VI
«BASSE-COUR» - «TIERGARTEN»
«GABINETTO ANATOMICO»
E.... «GINECEO»
Li occhi, accostumati a vedere le imagini virtuali, riflesse dalli
specchi ortogonici ed academicamente levigati, secondo realtà, si atterriscono
e riprovano le visioni singolari, che interpretano, dalla apparenza, le intime
verità. Le accusano di deformare li aspetti, di non percepirli bene; accennano
maligni e deplorevoli difetti nella composizione del cristallo, nella patina
mercuriale della lastra. Ciò può essere esatto parlandosi di uno specchio
reale, suppellettile domestica e consigliere di civetteria, non
metaforicamente, di un cervello d'artista. L'espressione sua d'arte che
accentua, aggiunge, scopre, è il risultato del veder meglio, è
l'attestazione di una virtù rara, difficilmente conseguibile. Mettere a nudo le
tare nascoste dello «istinto di perversità» - come le chiama Pöe -
rifugiatesi ed avviluppate nelle pieghe prolisse e sotto la lucida vernice
della convenzionale educazione del viver comune e solito; leggere, in lettere
majuscole, i vizii appiattati nel profondo dell'animo umano; riproporre
l'umanità, ne' suoi tipi esemplari, nella serie di un'altra zoologia, è
rendere, colla fisionomia del proprio tempo, l'immutabile caratteristica delle
forze umane, passioni, istinti, interessi, virtù; sviluppare, sul tono di una
canzone estemporanea, il ritmo archetipo e millennario della razza e della
stirpe. Significa, in altre parole, occuparsi di Morale.
L'Arte riguarda la Morale come un attributo dell'individuo; la
accetta coefficiente allo studio di un problema, che giornalmente, la vita
risolve e la biologia propone. L'Arte varia il suo intenderla, col variare delle
epoche, dei costumi, col modificarsi della superficie sociale. Per l'Artista,
studiar la Morale, significa divertirsi a mettere in esercizio le sue migliori
facoltà, sollecitate a funzionare dalla successione de' fatti, delle persone,
delle cose che va, a mano a mano, scoprendo e dettagliando. - Viene egli, in
fatti, col suo corredo scientifico e filosofico, nei suoi viaggi per il mondo,
a visitar le anime, e spesso trova delli istinti; a riconoscere delle umanità,
e, molte volte, trova delle animalità.
Il mondo appare alla sua indagine od un cortiletto insiepato e
campestre, dentro cui si rinchiudono, col pollame variopinto, piumato,
rostrato, speronato, ancheggiante, gracchiante, stridulo, chicchireggiante,
schiamazzante, i conigli timidissimi e lussuriosi, le cavie, soggetti vivi e
sperimentali di infezioni e di colture microbiche e bacillari, le capre ed i
caproni testardi e salaci, le pecore sudicie, popolate di aragnidi e di
assilli, cieche d'imitazione, le vacche prolifiche e lattifere, mugolanti e stupide
d'imbambolatura ascetica e fatalista, i porchetti rosei ed azzurrini,
intrufolati nella melma del truogolo, divoratori delle proprie immondizie,
feroci per golosità, dalli occhietti infossati nell'adipe e dallo sguardo
bieco, sospettoso, salesiano.
Il mondo si svolge anche alla sua passeggiata più amenamente;
appresta boschetti ed ombrie, piante esotiche, frondeggiar di palme, zagaglie
lucide ed erette di banani, infiorescenze delicate e strane, ajuole di orchidee
assessuate e mostruose, falliformi e vulvaperte; capanni accomodati per bestie
rare: antilopi, muffloni, daini, cerbiatti, pachidermi di costo e d'importanza,
elefante bianco o rinoceronte violetto del Nilo; la stragrande varietà più che
socievole delle scimmie del Capo, della bertuccie, delle platarrine americane,
a coda retrattile, ginnaste per eccellenza e per isfarzo funambolico, Wright
delle foreste vergini, se, della appendice delle vertebre dorsali, si fanno
propulsori forti e delicati per volare, senz'ale, da una pianta all'altra; uranghi
di bell'aspetto civilizzato a salutare, a nascondere la vergogna perpetuamente
stillando leucorrea; scimpanzè d'ultimo stile, onanisti in cospetto delle
damine che li eccitano, mascherati, in faccia, di rosso e violetto, come il
nicchio di un prelato delle camere vaticane e ripieni di dignità e di buon
senso come un magistrato italiano. Vi sono anche delle gabbie conteste secondo
i dettami dell'ultima igiene, con canaletti d'acqua scorrente, col becchime
riposto nelle mangiatoie ad hoc, coi pioli disposti ed orientati secondo
l'uso e il costume dei volatili che li abitano; colle leccornie a portata di
becco. Qui, i pappagalli d'ogni clima e colore - se ne trovano sotto tutti i
paralleli - dove la loro stupidità diventa impostura ed inframettenza, la loro
chiacchiera naturale è purolento parlamentarismo, la loro schiamazzante
vuotaggine, loquela meetingaia, il loro sgargiare di penne e d'albagia, virtù
academica. Qui, anche i fagiani dorati, quelli d'Inghilterra, li altri del
Giappone; della China, i galli rossi e neri di montagna e tirolesi; li uccelli,
insomma, preziosi; caccia regale ed imbandigione di solito, alle mense
meretricie, doni facili e niente costosi per le amanti delli uomini decorati ed
impiegati nei mille ed uno offici della venaria, delle stalle, delle cucine,
delle anticamere, delle alcove, del water-closet de' principi.
Il passeggiatore solitario e sentimentale tenta invano, di
incontrarsi in un'aquila, in un leone: se ne trova le spoglie, vede la carcassa
di quella, colle ali aperte, inchiodata a spauracchio in sull'architrave del
castelletto di qualche miserabile Don Rodrigo da operetta: se si imbatte nella
pelle fulva e riccioluta dell'altro, la sa impagliata, con due occhi di vetro
dispajati e loschi colla cartilagine del muso incartapecorita dalli acidi, con
l'odor di valonea della concia e di naftalina per proteggerla dalle tarme e dai
tarli; la ammira domestico immobile per destinazione, guarda - portone e
vedetta di un Museo, baraccone ambulante, di storia naturale per le fiere suburbane
e stridule.
E bene; non è egli tra li uomini invece? Che cos'è questa
trasformazione calunniosa, indecente, che qualche volta si giova delle parole
scatologiche più vive e più indicative? Già: le imagini passano dallo staccio
del cervello dell'operatore singolare; il quale ha la facoltà di depurarle, di
naturalizzarle, di ridurle, da apparenti, vere. Quale delitto di lesa
umanità avere dei reagenti interni e psichici per cui si scompongono le imitazioni,
i fac-simili del vero uomo e vi fanno depositare tutta la pelle, la
vernice, il lustro, il falso oro applicatovi non chimicamente, rimandandone
nudo il nocciolo osseo, amaro, laido, la pasta fangosa della materia genuina!
Vorrete voi incolpare a questa sua virtù il disordine della verità? A questo suo
coraggio la scelleraggine di essere sincero? A questa sua sincerità il bisogno
di essere sfacciata? A questa questa sua purezza il diritto di mostrarsi com'è
cristallina ed intemerata? Chi mai ha osato imputare alla anatomia il logico
processo di brancicare tra pezzi di cadaveri per studio? L'abilità di esporvi
le proprie e nitide preparazioni? La giusta superbia di farvi ammirare il
risultato di una difficile operazione? Ben venga il disegnatore necrofilo, che
dettaglia e descrive le rigonfiature dei muscoli, il groviglio delle arterie,
le molle in tensione dei tendini, l'armatura schietta delle ossa, i perni, le
cerniere, le guaine, le membrane, le scanalature delle articolazioni, la
ramificazione filiforme dei nervi e dei vasi motori, i meandri, i grafiti, i
nielli damaschini di tutta l'innervatura, di tutta la capillare distribuzione,
per cui ogni parte del corpo è nutrita e sente. Se ciò non basta, ajuti il
plasmatore dei modelli di cera a ritrarre, dal vero e colli stessi colori,
l'ascesso, la pustola, la fistola, il cancro imperiale e magnifico, le
spondiliti, il rachitismo, i guasti epiteliari e le ulceri della sifilide, le
necrosi dei lupus, le piaghe divoratrici della tabe, le obesità idropiche della
elefantiasi, le contorsioni spasmodiche, le revulsioni, le slogature
dell'epilessia, del tetano, dell'isterismo. Dipinti, disegni, statue di cera,
preparati di carton-pierre, fotografie, cinematografi portino, in copia,
i loro prodotti al Gabinetto anatomico.
Questo si annuncia, in sull'entrata, col buttafuori in livrea
oscura e bottoni d'oro, cilindro e guanti; scosta cerimoniosamente la cortina
dell'entrata, come un usciere ministeriale; si è assunto l'ufficio che le avvertenze
e le prefazioni oneste fanno in sulla soglia dei libri. Chi se ne
intimidisce, come coloro che hanno soggezione del preposto alla porta, stia
fuori. La timidità, in questo caso, non è mai l'espressione rubiconda del
pudore e della innocenza, ma il sospetto, ahimè, troppo fondato, di
riconoscere, in qualche pezzo esposto, i sintomi, il colore, la deformazione
malamente nascosta della propria malattia vergognosa: hanno paura di rivedersi
al vero, di dimostrare, col loro imbarazzo, alli altri visitatori, la qualità
del morbo, la specie della gangrena di cui sono affetti e vanno accusando
giornalmente altrui, che non li ha di patirli cronicamente.
Chi vuol impedire a questo sfarzo di scienza, di abilità, di
sicurezza il mettersi in vetrina. Quale la mano del veto che protenda un
pennello intinto di nero fumo, per dar di frego ai disegni, per annullarli
sotto tintura indelebile: «Voi non dovete dire; noi non vogliamo sapere! Vi
manderemo la legge a inchiodarvi l'uscio, i gendarmi a rinchiudervi in muda:
siete pericoloso». - «Baje! È la società pericolosa a sè stessa!». - Santa
insistenza della sincerità! Come i barbari, come li anarchici che vedono rosso,
li uomini dell'ordine, della legge, della bibbia, ricorrono al pugno; manu
militari, apprestano la sanzione del loro privilegio, della loro povera e
spaventata volontà «Silentium!» Sferra l'urto una catapulta contro lo
strumento, l'apparecchio, lo specchio perfettissimo e fatato, che vede più di
quanto non dovrebbe. Miracolo! Nell'infrangersi argentino e campanellante,
sonoro e gajo come una risata di giovanetta, li specchi si moltiplicano; ogni
pezzetto porta la sua immagine vergognosa; ogni scheggia riproduce li uomini
d'ordine, di legge, di bibbia nelle loro più grottesche ed usuali abitudini; lo
scandalo singolare si fa pubblico; tutti debbono rivedersi, messi alla berlina,
che attira folla di motteggiatori e pur tra i beffeggiati. Baje! la violenza
contro l'Arte aggiunge stipe secche alla bragia: divampa meglio la fiamma
intorno, li Artisti cantano e danzano la canzone pirrica della rinnovata
purificazione; quest'uomini dell'ordine inconsideratamente incediarii li
divertono. Perchè, vedetene la contradizione:
«Quando80 alcuno, compreso da queste verità, sorge come
Parini e Porta a dare la vera poesia civile contemporanea e topica;
quando la applica alle tendenze pseudo-filantropiche, agli abusi, alle arti
alle istituzioni libere; quando vi adombra alcuno de' vostri piccoli eroi, non
quale se lo imagina il volgo, ma qual'è realmente: e tutto ciò con tocchi
leggieri di gioconda ironia, colla bonarietà che si addice a questa ricca,
grassa ed allegra Lombardia; allora, sapete che cosa succede? Dai più si ride,
sì applaude, si vuole che si prosegua; ma nessuno francheggia il poeta di
autorità e di protezione; ma tutti si ritirano in circolo a contemplare,
sogghignando, l'assurda lotta di una povera penna isolata coi pregiudizii
appoggiati alle casse d'oro. Poi si grida all'inquieto, all'accattabrighe,
all'uomo pericoloso, all'imprudente che si compromette e si danneggia. In somma
la stessa Civiltà s'impenna e si spaventa della troppa civiltà». - Povero
Raiberti, del bel numero uno medico-poeta: la sua diagnosi torna attuale, come
sulle bocche dei ben pensanti tornano le accuse: «Pericolosi, delinquenti!»
Perchè? li Artisti di questa tempra non valgono assai più del borghese
fabricatore di coperte di lana, di pezze di sete, di macinini da caffè e di
rosarii, (che sono poi la stessa cosa) - di gingilli e di chincaglierie
cavalleresche, di abluzionanti bidets e di confessionali, (che lavano il
di dentro ed il di fuori meticolosamente bene) - che battono acciajo per
sciabole, vanghe, schiumarole, coperchi, catene, chiavi, chiavette inglesi per
casse-forti e per cinti di castità? Eh via! È dunque per questo che l'Artista è
un farabutto, perchè vi dà come siete e vi ride in faccia, vi ha visto piccoli,
deformi, pretenziosi, vili, sudici, lui, oh, quanto puro, oh, quanto bello, oh,
quanto nobile, oh, quanto grande al vostro paragone!
S'egli poi discende nelle grotte ipogee, lubriche, che stillicidano,
pullulanti di lombrici, viscide di serpentelli ciechi, imbarricate di spesse
ragnatele, trascorse dal volo flacido, delle membrane luttuose dei pipistrelli;
se si sprofonda nelle miniere inesauste della sessualità, in che modo dovrà
chiamare la cameretta verginale della educanda, la camera nuziale, il letto
della vedova, il giaciglio della serva, il covo della quadrantaria? Potrà
sostituirvi altre parole più determinative, senza esserne indispettito e
scontento? Simbolo, ritrova La Desinenza in A.
Ritratti? Si: sempre Ritratti umani. Vi ricordate ciò che
lo scultore Rubeck dice a Maja nella calma e calda mattinata d'estate, sulla
riva di un fiord norvegese, stazione balnearia, in mezzo al comfort
di un albergo di prim'ordine, ricco di giardini vìridissimi e di fontane? Ibsen
si sottintende dentro la maschera di Rubeck ultimo nell'Epilogo in tre atti:
Quando noi ci ridesteremo di tra i morti: e confessa. «Altro vi ha dietro
questi ritratti, a questi busti ch'io plasmo. Vi si trova alcun che di sospetto...
qualche cosa vi si nasconde, vi si appiatta, ipocritamente, e che li altri
uomini non accorgono. - Io solo lo vedo. E mi diverto secretamente. Già, per li
altri, esteriormente, questi busti, queste plachette, questi bassorilievi
posseggono quella assomiglianza evidentissima, per cui la folla fa le
sue meraviglie, e ne resta intontita; ma là, in fondo, dentro, si dissimula,
nel volto ora, un'onesta smorfia di cavallo in riposo, ora il muso di un asino
restio, ora, un cranio di cane dalla fronte piatta, dalle orecchie penzoloni,
ora un ghigno di porco in grassa, spesso, anche l'aspetto di un toro stupido e
brutale. - Già; mia cara Maja, non altro di più semplicemente lo schema, la
caricatura de' nostri buoni animali domestici, quelli che l'uomo ha sfigurato...
e che, a loro volta, sfigurano il proprio padrone. Bah! sono appunto
quest'opere subdole, sornione, che li ottimi borghesi ricchi vengono a
chiedermi e pagano.... oh, ingenuamente, a peso doro. Già, ed io son felice».
Veramente, i grassi borghesi d'Italia non vennero mai in folla a
comperare i loro propri Ritratti, che Carlo Dossi aveva loro preso sopra
misura: egli è meno prudente dello scultore Rubeck; comunque non se ne duole ed
è lieto del pari.
«Ma passiamo81, per ora nella galleria de' Ritratti
umani, dove tutte si accumulano le nubi del cielo mio, dove i colori bui e
l'aggrondatura predominano a simiglianza di quelle caliginose imagini di
antenati che, nei palazzi patrizi, occhieggiano biechi i loro rachitici
successori»; egli ci fa il cicerone delle tele esposte, ci racconta vita, morte
e miracoli. Per questa volta essi sono nella categoria delli infusorii e dei
parassiti sociali, di cui le lenti dell'interno e nascosto microscopio, han
fermato, con sicurezza, il profilo; de' quali li organi di relazione e di
digestione furono deliminati esattamente col loro ufficio, pompe aspiranti e
lancette tricuspidate di mosche, di zanzare, di vespe, zanche dentate di
scarafaggi, di coprobii e di coprofaghi, bisturi flebotomi di pulici, sesso generosamente
prolifico di aragnidi capillari.
Eccovi i Lettori in varia categoria; quelli che pur trovano
di poter spendere qualche lira, oltre alle cento che sprecano in guanti, in
falso Champagne, in baci inverecondi; i lettori quasi analfabeti ma
dotati di molte pretese legislative e no. - I Lettori misti
spulcia-codici, puristi ed etimologisti, ed altra roba in cisti, umile
come la coronata humilitas dei Borromei: Lettori scriventi, pesca
grossa e pesca minuta; i Lettori puri, li sciocchi, i salati. - «Se non
altro», direte, «questo letterato, ci conosce bene, sin dal principio, ci
indispettisce subito e noi di rimando gli saremo scortesissimi».
Scortesissimi, del resto, come la presunzioni de' Dilettanti:
seguono, la cantatina di buona famìglia; - l'ammacchiatore di acquarelli; -
il cuoco dilettante avvelenatore, secondo i precetti di Brillat-Savarin o
le norme di Monsignor Bignami; il dilettante vinicultore, bachicultore,
floricoltore. - il dilettante auriga e cavallerizzo; - il dilettante
benefattore; - il dilettante amoroso; - il dilettante medico; - Domine a
delectantibus libera nos!
Perchè, subito, incontrate i Seccatori che stanno un
gradino più in su, - poi, la Gente-che-sparagna, che tiene da conto;
poi, i Poveri Cristi, che han da mangiare quando possono, di
fronte alli Epuloni che mangiano quando vogliono; - poi, li Allarmisti,
quelli ecclesiastici, quelli politici, que' sanitarii,
tutte brave persone piene di scrupoli, di paure, che hanno gambe agilissime, leporine,
orecchie all'agguato e tese, conigliesche, pallori, lagrime, diarree,
dissenterie marziali, politiche di raccoglimento e di riflessioni... venostiane,
dice Carlo Dossi, io vi aggiungo giolitto-tittoniane, per concordar col
tempo.
Ed altri giungono sempre in ritardo o troppo presto; i Contrattempisti;
eccellono le donne: «la82 maggior parte delle quali non fa mai nulla a
suo tempo, cominciando dai bimbi» «Contrattempista83 è l'architetto
che, a glorificare un avvenimento attuale, innalza un edificio nello stile di
dieci secoli fa; (convien forse ricordarne i nomi e con quelli l'illustre e
glorioso, ma morto Sacconi?). Contrattempista è il politico, che in mezzo ad un
popolo avido di libertà, di progresso, di potenza, stringe paurosamente i freni
sciupando la generosità di un corsiero in un lavoro di machina burocratica,
contrattempisti, più che tutti, siam noi, scrittori, che ci ostiniamo a
presentar libri a una Italia che non sa leggere».
Ma codesti scrittori, ed io sono tra loro, hanno subito imparato
ed usano i Vantaggi dell'ineducazione. Tutti ci possono, a loro pesta,
gridar contro: «Maleducati, zoticoni, bifolchi!» Essi non potrebbero, con più
grato profumo, incensarci. È piacer nostro, è nostra virtù, è nostro vanto, di
comparire presso di loro ineducati. Niente Della Casa, niente Baldassar
Castiglione, niente Melchiorre Gioja del galateo
academico-professionale-aulico-costituzionale; noi non vogliamo mai più
sciupare il nostro tempo nelle loro stalle a mangiatola dorata.
Altri si incontrano, per caso e sono li Irreperibili quando
debbono pagar di borsa e di persona. Ma, ovunque, li troverete, arrugginite
cavallette de' Comitati, locusta divoratrice di Fiere di Beneficenza,
con voce reboante, spettacolosa corporatura, insommergibile impudenza sul
palcoscenico delle vanità, delle rinomee, delle vuote gonfiature scipite. - O
si fan piccoli, miserabili, mendichi per aumentar in fortuna; - -o dicono di
fare, di lavorare, procurandosi le mostre e le apparenze, politici, letterati,
scienziati: e nessuno e nessuna libreria, nessun museo, nessuna esposizione
protese le loro opere mai.
I Fannulloni sono i più fortunati. - Teologi,
creature diafane e galleggianti, come palloncini nell'aria, sonnambolici per la
frequenza colli inquilini di là su; - Metafisici, che abitano in un
cielo incontrollabile ed in un sistema planetario di semplice masturbazione,
detto filosofico: - Gramatici, che protendono il trionfo della parola
sullo spirito: è la Gramatica l'erba, dove in fatti, si sdraiano e
brucano i fannulloni, che presi a burla da tutti, entrano a pieni voti nelle
academie - il refugium mediocritatis, - e vi finiscono - fortunati noi!
- ad addormentarsi: Oratori, trottole parlamentari e forensi, il cui
scopo è dir nulla in molte parole, gonfiando ogni argomento col fiato dei loro
polmoni, ciarlando e rimovendo forme elefantesche, pachidermi trombettanti a
barriti disarmonici colla letteratura conferenziera ed alimentare.
E venga qui la razza dei Matematici calata nella
seducentissima Italia, allora fresca, fresca, oggi, pur troppo, con germogli,
rampolli e ceppaje inradicate di loro gramigne; i «Matematici84, uno
de' trampoli del dispotismo, odiatori della originalità, sillogistici
sragionatori, preceduti da legge senza amore a terrorizzare l'istruzione, a
desolarci il buon senso, barbari odierni, mondeghiglia di erudizione».
Insieme a questi interessantissimi ed assomiglianti connotati,
Carlo Dossi vi darà pure la Ricetta per farsi illustri; cioè come si
giunga dai mediocri, al trionfo. Non distenderà il fresco enorme, mal disegnato
e colorito a tintaccie villane e stridule de L'Arriviste di Champsaur,
zibaldone romantico-dramatico d'appendice secolina; ma precederà, con
nostrana sottigliezza e maliziosa didattica, Henri Chateau, insegnandogli,
quasi, i passi migliori del suo Manuel de l'Arriviste, dandogli le norme
generali sul modo di vestirsi, di parlare, di porgere, di ammobigliare il
proprio appartamento, con speciale riguardo lo studio; il recipe di non perder
di vista li odori della cucina e pur di aver occhio alla bandieruola della
fortuna. «Sii puttaniere, spilorcio, legalmente birbo in tua casa, - padrone -
inviolabile è il domicilio; basta che la facciata stia in regola colla
commissione d'ornato. Ti consiglio, per tanto, di pendere più dalle vecchie che
dalle nuove idee: mettiti in fronte allo scrittojo qualche ritratto di
celebrità, vere anche, ma a patto che siano antiche, o, se contemporanee, a
patto che sieno false. Un busto, un medaglione, ad esempio, di un Cantù, o di
un Bonghi, farebbe egregiamente al tuo caso. Non temere la spesa. Basta il
gesso». Polvere di scagliola e pasticcio di mota rappresa, la fama che si vende
dalle gazzette a buon mercato: per Carlo Dossi, per quest'uomo piccolo,
sparuto, magro, di poche parole, che difficilmente vi accoglie nella sua casa,
acutissimo, che sembra saper tutto, che vede quanto alli altri sfugge, non
ebbero che dei sorrisi di commiserazione. Ed egli, che ascoltò il cuore secreto
della società, porge la mano esperta al polso de' veri e falsi ammalati; fa
loro da medico, d'infermiere, da Giovenale, li sostituisce, degente.
Domanda al Dottor Ferretti «che, dopo avere per tanto tempo o con
tanta ostinazione sofferto, per necessità di natura, la parte dell'ammalato»,
gli sia concesso il diritto di fingere - per breve capriccio d'arte - la parte
del medico Il Dottor Ferretti non è più nella prima giovanezza, ha
trentott'anni; è discretamente colto in belle lettere; ha qualche ambizione
politica, molto amore per il suo ufficio e per li ammalati in sua cura; la
praticaccia del mestiere non gli ha ottuso la sensibilità: è un uomo di mondo
ed onesto. Il Dottor Ferretti gli concede la sua persona, il suo stifelius,
la cravatta bianca, i guanti gris-perle, il cilindro, l'aspetto elegante
e sereno di un procuratore della morte, la tranquillità dello scienziato. Esso
rappresenta il medico moderno. Non più i Merlini ed i Sabini, con barbe e
zimarre e berrettoni; non più i Grotteschi, che balzano nel Monsieur
de Pourceaugnac, colle più acadabranti preteste ed i più stolidi
medicamenti; non più il sottile medico di Montesquieu e delle Lettres
persanes, farcito de' misteri della cabala e della potenza delle evocative
projezioni - ricordiamo le sue tisane purgative, i vomitivi, le sanguettate, i
clisteri generosamente inferti di revulsionante e letteraria indicazione -; non
più il Medico-categoria, soggetto de' mille epigrammi, da Marziale al Magister
Stopinus; non ancora le crudeltà fredde, matematiche e professionali dei Morticoles
dell'ultimo Daudet; nè la curiosità scientifica e sanguinaria, l'avarizia
sistematica, che dibatte il prezzo, al letto del moribondo del principe
chirurgo, emerso dalle pagine aspre e virulenti del Mirbean; nè la lunga
satira di dolore, di angoscie e di rassegnazione de' Dottori in Medicina
di Carlo Del Balzo; nè il sacrificio compartecipato d'abnegazione del
medico-sacerdote di La Force du Mal di Paul Adam.
Non è nè meno il medico-romanziere, della sanguinolenta e clinica
autobiografia, il dottor Veressaïef delle: Memorie di un medico; le
quali ebbero successo tolstoiano in sulla fine del secolo scorso in Russia
rappresentando la dolorosa confessione di una vita di professionista tra il
rammarico costatato della impotenza, della menzogna e della sterilità di una
medicina di grido e di una chirurgia di fama internazionale impiegate nei casi
difficili al letto de' pazienti: non codesta requisitoria contro l'ufficio
sociale di una scienza la cui attività si manifesta in progresso sopra un
cumulo di cadaveri; prodotto dalla inesperta e pur cocciuta curiosità
travagliatrice per scoprire l'origine delle malattie, nelle vivisezioni, sopra
li ammalati delli ospedali di pubblica beneficenza. - II Dottor Ferretti non è
un mago di scienze miracolose; è un galantuomo professionista, che sa il suo conto,
che si tiene al corrente delle ultime scoperte della chimica, delle ultime
applicazioni elettriche, che già fa caso della chinesiterapia della
laringojatria, dei microbi, de' bacilli, della igiene preventiva; egli non ha
più in bocca l'Ipepaquana85 o il Sal de duobus non è chi
vende la salute e li sforzi per non lasciar morire, come dice Raiberti; è chi
sa, «come il volgo sia86 sempre disposto a rinnegar la Medicina» e con
ciò opera, senza illusione ed ancora con amore, il suo ministero.
Il Dottor Ferretti piacevoleggia; ha lo stile di Carlo Dossi, la
pratica clinica di Giovanni Raiberti, il suo determinismo portiano:
«Gh'è87 l'Omiopatia;
Gh'è l'Idro-glacio-sudo-terapia;
Gh'è i dottor dessedaa, stradessedaa,
Che guarissen qualunque malattia
Con i rispost di donn indormentaa».
Perchè questi nostri88 «dottorini senza gravità, nè
velluto alle unghie, abbigliati con gusto e ben pettinati, che fumano sigari e
usano di occhialetto, che dottamente annojano poco, ma chiacchierano anche di
capellini, che spesso sanno sonare delle polche e dei valsi, e, all'occorenza,
ballarli», - questi eleganti cavalieri della farmacopea, del bistury e del
forcipe, non hanno abolito l'erudita ciarlataneria, l'uomo essendo tuttora
qual'era nelli eroici tempi: «dagli abiti in89 fuori quel desso».
Questione di livrea, di soppanno, di lavorini ricamati con arme differente, con
colori opposti; Carlyle ce l'ha da tempo insegnato col suo Sartor resartus.
Il Dottar Ferretti regala a Carlo Dossi penna, carta, calamajo ed
inchiostro molto nero, impresta la sua esperienza; l'altro se ne valga. - La
penna corre, l'inchiostro tinge, afferma, inchioda in berlina. È tutta una
spigliatezza, un ghirigoro liquido e scorrevole di frasi semplici e pungenti; ogni
parola ha un aculeo, ogni virgola è un amo immesso a pescare nella coscienza
del lettore, un uncino suggestivo; ogni esclamazione un graffio. Malati,
malattie, infermieri, eredi che aspettano impazienti l'ultimo nato del parente
ricco, che li ha diseredati; medicastri che ritengono la laurea in medicina
come una licenza di caccia; delitti sordidi, crudeli, nascosti, appiattati
sotto la lustra del titolo nobiliare; la gola, la lussuria, la sciocchezza, la
paura; dilettanti ammalati e dilettanti isteriche; Putifarre de' proprii medici
curanti; nevrastenia, cattiveria, ed, ultima perla, invece del veleno in fondo,
la riconoscenza d'un brav'uomo: tutto questo rivedono, al passo elegante della
chiacchiera saporita, i Ritratti umani, dal calamaio di un medico.
La sua magnifica innocenza ha dei traslati, che, come una luce
raccolta acconsente al mormorio caldo della voluttà sussurrata senza adombrare
il pudore, così, castamente, persuadono a fare quanto offenderebbe di udire; qui,
si barzelletta ad aforismi ed a paradossi, come un conferenziere di bazzecole
umanitarie; qui, si riversano, si smascherano le nagioni de' drami, che
esplodono sopra la cronaca de' giornali, con meraviglia di tutti; le tare
secrete e vergognose, donde provengono li aspetti interessanti, poetici,
romantici delle persone per bene ed assai sentimentali. Che più? Il coraggio è
sangue in copia. - La bontà? digestione perfetta. - Il rossore? delicatezza di
pelle. - Carattere integro, irriconciliabile? mal di fegato. - Poetiche
malinconie? semplice gotta! - Dalla cura alla bara il Dottor Ferretti,
raddoppiato da Carlo Dossi, ci porta in sulle braccia scientifiche e
disinteressate questo corpo, quest'anima; cencio e fiato intermittente,
gettandoceli sul tavolo della necroscopia e della vivisezione: «Questa è!»
dice. Si riporta alla biologia pura ed alla sua parente, anatomia comparata:
«L'anima90 - mi diceva Gorini - è come il vapore, che, sempre quello,
da effetti diversi, a seconda dei mecanici ordigni mossi da lui: perocchè la
stessa anima, entrando in un organismo di tigre, rugge; in uno di augello
canta; in uno di uomo pensa; in una di donna ama». - «Ama?» riflette tutto solo
Carlo Dossi, ridivenuto psicologo integrale. «Mente!» Ed ha la visione infernale
e meretricia della Palingenesi della sua Desinenza in A.
Certo è, che Carlo Dossi, appunto perchè conobbe in sul tardi la
donna di dentro, come troppo presto l'aveva degustata platonicamente, si trovò
da queste sue esperienze disgustato e spaventato insieme. Se, per quasi dieci
anni, avrà patito una specie di purgatorio-libero più o meno matrimoniale; se,
una sua perversamente ingenua amica la N... tenterà di mutargli in odio
l'amicizia coll'ottimo Perelli; se, una T... si sarà incaricata di spampanare e
portar in trionfo una pseudo-maternità incolpandogliela; se egli avrebbe potuto
dire dell'A... paragonandola ai bagni arsenicali di Roncegno, scrivendo ad un
amico: «Già mi tuffai in due bagni di arsenico: assuefatto ad un veleno che era
il riassunto di tutti l'A..., me la cavai, ma non ne trassi fino ad ora
sollievo91»: può lambiccare queste sue scoperte e prove provate nel suo
libro capitale di lussurie rientrate, di misoginismo e di morale per un'opera,
caustica, dissolvente, fuori diella consuetudine, personalissima.
Su via, non arrossite; non fatemi i bambinoni maliziosi ed
imbambolati, colti sul fatto: non lo negate! Voi avete pur avuto tra le mani
questo libro diffamato, lo avete gustato in secreto; avete palpeggiata la sua
copertina, che, sotto una fascia rossa colla nera leggenda del titolo, porta le
due belle testine di Conconi; e l'una ride giovanilmente graziosa, e l'altra
s'attrista precoce, vizza, inviziata, erma bifronte, il libro e la vita.
«Scegliete», vi dice ancora l'autore: «Scegli ipocrita lettore, soggiungo io, «hypocrite
lecteur baudelairiano, tu che non hai letto con animo puro Lesbos e Les
Metamorphoses du Vampire, ed hai foraggiato, colle mani tremanti, ne' secreti ripostigli di Les
Bijoux, cercando il tuo vizio; scegli le pagine di questo volume, su cui tu
non sapresti recitare una preghiera alla sincerità, senza di cui non esiste
mortale, nè in Arte, nè nella Vita vissuta». -
Essi sanno che non ci ingannano e pure continuano a ripeterci davanti
i gesti archetipi della menzogna; impalpebrano li occhi, si nascondono il volto
colle mani, arrossano, fuggono gettando grida d'orrore e trepidano, sfoggiano
la mimica del bluff della pudicizia, della castità, della verginità
della compunzione, veri saltimbanchi della morale pubblica, presbiterani dalle
coscienze sporche, jankees invischiati d'ogni vizio, ma ripoliti al di
fuori, lucidi, specchianti, profumati, inganno vano e pretesa ignorante.
Chamfort sogghigna ed io con lui: «Più il costume peggiora, ed in eguale misura
s'aumentano le delicatezze della decenza. Per ciò, più li uomini si fanno
viziosi, meglio applaudono ai quadri virtuosi». Vi risponde il Diavolo
innamorato di Cazotte: «Mi avvedo, che da quando hanno incominciato a
rispettarmi, e con me, li altri, ciascuno e tutti, io mi sento più infelice
d'allora che mi si odiava». Perchè il mondo è così: Fra Timoteo e Tartufe sono
i più tristi bighelloni e ladri della opinione pubblica: essi leggono di
nascosto Desinenza in A, se ne dilettano; interrogati pubblicamente,
crocesignandosi, eruttano l'omelia delle virtù teologali, strillando come bimbi
sculacciati dalla balia.
E bene, bando ai gufi! Questa è altra musica e orchestra! A me i
giovanotti che vivono all'avventata, facendo l'amore sui pianerottoli! A me i
prudentissimi vecchi, che han sempre fatto lo zio e i verginoni senza
rammarico, e i «non92 indegni di aver perduto la prima! - Or chi mi
dona una rossa matita? Tu Cletto mio? Oh, grazie! - E la rompo. - Mezza è per
te, criti-cuccio, cui ogni mio sproposito è seme di mille tuoi - tu giudice
inquisitore che non amasti che il male, per poi, se nol trovi, inventarlo. Hai
qui casi di maggiore scomunica, eresie da tanaglia e da rogo. Troverai idee
nuove, che tali almeno parranno alla tua squisita ignoranza, troverai gagliardi
sapori, che a te, assuefatto alle più scempie pappine, abbaglieranno il palato.
- Ma che vuoi? A gusti scaltriti (ed io sol cucino per essi) non può l'ingenuo
manzo piacere se non a forza di salsa. Anzi anche il sale è talvolta lor dolce,
e però ci vuol pepe. Viva il pepe che salva i panni dal tarlo - ed anche i
libri». - Ora, se volete ascoltarlo e vedere, venite qui: se no spulezzate in
fretta e subito sull'entrata. - «Chi ama le comedie prive di sesso, ha i teatri
suoi, ha i suoi burattini, dove, può assistere senza pericolo alcuno, da quello
all'infuori di addormentarsi. Per i poveri d'intelligenza provvede la caldaja
dei frati, c'è una letteratura estesissima, nientemeno che il novantanove per
cento di ogni biblioteca. Ne profittino, dunque. L'acqua non costa nulla e
rinfresca. Questo libro contiene, certo, veleni, ma anche i veleni sono utili,
basta sapere dosarseli; così che l'arte della salute - intendi per burla la
medicina - fonda in gran parte su di essi. Non succhia il midollo di un libro
se non il lettore, il quale si trovi in una disposizione di nervi consimile a
quella in cui era, scrivendo, l'autore. Il gran Milton è da leggersi la
domenica, quando si accumula nell'atmosfera il religioso uragano fatto di nubi
d'incenso, di cerei lampi, di armonioso tuono di organi; Leopardi in una
giornata piovosa, colla disgrazia ai calcagni e la dispepsia allo stomaco;
Cattaneo in un'aula parlamentare, assente lo sfibratore Depretis; Carducci,
sotto un arco romano, non medicato dal dottor Baccelli; Correnti, fra le stoffe
preziose e le rarità antiquarie; Hugo al mare. Così è nell'epoca del
malinconico e verginale erotismo dell'adolescenza che più si comprende la Vita
nuova del giovinetto Allighieri, ed è nell'ora del disinganno amoroso che
il presente volume sembrerà facile e piano.
Il Daimon greco di Carlo Dossi si è tramutato nel Dimonio gotico:
gli imporrà tutte le birichinerie del caso; lo doterà d'ogni e più secreto
strumento, doppia vista, invisibiiità, volar per l'aria, sprofondarsi sotto
terra, penetrare nelle camere chiuse e sotto le lenzuola del letto, essere
ovunque: l'ubiquità lo franca d'ogni alibi e d'ogni presenza, nello
stesso momento. Altro che l'Asmodeo di Le Sage, il Shallaballah
della puppets-woman londinese! Egli è il Belfegor di Machiavello,
il Mephisto di Göthe, è il Diavolo margravio di Von Grabbe; per
di più ha in dito, a talismano, l'anello di Gige.
Scoperchia tetti seziona case, divarica cortine... e coscie,
spalanca imposte, abbatte usci e tramezze; segna e segue chiunque incontra
sulla via pubblica; ne pesa il cervelletto dalla cuticagna; penetra
nell'occipite e s'aggira nelle circonvoluzioni cerebrali; discende pel midollo
spinale; si sofferma ad analizzare il succo che ne spremono le ghiandole: divide
la vita feminile in tre parti; le dice tre atti di una tragedia comica di dieci
scene ciascuna, in cui dramatizzano e farseggiano personaggi esemplari; precede
ogni atto un Ouverture, come una sinfonia, che riassume, leit-motiv
e spunti, accenni musicali e variazioni, tutta la tematica della orchestra e
del canto; Intermezzi e Finale, che si presentano, come il coro
della tragedia eschilea e della comedia aristofanesca, e, se non danno il
giudizio della folla, pure come il personaggio che canta e il genio
muto della scena chinese, come il Gracioso di Garcilaso e di Lope de
Vega, esprimono il sentimento e l'intervento dell'autore.
Pupe di carne innervate a capricci ed a cattiverie, pupe di cenci,
di cera, di mecanismo, si rispondono, nel giuoco, appena uscite dalla culla, in
sulle prime pagine; si destreggiano, nella scuola redibitoria della guardaroba,
del lavandino, della scuderia, nella normale educazione del servidorame;
incominciano a vivere a paragone per la civetteria, l'inganno, l'intrigo, l'elegante
viziosità.
Carlo Dossi, non ancora padre, non ancora chino a scoprire ed a
scifrare l'intimo fiorire della intelligenza e del sentimento sopra figli suoi,
ebbe delle intuizioni esatte, delle rivelazioni istintive e naturali, quando
dettaglia il piccolo tenace ed egoista organismo della feminilità
bamboleggiante; prescrive anche una norma a' suoi per il futuro.
Poi il Collegio; un collegio tipico di ricchi, dove incontrate le
bimbe di Rìmbaud e di Tarchetti ad erudirsi; dove si risvegliano le prime prurigini;
dove, le angiolette meditano, col palato, il terzo dei sacramenti ed altre si
preparano al settimo»; mentre si disputano «a gara il Millo del portinajo, un
gongolino di un anno e se lo serrano al seno, e gli fanno il linguino, e il
pizzicorino, e lo mangiucchian di baci e carezze - baci che han denti, carezze
che hanno unghie - palleggiandolo, soppesandolo, mirandolo e di sopra e di
sotto e all'indrizzo e al rovescio, per imparare forse, come i bimbi si fanno».
E le malignità, e le insinuazioni: si determinano i caratteri.
Vi son dipinti i balli e le ragunate: casa Polonia espone le
proprie magrezze, ricoperte per pudicizia, colle figliuole da marito; le mamme
decantano le palesi e nascoste virtù delle loro bimbe all'incanto. - E l'amor
di sorella risponde colla gelosia, colla diffamazione; e l'amicizia è impastata
sul livore e l'invidia, che traboccano in cortesi scortesie, in aggraziati
dìspettucci, in umili vanaglorie, dove le linguettine fesse impastojate tra l'r
ed il v, lubriche di francese, unte di pittoresco gergo, lutolenti di
domande indiscrete, schiumeggiano, dimostrano l'arte maravigliosa e feminile
del Flos duellatorum, inchiovata, un'altra volta di più, in un odio
sincero d'amicizia formale.
Noi sapremo come ami una madre la propria figlia; come, nelle
gioie del matrimonio, si amino li sposi; noi vedremo morire la marquise Iza
Millerose di Garza, maravigliosa maschera indimenticabile, erotta diritta a
sfida per Les Diaboliques di Barbey d'Aurevilly; se chiede alla
infermiera lo specchietto, al sacerdote il viatico, al vasetto cinabro e
cerussa per comparire, dipinto cadavere, in sulle soglie della eternità,
mormorando le antitesi di sua vita, tra il sonno e la veglia: «Suis-je en ordre
pour le bal? où êtes-vous, mes amis? Dio, non rapitemi il sole! Il bujo soffoca
- e lo specchietto le fuggì di mano. - Perdo il chignon!... Mamma, il
chignon!... e con un profondo sospiro, Iza piegò sulla spalla il capo, torta la
bocca». Fissa la statua perenne, nel marmo della morte, Carlo Dossi.
Escano a stuolo le bergamine serotine, le lussuriose
rondinelle del crepuscolo e della notte; portino la pregustata golosità, il
piacere alla caccia del vizio; ridestino le memorie del lavoro di Venere, la
rinomea delle manipolazioni erotiche e strane.
L'evocatore sfoggia la sua potenza; chiama a sè lo Spirito della
Lussuria, senza materiale corrispondenza, senza bisogno di un seguito diretto,
in cui si sfibri e si plachi. L'atto si annulla alla visione; rimane l'entità psichica
e morale della intenzione; il gesto si spiritualizza, s'infosfora di
bellezza e di pensiero; l'animo dell'artista, erotizzato, si esaspera; il
cervello persiste a definire, in etica, l'estetica; rende la nobiltà di un
ideale entro cui combattono e fremono, senza potersi superare, in vicenda, il Cielo
e l'Inferno. È l'umanità nel suo punto più nudo e più crudo, in bilancia sulla
Purezza e la Lussuria, fulcro Priapo; pietra nera d'Elagabalo discettatore
della ragione animale ed eterna.
La punta della penna di Carlo Dossi stride ed incide, nera, sulla
carta indelebile; non l'emula lo stile libero, che tracciò il museo secreto di
Giulio Romano, di Marc'Antonio, de' Caracci, dell'olandese Torrentius, delle
stampe saporose e grasse di Rembrandt; le grivoiseries postillate ed
acquarellate, a sanguigna ed a grisailles, dei La Tour, di Boucher, di
Fragonard, delli artisti in diciottesimo, del diciottesimo secolo, che hanno
dato il massimo contributo al Décolleté et Retroussé di quattro secoli
di gauloiseries, non la superarono mai. Anche Rowlandson, colla sua
gioja ventripotente e massiccia, anche Hogarth son già sorpassati. Goya gli
cavalca alla portiera di sinistra, a destra Rops; essi gli porgono il terribile
ed il delizioso; riabilitano, colla soferenza la lussuria: «Oh se la voluttà
non è che il sorriso del dolore, la lussuria sarà lo strazio dell'amore!»
Ancora i Giapponesi insegnano. Orribili e bellissime hanno dipinte delle donne
riverse, li occhi chiusi, i denti serrati, tra la linea di sangue delle labra,
il ventre martoriato, straziato da una caviglia spettacolosa; deformi li uomini
e divini, inalberando un lingam, invidiato dal Dio di Lampsaco; orribile
e martire, la donna succhiata dalle mille ventose di una piovra, e pur
convulsa, isterica, soddisfatta dalla lussuria che conduce a morte: orribile e
reogonico, il mostro ragno mygale, che divora, lentamente, il cuore alla
fragile Tang Choui, la Dea della oscurità: orribile ed aspirante, la Corona
del Piacere incredibile scoltura ferruminata d'argento, d'oro, di stagno,
di perle, di giada, di avorio, di legno, di bronzo, di corallo, di lacche, di
porcellane; corona di tutti i peccati mortali, che si spiritualizzano in tutte
le virtù: l'Hoan-hi Koan-mieu. Morte; Lussuria: perciò è morta Iza
Millerose; perciò vengono portate in trionfo, da braccia maschili ed ebre, da
banchieri, studenti e cavalieri di fortuna, sopra la majolica bianca degli
sparati insudiciati da una notte di veglione, la Sciana e la Firisella
debardeuses emerite di borse e borsacchini; perciò si baciano frementi,
sulle bocche insaziate, nella cella conventuale, piissima, nuda a difendere il vas
spirituale, la janua coeli, la mystica rosa, le monacelle ed,
altra farnetica le serafiche misticità di Santa Teresa gridando: «Dabo tibi
dorsum et non faciem» quasi parlasse al Diavolo, mentre s'intrattiene col
suo confessore, - il che è lo stesso. Perciò tengono casini da giuoco per i
barati, i bari ed i baroni, principesse valacche e russe, vive ed attuali
similitudini di quella Leonora che andò sposa a Borso d'Este: «faciem
pictam, dotam fictam, vulvam non strictam»; - perciò la Barbica vende carne tenera feminile e già scozzonata;
- Sofonisba Altamura del Conneticut
dispensa il feminismo alla moda - vi appaiono cinedi ed insatiriti; - la
duchessa di Stabia, nuova Marulla, ingaggia domestici d'alta statura, dal collo
toroso, dalle spalle quadre, a servirla per cocchieri e stalloni, salvo poi
licenziarli, se, nel soddisfarla dimenticano di chiamarla eccellenza;
Elda duchessa di Stabia, che divaricavit tibias suas sub omni àrbore.
Mirabile ed autentica sintesi letteraria; è sempre l'idealista
precipitato in fondo alla cloaca sociale, dentro li infondibuli del sesso. Ne
estrae il groviglio biblico: la donna, il dragone, l'uomo, il pomo: tra fiori,
tra frasche, tra le angoscie: il serpe-dragone, sopra tutto, che rinchiude,
nelle sue spire, tutto l'amore della umanità, che lo agglutina, lo protegge, lo
cova e ne schiaccia mosto dalla pazzia e dall'isterismo. Mirabile assunzione
della carne nell'ideale: Carlo Dossi, come Barbey d'Aurevilly, come Rops, come
Péladan, come Villiers de l'Isle-Adam è un gnostico; Lussuria, per lui,
sottintende la Morte, - donde trova: il Peccato, l'Assoluzione. Ne descrisse il simbolo Flaubert nella Tentation
de Saint Antoine: «Toutes sortes de bêtes effroyables surgissent: c'est une
tête de mort avec une couronne de roses; elle domine un torse de femme d'une
blancheur nacrée, et dessous le linceul une étoile fait comme une queue. Et
tout le corps ondule à la manière d'un ver gigantesque, qui se tiendrait
debout». Gorgone d'altra e modernissima fattura,
non quella che ha spaventato Sant'Epifanio, durante le sue preghiere, nel
deserto: «La Gorgone somiglia ad una bella donna, i suoi capelli biondi
terminano in teste di serpente; tutto il suo aspetto è incantevole; ma se tu la
guardi, muori. Quando infuria di fregola, chiama, con voce armoniosa il leone
ed il dragone e li altri animali, ma nessuno accorre all'invito. Quindi brama
l'uomo. Costui si lascia ingannare e l'avvicina; ma s'Ella concede di
nascondersi la testa la si cattura di sorpresa»: - «Questa donna, che nella sua
bellezza sorride d'amori, ti regalerà l'anima e la morte»: termina Ottavio di
Parigi. Nella sequenza di queste psichiche esperienze, il risultato è un
paradosso, di queste espressioni esestiche la nota determinativa non è già la
caricatura, ma l'humorismo: sopra la linea solita della realtà sociale si
disegna la sigla personale della verità umana; la scoperta è ancora una specie
di grottesco feminile.
L'humorismo ha trovato che sia il vero pudore della donna;
portato dalla sua educazione, indica la paura dell'uomo consideratolo come
nemico, prima d'averlo carnalmente saggiato. Ma fate ch'ella si famigliarizzi
col mostro; ed il pudore sarà una natural reazione, la tattica istintiva di
tutte le femine della zoologia, tattica e processo che mira alla
sovraeccitazione dei sensi, all'erezione massima della virilità per l'assalto
ed il possesso.
Il pudore - nel giudizio di Carlo Dossi - ed i connessi attucci
difensivi della civetteria, sono cantaride, carezze squisitissime, via alla
lussuria: la realtà sessuale compie quanto l'imaginazione ha mal indovinato, e
qui la lussuria è l'unico legame che mantiene l'accordo carnale e psichico tra
l'uomo e la donna; che quando incespica in un giuoco impotente risovviene la
castità e la continenza per logico dispetto. Però ch'egli vide tutte le donne
così: affannate ed intese a quest'unico scopo; saziare le bramosie del sesso.
La sola dissimulazione che loro presterà non altro significa che l'apparenza
forzata di dover ubbidire. Esse invece determinano e regnano; esse invece, si
modellano, schiave compiacenti, ai disegni preconcetti del loro piacere, per
soddisfarsi la morbosità curiosa della loro imiaginazione, avendo l'aria di
farsi mancipie di una millantanta docilità.
Arte, artificio supremo scoperto e raccontato; le femine ci
regalano ma si raddoppiano; la febre erotica abolisce i generi; vi è un duale
classico e greco che interviene, con un modo speciale e completo di verbo
agito, ad esprimere una duplice azione concordata. Ma la virilità più da che
non riceva,.... per quanto insofferente d'indugio e bramosa di critica la Desinenza
in A, trionfi sopra la fregola pudicissimamente.
I timorati vergognosi di loro stessi, non lo credono, ma non
importa. La Desinenza in A raccorda le linee della passione collo stile
acuto e dismagatore di un Rouvèyre, in tutti i suoi passaggi. Segue la donna,
dallo sviluppo alla esplosione della voluttà, in ogni attitudine, quando le
trine coprono una lupa, quando i lini male scoprono una tigre, quando le
mussole denudano una leonessa che rugge. Carlo Dossi, se rifugge dal
descriverci l'atto, lo suggerisce con due parole che ne uncinano l'imagine tra
riga e riga di una banale presentazione; noi lo indoviniamo a canto ad ogni
femina passante; di sotto alte maschere, che va rappresentando nelle attitudini
le più solite, noi scopriamo l'unica positura animale, normale e personata
caratteristicamente in una parola, in un aggettivo che riproduce in sulla
ribalta letteraria l'altalenare commosso della foja.
E pure egli rimane freddo, come stanco e sazio: è l'artista che ha
la mano sicura, ferma e traccia dal nudo vero la figura del modello
lascivamente adagiato, con un tratto solo, dalla testa ai piedi e non si
eccita: si ricorda, disegnando lucidamente, di tutta la nomenclatura topica ed
anatomica, pronuncia delle frasi che palpeggiano ancora come mani sui fianchi
tumidi, altre che graffiano e mordono di voluttà, ed or son tristi come ogni
maschio dopo l'abbraccio; altre ancora che riflettono il delirio suppliziatore
di cui persiste la torsione estasiata, il flagello della crudeltà, perchè
Hilarion proclama: «La lussuria ne' suoi furori, come la penitenza, è sempre
gratuitamente disinteressata: l'amor frenetico del corpo accelera la
distruzione e proclama, colla sua stessa impotente debolezza, l'amplitudine
dell'impossibile». Verdetto assolutamente futurista se un'altra volta Marinetti
ne dà le ultime conseguenze in un Mafarka africano e barbaro, disceso in
modo insospettabile, - per quanto li altri non lo vogliano comprendere - dalla Bibbia
e dalla Desinenza in A.
Però che Carlo Dossi, come F. T. Marinetti, è un mistico e la
filosofia del suo Gineceo, da tutte queste sue bocche spalancate, da
tutti questi suoi ventri nudi e proferii, urla: «Noi siamo i procreatori:
bianco di luna che inganna sulle rotondità callipigie e marmoree: però che la
voragine si apre sotto, piena di ombre, aperta sul nulla; il maschio vi si
troverà sicut in vacuo basiliscus antro» - Ma la Desinenza in A
trionfa anche dopo il coito, gelidamente ostentandosi doppia da un prisma nero.
- Ricondotta la carne ad una azione esagerata, immessala in un posto
preponderante, colla brutalità, nel drama comico del mondo, opera come un
perfetto esorcista, un demonologo della scuola di Sprenger, che, per troppo
amore alla salvezza eterna dell'uomo fatturato e stregato, consiglia affidarlo
alle fiamme del rogo. Nella donna trovò subito la patologia, le rare; cercando la
geniale, ha sfogliato molte rose senza giungere alla sincerità, all'affetto
generoso, alla dignità, al sicuro affidamento, cui avrebbe dedicato sè stesso.
- Un gorgoglio di risa represse, lo avrebbe presto persuaso della enorme fatica
inutile.
«E93 le donne? Oh, le donne!
Che modelli di spose,
di ragazze, di nonne!
Che virtù portentose!
Se questo tempo dura,
non c'è più corna per la jettatura».
Si ebbe davanti la folla della bagasceria rimorchiata da' suoi
critici, uggiolantigli alle terga, «un94 nuvolo di gonnelle, - dalla seta
alla cotonina - ballerine ed avvocatesse (ambo oratrici coi piedi) trecche
toscane e maestre di scuola (ambo appendici de' classici) sorelle di carità,
mogli a nolo ed altre parenti posticcie, sarte, balie, modelle, cantiniere,
telegrafiste, filandiere... un cibreo insomma di femmina, che, dopo di aver
assistito ozioso alla pugna, cerca ora di riappicarla coi denti e colle
unghie».
Ciascuna di esse egli accusa nelle sue virtù maleficenti;
tiranni-domestici, bas-bleus, feministe, isteriche, streghe sobbillatici,
ninfomani, simulatrici di reato, pervertite, vampiri dissanguatori, megere,
prossenete, facitrici d'angioli, svuotascarselle e brachette, lo scandalo, il
tormento, la peste, la sifilide. Erasmo di Rotterdam lo titilla a fianco: «Su
via; bisogna confessarlo, la femina è un animale inetto e folle, e pure
piacente e grazioso».
Quante volte le letterature europee, con diverse lingue, metri
differenti, identiche intenzioni intonarono l'Est enim mulier di
Sant'Antonino misogino e taumaturgo, al cospetto della cristianità! L'Avidum
Animal, che incomincia il suo alfabeto per terminare col Zelus Zelotypus,
è ancora lo stesso. Tutte le massime, i proverbi della antichità, spolverati,
ripoliti, riordinati La Desinenza in A ripropone colle aspostrofi contro
il malinteso feminismo, dalla Lisistrata aristofanesca al pamphlet,
inglese del principio del'800: Women and the Alphabet d'Higginson; dalle
diatribe d'aurevilliane alla psicologia stendhaliana, dalla epigrammatica della
Erotica Biblia all'odio posticcio di bravata futurista, genialmente
marinettiana.
Anche il suo Swift permette allegramente il misoginismo, se
concepiva la femina non come creatura umana ma come una specie di essere tra
l'uomo e la scimmia, la quale è, tra li animali, mon il meno cattivo, ma certo
il meno spendereccio e più divertente. - Anche un recentissimo e giovane
Georges Fouret decanta maliziosamente La Negresse blonde:
«.....Sa mimique
Me dicte, et je sais
lire en ses regards profonds
De vocables muets au
sens metaphisique;
Je comprends son
regard et nous philosophons:
Elle croit en Dieu
par qui le soleil brille,
Qui crea l'univers
pour le bon chimpanzé,
Puis, dont le
Fils-Unique, un jour, s'est fait gorille
Pour ravir le pécheur
a l'enfer embrasé».
Dond'Eva evoluta, come codesta Singesse, va ragionando sul
tema a mo' di Bernadette, intermessa una prova saffica classica e monacale:
che, se non conosce Spinoza, s'acconcia a divertirsi, ritornando a
ballare, cioè ad arrampicarsi di nuovo sulli alberi trogloditicamente a quattro
mani, come ha imparato a stento a suonare il piano ed ha pensare a quattro
mani.
Non sarà dunque logico l'intervento delle agitate verghe del
sadismo e della correzione didattica:
«Asinus, nux, mulier
simili lege ligati,
Haec tria nil recte faciunt si verbera cessent»;
ed a che pro?
«Quid levius fumo? Flamen. Quid Flamine? Ventus.
Quid vento? Mulier. Quid muliere? Nihil».
Dove potrà rifugiarsi col proprio amore? Dove imbattersi nella bellezza
fresca, nell'innocenza generosa della Sulamite? Chi gli ripeterà il versetto
del Cantico dei Cantici? «Mane surgamus ad vineas, videamus si floret vinea,
si flores fructus partorient, si flomerunt mala punica; ibi, dabo tibi ubera
mea». O fecondità della campagna, a maggio, ed in quell'incenso di corolle
sbocciate, in quelle sicure promesse, prossime a fruttificare, la munificenza
lieta e serena delle grazie di sposa! Si? Cinque lire d'amore costa.
Costei della sfacciata fornicazione è la più pura, perchè la più sincera:
s'ella proclama le sue doti, sfoggia un inno maraviglioso alla Pandemia, al suo
valore sociale di valvola di sicurezza per la pudicizia borghese, al suo merito
profilattico ed igienico contro i pericoli e le degenerazioni dell'onanismo,
alla sua divina compassione che nulla e nessuno rifiuta: e la lirica inchina
alla prosa dossiana le più alte vette musicali, la satira si fa poema battuto
nel'oro.
Perciò la natura trionfa: il Magoboja operatore della Palingenesi,
fabrica la femina integrale; sorge Venere, «Un biondissimo95 fumo dalla
fragranza di muschio vela la tremolante figura e si direbbe una chioma che già
s'innanelli a larghe onde, e, fra l'aureola di essa e del fumo, va la figura
accentuandosi a femminili curve e turgenze. Una bollicina di azzurro (vitriolum
coeruleum) le scoppia nel mezzo, ed ecco a fremerle a pelle il reticolato
venoso; una striscia di minio (cinnabaris mercurialis) vi guizza, ed
ecco guance soffuse di pudico rossore, con una bocca che è un bacio; due faville
vi scattano, ed ecco due occhi lucidi di desiderio e di lagrime che
infensamente mi fissano». Non altrimenti vivono, sotto il bulino di Rops, le
sue donne - simboli, per quanto si sformino in piedi caprini, in zampe
unghiate, Sirene dell'asfalto parigino: «nuda sino alle coscie96, erge
una testa laida e pure simpatica; sorride la provocazione, con grazia ebra e
stanca; bestemia parole grasse di suburra, mentre di un gesto crapuloso, in un
colpo di gomito, si fruga nell'edificio della capigliatura. Odora il
marciapiede e l'acqua profumata del bagno recente; evoca canagliescamente la
quadrantaria all'agguato ed in caccia del cliente; sa tirar di coltello». Esse
sono che loscheggiano, cachinneggiando con insolenza, espongono le loro
acconciature color zafferano; impiumate, accendono la larga bocca col carmino,
li occhi piccoli col bistro; si mettono al mercato su divanetti, sotto camicie
succinte e rialzate sui fianchi; esse, le belle ragazze del dicterion elegante,
esse, la Bellezza-Peccato verso cui balzando la libidine accorre, come un
polledro inuzzolito, nitrendo. «Amore97 mi tiranneggia. E già le
palpito in braccio, e dileguo entro lei ed anche il sogno dilegua».
Il giorno chiaro, l'alba lucente e lucida, le ore dell'uomo che
lavora pensa e vuole, non le ore oscure e passive, vincono il succubo, lo
annullano, ritornano il sognatore spaventato alla realtà. «Su via, vieni tra i
tuoi fratelli, dopo la palingenesi, scrivi il nuovo testamento. L'umanità
confessa e l'uno e l'altro documento e ne deriva: ma canta la speranza, la
carità, l'amore di nuovo e sorgi, con noi, non più, a soffrine ma a combattere
per essere più buoni, più belli, più sinceri».
«La Desinenza in A, fu, nella vita letteraria98 di
Carlo Dossi, quel che si dice un avvenimento. Si era ai bei giorni della guerra
tra idealisti e realisti, guerra gioconda, allietata dalla fecondità
straordinaria degli spropositi, che i giovinetti - obliosi di Senofonte e di
Euclide - allegramente si scaraventano in faccia». Dossi, impropriamente,
veniva chiamato realista, accolto con fervore nel campo spumeggiarne
della Farfalla: anzi gli allogavano titolo ed onori di capitano, messia
di un verbo nuovo in estetica, che, del resto sopravanzava realismo ed
idealismo scolastico ed ufficiale, catalogati sui quadri di avanzamento della
letteraria burocrazia.
Tanto egli era lontano dal carnalismo rubicondo e rubensiano e
dalla effervescenza della gazzosa stecchettiana, quanto non volle, ed in sul
bel principio lo dichiarò, confondersi «colli99 incettatori della
nazionale moralità, una compagnia di lamentazione perpetua di cui fanno parte i
violacei predicatori, che ventilabran dal pulpito vituperi contro la
cuncupiscenza e le ascoltatrici loro ammiranti, le baldracche, che han messo insieme
bastevoli soldi per comperarsi il rossetto della castità»; con quelli «che
fanno100 de' loschi compendii di virtù per il popolo, a dieci centesimi
la dispensa, e i gazzettieri, che, colla sifilide cristallina sulle labra,
sermonano di pudicizia, e le mamme affannate a difendere le orecchie
premaritali delle figliuole da ogni susurro impudico, salvo a lasciarvi
precipitar dentro un mondezzaio di roba, non appena quelle figliuole sien
giunte al legittimo stato di comporre adulteri». Egli stava col realismo di
Omero, dal Porta ripresentato meneghino: ammetteva che «la smania101
sessuale è in natura ed ha dunque diritto di avere anch'essa la sua sede
nell'arte; manchevole quindi sarebbe quella letteratura che si occupasse
esclusivamente (perdonate la frase) dei propri inguini non studiandoli che di
renderli appariscenti, nè più nè meno dell'altra che si cappona per procurarsi
una voce d'angelo».
Urgevano prossime, sull'orizzonte, le aure fiammeggianti, ne'
rutili vapori delle quali si sarebbe commossa la funzionale e romantica
cavalleria cavallottiana, ed avrebbe spillato, dalla sua lirica, che poco prima
aveva commemorato la morte di Manzoni, riepilogando un Cinque Maggio:
«Morto!102 ed nunzio lugubre,
Via sull'ali del vento,
Udii pei campi italici
Lungo echeggiar lamento»; -
la povera bestemia al Povero Vate, indicandovi Stecchetti:
«Povero103 Vate! in che rimorsi fieri
De l'antica viltà struggi te stesso!
Ti levi e insulti! e non sai dir cos'eri...
Se allor più vile - o men superbo adesso.
Cessa lo scherno.
Non insultarla se tu sei poeta,
La sacra fiamma che ti accese il core»;
per interzarvi, da La Ragione milanese, l'apostrofe
patetica:
«Poi sdraja104 nel porcil l'anima sazia
E - vigliacchi siam noi - si mette a urlare.
Potrà darsi benissimo. Ma... in grazia...
Se parlaste un pochino al singolare?»
Sarebbe riuscito imminente un poema a Giosuè Carducci, console di
repubbliche per schiette rivendicazioni letterarie:
«Enotrio105, dormi ed alte a' il ciel le grida
de la battaglia vanno, e la bandiera,
la tua bandiera dispiegata ai venti sta ne la pugna.
E lo Stecchetti avrebbe accusato:
«........ de l'incenso il puzzo
e il canto fermo e d'Escobar la voce,
e il buffon Mena, da 'l tuo forte schiaffo
segnato il viso le tue laudi canta,
ma co'l pugnale di ferirti prova
dietro le spalle.
Oscenamente dondolando l'anca
Bavio, spadone, d'assalir si vanta
l'arte tua bella e di tenerla sotto
ferma, domata;
e Lesbia, usata a glubere i nepoti
flosci di Remo sotto gli angiporti,
getta il tuo libro e colla lingua infame
urpe lo dice.
Ecco i nemici».
Per intanto, La Desinenza in A aveva ingaggiata la pugna a
mezza lama, sotto; aveva preceduto il rosario delle pubblicazioni
sommarughiane, che da Roma, riburattate dal fresco ventilabro della unità
italiana, spargevano sementa gagliarda e spregiudicata, protette da i nomi
grandi di Boccaccio e di Machiavello. Il breve libro denso, schiaffeggiatore,
apriva la carica, come un foriero galloppante sopra il miglior cavallo dello
squadrone, a Gli Amori bestiali del Valera, a Terra Vergine del
D'Annunzio, a la fioritura bolognese della Postuma, della Nuova
Polemica; aveva snocciolato non poche avemarie, già nel 1878 prima che in
patria si incominciasse ad allungare le orecchie dalla parte di Francia,
ascoltando quanto volessero dire di nuovo Zola ed i suoi amici, - «Com'è, La
Desinenza in A - libro non certo per monacanda - rappresenta la giovinezza
dell'autore, gli errori della poca sua carne, il suo squillo di bicchiere
nell'orgia. Ma la giovinezza gli è oggi completamente sfiorita. La penna che
segnò quei ritratti donneschi è rotta per sempre. Bene sta. Ogni stagione il
suo frutto. Fanciullo, scrissi d'infanzia e vi offersi L'Altrieri;
adolescente, di adolescenza e vi diedi, L'Alberto Pisani; giovine, di
gioventù ed eccovi La Desinenza in A. Se la vecchiaja non mi sarà, come
sembra, contesa, scriverò cose da vecchio - metafisici soliloqui, archeologiche
dissertazioni; chissà mai! anche ascetica. Letterariamente, almeno, il Dossi
non si falsificherà106 mai».
Già dal 1883 egli aveva ipotecato, logicamente, il suo avvenire,
predette le sue tappe, tutte quante sorpassate nel suo vivere: l'ascetica
doveva arrestarsi all'Inno al Dio venturo in cui tutte le libertà, tutte
le bellezze, tutti i benesseri conquistati avrebbero proclamato la felicità
dell'uomo, al cospetto del cielo sereno e rappacificato, sulla paura della
divinità, sopra il terrore e l'invidia de' propri fratelli. - Ma pure,
cristalline rimasero sempre la prosa e l'anima di Carlo Dossi, a rinfrangere le
meraviglie de' suoi sogni, il disgusto della sua onestà, la fiducia costante
nella perfezione e nell'umano volere. Per conto suo, in arte, fu e rimase
aristocraticissimo: come Frine egli non ambisce che all'omaggio de' sovrani...
dell'intelligenza.
Non venne per ciò e d'un subito compreso; anche oggi lo
comprendono poco. Allora minimamente, quando la pudibonda gesuiteria era venuta
all'arme, quando il Carducci denunciava i cuoricini stillanti lagrime e sangue,
esulcerati dal nulla de-amicisiano, le marionette di carta pesta e di filo di
ferro del Giacosa, ed incominciava a genuflettersi il Fogazzaro, e deliberava,
tra il boja e l'esorcista, quell'altro Imbriani dei Dio ne scampi dagli
Orsenigo, e s'inteneriva liricamente La Contessa Lara, promessa al
coltello assassino del suo ganzo, povera vittima di letteratura e d'amore, e
s'incarnava, a doppio aculeo, la Nuova Polemica, suscitando reazioni.
Ultima questa era venuta a definire ed a stravincere: ribatteva
nel Prologo le lamentose ed aggressive fandonie del feminismo
arrabbiato, corso a mordere alle calcagne Stecchetti e compagnia: si faceva a
gridare «contro le107 svenevolezze degli amori poetici passati, che
tendevano a fare dell'arte un mare di latte e miele». Donde la donna viva e
vera era esclusa, dove si ammetteva una sua copia manierata, aerea fumigosa,
dispersiva, ideale che veniva a lagrimare, come un salice piangente, magra
lirica, in ogni romanzo. La Silvia, la Nice, l'amica lontana
facevan da modelle promiscue; Vittorelli trionfava; il cant della
superipocrisia anglicana pontificava dentro le fuori la vita e la letteratura. Era
«l'ideale108 disceso agii uffici del mantello di Noè; voglia il senno
italiano che Sem e Jafet, a forza di trascinarlo piamente su tutte le vive
libertà del secolo, facciano di te un cencio spregiato anche dai rigattieri e
dai preti!».
Ultima determinava, a favore della libertà dell'arte, di cui, per
sè stessa, La Desinenza in A aveva già usato vittoriosamente; evitando
l'eccesso ed il contagio del francesismo allettato a visitarci, col favore de'
pronubi avvisatori innamorati dello Zola, e conservando tono, nerbo proposta e
risultato nazionale. La Giacinta del Capuana, i classici e massicci Malavoglia
del Verga, sicuro attestato di potestà siciliana, sarebbero venuti dopo. Madri
per... rìdere, - Commedie di Venere stavano per uscire, sollecitate
dall'esempio dossiano.
Nel folto della mischia, corpo ed anima, alla bersagliera, era
infatti venuto a sciabolare, ad amministrar manrovesci e stoccate, Cesare
Tronconi; aveva raccolto un buon libro di altre e saporitissime Confessioni
e battaglie - che hanno il merito di precedere quelle carducciane - e lo
inviava «Alla Gioventù italiana (maschi e femmine) affinchè non si lasci
imbecillire». Vi si leggeva, come «il realismo non è che l'uso, in arte,
della ragione pura, - che l'immoralità vera, in arte, consiste nello
scrivere i libri così detti morali, - che il realismo, come lo intendo io, è un
continuo inno al bene ed alla virtù, - che la morale, la morale, la morale per
l'uomo è... la donna e il denaro». Vi difendeva sè stesso, Praga, li amici; si
schivava dall'essere un imitatore di Zola, «perchè l'arte non si impara a
scuola - l'arte deve essere nell'anima - l'arte è l'anima stessa». Per ciò
rivendicava il diritto del tempo ed il tono morale di quella speciale
atmosfera, se, contemporanee, Nana e Commedie di Venere erano pur
uscite, ignorandosi. Per le piccinerie della ineffabile Rivista Europea
e dell'altra, con licenza, Nuova Antologia aveva un motto che Carducci
non lasciò senza parafrasare, nel secoletto vil che crìstianeggia: qui
più completo: «Cari fratellìni Italianini, piccinini, Cristianini ed...
Ebreini.» E con ciò Delitti avevano respiro.
Perchè non vorrò lasciar da parte Cesare Tronconi, dimenticato, o
spregiato, dai saputelli euforetici del corrierismo, dove accorsero dalla
anarchia e dal iperdannunzianesimo, sapendo che tutto potevano conservare,
rivoluzione ed Arcadia in quel luogo refrattario alla sincerità, aperto a tutti
i retori barzineggianti d'Italia. E lo rammenterò, come mi apparve nelli ultimi
anni in cui lo conobbi, assorbito dalla morte troppo presto, mestissimo e
sfiduciato dall'arte, cui aveva volte le spalle per più sicura esistenza, e nei
giorni gagliardi, ne' quali la repubblicana amicizia di Perrussia e di Quadrio,
editori per gusto e per amore delle lettere, gli apriva la Casa editrice
sociale e ne accoglieva i romanzi. - Dalle loro pagine donna
Venere-Tisbe-Clementina-Salieri-Arditi-Miller, può dire, a conforto della Desinenza
in A... e del misoginismo del tempo: «Se sapessero109, quanti
sguardi non significano altro che: Sei tu il mio cinque franchi? -
oppure: Vuoi tu essere il mio due-franchi?» Per lo che Tronconi istesso
interviene e riflette: «Ogni110 donna è un caso nuovo. Dobbiamo quindi
regolarci secondo i casi. Certo, bisogna capire... e qualche volta si
capisce... quando non si è innamorati - perchè è la femmina che rende
ciechi noi altri. - Ora, la femmina è fuori e la donna è dentro. Bisogna
trovar la chiave». Egli tornava a distinguere, a far due parti di un tutto: e
bene, la sua dedica non rifuse, come la Palingenesi dossiana? «A
Lei111 che ricorderà questi versi giusti... ma ingiusti:
So che......... amore
In............. uccidi
So che..........core
So che..........iridi.
Pur.............……..
............…………
E non inorridisca, se....
In Arte, tutto ha la sua ragione d'essere - purchè tutto sia al
suo posto. Quell'intelligenza che mi si è rivelata così bella... può
comprendermi bene». - Comprendono male i barzineggianti, che fan della morale
ad uso de' cotonieri e dei caratisti delle fabriche nostrane di automobili.
Perciò, qui, Cesare Tronconi può trovare il suo posto; da che, mi pare che
questo sia un rosario recitato a tutti i santi senza altare, e destinati alle
future basiliche della sincerità.
Per allora, un momentaneo entusiasmo spingeva il Dossi alla
popolarità; parve che sorgesse e potesse insistere, nel cielo torbido delle
lettere e della critica riconosciuto, il sole meridiano della novella e del
romanzo nostrano. Altri, in un impeto di bufera artificiale, vennero, come nubi
a distendersi cupe, a velare per poco la faccia d'oro e di luce; poi si
dileguarono: ritornò il sole a soggiogare le nebbie.
Comunque tutti i poveri di spirito della pudibonda melensaggine patria
e confessionale gridarono allo scandalo ed alla irriverenza. Li ultimi
cavalieri di Re Arthus infiordalisati sotto la procura lasciata loro da Tomaseo
se me adontarono. Risuscitarono, per l'occasione, li spauracchi più neri del
loro arsenale di guerra, a difesa del loro sacratissimo e male odoroso pudore,
per difetto di cotidiane ed igieniche abbluzioni alle parti, domandarono per
ogni dove, foglie di fico, di platani e di vite; Stecchetti pornografo,
Carducci ateo e fuori legge; altrove Swinburne contaminatore di Londra; qui
Dossi infamato con quelli. E, nelli insulti verbali, la rugiadosa pastorelleria
risuscitò dal Bosco Parrasio, per scolare nelle pie giaculatorie
manzoniane, trovando che La Desinenza in A aveva sorpassato Nana.
Certo, ha detto più di Zola perchè Dossi è più grande stilista; dove s'arresta
la fotografia zoliana, là incomincia l'idealismo dossiano. Il suo timbro
risuona in tono ben diverso che non squilli il gong di Nuova Polemica;
unico ancora tra i suoi coetanei a dare quella nota di sua esclusiva
personalità. Egli ebbe il coraggio di riscrivere il vecchiume misogino di venti
secoli di letteratura, eroicamente senza ridirlo saggiandolo al suo tempo,
provandone il contenuto colli aspetti che l'epoca sua gli offriva in
ispettacolo: aggiunse, alla fisiologia ed alla patologia classica e romantica
dell'odio e del disgusto per la femina, la novissima diagnosi delle donne
ch'egli seppe e vissero con lui, le fermò, indice di costumi sociali, di un
agire singolare. Chi considera La Desinenza in A, come fa del resto il
Croce al puro obbiettivo del metodo estetico da lui ereditato da De-Sanctis, si
svia. Carlo Dossi non va giudicato, isolato, come categoria, ma deve essere
posto a paragone di uomini e di avvenimenti, ragione storica non solo d'arte,
circondato dalla sua atmosfera morale e fisica, da cui respirò idee e
nutrimento, cui ridiede nerbo ed eccitamento per maggiori volate di bellezza e
di sincera applicazione.
Egli può venir imputato, da chi sa molto e non ha oscura nessuna
delle letterature europee, d'aver riportato in tempo presente il succo delle
pagine argutissime, felicissime, piene di vita del Delicado, spagnuolo,
canonico che amò l'Italia, le sue cortigiane, le avventure di passione e di
risa e di scherno del nostro rinascimento e diede a noi il più storico simbolo
di quella umanità colla Lozana andalusa. Altri potranno obbiettare che La
Desinenza in A si appaja in alcuni capitoli in parentela prossima ai Raggionamenti
del divino Aretino, ed io pure sarò di questo parere; ma tra Carlo Dossi ed il
Messer Pietro intercorrono oltre trecent'anni, ed il la de' Raggionamenti
è la dilettazione sessuale soppannata di satira, mentre qui risuona in timbro
di riprovazione e protegge le verità contro le menzogne. E poi, che gioverebbe
questo paragone? A confermare l'opinione mia espressa altrove che il nostro
realismo italiano non fu altro che un passaggio classicista, un ritorno al
motivo iniziale e positivo della nostra rinascenza, sollecitato dalla voga
zoliana; un rivedere in massa e materia, in plastica ed in pittura il mondo che
il romanticismo intermesso, ma soffocato aveva descritto in idee ed in forza,
in possibilità ed in trasformazione. Il valore nuovo di Carlo Dossi sta come
azione di vita e d'arte, pur esplicandosi con formule naturaliste, metodo di
arte per la tangibilità.
Oggi, pur troppo, lo so per esperienza, tornano i giorni dell'Indice:
corre per le città una turba di iconoclasti e di svergognati piissimi in cerca
del vero e del bello, e, perchè nudi, li fanno sudici. Non accorge la morale
bruttura della sua anima collettiva e feroce. Oggi, il Concetto della
Pornografia ha cambiato sede; io lo rimetto nel cervello, quelli altri lo
inchiodano, tra coscia e coscia, nel sesso. Oggi, la pornografia è venuta in
coturno a passeggiare, tra li onori delle pubbliche sedute parlamentari,
careggiatavi delle 40.000 firme di dame e di dami di bergamasca e grottesca
notorietà: coprire è mentire.. - Oggi, pornografia non è più quanto insulta, o
non rispetta, il diritto d'arte, la bellezza della forma, la necessità
funzionale e naturale della letteratura. - Pornografia non è pur sempre, e
dovrebbe essere, quel pleonasmo che esorbita sul necessario, il dettaglio
viziosamente enormizzato a proposito, sì da riempire il primo piano, la piccola
e misera ragione di sfondo, l'atto accessorio, verso cui si vuole forzatamente
condurre l'attenzione del lettore; dove rimangono l'artificiosa esposizione,
l'inutile suggestione intensiva per li esercizii dell'inguinaja e delle
perversità, certo di natura, ma non tutta la natura. Molti libri, affatturati
su questa ricetta, invece, hanno spaccio per ciò, e sono lodati; moltissimi
lettori vi accorrono, se a pagina tale, o tal'altra, degustano il sal amaro ed
il limone spremuto di scene speciali, in cui Garaguez e Priapo, turco e romano,
falliformi soggetti esemplari, discutono colla chreis greca e si
accordano internazionalmente sempre, qualunque siano le loro capacità. Tali
pubblicazioni si determinano per lucro; dimostrano l'esibizione, l'eccitamento,
l'offerta, la soddisfazione acquistata a tariffa:
«πόρνη bagascia: anche l'etimologia insegna;
colei che vende piacere, che inganna, cioè, all'amore eseguendone tutti li
atti; colei che è l'idolatra secondo il senso evangelico di Paolo da
Tarso; insomma, la mercantessa di cose false, di spasimi e di voluttà simulate,
di preghiere mentite verso una falsa e bugiarda divinità. Così, la letteratura
pornografica rimane la menzogna gesuitica e male espressa: La Pia Giovanetta
del canonico Nava, La Via del Paradiso, i romanzi ascetici e modernisti
del Fogazzaro, il brecciame e la rigatteria variopinta, ricucita insieme, li
sfoggi invelati di lussuria da basso impero, centone d'annunziano: tutta la
roba rinverniciata, ridorata, a richiesta del tempo giudeo e ghettajuolo, le acadabranti
posizioni ultra aretinesche, l'ambiguo ed il grigio, ad encomio, dell'epoca
pigra e lutolenta, che appare, ora, sotto l'etichetta del libertinaggio, poi,
della scienza, quindi, della religione, per ingannare, per corrompere, per
farsi comperare, perchè autore ed editore ne abbiano i profitti maggiori: Pornografia.
E già che ci siamo, oh si, pornografia il nostro reggimento
politico, in cui nulla è spontaneo, sincero, serenamente responsabile, in cui
tutto è un affare, una burla insidiosa ed assurda, un commento pagato, un volo
lucrato. Onde, se un giudeo di grandi numeri e di vertiginosa eloquenza,
ipostasi non corretta di un montanaro allobrogo e cinico, interposto Luzzatti
al potere dittatoriale di un Giolitti; se il filosofo-economista-scrittore di
sulla religione sulla tolleranza, sui diritti dell'anima e della pancia, in
bilancia tra il Ferri, avidissimo guascone di prerogative ministerali, ed il
salesiano astuto bracconiere di coscienze e dilettante di gaudi deretani; se il
Primo Ministro di quest'ultimo regno ingiurioso al buon senso ed alla virtù
(ahimè, virtù!...) italiana, spaccia circolari per difendere la morale pubblica
dai libri, dalle stampe, dalle cartoline, dalle scatole di zolfanelli, dalle
maglie color carne, dalli inviti pandemii, dalle occhiate che offrono, dai pis-pis
coi quali anche la povera prostituta si sfama, se, in quest'ora grigia dentro
cui l'episcopato trionfa in Parlamento, la scuola è mancipia dei frati e delle
monache, le banche passano allo sconto dietro l'attestazione del biglietto
di pasqua, si vien parlando di morale, di ritorno ai sacri affetti della
famiglia, d'instaurazione etica, di conservazione della innocenza, di diritti
sacrosanti alla pura ignoranza delle vergini; oh, si, sono assolutamente
convinto che tutto è pornografia tranne le aperte imagini, le belle pagine, le
sincere rappresentazioni che danno l'uomo nudo ne' suoi atti d'amore; tranne
l'eterno, purissimo, vittorioso nostro paganesimo che insorge contro i Cristi e
le Madonne rachitiche, colle sue bellezze, vituperando in quelli venti secoli
barbari e tenebrosi di teocrazia, di dispotismo, di ferocia cristiana,
attestando la sua perenne divinità umana già mai oscena, se l'arte colga in
ogni positura, e, commossa, rappresenti carne e spirito nell'odio, nel piacere,
nel delirio insindacabile dell'amore, compartecipato gratuitamente, proferto ed
accolto. E grido: «Se incominciassero codesti preti della morale pubblica a
redimersi alla vera morale!».
Tutte quelle rappresentanze di un lucro sociale e costituzionale,
tutti que' funzionari rimunerati vorrebbero forse mute le pagine di Desinenza
in A? Ha Carlo Dossi trafficato mai del suo volume? Nessuno fu più di lui
schivo a spingere il successo ad utile fortuna: egli sfida ogni indignazione cruscante
e cristiana, pretesto ed ipocrisia, perchè non ha fatto nulla più di quanto
fecero i loro Padri e Dottori del Vocabolario e della Chiesa. Ha
riposto sulli altari quell'amore doppio e spaventoso in peccato, perchè
ciascuno lo ammirasse con terrore e lo fuggisse con prudenza. - L'impudenza de
saccentelli e dei paternostranti, del resto, apparve stolta, se ha voluto
bruttar di fango pornografico La Desinenza in A; di rimbalzo schizzò
loro in faccia. Quest'opera, dedicata a Tranquillo Cremona dalla cui pittura,
Dossi, imparò a scrivere; quest'opera, che fu alli occhi molto casti e
manzoniani di De Amicis la prova della virilità di un letterato formidabile;
questo volume, che al classicissimo Luigi Lodi si presentò con pagine
«serenamente112 belle, in cui la verità della vita è intesa e
rappresentata con sobrietà, con nettezza di colorito e con bella sincerità
d'artista» non è tale d'essere proposta per lettura ad virgam erigendam,
a cantaridina sospetta, per Taidi e Batilli impomatati, per vecchiaccie
insoddisfatte e ninfomani, per vecchiardi impotenti ed insatiriti. - Luigi Lodi
comprese «lo sdegno113 iroso di chi imagina un mondo in cui non può, o
non vuole, penetrare: l'odio feroce dei solitarii contro la gente che non
conoscono, la crudezza ricercata di pitture e lo studio disgraziato delle
parole difficili, degli accoppiamenti e degli accostamenti disarmonici di
lingua»; ma accorse pure «che, di tratto114 in tratto, la pura tempra
d'artista sapeva liberarsi forte e schietta dall'involucro accademico, onde si
era avvolta e aveva, per una virtù, che è propria degli uomini d'ingegno vero,
la intuizione esatta del reale e scriveva con una muscolosa energia, con un
disprezzo superbo, che raggiungevano, non di rado, il maggiore effetto».
E però, quei melensi spauriti, tra la giaculatoria e la somma de'
spiccioli recapitolatrice dell'introito giornaliero, bottegai al minuto e
strozzini all'ingrosso, alla nuova edizione di La Desinenza in A si
sentiranno orripilare. Stiano lontani, si scansino, l'aborrino. Di questi
giorni, alcuni possono reclamarla sentinella futurista (disprezzo alla donna!)
con suggello marinettiano, altri vengono ad aggiungerla a Quelle Signore,
senza scrupoli reddituarie, per Le Maisons Tellier e l'Amministrazione
Notari: la sua ristampa in ogni modo commoverà la Gente-per-bene
delle Leghe per la pubblica moralità. Sciocchezze tutte che si ostinano
ad accorrere per ricompensare o per proibire, autenticandole e truffando nello
stesso tempo, le basse ignoranza, o le povere ed incomplete malvagità.
Malsicura coscienza del proprio valore, sollecitare, col
pagliaccio in sull'entrata, colle insegne sesquipedali alla finestra, perchè si
accorgano di voi: miseria, proibire, condannare. La prostituzione è un
organismo ch'ebbe movimento dalla società, dalla comunione, dalle leggi che
vollero impedire: il giorno, in cui il dogma ed il codice vietarono il libero
connubio per ragioni statali ed economiche, si rizzarono le prime tende del
dicterio: quando l'uomo si trovò nel bisogno di concorrere alla tribù, tutto
ebbe valore, anche il proprio sterco: quindi, confini ai campi, limite
all'azione, distinzioni permesso e no, venalità per il sesso.
Storie povere di mendicità internazionali e gemebonde. È pur
lecito, che, sotto il patrocinio di San Luigi re, morto casto e imbertonato, in
un torneo, mentre, piissimo, attendeva ad un'ultima e mirabile crociata; è pur
meritorio, che, accomandati da San Luigi prete, vergine che vergognavasi di
guardare in volto la madre sua, temendone tentazione carnale; è pur logico,
che, ripristinato un specie di Indice nel gabinetto del procuratore del
re, dove si accolgono le delazioni de' diversi Santini, de' varii senatori
Béranger, delle dispersive Mrs. Grundy; risorga in onore la così detta Police
des moeurs! Impudenza presbiterana; cacciatori di ragazze del marciapiede,
di cartoline illustrate a donne nude, di Asini podrecchiani li agenti si
ritrovano per essere esposti alle tentazioni di un sadismo sociale e
questurinesco. Dentro di loro vigilia il senso nascosto della dolcezza di
far sofrire, di spingere, pizzicottando le braccia e le natiche alle
sorprese, di lacerare le imagini, di deporre davanti il magistrato calunnie.
Portano daghe e dovrebbero rimettersi il sajo col caperuccio a bauta dei
famuli; mi si rappresentano collo staffile in mano e la disciplina, intonacati,
il kepi a sgimbescio, le mortelle al kepi, in un orrido compromesso di costumi,
capuccino-Menot birro-croato-vice-boja-dell'Inquisizione. - Vengono a passi
foderati di ovatta, come i gatti in ispedizione ladresca: annusano l'aria, le
carte, l'inchiostro di stamperia, i cartoncini bristol e no, le sottane, le
mani, l'alito, le pudende. Louis Veillot di ultramontana e clericalissima
memoria ha raccontato di un santo che avvisava, dall'odorato, la castità
feminile, cane di scovo per selvaggina di paradiso: codesti agenti si
pretendono dotati della medesima istintiva virtù per quella d'inferno.
Oggi, domando loro, ed a coloro che li sguinzagliano, come l'ho
chiesto ieri, se, essendo concesso di allegare il voto ai contadini
bergamaschi, perchè ne approfitti uno de' qualunque Coris o Longinotti del
parlamento - dove li eletti allogano sè stesso al governo, il quale ricatta e
vende promesse e buona fede alla Nazione; - se, potendo, secondo un'ambigua
carta, essere permesso alla libertà individuale di affittare temporaneamente,
la forza de' muscoli, l'abilità delle mani, il prodotto de' suoi cinque sensi,
in pittura, scoltura, musica, letteratura, industria, bellezza, non sia
possibile dar a nolo, in buon contratto, il sesso alla femina, perchè un
maschio, che ne la richiede, ne usi a soddisfazione de' propri istinti
genitali. Vi sono delle regioni anatomiche sante e sacre, e delle altre
vergognose nel corpo. Vi è una legge che proibisca, per ordine pubblico e
pubblica igiene, le indigestioni? Verrà, forse, quando messer Ferri
s'incontrerà sulle direttive politiche con mastro Giolitti: per ora è tollerato
il morire di colica epatica in seguito ad una scorpacciata di ciliege acerbe.
Chi oserà dunque determinare alla fame ed alla golosità del sesso, ora, motivo,
pietanza legittima e no, quantità, qualità razionale? È vero: l'indigestione
simboleggia lo spirito cattolico e si pratica indisturbata: l'amore è Venere
che torna fatale a contrastar Cristo: qui, vi ha contradizione; là
corrispondenza: per intanto codice e dogma confondono bellezza con peccato e
delitto, ma sopra tutto paventano la sincerità. Protenderanno le granfie a una
prossima ristampa di Desinenza in A?
È dato solo alli uomini puri, come Carlo Dossi, d'immettere le
mani nel brago e di ritorle monde: essi hanno in loro stessi il preservativo
eccezionale, salutare e fatale del loro carattere, che li fa, in ogni momento
della loro vita, candidi e schietti. Essi possono discendere nelle oscure
profondità dell'anima e nelle latebre del corpo più oscure, dettagliarne le
complicazioni eretiche, ripresentarne le cerebrazioni, coll'arte: il mistero
torbido affascina e completa la piena conoscenza delle cose chiarissime. Vicino
alli Amori, gilii e rose stretti in fascio ed offerti alla più bella ed
alla più saggia, stiano il fior di cardo, le orchidee, la panocchia violetta ed
eretta dall'aconito d'alpe. Si compensano; sanno di completare la botanica;
definiscono per opposti cardini, la vita. Perchè il sole e non l'ombra? -
Perchè l'ombra, sempre, e non mai il sole? - Carlo Dossi, che fece opera di
vita, non ha trascurato i due elementi; dal bene e dal male foggia l'intiero
suo poema: voi scegliete quanto meglio vi aggradi, o dal Romanzo della Bontà
o dal Romanzo della Malvagità: o dalla sua ragion critica, o
dalla sua ragion pratica. Egli non vi limita, nè v'impedisce l'opzione;
quanto a me non distinguo; lo accetto e lo bandisco in totalità.
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