falso buon gusto, i
fossilizzatori della vita e dell'arte, perchè le temono e si affidano solamente
alla storia togata, perchè le ha mummificate. Il catedrante, l'uomo che ha la
bigoncia al posto del cuore e del cervello, che stranisce all'incontro di un
punto e virgola, cui non avrebbe messo lì, che professa, a tavola, al caffè, in
letto colla stessa moglie, il suo piccolo omuncolo tozzo, pigro, disgraziato,
feroce Torquemada delle Università, Calvino dei Consigli municipali, Tsar nel
Consiglio superiore della così detta Pubblica Istruzione; rudere dovunque senza
genitali, e perciò crudele, com'ogni essere mal riuscito, salito a dominare,
sopra una pattuglia, quattro panche di scuola, un bidello, un diploma
cartapecorino.
Carlo Dossi, giovinetto di sedici anni, si battesimava dentro
quest'acqua fervida e ghiacciata, lustrate, di continuativa e preservativa
efficacia: sulla Palestra deponeva la sua prima e pubblica offerta. Uno
dopo l'altro, apparivano i bozzetti brevi di mole, ma già preziosi: Valichi
di Montagne, Viaggio di Nozze, Tesoretta, Istinto, Balocchi, La Casetta di Gigio.
Allora «la7 curiosità del pubblico, stomacata dalle ultime
risciacquature neo-cattoliche, e dalla meschina fioritura di romanzacci
patriottici e meneghini, onde fu straricca la produzione letteraria del periodo
immediatamente seguito al ciclo eroico del 1848-60;» gli si era rivolta
benigna, «Ed in8 mezzo ad una moltitudine dalle faccie uniformi, dalla
apparenza antiquata, dalle vesti disusate; fra tutte queste voci, che cantano
all'unisono un coro di metro e di ritmo pallidamente cinquantenne, ecco
apparire, miracolo nuovo, il Dossi; ecco, sorgere la voce di questo giovanetto,
che osa torsi dalla nojosa e pedestre eufonia delle voci comuni, per inalzarsi
a regioni sconosciute, ricca di tutti i tesori che la giovanezza, l'amore santo
del bello, una intelligenza eletta, una delicatezza femminea quasi, tanto è
fine ed aerea, possono fornire.» - Esso è qui, dai primi passi, fatto e
completo; presenta una sua formola semplice, non si dimostra in divenire, ma
nella attualità; li anni nulla hanno aggiunto o tolto al suo modo di vedere,
mentalmente, e di rispondere alle sensazioni letterariamente; i suoi pregi ed i
suoi difetti sono li stessi e nei primissimi Valichi di Montagne e nelli
ultimi Amori. «Probabilmente9 il Dossi» intuiva con rapida critica il
Capuana, «non cercherà più di emendarsi e di correggersi; temerà di perdere
qualcosa della sua fiera individualità e ostinerassi a rimanere qual'è. Ha
torto? Chi lo sa? Potrebbe darsi che no.» - Certo no, sono le sue virtù;
rimangono e rimarranno la sua forza.
Giuseppe Rovani s'era tolto in mano il manoscritto di Valichi
di Montagne, di L'Altrieri; colloquio breve intenso, saporito, con
quest'anima adolescente, che gli veniva davanti per la prima volta, spoglia,
perchè vestita di quella sua giusta letteratura; ed egli la sentì sotto i suoi
occhi e sotto le sue mani nuda, fragrante, fremente, Luigi Perelli scriveva
all'amico:
«Ti scrivo su di una busta, che mi trovo per caso in tasca, queste
parole di Rovani: «ho lett pocc pagin de quell'affari; ghe assicuri che
l'è de publicass;... ghe intuizion molto pronunciaa d'artista e della bonna
voeuja de fa della lingua. Sta nott leggi el rest; e se domenica el ven a
trovamm, ghe dirò quel che incoeu pos no dì».
Tornò Luigi Perelli, di sera tarda, all'illustre e definiva:
«Rovani si svegliò ieri notte alle 11. Mi guardò, mi sorrise, mi
stese la mano; strinse la mia, poi mi disse: «Che le publica quel lavor; quel
giovin che l'ha scritt l'è artista, el pittura ben;... l'è propri un bel sagg
de gener descritiv; in somma (ridendo ed atteggiandosi) - Ne consiglio la
pubblicazione - Ecco el me giudizi! Il lavoro parlerà da sè quando sarà
stampato. - Dixi» Addio di cuore tutto tuo; Perelli, 23 aprile 1868».
Provvisto di questo sicuro viatico, amministratogli da Giuseppe
Rovani, che avrebbe rassicurato qualunque novello autore per le climateriche
avventure della letteratura, dopo Valichi di Montagne, valicava il
Rubicone della pubblicità, infossato ed insidioso, tra li scogli della
disconoscenza, dell'ambizione delusa, del livore, dell'odio mascherato da
consigliere e da emascolatore, L'Altrieri, un volumetto di
centotrentanove pagine, stampato dal tipografo Lombardi di Milano in cento
esemplari; opera rarissima oggi a ritrovarsi. Il Demone l'aveva preso definitivamente
in signoria, e Carlo Dossi vi si era impersonato; per più di vent'anni visse
esclusivamente in lui; poi, voltosi per altro campo, le sue distintive qualità
non lo abbandonarono e parve tacere; più secreta e più preziosa, l'onda
continuava a zampillare, dai mille giuochi ipogei della vena turgida.
Per cui, se alcuno s'arresta alla superficie, ignora o fa caso
semplicemente del banale empirismo, e viene a giudicarlo dal suo fatto pubblico
di letteratura, e lo accorge arrestarsi a metà della sua vita, può
ripetere, errando come Benedetto Croce in sulla Critica (Fascicolo VI
del 1905) lo parole che il Guerrazzi dedicò a Tomaso Grossi: «aveva ricevuto da
natura una bottiglina di olio finissimo; e presto l'ebbe tutto versato.» Ma a
chi fu dato da Carlo Dossi l'onore e la massima confidenza di saperlo intiero e
schietto come un cristallo; a me, cui si espose in ogni positura d'animo,
confidò ogni segreto, ogni piega più oscura, distese davanti tutte le pagine
dalle composte alle interrotte e sospese; a me, è pur anche concesso di dire,
con una sua frase che ribatte all'altra del critico hegeliano di Napoli; «Nella
mia vita di scrittore, tutti non hanno potuto non rilevare delle interruzioni;
queste non sono che apparenti. L'energia intellettuale, in me, non fu mai
sospesa, ma si trasformò solamente nei vari campi pei quali passò, sotto
l'invito delle circostanze, e dove sempre ha lasciato una traccia letteraria.»
Egli ha veduto con pupilla di artista anche la menzognera diplomazia cui fece
schiettezza e generosità, come la polverosa e barocca archeologia, cui infuse
di vita ed espose, a simiglianza di una poetica, giovane ed in azione, nel
paese classico delli antiquati fegatosi e tabacconi, avari, ma rimpolpettati di
superbia e d'ignoranza. Però che Minerva li nutre, li protegge, li
addotta; in fine, li crea Ministri della nostra miseranda pubblica istruzione,
in cui tenzonano la tirchieria e l'analfabetismo con bel seguito di pellagra e
di delinquenza esemplare, veramente italiana.
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