V.
L'HUMORISMO LO VENDICA
Allora, riuscito dolorosamente dalla tempesta, per fortuna sua,
ferito ma non sconciato, mentre altri coetanei, troppo ammalati del morbo del
secolo, si erano lasciati sommergere dai flutti, o vi si erano abbandonati, mal
vivi, alla deriva; Carlo Dossi riguarda a torno; ripensa e commemora il suo
menegmo Alberto Pisani scomparso; numera ed appostilla quanto si trova vicino,
volti d'uomini, aspetti d'animali, presenze di cose, avvicendarsi di gesti e di
fenomeni, la cronaca morale del paesaggio cotidiano, la pratica utilitaria
condecorata dal titolo di virtù cui la società ne richiede per il comodo della
ipocrisia, pel vantaggio dei privilegi, per la facilità di sopportarci a
vicenda, in bilancia, sull'odio e la paura reciproca, con urbanità, verso il
nostro prossimo.
Sì, egli è salvo; ma tutte le sue illusioni erano naufragate, asfissiandosi
nell'acque salse e putride, miste di lagrime, di sangue, nel pantano termale e
solfureo della comunione umana, chiamata società. Alla prima tappa,
lasciata a pena la mano preveggente e consolatrice della madre e la protezione
della malinconia, che lo fa schivo e selvaggio, s'imbatte nell'Amore, e
in un altro amore che non fu mai quello per cui Alberto si era
sacrificato. Egli lo aveva già chiesto come una necessità di estetica: «Non vi
ha poeta senza amore»; e, se non aveva composto versi, aveva pianto delle
elegie in prosa. L'amore dozzinale l'avevano cantato tutti, dai petrarchisti ai
manzoniani; e tutti avevano dimenticato di dipingerlo doppio, Eros ed Anteros,
a mo' de' Greci, ed a loro non erano giunte, per la strada lunghissima del tempo,
le parole sane e naturali di Dafni e Cloe, perchè intiero potessero rievocarlo.
Angiolo di crudeltà, le ali rosse, e non bendato ma reggente, crudele,
esasperato, le freccie incoccate alla corda dell'arco, divinità aggressiva e
deliberata, di lui, Carlo Dossi, rinnova il vero ritratto, senza pudori. Chi
per eccesso di idealismo, si applicò a descrivere non l'Amore ma questo
attuale amore, come un padre riformatore di costumi per la sincerità, può
come Rops formar col disegno le lussurie, non il piacere, per flagellare il
Bastardo nato dal Satiro e dalla Ipocrisia, nuda pandemia, le natiche ricoperte
a scherno da una maschera di velluto nero.
Ed eccone i fiori di bragia e di cenere; i fiori che sono in
mostra sopra di un cestello di vimini intrecciati e politi e coprono un
groviglio verminoso ed avvelenato di ceraste e di aspidi africani: ecco, le
bende intessute di seta e d'oro, che fasciano lo piaghe purulente; i veli
candidi, che vestono una sposa non più intatta. Le venerabili, sacrosante e
formidabili apparenze non lo arrestano col loro parere, che sembra, a tutti una
realtà; egli immette le mani deliberate nella millantata lussuosità
dell'apparato di grazia, di ricchezza, di verginità. Il dolore gli ha fatto
svellere le zone proteggenti e menzognere, considerare l'abito e l'apparecchio
come la più grande menzogna; anzi, le foglie provvidenziali di fico, posticcie
sopra le cosí dette vergogne delle statue, reputò ingombrante ruffianesimo,
perchè alla santità della natura si innestano come un riparo, che meglio
richiama a supporre la perversità della cerebrazione, donde il Vizio.
La delicatezza squisitissima, feminea, quasi permalosa della
estetica di Carlo Dossi non era disposta a resistere in armonia colla
grossolana bestialità di quelle soddisfazioni; non ne sopporta l'atmosfera
lutolenta e soffocante; come Baudelaire, al quale per un lato assomiglia,
l'autore di Desinenza in A ha bisogno di convalidarsi nella amara ironia
della necessità. L'altro aveva pur composto Les Fleurs du Mal, che la
sciocchezza comune del secondo impero pretese pornografia, mentre lasciò
sfoggiare, per Compiègne, le caccie imperiali alle nude dame di Francia,
alla Montijo facili adulterii ed il figurino delle mode accreditate presso una
Cora Pearl e Nana. Identica fortuna: il ribrezzo ed il disgusto, in Italia ed
in Francia, presero il nome di turpitudine letteraria; così, per Carducci,
perchè tornò a chiamare «barba la barba e non l'onor del mento»; così
per chi disse: «J'appelle chat un chat!»; così, nella pudibonda e
presbiterana Inghilterra, contro Swinburne, che veniva dannato come l'introduttore,
nella moralissima isola di Regina Vittoria, della scuola spumante della
carnalità.
Carlo Dossi, innamorato delle pure e naturali grazie d'amore,
trovò la femina; - innamorato della gloria, cui sente aver diritto, s'imbatte
nella indifferenza, quando non sia l'astio; - innamorato della vita sana e
gagliarda, ha con sè la malattia, coi tormenti della carne, coi dubi angosciosi
della mente, colla rivolta dello spirito superiore e vittorioso della fralezza
del corpo: - innamorato della bellezza d'arte incontra i truffatori delle arti
ben rimunerati e vantati dalla terza Italia ufficiale, mentre li artisti
geniali stentano il frusto di pane giornaliero e sono derisi; - innamorato di
tutto l'ideale bellissimo e dominatore, lo vede, così, in mente; lo sente
schiavo, nel mondo. - È egli veramente ammalato e debole? «egli, la
cui60 vita intellettuale è uno sforzo, e la materiate uno stento!» Non
può? Che gli dice lo specchio, l'arte sua? Riproponiti in una serie di imagini;
popola il mondo di te stesso; giudica da queste tue imagini: Hegel gli aveva
passato la definizione: «L'humorismo è attitudine speciale dell'intelletto e
del carattere, per cui l'artista pone sè stesso al posto delle cose».
Sostituire il fatto reale, col fatto vero, sino a quando? ridere
riconfortarsi nella propria onestà; dileggiare altrui, manifestarsi lieto, non
concedere al mondo la trista gioja d'esporgli le proprie sofferenze, che
appunto il mondo gl'impone? Certo, quel modo di vivere, secondo le leggi
artefatte sulla natura, secondo l'abnorme golosità dei sensi e dei sessi, che
trovan pretesto di farsi chiamare piaceri onesti e civili, secondo le prove
quotidiane dell'egoismo, che passano per utili e progressivi aumenti sociali,
non lo compiace, se ne scansa, lo rifiuta, si mette in grado di non subirne i
contatti; e, - quando lo attenta, - lo rimuta, lo foggia come vuole. Desidera
che, intorno a lui, lo scenario sia completo, lo incornici bene; doni al suo
volto ed al porgere della sua persona: non altrimenti l'anima estremo-orientale
dei Nipponici, prima che la civiltà europea l'avesse violentata colle necessità
commerciali, politiche ed imperialiste dello «struggle for life», si
comportava nell'arte di fabricarsi i proprî oggetti ed i proprî paesaggi,
intonandoli al loro stato morale.
Questo è difendersi; questo è opporre violenza a violenza, volontà
testarda a volontà incosciente; quali armi, il ridicolo, la satira, la falsa
commiserazione, l'elogio a doppio taglio, come una bipenne, l'incenso
affatturato da suffumigi d'ospedale, il ghigno, che sembra sorriso, la risata
del disprezzo irrefrenato e convulsa, come una bestemia!
L'arte personalissima di Carlo Dossi ha assunto per carattere
specifico, l'humour: l'istrumentista, che intonò, in sordina,
l'orchestra delli archi e dei legni, che amò i passaggi bemolizzati, pastosi e
caldi di velluto e di ciniglia, la patetica lenta e sognatrice, rialza la gamma
alli acuti, assume il crescendo rossiniano, il fragore wagneriano. Dalla
psicologia garbata, a tenerezze degradanti e tenue a sfumature iridate, a
compatimenti misericordiosi, di Goccie d'inchiostro - che sono meno nere
di quanto non appajano a prima vista - alii schizzi, tra la caricatura ed il
grottesco, - così li usò il Callot, il Goya, il Sattler, dai quali la vita si
sforma in una gajezza macabra - dai segni impressionisti di matita - Odilon
Redon li prescelse per le pagine martoriate delle sue acqueforti - dal bozzetto
chiazzato di ombre e luci, tra il giallo ed il violaceo - così procede il
Conconi; - erano riuscite le figure di Madama Ciriminaghi e della sua amica, le
macchiette avvisatrici della signora Isar e del suo degno figliuolo, il
professore Proverbi, quella povera vittima del maestro Ghioldi, i musini bianchi
e rosei, come mele appiole de' condiscepoli di L'Altrieri. Ma altra
torna ad essere qui l'appostazione; qui, doveva rovesciarsi, tumido e violento,
nell'esercizio incondizionato delle sue facoltà intellettuali, il suo modo;
fortuna a pochissimi accordata. L'iniziale romanticismo si travolge, in una
specie di rammarico, di rancore, contro la vita che deve sofrire e questa
accusa di non essere stata per lui perfettissima; se ne ribella: scatta l'humour.
- Poco dopo, può dire di sè stesso: «Vi è un Dossi buono ed un Dossi cattivo;
donde due opere: il romanzo della bontà il romanzo della malvagità». Poteva
dire invece: «Vi è un Dossi che vede le cose buone ed un Dossi che avverte e
addolora per quelle cattive. Verso le prime, accorre, si compiace, concorda,
continua l'armonia; colle seconde si irrita, discorda, interrompe i rapporti.
Con quelle, la placida comunione si distende in bellezza, sorride, determina il
piacere; per queste spasima, combatte, deforma e l'humorismo ghigna stridulo e
beffardo, altro sforzo e migliore, per i caratteri idealisti, con cui tentano
dì ristabilire l'equilibrio. - Corre, in fatti, ai ripari, si prova a colmare
le soluzioni di continuità apertesi nell'ordine e nel ritmo. Le lagrime ne
approfondirebbero le ferite sanguinose; il sorriso accoglie una benda leggiera
e profumata di balsami sopra le labra aperte e gementi di quella carne
intagliata, che piange. Ed, intanto, l'operatore vedesi in uno specchio colle
sue smorfie comicamente dolorose; sogghigna e singhiozza, perchè l'interruzione
del riposo, della compostezza della fresca attitudine serena è
caratteristicamente brutta, esteticamente suggestiva. Egli, che tenta guarire
ed evadere dalla malattia non può: l'humorismo, in eccesso, dà dei risultati
identici all'eccesso di amare: odia. - Carlo Dossi, che odia il deforme, lo
pratica per ragion d'arte e per suggerirvi l'opposto: donde i suoi Saggi di
critica nuova, - I Mattoidi al primo concorso pel monumento in Roma a Re
Vittorio Emanuele.
L'accomanda al patrocinio dell'amico illustre Cesare Lombroso; gli
domanda perchè, «nessuno dei critici61 nostri si occupò del contingente
enorme, che il cretinismo e la pazzia hanno dato al primo concorso pel
monumento al defunto Sovrano». Se ne imbizzarrisce. «Per quanto non appresi62
mai scienze mediche, nemmeno insegnai in alcuna Università, nè, a disposizione
de' miei sperimenti psichici, tengo alcun manicomio, salvo quello de' libri; -
nel silenzio de' dotti è permesso, presumo, ad un ignorante di avventurar la
sua voce, il suo «aqua alle corde». Questo strazio della plastica, del
disegno, della architettura, questa ingiuria al buon senso, questi «poveri
bozzetti63 fuggiti od avviati al manicomio, dinanzi ai quali, chi
prende la vita sul tragico, passa facendo atti di sdegno a chi la prende, come
si deve, a giuoco»; questo oltraggio alle buone lettere, che accompagna la
prova della demenza artistica colla grafomania delle leggende che la vogliono
spiegare, non rappresentano il fior fiore dell'ingegno europeo, balzato fuori
alla grida di un concorso per onorare colui che chiamano il Padre della Patria?
Italia dà questa ricolta d'arte; essa, la madre autentica e pura delle Arti e
delle Grazie? Questa è la espressione più genuina e maggiore della sua potenza
creatrice, nel terzo suo risorgimento; con questi aborti, con queste
pseudologie, con questi deliri in gesso, con questi incubi segnati a
carboncino, a matita, all'acquarello, con tutti i mezzi grafici a disposizione
delle due mani, o zampe, dell'uomo? Quale indice di coltura e di buon gusto!
«Senonchè, l'imperizia della mano, quando è accoppiata alle incongruenze della
mente, o ad altri disordini cerebrali, concorre ad accentuare le
caratteristiche della pazzia». Carlo Dossi le raccoglie, le enumera, le
distende in rassegna, ne riproduce le parole, i disegni, li atteggiamenti, le
ripropone chiare alla scienza: «Voi, insigne Lombroso64, qual tema più
eternamente attuale della follia?» Prorompe in uno scoppio di risa echeggianti:
erasmiane.
Nè si accheta; la sua indagine continua serrata; avviluppa in una
rete di riprove capziose, tira il cappio al nodo scorsojo della domanda
suggestiva. Ne risulta Ona famiglia de Cilapponi; dove, la catastrofe di
una stirpe di nobili lombardi è ridicola, tra l'ignoranza e la cattiveria; e vi
regnano: la Marchesa Matriggiani-Andegari, di ottant'anni, cialla,
superba e tegnonna, marchesa Travasa in diminuzione, collo sfarzo fesso e
slabrato della decadenza; suoi figliuoli, el Cavalier Telesfor, maggior
general, ciall resios e doppi - Don Eleuteri, deputaa, cial, baloss e che voeur
parì foin - el Marches Calocer, ciall, bon e sempi; - e la nidiata implume
e piumata dei nipoti vanitosi, bugiardi, sciocchini, falsi e poltroni.
Si svolgono I Bigottoni; dove la satira non è per la
religione, ma se la dividono coloro, che, suoi ministri e pinzocchere e
praticanti e nonzoletti ortodossi esemplari, vanno giornalmente denigrando,
colle loro azioni, ogni e qualunque fede, avvilendone i nomi sacri sulle labra,
nomi di scongiuro formidabile, coi quali il sentimento e la passionalità
s'ajutano a vivere alla meno peggio. Perchè, se il Dossi ammira ed invidia,
alcune volte, il sincero fervore ascetico e mistico di razza - vi prego di non
confondere misticismo, che è una sintesi razionalista, con ascetismo,
che è una iperestesia di sensualità religiosa; - e può entusiasmare per i
fervori e la poesia del delirio di Santa Teresa e dì Santa Caterina; odia e
dirige l'accusa contro i bigotti - Tartufe, le laïque d'Eglise - che
ripullulano assolutisti nelle loro convinzioni più del prete, che cedono e si
ripiegano sopra tutti i punti, nella vita, nelle opere, nei bisogni fuorchè sul
dogma di cui si sostituiscono gianizzeri e pretoriani. Egli scoperse che Tartufe
non è l'ipocrita, ma è lui, categoria: scorse, sotto la sua maschera,
preannunciando, un Longinotti legislatore, un Meda rappresentante di seminarii,
un Cameroni deputato di varazzini salesiani: questi, i Tartufe sinceri;
questi, i bigotti reali e maggiori nella comedia sociale; i Tartufe
delle banche agricole, delle deputazioni provinciali bergamasche, dei
cinematografi istruttivi e comodamente oscuri al palpeggiare; i politici amanti
del Giolitti. Anche il Tartufe gentiluomo e gentildonna; Tartufe
di cui l'innata fierezza, o l'atavica spilorceria, si trattengono compunte in
sulla buja prescienza di un peccato, in sul timore del castigo; si che
cattolici e nobili, o grassi borghesi nobilitati, il che fa lo stesso, stanno
in una umiltà che non impedisce l'esercizio de' loro privilegi, per quanto
recitino l'Officio pro defunctis e l'altro alla Vergine,
rimanendo calmi, tirchi, in albagia, ultimi venuti raillés ai Savoja nel
trapasso della monarchia verso il socialismo, - ultima tirannia - per poter
ricondurre a Roma li Scioani del Brembo ad instaurarvi, compiacente Enrico
Ferri, il Papa-Re, s'egli darà un bajocco di più all'ora alli operai evoluti ed
organizzati da' parroci democristi e dalle Camere del Lavoro, dimentiche
d'ogni patriottica italianità.
Quindi, troveremo ne' suoi inediti Il libro delle bizzarrie.
dove sarà condensato il triplo estratto e la quinta essenza dell'arguzia e del
pensiero dossiano, riposta nel barattolo color di cielo sudicio,
dall'epigrafe «Filosofia». Preziosissima conserva di esperienza, su cui il
paradosso regna sovrano: il male ed il bene vi si innestano a vicenda; si
fecondano, aprono la cataratta al vaso di Pandora; partoriscono le cose, li
uomini e li avvenimenti; si determinano, dalle categorie, i gradini e nulla
appare dannoso «nè dannosa la malattia65 nè la Farmacia e nemmeno la
malattia, che fa pregiata la sanità». Leggendo, voi sapete, che, come
Erasmo lodò La Follia, egli inneggerà al Colera; che, come von
Grabbe, goticamente, rimise in discussione il Demonio con Dio, egli li riporrà
di fronte; che, come Hoxmann fu il demiurgo di pupattole mecaniche ed
originalissime, e Gustavo Kahn rivide il Puppen-Fée, a delizia dei bambini
grandi; egli, memore di Condorcet, per il ridicolo delli uomini politici,
scriverà una petizione al Parlamento Nazionale, di un mecanico, colla quale
propone a re costituzionale un suo fantoccio contrafatto, a viti d'orologio ed
a vita d'automa, che, ricaricato nelle solenne adunanze, faccia, con maggior
compitezza, l'ufficio di quest'altro di carne e vivente.
La piacevolezza stampata lo fece richiamare da un procurator
generale, che videsi comparir davanti un alto funzionario decoratissimo della
Consulta; donde la meraviglia. Che, se Alberto Pisani ha dovuto servire alla
Nazione, passando sotto i lavorini monarchici della uniforme diplomatica, ha
pur sempre permesso a Carlo Dossi il piacere della ribellione, quando risponde
alla costituzionalità in questo modo:66 «Il re costituzionale può
essere paragonato ad una meretrice, che è, per così dire, proprietà di chi lo
paga, ossia del ministro al potere. - Cambia il ministro, ed egli cambia di
gusti, di idee, di desideri, fossero pure contrari al programma precedente.
Liberale-clericale-socialista, volta a volta, anarchico, se occorra, il re
costituzionale è sempre passivo, vigliacco sempre» Ma se questi sceglie,
dimostra la sua mentalità: ed allora: «Ogni67 sovrano scelse sempre
presso di sè consiglieri condegni del suo cuore e del suo ingegno. Trajano ebbe
Plinio e Nerone Sejano: Napoleone I, una plejade di illustri: Vittorio Emanuele
II, Cavour: Vittorio Emanuele III, Giolitti ed altri ejusdem farinae;»
sì che data la terribile necessità di uno Stato, di un Governo, dentro cui la
libertà di ciascuno è dimezzata, egli sceglie il meglio amministrato. «Io
griderò68 sempre con Napoleone: viva l'Impero! col Senato di
Roma: viva la Repubblica!».
Sfoggia, così, una mirabile galleria di contemporanei, verso cui
intende la nostra malignità divertita, la malignità sana dell'uomo moralmente
costituito, perchè rispetta i termini. Vi ammireremo: La Desinenza in A,
che illustra il feminismo eterno, Ritratti umani, che riproducono volti
di malati, di medici, di seccatori, d'impertinenti e di canaglie... oneste. «Il
colore imperante di questi ritratti è la privazione d'ogni colore, cioè il nero
- un gran malumore, contro gli individui di quella razza, alla quale, pur io ho
il disonore di appartenere. Del che mi si fa grave carico. I signori uomini e,
specialmente, le signore donne, si sarebbero oggi, a quanto contano i turiferari
del loro amor proprio, così insaponati, da non serbare più traccia del
preistorico cannibalismo e vivrebbero in una idilliaca comunanza pecorelle di
candido zucchero, con roseo nastro, sui prati di felpa verde... Sarà benissimo,
nel contesto; ma, intanto, la storia, anche contemporanea dell'umanità, è tutto
un cibreo di delitti impastato col sangue e tale rimane, benchè l'assassinio
sia chiamato eufonicamente valor militare, conquista il furto, colpo di stato
il tradimento, esperienza parlamentare la truffa politica69». - Uditelo
a ghignare: gorgogli e scoppi repressi di risa ben modulate sopra le dieresi
ottative della sobbillazione estetica: «Oh, queste, no, non sono delle canaglie
autenticate dal codice penale - il quale, del resto, ha rotto molte maglie alla
sua rete, donde riescono i più malvagi-ben-vestiti -: oh, questi sono solamente
que' malvagi-ben-vestiti, di cui sopra, nella libera circolazione della
società, nel libero flusso e riflusso delle passioni». Tutti i giorni ne ha
incontrato una dozzina; mentre discorrevano, ne schizzò il profilo intenzionale
e saporito, caricatura ingrossata a punta secca di Holbein, acquarello
disinvolto e libero di Hogarth.
Inoltre, la sua erudizione, che aveva riburattato il grano, il
loglio e la segale cornuta del torbido e pregno secentismo, aveva scoverto, ne'
più secreti ripostigli, ne' più salaci cantucci, l'armamentario delle
fattuccherie, delle superstizioni, delli scongiuri, de' recipe
farmaceutici, di tutta la congerie ridicola, spaventosa, revulsiva delle
pratiche e delle opinioni per cui un Mora illustrò di sè stesso La Colonna
infame milanese in sulla Piazza della Vetra. Suggerimento
manzoniano, diretta osservazione, a Carlo Dossi, avevano persuaso un indagine
curiosa ed insistente sulla psiche delle sue macchiette plebee e meneghine, che
stanno a fondo mobile delli altri suoi eroi di mista razza. In quelle, scorse
corrispondenze ataviche, ritorni di gesti, di credenze, involuzioni di costume,
che gli indicavano l'origine spagnolesca inveterata ed incrostata sopra il
carattere del popolino; focolari mal spenti di sporadici ed interruttivi
contagi presti a fecondare leggende di fantasime, di rumori, a condecorar case,
appartamenti, camere, con una fiaba d'intricate avventure tra l'amore, la crudeltà,
e di morti che ritornano e si fanno sentire. Quanti elementi per il
grottesco, quanti motivi alle risa ed alla commiserazione in tali sciochezze,
cui la plebe si fabrica e dalle quali è suggestionata! Carlo Dossi le saggia
colla scienza mirabile della ignoranza fastosa e torbida del seicento: a lui
appariva el sur Dianzen benedett del Porta; beffando, in un mistero
bigio, appostilla significazioni strane alle cose: ecco, un letto
monumentale, per calcare il quale la paura bisogna che gli guardi sotto: ecco,
le grinte delle imagini inquadrate, che dicono qualche cosa di più che non
voglia il grossolano profilo della stampa: ecco, il canto lento e rituale della
bàlia che sembra profetizzare in una oscurità, tra il magico ed il
contadinesco: ecco, quell'incoscienza astrusa ed astratta per cui domandano
oggetti enormi e foggiano maravigliose filosofie i suoi bambini; ne' capricci
de' quali, nelli strilli e nel pretendere de' mimmi s'agita un quid di
diavolesco, di involontariamente perverso, di subcosciente, che suggerisce una
serie di acute riflessioni, per cui si risale all'origine animale dell'uomo,
camuffata nella predestinazione fattucchiera. E le prime pagine dell'Altrieri
si svolgono tra la leggenda, le paure reali ed imaginarie; e La Casetta dì
Gigio è costruita dalla pura fantasia che connette un grande sistema
filosofico vissuto; e de' periodi dettagliano le ambiguità senza grazia, le
malodorose ovatte sudicie, i gesti lubrici, li attorcimenti tentaculari di
molti uffici comuni e schivati, di alcune funzioni di spazzini sociali e
comunali; il necroforo, la mammana, la poveretta de la giesa, el giovìn de
macellar, el perruchèe, il cenciajuolo, la minuta straccioneria urbana. -
Sì; egli ama il secentismo, le sue parole biscornute e ravvoltolate, i suoi
pensieri doppi e confusi, dentro cui si pescano le doppie e antieretiche verità
della vita, ama quella sua scienza polverosa e strana, fatta di metafisica e di
speculazione, la sua fisica che è ancora un'alchimia, il suo viaggiare che è
sempre una scoperta. Ama lo stipite dell'Humorismo nostro secentesco.
Giordano «per quelle sue pagine così genialmente mal scritte, nelle
quali chiama la divinità: anima dell'anima». Sente codesto Bruno ben
diverso dalla comune de' suoi contemporanei anticlericali; l'avverte come un
autore ineffabilmente barocco, irto di angoli ed involuto di cornici, gonfio di
panneggi, profondo ed ingannatore: Bruno, che ha ridotto ad idee ed a pensieri
le sue emozioni, le sue impressionabilità squisite, la sua vertigine di novità
e di indagini eccezionali; Bruno, che è stipite di un complesso e nascente
romanticismo ghibellino, il meno costituito per servire di spunto moderno alla
democrazia ed all'ateismo militante.
Accorre Carlo Dossi verso codeste grandi qualità mistiche ed al
fascino torbido ed ambiguo del suo stile; il nome del valoroso ricorrerà spesso
sotto la penna di lui. Un'altra affine genialità discorre quell'opera
essenzialmente critica e religiosa, che, prima d'ogni altra, ha saputo
svincolare il senso di fede, la sensazione di confidenza, dalle forme
canoniche, dai dogmi freddi, terribili, sterili, personalizzandoli nella
coscienza dell'Unico a mo' di uno Stirner religioso. Dal Candelajo,
dallo Spaccio della Bestia trionfante, dalli altri scritti bruniani,
dispillano quell'humorismo che l'autore di Ritratti umani ripropone, i
motivi che svolge di nuovo, compiacendosi quasi, in uno stesso stile scomposto,
personale, saporitissimo.
Che s'egli va ricercandosi e foggiandosi bizzarre imprese, e l'una
descrive: una palla di gomma in rimbalzo dal suolo alla palma della mano
tesa ed aperta che ne corregge e ne rinnova l'elasticità, parlando: «Repulsa
adsurgo» - e l'altra: un razzo d'oro in un cielo di notte: «Brevis sed
splendens»; accoglie, definitivamente, la terza da Giordano Bruno: «In
tristia hilaritas, in hilaritate tristis». - «Perchè70 gli
umoristi, in generale, dicono cose fuori della comune sentenza, ma in modo da
colpire la intelligenza con un lampo di persuasione, che, spesso, si perpetua
in duraturo chiarore: cioè, dicono cose savie vestite di pazzia e pazzie
vestite di saviezza: però che ad un discorso fatto di ragione chiunque può
opporre: ad uno di cuore nessuno». Infatti, riflettendo sopra sè stesso, si
determina a paragone: «Satiricamente, Manzoni corrisponde ad Orazio, Rovani a
Giovenale, Dossi ad Ovidio;» - ma definisce: «Il riso71 di Manzoni era
ironia, quello di Rovani sarcasmo; il manzoniano umorismo spira la pace, il
rovaniano battaglia»; questo di Carlo Dossi è un singulto che sorride, un
desiderio che lacrima, una gioja sciupata, una rosa, che, ancora sullo stelo e
non completamente fiorita, vien maculata nel cuore da un verme roditore; è pure
una corazza d'acciajo brunita ed oscura, una conchiglia funerea ed infendibile
di bronzo, dentro cui la polpa dei nervi e del cervello delicatissimo si
rifugiò; donde, dalla difesa combatte e vince. L'humorismo è sempre un'amara
vendetta vittoriosa: «e la satira»72 torna a dirsi «che è la forma
letteraria della malvagità, gli è necessaria espulsione per conservargli la
morale salute», quando gli basti e non soggiunga: «Nella73 satira si
trova, è vero, una delle fonti dell'umorismo, ma l'umorismo non è tutta satira:
essa trae anche la sua origine da quella parte di letteratura semisconosciuta dagli
antichi, benchè corrispondesse ad un affetto che naturalmente dovevano
anch'essi sentire, il pathos:» - per cui, se «il comico74 è riso, -
l'umorismo è sorriso».
È ancora «la malinconia di un'anima superiore che giunge a
divertirsi di ciò che lo rattrista», spiega Gian Paolo Richter: «è la
perfezione del genio poetico», insiste Carlyle: «chi ne manca, sian pur grandi
le sue doti, è un ingegno incompiuto; avrà occhi per vedere all'in su, ma non
per vedere intorno a sè e sotto». - Addison desidera darcene la palingenesi,
facendolo discendere dal Vero, dal Buonsenso, da cui nacque lo Spirito,
che sposò una collaterale di nome Allegria. Fruttarono le nozze l'Humour,
il più giovane della illustre famiglia, erede di esseri, di caratteri e di abitudini
diverse e multiformi; perciò, era procede «leggiero spigliato, con abito
bizzarro e fantastico, ora in veste nera, o togato come un medico od un
giudice, ora in giornea pezzata ed a sonagliuzzi d'argento, tintinnabulante
come l'Arlecchino, pirotecnica umana di lazzi, risa, sgambetti, scatologie.
Dal novissimo testamento della moderna ironia, Taine estrae
l'epigrafe imperfetta: «L'Humour è un quid di acre, di amaro, di
oscuro, che nasce nei freddi cieli settentrionali». Scherier lo vuole, secondo
Leibnitz buon tedesco ripieno dì salsiccie, di birra, «wrüst mit salkraut»,
la gaiezza dell'uomo allegro ed ottimista: - Stapler lo arma cavaliere della
trista figura, bel-tenebroso, ritornato da tutte le gioje del mondo e da tutti
i dolori, un idealista dissoluto - -Lo encomia Teofilo Gautier in sulla
contradizione delle stravaganze; e Luigi Pirandello nostro definisce: «Un vero
umorista dovrebbe dirsi solamente chi ha il sentimento del contrario, chi ha
cioè una filosofica tolleranza spinta fino a tal segno da non saper più da che
parte tenere; donde la pietà del contrasto»; sì che Spencer può dire: «Io rido,
se nel massimo della mia attività, mi trovo nel vuoto; rido, se aspettandomi
moltissimo, ad un tratto, non stringo nel mio pugno che il magnifico nulla».
Carlo Dossi dunque ride, fa ridire, sorride e fa pensare, appassionato, se, al
saggio del suo pensiero, se davanti al suo sogno entusiasta di bellezza,
d'amore, di onestà, ritrova il magnifico nulla della vita moderna, nuda
di tutti questi attributi, ricchissimamente vestita di tutte le altre virtù
negative delle menzogne; e non usa la satira, la caricatura, la farsa,
l'epigramma, ma una vera e propria sua arte di caratteristiche speciali, che si
giova di satira, di caricatura, di farsa e di epigramma rifusi in una unità
propria per una sequenza sentimentale, genuina e triste e lieta e rissosa e
pacifica ad un tempo: arte, che ogni qual volta ci si presenta con opere degne
di lei, anche vecchia par nuova, mentre ogni qualunque metodo scientifico, per
quanto freschissimo, ci puzza sempre di cadavere quatriduano. Perciò Carlo
Dossi non vi definirà l'humorismo, ma praticandolo, ne darà a noi la sensazione
e quasi il gusto dolce-amaro di morso e di bacio, incidendo sopra il suo libro
più doloroso: «Un'oncia meno di sangue, un libro di più».
Comunque, è dote squisitissima, rara e permalosa, che sfugge la
nostra diretta conoscenza; noi la avvisiamo, la sentiamo, non possiamo
dettagliarla e catalogarla secondo una norma scientifica: in casa nostra si
acclimatizza a stento e nelle più alte figure letterarie. Ama climi poveri,
inospiti, aspri, desidera l'inclemenza; è un'altra forma sotto cui si
manifestano i dolori innominati; in cui questi stessi tentano di
riflettersi, per fotografarvisi, perchè projettati, in fine, ne sappiano la
propria fisionomia. Viene dal Nord, viene dal romanticismo; precede ed accenna
le ore critiche di patema sociale, di trasformazione psichica. Il serpente
della Bibbia, - e Luca di Leida lo raffigura colle zampe di gatto ed unghiato,
il volto antropoide, orecchiuto, il resto del corpo peloso, ravvolgendo, a
spira, l'albero fatale - determina, grottescamente, l'incoscienza animale che
sta per dar luogo alla coscienza umana.
Socrate, che ironeggia nei Memorabili di Senofonte,
presente la voce di Thamos pilota egizio, che ridirà, a tutto il mondo pagano,
la menzogna: «Il gran Pan è morto!» Se Petronio, tutto rìso e cachinno, fa
portare a Trimalchio la larvetta d'argento nel triclinio, gliela fa giuocare,
disarticolata, nelle mani, e sul marmo della tavola del banchetto, per cui lo
scheletro assume ogni più ridicola posatura, mentre canta: «Ahi, ahi, noi
miseri, che omiciattolo vile è mai l'uomo!» insegna che la potenza romana sta
per annullarsi nella istoria ventura. Luciano, il classico dell'humorismo
produce Peregrino, L'Elogio alla Mosca, il Pirgopolinice, la Descrizione
di Jerapoli, le inversioni già cristiane sopra le sciocchezze pagane:
attesta che si avvicendano i concilii di Nicea e di Alessandria, che lo stato
rimuta religione, che li Arabi stanno per conquistare l'Asia-Minore, che il
Medio-evo è alle porte; in bilancia, sulla croce, è la mezzaluna.
Il Medio-evo, epoca di crisi ininterrotte, si svolge dal grottesco
necessariamente spettacoloso, munificente: la Messa nera, il Sabbato, il dì di
San Giovanni, i Misteri, declamati e cantati nelle absidi abbaziali, i
tornei, i buffoni, la Fiammetta ariostesca, i nani, la Feudalità. Intanto,
all'ombra delle torri gotiche, sui campanili trinari e chiamanti al fuoco, alle
tempeste, alla nascita ed alla morte, Quasimodo, campanaro del cielo e
dell'inferno si arrampica; Gilles de Rais, il Barba-Bleu del folk-lore
indo-europeo, sfoggia la sinfonia satanica e lussuriosa: da Victor Hugo
all'Huysmans, la fabrica dei nostri divinatori è meravigliosa: da Nôtre-Dame
a Là-Bas. - Impero indiscusso del dualismo, Dio e il Diavolo reggono
l'umanità, sulla formola manichea, poichè il cattolicesimo in quell'epoca, fu
sicuramente settatore di Manete e ne ha conservato, nel grembo romano, il
lievito. Ne riuscì una filosofia volgare per tutti, contadini, monaci, artisti
e principi, percossi e doloranti dalla apparente confusione contradittoria del
bene e del male, senza saperne le sottili rispondenze; da questa formola
inimica la scienza e la fede mistica di Spinoza non avevano ancora estratta
l'intima comunione del monismo, che è la maggior vittoria dello spirito
moderno illuminato contro le categorie senza rispondenza d'Aristotele. Donde,
l'antitesi estetica del grottesco; poichè il senso del bello, tranne nelle precoci
figurazioni italiane, in Europa, era capovolto nel concetto medio-evale.
Dissonanze importano lo squilibrio; un'altra volta interviene la callida
iunctura; la imprestano dalla formola di Orazio, là dove parla della
Sirena; la pupilla stessa della umanità e la sua fantasia eccitata vedono i
mostri, che l'uomo romano, nella stasi felice delle sue attribuzioni, aveva
relegati nel Hades. Ed il Medio-evo, per distendere i propri nervi, esagitati
sino alla pazzia demonologica, stiracchiati tra l'inferno ed il paradiso,
doveva cambiar tono ed epoca, chiamarsi Rinascimento; e, dopo aver ritroviati
l'Iddii immortali, ricantarli sotto il cido rappacificato ed azzurro.
Nelle patrie del Nord, Chauser, Rabelais, che immerge nelle Eaux
de Jouvence Pantagruel, prototipo del Père Ubu e di Roi Bembance;
- Shakespeare, che sotto li acanti di Grecia, fa passeggiare Bottom e Flute,
borghesi d'Inghilterra, comedianti improvvisati, e, tra le Fate classiche, Fior
di Cece, Tela di Ragno, Granellin di Mostarda, e Titania regalar una testa
d'asino a Bottom, ed Oberon fa sedere e comandare sul trono d'Eolo; - Villon,
ladro e letterato, esprimono la loro fioritura classicheggiante ed humorista.
Un'altra crisi. Un'altra ancora, quando Bergerac si farà condurre
alla luna sopra uno stelo di rapa gigante; Le Sage inventerà Asmodeo, diavolo
sciancato; Wieland rinnoverà un Aristippo; Goethe risusciterà un'altra e più
bionda Elena; Cazotte un Diavolo innamorato in Ispagna; Hoffmann popolerà di
ombre le camere, darà vita alle bambole, farà parlare un gatto, Schnürr; - farà
sapere ai Tedeschi che Napoleone ha vinto a Jena, fu vinto a Leipsick. -
Massimo, Don Quixote, conserverà, sotto la magra e trista figura d'hidalgo
spiantato, il cuore di Amadigi di Gaula; avrà per scudiere Sancio Pancia, cavalcator
di un asino al suo fianco; assalterà mulini e greggie; distruggerà, di passata,
la Cavalleria, per sempre. La sua persona bizzarra segna la fine della
grandezza spagnuola; dentro la sua armatura, il monco di Lepanto, Don Miguel
Cervantes de Saavedra, enumererà le ore di vita dell'istituto feudale;
incomincierà la rivoluzione, che incoronerà la ghigliottina del '93, prevedendo
e predicando la nuova istoria.
Il giorno in cui Swift, cappellano di lord Berkeley, torna dal Racconto
di una botte, dove se la prende col Papa, Lutero e Calvino, canaglie e
bestie ecclesiastiche ed eretiche, per mettersi a viaggiare, sotto l'abito di
Gulliver, il paese di Laputa, la sua misantropia satirica, che non risparmia
Walpole e il Re, morti e coetanei, indica che l'Inghilterra trabocca sopra i
suoi confini d'isola europea, si distende e sta per fondare più grande patria,
oltre li oceani, cui riempie delle sue armate, che assorgono il commercio e
sostituiscono, al Pariato avventuroso, la Gentry sedentaria delle
banche. Ma quando Sterne, col sorriso pallido e doloroso, con accento purgato
di arguta proprietà di lingua e di una sottile percezione d'innominate
sfumature sentimentali, riavvolto in una urbanità fredda, dignitosa,
presbiterana ed ecclesiastica viene tradotto da Foscolo; Napoleone sfolgora in
tutta la sua insolenza col blocco continentale contro le colonie dell'India,
donde essa soffoca di pletora e necessariamente strema la madre-patria;
l'autocrata ostenta la sua potenza in Italia, la suddivide, le impone principati
di sua famiglia, ma non sa raffrenare e teme la libera voce del poeta
immortale.
Se appare Carlo Dossi, ammonisce che la Terza Italia incomincia;
«calano75 i numerai, nelle cui vene scorre sangue darwiniano di
scimmia; men persone che cifre e, delle cifre, zeri». Ingannano la patria colle
loro non controllabili celebrità; e si dicono scienziati, insegnano non la
scienza, ma l'isterismo scientifico: son tedeschi ed imitano la Germania, che
ha, fin qui, mancato di Archimede, di Galilei e di Gorini; vogliono strappare
le piante nostrane per allevare le esotiche, dar la stricnina ai nostri
figliuoli per, farci adottare i loro. «Unni nuovi! fuori», egli grida; l'impeto
suo uguaglia a quello di Carlyle e di Stendhal contro i bottegai, i manifatturieri,
i contabili: «O Muse, o, Amori76 restate!». Ma tutta la grettezza delle
fabriche e delle industrie ci assale, il listino di borsa numera, col rialzo ed
il ribasso, il palpito dell'innamorato, la tariffa all'amore: ed egli, che di
tutto questo sofre, ne rappresenta l'avvento, che rifonde ed incomincia pure
riconoscendone la necessità. Ha riconosciuto, nell'ora psicologica in cui
l'Italia si rivolgeva alli istituti politici e costituzionali ed al machinismo
del nord, quale parte la sua letteratura deve giuocare nel complesso classico,
funzionante tuttora sotto la vernice romantico-manzoniana. Egli si sentì invaso
da questa corrente di Goulf Stream assiderato, pungente e rovente della
ironia, accolse la malattia endemica anglo-sassone, le aperse il passo, nel
frangente della crescita politica tra noi, attestando, col suo fatto, un altro
sintomo della pubertà, della espansione della gioventù, che sembra decadenza;
avvalorando, un'altra volta, il concetto ch'io già esposi della geniale
ebefrenia.
Sono, in fatti, li adolescenti, le donne nei travagli catameniali,
i casti per regola monastica, le monache continenti per regola deprimente, le
epoche ibride ed in isvolgimento, che, nelle inquietudini crepuscolari, pei
cieli tenerissimi della primavera incipiente, nel volo delle nuvole marzoline,
nell'urto de' venti propagatori di polline, nell'espressione sbocciante del
virgulto, che inverdisce, nell'urgere dell'erba sui prati, nei misteri della
fecondazione, trovano le figure mistiche, mitiche, sacre, demoniache, le
rappresentazioni della Natura. Le Streghe appajono; sono il grottesco delle
Ninfe; le Fate caprioleggiano i loro giuochi e discendono, cariche di doni,
benigni e maligni; sono l'humorismo vivo delle Grazie. In un punto, nord e sud
si trovano, si riabbracciano, oriente ed occidente, Cristo ed Heracles, Jehova
ed Odino; Attila, dai Niebelungen, sporge la destra ad Ettore della Illiade;
le razze scompajono, rimangono il poema ed il poeta, che le
riassumono nella totalità semplice ed umana: ridono e piangono insieme. Allora
rigurgita il troppo pieno cerebrale, non utilizzato, non polarizzato dalle
epoche basse e grettamente egoiste: si riversa; ghirigori di letteratura,
anfratti profondi, preziosità oscure ed intense manifestazioni attestano che
molta energia giovane è trascurata, che il governo di un popolo è non tale
quale la ragion sociale del popolo stesso richiede; che esiste una soluzione di
continuità tra il cittadino e le leggi; che vi è qualche cosa che incomincia e
qualche cosa che termina, che tutti sono malcontenti. Nelle giornate epiche, il
classicismo impera; la retta è norma; la risposta breve e monosillabica,
concione: qui, tutti hanno uno scopo diretto ed evidente, per cui consuonano in
bellezza glabra, sommaria e stilizzata il gesto del soldato, la prosa del
legislatore, la poesia di vittoria e di orgoglio: la pienezza si risolve in
giuste membra alacri e forti. Chi opera e fabrica è asciutto, proporzionato ed
elegante; l'obesità marchia il sedentario cabalatore di cifre, di sentimenti, di
sofisma, di inquietudini astruse, dentro cui si perde, gioisce e addolora.
Così, Carlo Dossi, a richiamo de' suoi fratelli d'oltr'Alpe ed
Oceano, popola la sua biblioteca; voi ne vedrete i suoi più cari volumi dentro
li scaffali e si chiamano: Saggi d'Emerson, Opere di Carlyle,
quelle di Shelley, le altre di Gian Paolo Richter, a costa a costa, con Don
Chisciotte, I Promessi Sposi, I Cento Anni, Pantagruel, la Raccolta
completa dei nostri poeti meneghini, da Carlo Maria Maggi, al Raiberti, le Tragedie
di Shakespeare. Questi formano il perno della sua dottrina e del suo credo
estetico. A traverso le pagine de' suoi pari, egli si riconosce meglio; opera
in modo che il suo sangue, fondamentalmente latino, ma ringiovanito dalli
innesti barbarici, la sua mente italiana moderna, ma in giornaliero contatto
colie opinioni, i tentativi, le esperienze e la saggezza straniera, il suo
organismo sinceramente costituito di creta patria, ma imbevuto di più sottili
ragioni internazionali, si inlievitino al contatto della vita contemporanea e
si commuovano simpaticamente, producendo, a somiglianza di quelle letterature
straniere, una loro espressione, che non ne deriva, ma le avvicina avendo, per
specifico motivo: rendere una personalità in un'epoca di transazione e di
aumento fisico e morale. Riconosceva egli discendenza barbarica nella sua
famiglia? Se ne sentiva intimamente persuaso? Rosalia de Holly, la figlia del
colonnello tedesco, discesa per altro sangue materno dai Beccaria di Montecalvo
- per cui s'innestava tenacia lomellina a germanica fantasticheria - la
bisnonna biondissima, Rosalia, della cui madre Carlo Dossi adorò
«quel77 fazzoletto dagli stemmi tarmati, che evaporava quasi ancora il
profumo acre delle lagrime, piovute dai neri ed alteri occhi della trisavola
Maria Lucia, piangenti il fulvo marito trafitto sull'ucciso cavallo nei campi
di Slesia, la corazza lucente ai raggi, invano pietosi, della luna»; - Rosalia
de Holly moglie a Gelasio Pisani gli aveva legato necessità di rifusione
ghibellina, nordica, metafisica, rinnovatrice, per estetica, in un bisogno
passionale di specificarsi. Certo è che, biologicamente, l'arte sua veniva
secreta, spontanea e limpida in modo tale da riempire la lacuna, a lungo
rimasta aperta, delle lettere nostre; che produde, sullo stesso suolo della
valle padana, di sulle colline orobiche, sulle balze prealpine, genialità di
mista composizione, come Parini, Manzoni, Rovani, Carlo Dossi: i quali
orientano diversamente l'indirizzo della letteratura, ne rivoluzionano la
forma, ne rimutano l'espressione.
Perchè egli ci ha dato una novissima, e, prima di lui, inedita
presentazione dell'humorismo, nel senso in cui noi oggi lo accettiamo, come
nessuna opera classica l'accolse, per quanto vanti, e li ripeto, i nomi di
Aristolane, Petronio, Luciano, l'Ariosto ed il Berni, Voltaire compreso, che
pur esclamava: «Chi ci libera dai Greci e dai Romani», mentre rimase uno degli
assertori più costanti della formola tradizionale, paziente osservatore dei
costumi e delle bizzarrie del suo secolo. Se, nel caso dossiano, ancora
l'ordine e la disciplina romanica gli fanno evitare l'eccesso della abbondanza
delle risa e delle lagrime, non per ciò cessa l'acutezza del suo humour,
anzi se ne avvantaggia.
L'humour sia dunque lo stato costante dell'animo suo:
uscire con uno slancio, dal lettore non preveduto, nel meraviglioso, dopo la
calma descrizione delle attualità: esagerare, nel rendere la sensazione e il
sentimento: assumere, da una funambolica associazione di idee passionali, una
sintesi; dall'uso concomitante della scienza e dell'ascetismo, una verità.
L'humorista ritrova, nella sequenza della vita cotidiana, nella nenia odiosa
della pratica, il fiore strano di una bellezza d'antinomia; lo coglie e se lo
appunta alla bottoniera, ve lo conserva anche appassito. L'humorista ride e non
vorrebbe; piange e nasconde le proprie lagrime quasi se ne vergogni; è un
faceto che ricasca nella filosofia trascendentale; è un sentimentale che vuol
essere logico; un'espositore di paradossi, di imagini, di similitudini
eccezionali freddo e metodico come un professore d'algebra; dalle premesse vere
conduce il ragionamento ad una pazza deduzione, in apparenza, concordante; da
un fatto singolo, si inalza ad una universalità dubia; col gioco del sillogismo
e colle dichiarazioni sofistiche, mette da parte la realtà e vi sostituisce la
verità. L'humorista è un realista che nota i fatti, col rammarico di non
poterli descrivere com'egli vorrebbe che fossero, ma come pur troppo sono; vive
di osservazione diretta e minuziosa ed inneggia commosso: ama la
contradictio in terminis. Perchè sta nella vita corrente e la conosce a
fondo, sa che questa è una continua contradizione, che il miglior modo di
renderla, coll'arte, è foggiarne una di contrasti, di subite apparizioni, di
impreveduti fenomeni, di lagrime e di risa insieme; già che singhiozzi di
pianto e di riso provengono dalla stessa vibrazione del diaframma. Al qual
proposito, preponendo una Avvertenza ai quattordici calepini delle Note,
azzurri ed inediti, dove Carlo Dossi ha riposto il sale secretissimo e
l'essenza delle essenze della sua mente e de' suoi ricordi, entro i quali più
scavi e frughi e più il piccone e la pala ti estraggono fuori ricchezze
insospettate e qui sepolte generosamente; egli si rivolge al letterato che
andrà leggendoli per renderne conto ad altrui, e gli dice: «Se vuoi avere la
giusta idea d'un concetto, cerca questo sotto la parola naturale e comune che
lo determina; ma cercalo pure nella sua opposta, e nella sua inversa. Per
esempio; se vuoi sapere sulla gioja, qui guarda ed anche quanto si
enumera sotto dolore: sulla luce, va a vedere sotto ombra;
intorno a sottigliezze filosofiche, riscontra con filosofiche
sottigliezze». Ultimo motto a rischiarare tutto l'anfigorigo avvolgimento
del suo paradosso.
Donde, noi veniamo a sapere come i fatti ch'egli racconta sono,
propriamente, i gesti della sua mente che vuol conoscersi in azione; così
operò, alcune volte, il misticismo esasperato di Villiers de l'Isle-Adam, se si
trovò in contatto colle platealità borghese - e ne riesce il Bonhomet
cacciatore di cigni; - così predilesse Novalis; così perfece Gian Paolo
Richter. Sembra a noi ch'egli apra una parentesi, per nascondervisi, quando
sospende il racconto, vi immette, a tarsia ed a mosaico, le mirabili novelle
come una minuta e scintillante gioielleria di pensieri e di rappresentazioni.
L'azione, sotto via, si svolge meglio, sostenuta appunto da queste interruttive
apparizioni; i cardini principiali, il leit-motiv vi continuano, direi,
ipogei; li Apologhi, le Parabole sono le prove provate della attività delle sue
emozioni, la dramatica dei suoi sentimenti figurati e messi ad agire, in sulla
ribalta della sua letteraria sincerità. Perchè Carlo Dossi parla ad una turba
di non iniziati i suoi lettori di ventura; come Cristo ha predicato ai
Gentili; e tutti e due si fanno parabolani per esporre, in fatto, l'idea.
Se viene interrogato può rispondere con Rimbaud, un altro Cristo di terrene
passioni rosso fiammante: «Io78 divenni un melodramma». Melodramma di
entità psicologiche, di sottili astruserie, di legami più intimi, ch'egli ha
scoperto e che, invano - si tentò celare nel nesso, tra la natura ambiente,
così detta79 «morta», - da chi non ha fino intuito, colla storia,
il carattere il «momento» degli attori, che ne sono circondati. Chi conosce il
segreto dei pinti romanzi di Hogarth comprenderà le mie scritte pitture. Il
mobile la tappezzeria la pianta, vi acquistano un valore psichico, vi
completano l'uomo, e, da semplici attrezzi teatrali, vengono a far parte
integrante nel ruolo dei personaggi. Gli è il coro della antica tragedia
ridotto a forma moderna».
Con lui e per lui li oggetti, i mobili, le piante, i fiori, li
animali, i fenomeni, tutti parlano e sentono, odono e rispondono. Egli adora le
cose, perchè queste nascono e vivono e muojono con noi, come noi, e sono il
prolungamento di noi stessi. Noi, colla nostra vicinanza, le influenziamo ed
esse ricevono da noi: un certo animismo per simpatia, già che il nostro
linguaggio, per necessità logica ed umana, le regala di un antropomorfismo,
donde piangono e ridono con noi. - Egli, forse, abusò di questa proprietà di
esteriorizzazione; ma la sua abbondanza animica sta bene coi fenomeni della
materia che inzuffla di spirito. Grande dote questa di non potersi mai credere
in solitudine: chè la solitudine sua, subito, si popola: le cose gli si
rivelano, gli si confidano: sarebbero così inerti di non comprenderlo, di non
confessarglisi?
Tutte le cose vivono ed hanno anima. Il ferro vibra di movimenti
molecolari, nasce, invecchia, ha un destino. Le pietre preziose si allevano da
sè, lentamente, per germini astrusi: il topazio e lo zaffiro s'ammalano e
smuntano. La calamita attrae, obbliga a sè, invita: il ferro percorre uno
spazio per raggiungerla: la elettro-chimica ci spiega a sufficienza la reazione
del ferro-magnete indotto? Il radio, che è sempre identico a sè, non trasforma
il suo ambiente?
Per Carlo Dossi, come per qualunque altro grande poeta di pensiero
o di forma personale, tutte queste domande hanno una risposta affermativa dalla
passione. Le cose inanimate rivaleggiano, nel suo amore, colle animate
personalmente, le quali pretestano una loro individualità forse appena di
superficie, mentre le altre attestano leggi indefinite, mecaniche, fisiche,
chimiche. Ma, per Carlo Dossi, come per ogni altro poeta originale, non servono
le apparenze; egli non si illude sul valore dei movimenti che si chiamano volontari:
sa che è un modo di dire e di pensare comune, ma che, del resto, la nostra
umana volontà non ha presa a determinare le oscillazioni del nostro
pensiero più che non possa il nostro vivere sopra il Sole, sopra la temperatura
di Sirio. Così, è questa stessa convinzione, fatta da appositi no,
da razionali impotenze, che lo rende compreso della corrispondenza tra l'animo
suo e l'animo fraterno delle cose, che lo fa centro di un giuoco curioso ed
involontario per cui deve, nelli Amori, manifestare sè stesso a
traverso le cose, specialmente nel Primo Cielo.
Così, egli vive di più, perchè a ciascun oggetto suggestivo
presta parte della sua propria vita. Vivere, in fatti, significa conoscere le
apparenze e le sostanze secondo le loro differenze; significa essere sopra a
tutto sensibile. Più si è sensibile, meglio si vive; meglio si è poeta, cioè si
crea quanto maggiormente si sente con sensibilità attuale ed in azione che
reciprocamente si determinano autenticandosi. La riflessione su questo punto
d'incidente metafisica (è davvero metafisica?) se va cogliendone il nocciolo di
sotto le rifuse contradizioni, si chiama anche humorismo; e Carlo Dossi
riflette spesso in questo modo profondo ed originale.
L'opera che riesce assomiglia al mobiglietto industriato dalla
pazienza giapponese, stipo da rinchiudervi meraviglie di giada, oro, avorio e
porcellana. Schiudetene i brevi battenti; ecco una cassettina di ferro, incisa
a grandi volute, a mascheroni, a trifogli, a bruchi ed a serpenti lunghi ed
aggrovigliati, fatica perfezione di aggemmina e di variopinta ferruminazio:
alzatene il coperchio, che scivola sulla cerniera, sericamente; due uccelli si
volano incontro tra due rame di fiori fantastici; eccone un'altra più piccola
di lacca, aspra d'oro in rilievo; ma, una terza, quindi, una quarta; l'ultima
d'argento tutta con quattro rubini, quattro macchie di sangue alli angoli.
Dentro, la preziosità riposa sopra un letto di velluto, riparato da una guaina
di seta ricamata. Toglietele l'ultima veste; mostrate nuda la bellezza; un
idolo: se svitate la mano destra, erta in segno di benedire; vi ritrovate, nel
cavo, un anello massiccio d'oro scolpito; porta un corpo di donna straziato
dall'amore di una piovra, divinità del mare; nasconde, in una voluta della
figura, una impercettibile fialetta di vetro, la quale conserva la morte sotto
forma di una goccia di curaro: la difesa, l'offesa, la liberazione.
Sovente udii da Carlo Dossi magnificare i libri che apprestano, ad
ogni nuova e ripetuta lettura, un motivo non prima scoperto a tutto profitto
delle nostre insistenze. Arte psicologica, in cui egli eccelle; che mi si
rappresenta in uno schema eguale alle circonvoluzioni del cervello, anfratti,
in dedalee insenature, in meandri sinuosi della materia grigia; pura arte
cerebrale. Magnificenza della energia dell'anima, un quid inispiegato
ancora, come la scintilla elettrica; immensa potestà, chiusa nel breve e
piccolo corpo fragile, ma che ascende l'infinito, rimanendo pacifica e
perscrutando, in sè stessa, l'altitudine e la profondità della materia e della
forza: pensiero divino. - In fine, la facoltà di vedere e di giudicare la vita,
da un punto personale di vista e dal suo opposto, nello stesso tempo, è
l'humorismo, pel quale Carlo Dossi ha l'acuto potere di scrivere Ritratti
umani; che sono l'espressione della sua utile cattiveria e mattia.
Pagina mea sapit hominem, porta, in
fronte da Marziale, la copertina di Campionario; sa cioè ha
sapor d'uomo, lo ha mangiato, lo ha digerito, se ne è nutrita; lo conosce
per il palato e per il ventre; lo ha scomposto, ridotto ai minimi, termini, ai
più brevi cristalli, come una esperienza chimica, come in un lavoro biologico e
necessario dell'organismo; la pagina mia ha evacuato l'uomo, come è: non
quello che vediamo intorno a noi, tutti i giorni, vestito come conviensi,
ripassato dalla convenzionalità del galateo; colui che non sa i vantaggi
della ineducazione, ma sfoggia le inciviltà della fondamentale ignoranza
laureata; la pagina mia è la pietra di paragone; così ha saggiato l'uomo
e ne dà il titolo esatto secondo la mia norma.
Pagina eguale ad Arte: l'ironista sa che
l'arte, per sè stessa, è serena, è una certezza; non un dubio; non una disputa;
ch'essa non si inganna, non si illude, credendo alla assoluta bontà, o
cattiveria dell'uomo, senza confonderle; ma lo rivede, nè buono, nè cattivo,
come è, a servirla bellamente. come funziona utilmente nella vita. L'ironista
sta alla finestra; guarda nella piazza, giù, ove si avvicendano le beghe de'
suoi simili; è lo zoologo, che, sul margine di una foresta, si attarda a
descrivere i costumi delli animali in libertà, lontano dal pericolo delle zanne
e delli artigli. L'ironista è per ciò un moralista della semplice, della pura
morale, di quella che ogni organismo ben nato e ben costrutto esercita,
coll'istinto e colla ragione, se vuol vivere in modo di non danneggiarsi nel
contatto delli altri suoi pari. E l'uno e l'altro adunque si dilettano, quando
vogliono divertirsi, a raccogliere le impronte, le orme delli uomini e delli
animali, a delinearne le forme e li aspetti, a scriver loro sotto un cartellino
mnemonico: «questo mi piace, questo no; questo mi conviene, questo ributto,
questo mi è utile, questo dannoso; qui ho la gioja, qui il dolore».
L'humorista, per intanto li accetta in fascio; usa di una sola
etichetta complessiva: «Ecco la Vita» - Musei anatomici, Teatri di scimmie,
Circoli equestri, Fiere di beneficenze e di egoismo: tutt'uno - Il
lupo mangia il montone; la scimmia inganna il cacciatore; la tigre ha mascelle
enormi ed i muscoli del corpo ubbidienti, rattratti in tensione della sua
volontà, scatta, azzanna, lacera, uccide nel balzo, cacciando: i conigli
fuggono; le anatre schiamazzano, i pipistrelli volano in sul crepuscolo; le
formiche, come le api, sono socialiste; il fringuello canta meno bene
dell'usignuolo, ed il pavone è uno smeraldo tiepido, rutilo, e sfoggiato,
stride ingratamente come una giovanetta dilettante cantatrice: l'aquila vola
sola incontro al sole e non si abbacina. Vi imbattete, così, anche nelli animali
della gloria, Animalia Gloriæ di Tertulliano, nelli enormi organismi di
preda e di vanità che insanguinano e sconvolgono il mondo, Cesare o Napoleone;
quindi nella divinità eroica, come Garibaldi. L'humorista conosce tutte queste
varietà di esseri, ne cava la maschera rispettiva; ma per consolarsi meglio,
per sentirsi più intima, guancia a guancia, seno a seno, nuda e tiepida la sua
fondamentale onestà, si procaccia - e ne trova dovunque a schiere - dei modelli
più brutti di lui, li mette in bacheca, li sciorina ed indica: «Ecco la
Società!» Sono i Ritratti umani.
La serie incomincia dal Campionario, per quanto ultimo
uscito in ordine cronologico; un'altra e più saporita zoologia. Il suo
procedimento è classico, perchè si svolge per prosopopea come nelle satire
oraziane, ma il modo di riferimento è modernissimo; vi rientrano la fisiologia
e la psicologia sperimentale, il termine netto e schietto anatomico; qui, non
si ha vergogna di nulla, nè meno della vergogna, che è un sintomo d'inferiorità
ed una espressione di rimorso; non si ha rispetto di nessuno, nè meno della
realtà, che è l'apparenza più ovvia e meno vera di vivere. Giù le
maschere, uomini cittadini veramente serii ed importanti; o, meglio: «Qui le
vostre maschere; ne abbiamo preso il calco di lontano, per miracolo di plastica
telepatica, come i maghi moderni di nostra conoscenza. È inutile che vi
nascondiate: il nostro obbiettivo, che lavora coi raggi x penetra oltre
ogni schermo, cartone, legno, muro, impudente impostura, maestra nel costruire
facciate impermeabili, opache, refrattarie ed incombustibili. Noi vediamo il
flusso ed il riflusso del vostro sangue, la sistole e la diastole, i moti
peristaltici, il giuoco delle articolazioni lubrificato dalle sinovie e tutto
il mecanismo del vostro corpo, come dietro un cristallo limpidissimo: così, il
vostro pensiero, prodotto dalla batteria elettrica dei gangli e dei nervi; il
pensiero che è poi la vostra malvagità. Dipinti, sopra le lastre di vetro della
lanterna magica, le lenti, la luce ed il riflettore vi rifrangono all'ingrosso
ed al minuto, sopra il bianco e vasto diaframma delle projezioni».
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