VII.
RAGION PRATICA
Rovine, prodotto sistematico e passionale di critica, giovano a
preparare il materiale di fabrica per più nuovi e più comodi istituti; rovine
attestano la parte più facile dell'opera nostra, in quanto, davanti alla
realtà, al fatto, alla cosa, le nostre attività si svolgono con maggior
efficacia, e, lavorando sul tangibile, sul visibile, sul positivo, il risultato
ne riesce del pari. Ma, rovine dicono battaglie vinte o perse, sempre, un
motivo di negazione ed il più ovvio. Il no non edifica, ma costruisce inversamente;
il no è la ragion-critica. Credere rinnovare, o feticcio, od idea, o
divinità, od istituti, o palazzi, significa applicare il nostro bisogno e la
nostra speranza, nella continuità, riconoscerla, saperne usare, adattare il
momento nostro personale al momento collettivo, dimostrare la pratica, per
l'utile immediato; riconciliarsi, riammettersi nella vita attiva... Per ciò,
nella serie dei sistemi filosofici, e Kant insegna, se si accampa a vittoria il
sillogismo della prima parte demolitrice, s'intorbida e fuorvia la logica, che
s'ubriaca di sè stessa e di apriorismi dogmatici; quando, colli elementi delle
smantellate case di altrui, tentasi di inalzare il proprio sistema: ed ecco
rifacimenti grotteschi, pericolosi, difficilissimi di architettura ideologica,
fuori della realtà.
Per l'estetica di Carlo Dossi il caso avviene diversamente, il suo
fabricare, cioè il credere di nuovo, ha fondamento nella riconosciuta e
sentimentale solidarietà umana, verso un progresso illimitato di una necessità
impellente biologica: l'utile. Ogni cosa, istituto, essere e credenza si
evoluziona e si raffina verso un modo più facile, più sicuro, meno confuso e
più armonioso di vivere. L'Utile, adunque, nella sua assisi,
s'apparecchia a diventar Bene, e Federico Nietzsche vorrà invidiargli
questa rinnovazione di valori etici, che per l'altro non significa se non il
secondo motivo della sua estetica. Dal concetto: «L'uomo ha bisogno di essere
buono (onesto) per vivere meglio», estrae la conseguenza: «L'uomo migliore è
anche più bello»: e la reciproca: «Lo stato più confacente per l'uomo, perchè
sia bello e buono, è la Società», in senso lato, in senso cooperativo. Perchè
in fondo la sua società ideale che ammette tutte le libere espressioni ed
espansioni dell'organismo umano, si rappresenta in compromesso collo stato
di natura del Rousseau, donde gli attinse il processo iniziale e la prima
idea indulgendo pure all'Emile, per La Colonia Felice.
In fatti, di fiele, di assenzio, di disgusto e d'ironia non vive
un letterato; è necessario ch'egli sappia trovare motivo più nutriente, più
dolce, se non l'ambrosia olimpica, a cui non crede più, almeno una panacea, una
nepente salutare che si distenda sopra le sue piaghe ulcerose, ne acquieti il
bruciore, le addormenti, gli induca in riposo la febre, dentro il cervello
esagitato. Quand'egli sente questo bisogno, vede il giorno chiaro, vi si è
immerso; numera e considera le ore di sole dell'uomo e ne approfitta; riconosce
il nero ed il bianco, e nella disposizione delle gamme, tutti i colori
intercorrenti tra il no ed il sì. E perchè ogni letterato è sempre un
determinista, rimena, in un solo cruogiuolo, le essenze del Bene e del Male per
la sintesi del concetto balzacchiano dell'Utile. Così, Paul Adam, che si
distilla da quello passando per Victor Hugo, scriverà Les Cœrs utiles, La
force du Mal; Carlo Dossi, che si è filtrato a traverso; Porto e Manzoni,
che si è emulsionato con una goccia della ambiguità di Richter, produrrà La
Colonia Felice, Regno dei Cieli.
Riuscì purgato, disoppilato dal viaggio lungo e triste de' Ritratti
umani, come que' casti teologhi che facevan precedere alle loro
sottilissirne meditazioni molte oncie di olio di ricino. «Poi,
divenuto115 buono, trovo che il miglior sistema filosofico è sempre
quello della benevolenza e mi torna la fede nel miglioramento senza limiti
della umanità - di quella umanità, che anche quando sta per retrocedere, va
innanzi, poichè la sua ascesa è fatale e spirale. Scaricatosi allora la
tempestosa meteora, riappare sul mio rinserenito orizzonte, l'azzurro profilo
del Regno dei Cieli e quello adolescentemente verde della Colonia
Felice».
Al Romanzo della bontà eccolo venuto a traverso il Romanzo
della malvagità; perciò intende ristabilire l'equilibrio; desidera
condurre, concomitanti, le due strade; fondere i due generi in un armonico
tutto: e pure, oggi, passeggerà per l'una, domani, per l'altra, ma non
raggiungerà ancora il crocicchio, verso cui concorrono: oggi, trascorrerà nella
pianura e sul monte, domani, nel deserto e fra il bosco, seguendo i capricci
particolari de' sentieri anfrattuosi: lunga arte saldare i poli opposti.
Fors'egli vide, in rapida e vorticosa apparizione, passargli davanti le imagini
luminosissime di un Inno al Dio Venturo: ma per quanto non sorpreso nè da116
follia, nè da morte, ancora riguarda invano questo fastigio del suo edificio di
pensiero e di parole incompiuto come il palazzo di Asar-Haddon a Nimrod, «o
come117 per esprimermi con più modestia, quelle insegne bottegaie, che
cominciate con spavalde maiuscole alte un braccio, finiscono, per
l'imprevidenza dell'imbianchino e la scarsità dello spazio, con abbreviature
spilorcie e pusillanimi minuscole».
Così, si sermona e si ragiona, stando nella comune anticamera
neutra e promiscua, in cui fa attendere i propri lettori ed in cui si immettono
due porte: una a settentrione, che si apre sulla galleria de' Ritratti,
l'altra118 a levante che si apre nel poliorama delle sue fantasie
filosofiche: con ciò vi trattiene, e, prima che volgiate ad una porta o
all'altra, vi porge la Guida ufficiale per visitar meglio i luoghi.
La sua filosofia incomincia, da questa proposta, dopo dì aver
saggiato la apparente purezza delle intenzioni umane, con una serie di
investigazioni e di domande. Foscolo, prima di lui, aveva insinuato: «Stimo le
virtù l'arte di mascherare i propri vizii, e la civiltà, la scienza per cui li
adoperiamo in modo d'apparire onesti». Onesti? Carlo Dossi conosce che il
miglior galantuomo è colui che non si pregiudica col commettere delle cattive
azioni, perchè glie ne vien danno: «oh siate indulgentissimi119 fuorchè
seco voi», esclama. «Poter nuocere basta. Riconciliatevi col Cielo.
Siate egoisti davvero». Per intanto se «vivi come120 vuol opinione, ti
mancherà sempre qualcosa; come vuole natura, ti avanzerà»; e Rousseau, dall'Emilio,
dal Contratto sociale, riprova un'altra volta la sua imminente
attualità.
Il sensismo iniziale di Carlo Dossi si è lambiccato nel suo
cervello: egli insegna a beneficare perchè rientri nelle abitudini umane l'atto
del dono, come un atavismo da trasmettersi originalmente, istintivamente, da
padre in figlio. «Che121 il beneficio entri nel nostro tenore di vita
come l'abito e il cibo. Non compassione, soccorso. Bene genera bene, come
spiga, spiga». Il consilio è salernitano di cristiana sanità; il
principio è anche mistico, da Pitagora a Plotino; li occultisti se ne varranno,
considerato il bene come una energia per sè stante, riproduttrice di
altre energie equivalenti; come del resto, il male per un'altra forza di valore
opposto, ma reciprocamente trasformabile. Su ciò il monismo ultimo adottò
unicità di materia e di energia, a cui i nostri organismi sensibili,
personalmente, attribuiscono un valore particolare di gioja o di dolore, a
seconda dei casi; perchè le loro vibrazioni sono identiche nel tempo, nello
spazio e nel sentimento. È la coscienza individuale che personalizza e trova
il tono del dolore e del piacere, e spesso li confonde o li inverte, come il
daltonismo fa con i colori, non riconoscendoli od indicandoli con nomi
improprii.
È pur la coscienza individuale che scopre il tono dell'utile,
nella mestissima trenodia del sacrificio, per cui il sofrire per li altri
acquista consistenza e nobiltà eroiche. - L'originalità dossiana consiste nel
proporre l'Egoismo - sentimento intransigente e permalosissimo, istrice
aculeato che si raggomitola e punge dentro di noi a sua esclusiva ed animale
difesa accorgendo, di lontano, ogni estranea presenza - a fondamento della
morale, come già aveva indicato, a traverso il laidume, la via alla bellezza, a
traverso il vizio, l'avvento della virtù. Il benessere personale, prima pietra
angolare dell'altruismo, appare un paradosso ed è la conseguenza logica
dell'abitudine mentale dossiana, del metodo suo, che diventa facilità psichica,
donde si inalzano la sua arte e la sua filosofia. Slmilmente il D'Arca Santa,
nella sua Fisiologia dell'Egoismo - che pochissimi conoscono e ch'io
reputo a somma ventura sapere, regalatone di una copia, introvabile preziosità
pe' bibliofili - gli aveva assegnato la funzione maggiore: da qui, polarizzati
li istinti, verso il bisogno imminente del meglio, si elevano, a grado a grado,
a potestà morale, scelgono di sulla bilancia, il piattello del bene, perchè
sentono come meglio - beneficando - avrebbero potuto vivere nella necessaria
comunione umana: donde, svolgendosi ai fastigi, per la rinuncia e l'abdicazione
della materialità, ma per assumere le meraviglie delli splendori ideali dello
spirito, elaterio il tornaconto, ecco il progresso, le virtù. Le quali sono
l'esercizio delle forze usate, prudentemente, in modo che l'individuo se ne
aumenti, acquisti indisturbato possesso, riconosciuta autorità.
Carlo Dossi ricorse a Locke ed a Bentham: vi si informò, per
quanto i principii del più gran bene per il più gran numero, - della
geniale utilità e l'espresione della Deontologia, - donde si assegna
all'uomo, precipua condizione, il proprio interesse - accettati e svolte dal
Say nella determinazione del giusto e dell'ingiusto dall'utile - fossero
per contrastare coi pensiero d'Alessandro Manzoni, dalle cui vene discorre
l'humorismo lombardo della letteratura dossiana. Se Manzoni oppugna questo e
quello, li accusa di contradizione e teme, che, indulgendo a loro, risorga la
formola: la mia forza è il mio diritto, ribattendo il sistema non solo
nella pratica, ma nelle definizioni ch'egli credeva mendaci; Dossi, che lo fa
suo padre spirituale, lo osteggia vittoriosamente, non coll'opporre
ragionamento a trattato di filosofia, ma col racconto di un fatto - La
Colonia Felice - con una dimostrazione psicologica, Il Regno dei Cieli,
- Manzoni era inoltre troppo povero di coltura scientifica, fisica e biologica,
per riconoscere li errori delle sue premesse in ciò il Dossi, che aveva seguito
le più limpide frasi del Dialogo delle Invenzioni, non avrebbe
inceppato. Se, in quell'aureo scritto, il trageda di Adelchi aveva
dimostrato, «il122 nesso che esiste tra la ricerca delle ragioni ultime
e la filosofia pratica; e, nel campo della storia andò a cercare i fatti più
notevoli e più caratteristici e che meno hanno apparenza di derivare da
speculazioni filosofiche, per trovare come appunto ne sono la conseguenza»;
l'autore di Desinenza in A non usa di mezzo e metodo diversi, ma si induce
all'opposta teorica che dall'altro veniva protestata ed accampata nella Morale
cattolica.
Per ciò, se questa autenticò al cattolicismo il dogma
dell'imperativo categorico giansenista e di Emanuele Kant, sì che il suo
insegnamento è fuori ed oltre la semplice Teologia123 morale di
un qualunque Fulgenzio Cunigliati, settatore purissimo di tomistica, assumendo
il grado dì una possibilità evolutiva; Il Regno dei Cieli ne devia. Se
Don Alessandro si accontentò di vedere in astratto, Carlo Dossi porge in
sanzione intcriore, svolge atti a riscontro di fatti egoistici e personali.
Egli, accostatosi alla serenità della antropologia lombrosiana, distende il suo
concetto, da prima negativo e pessimistico, già involuto dalla grettezza
ferrigna del fatum e dalla nascosta crudeltà della fatale reversibilità
del De-Maistre: qui si placa in una fede positivista, nell'ottimismo speranzoso
ch'un migliore futuro, si temperi col determinismo, per cui i fenomeni e li
esseri procedono per gradi, in cui la natura sapientissima non li immobilizza,
ma li fa sostare quel tanto pel quale si assicurino del diritto di salire più
in su. Exceltius! intona, comme un Allelujah, il Regno dei
Cieli: la suprema bontà illuminata del perdono sociale che redime,
dell'amore che fa virtuosi, sta nella Colonia Felice. - Aronne,
all'inviato della madre patria, che, per bocca di quegli verrà a chiamare i
condannati, esposti nell'isola deserta, dopo la prova ed i frutti della
redenzione: «Uomini fratelli!» racconterà in questo modo le fasi della
evoluzione di quel rifiuto galeotto a cui presiede. «Intanto, Aronne, a seconda
dei luoghi, gli narrava la storia, ora triste, ora lieta, della colonia, dal
tempo in cui d'uomo, non possedevano essi che il nome; quando cercavano il
proprio vantaggio nel danno altrui; fin chè svegliati dal loro stesso russare e
fiorita la tardiva saggezza, si riducevano, a forza, nell'umano diritto; e
narrava, come allor la sventura apprendesse la felice fortuna; il bisogno il
soddisfacimento, l'Anarchia, lo Stato; mentre la non mai zitta incontentabilità
nutriva il progresso, sostituendo, ad una forzata uguaglianza nella miseria, la
innata provvidenziale disuguaglianza124.
Così, dalle oscure e terree radici dell'albero, immerse nell'humus
a succhiare, per mille ventose, il nutrimento, con uno slancio di fede e
d'amore, si sublimano le eccelse frasche aeree a giuocare coll'azzurro e le
stelle di una tiepida notte serena, allietata dallo zefiro primaverile e
musicale, rischiarata dallo sfoggio di tutti li astri, apparsi sulle ringhiere
del firmamento, come giovani indiademate a salutare li uomini di buona volontà.
- Così, l'Utile è la ragion radicale e fondamentale del materialismo
storico di Carlo Dossi, come è la Lotta di Classe nel sistema di Marx ed
Engels; colla differenza che l'Utile dossiano rispetta i termini, i diritti e
le prerogative del cervello, anzi li feconda di maggiori attributi; mentre la
Lotta di Classe, gretta interpretazione economica e commerciale dei fatti,
sommette la preziosità de' nervi al compromesso numerico della folla ed ai
numeri muscolari della economia politica.
La Lotta di Classe dimenticavasi che sempre, una eletta minoranza
sarà pur quella la quale doterà di maggiore giustizia sociale, di più lato
benessere individuale, di più assodata sicurezza le nazioni, in sul cilio della
bancarotta fraudolenta, per mancanza di solidarietà, in pericolo di morte per
cessato esercizio di patriottismo e di virtù gestante e serena. Di ciò non
obliavasi il Dossi. «Nuovi125 errori pigliano, continuamente, il posto
dei vecchi, perchè l'uomo procede solamente a loro mezzo; per cui, se tu vuoi
essere degno di scusa in faccia alla storia, attienti all'errore dei molti, che
è la verità di quest'oggi; e se, invece ambisci a una lode datti all'errore dei
pochi, che è la verità del domani». Ma s'egli è qui inesorabile contro i luoghi
comuni del presente non la perdona alle ignoranti superstizioni del
passato: «La clemenza126, si dice, dovrebbe essere esclusa dalla
legislatura; ed io non vorrei neppure la legislazione. Si diminuiscano le pene
per diminuire i delitti. Come nelle malattie fisiche giova più la cura
preventiva della repressiva; così nelle morali. Cangiate le carceri in iscuole!
Le pene rappresentano ancora un lusso antico quando erano un reddito sicuro del
principe». - Nè in diverso modo considera la beneficenza: «Non giova che
preventiva. Gli 8450 stabilimenti italiani di carità posteriore non sono che
altrettanti semenzai di127 miseria»; sì che il razionalismo dossiano,
galoppando con lena, aveva prima di Nietzsche rettificato molti valori
malamente in uso di parole di frasi, di idee, depurandoli dall'esoso ed eroso
grassume depostovi a patina dai secoli, dalle mani sporche e dalle coscienze
sudicie delli uomini per cui erano, perdendo d'efficacia, passati i concetti
primi, semplici ed esemplari della naturale moralità. Perchè Carlo Dossi ci ha
confessato: «Pensai128 che giustizia e bontà fossero cavigliati
all'uomo dal suo egoismo medesimo, e che il proprio vantaggio, sapientemente
considerato, coincidesse, in ultima analisi, col vantaggio altrui; che in ogni
caso, il maggior e il più forte interesse si risolvesse in una soddisfazione di
coscienza. Sul che imbrattai un fascicoletto di carta che s'intitolò il Regno
dei Cieli». Qui, un angiolo proclama a divisa, dignitosamente sfavillando:
«Vive129 eterno Amore!» ed il Regno dei Cieli è, per l'autore di
Desinenza in A: «Il Quinto Vangelo».
Si era, allora, nel folto delle agitazioni socialiste, della
propaganda attiva libertaria; dalle idee di Chaumettte, di Buonarroti, di
Fourier, di Saint-Simon, di Prudhon, di Blaqui, s'accendeva la rivolta sociale.
Prima assisi, il meeting di Saint Martin's Hall, nel 1864, costatava la
miseria dell'epoca, mostrava a nudo i vizii reconditi del misto regime europeo,
denunciava, ai popoli oppressi, il bisogno di libertà, alle nazioni compresse,
l'autonomia, a tutti, l'insorgere necessario contro i vincoli del dispotismo,
le sovranità delli stati dominatori in urto ed in onta alle ragioni storiche e
geografiche. Emanavansi principi, concetti a seminare il mondo di certa
raccolta tempestosa; ruinavansi le vecchie formole, le tradizioni, i rapporti
diplomatici e costituzionali consacrati, il dogma della autorità. A Ginevra nel
1864, a Losanna, nel 1867, a Bruxelles, nel settembre dell'anno successivo, a
Basilea, nel 1869, la Internazionale riuniva i suoi parlamenti. Quivi,
Bakunine l'aveva raggiunta colla Democrazia socialista, v'innestava
l'individualismo conflagrante, cui Marx ed Engels, dopo aver dettato il Manifesto,
contrastavano con autoritarismo germanico ed egemonico, disvolgendone le due
correnti rivoluzionarie; una, verso la statolatria accentatrice, l'altra, verso
il sindacalismo dissolvente. Il comunismo ritornava in sulla ribalta
della attualità; vi aveva conglobato il binomio, che avrebbe dovuto scindersi
subito per incompatibilità di carattere; e l'elettrolisi della critica dispose,
in fatti, ai due poli opposti, li elementi inimici. - La Comune aveva
sfolgorato, sgozzata a Satory. agonizzante a Cajenna, accesa dalla causa
occasionale di un Sedan, di una capitolazione di Parigi. La Federazione del
Giura affocava con calma scientifica li odii, si opponeva, sostenuta da
Bakunine, all'assorbimento hegeliano della logica di Marx; le Federazioni
italiane optavano chiaramente per la rivoluzione pura, per la tattica delle
società secrete. Al congresso di Bruxelles, del 1874, Cafiero non credeva
opportuno accedere, eleggendo le armi alle chiacchiere; e De Paepe constatava
le due tendenze: quella di Spagna, d'Italia e del Giura, anarchica, l'altra di
Germania e d'Inghilterra in cui predominava la nozione dello Stato-operajo.
Le Borghesie europee, all'agguato, eccitavano sommosse, scoprivano e fabricavano
complotti polizieschi: in fondo, la loro attitudine era quella del sospetto e
del terrore. Nelli anni eroici e di passione dell'Internazionale, si
determinavano le prime ragioni del proletariato e delle filosofie libertarie,
ad inlievitare tutta la serie delle proposte e delle pretese, che ancora si
avvicendano sul campo della economia e si schierano, armate, nel breve e più
logico arringo della politica interna d'ogni nazione.
Per cui, nella coincidenza appassionata colla semaine sanglante
dell'ordine versagliese, Carlo Dossi giovane ventiduenne aveva squillato, con
entusiamo e dolore, terzine libere di foscoliana eloquenza, che dovranno
rimanere nella istoria della nostra lirica; terzine forse edite di poi ma
anonime nel 1878, in un foglio d'avanguardia, a cura di Luigi Perelli, quando
l'Italia ultima, ricondotta alla greppia dalle moine e dalle carezze di
Margherita e dalla ostentata democrazia di Umberto, nuovi re, si sentiva, per
tornaconto e d'impostura, per pigrizia e viltà, tutta scombussolata al fatto
semplice di cronaca del Passanante.
Terzine porte, all'amico, dall'autore, con questa raccomandazione:
«Io te le mando, qui accluse, perchè tu vegga se vi è maniera, da parte tua, di
farle stampare in qualche gazzetta, o rivista. Inutile raccomandarti il più
geloso secreto sul nome del suo autore. Non ch'io arrossi di averle commesse. È
un bimbo illegittimo, che, per necessità di famìglia, mi tocca, oggi, di
esporre, ma che in tempi migliori rivendicherò. - Lasciami dire: benchè
solitaria, non è inopportuna una voce, che, in tanto delirio dinastico e
pagnottistico, in tanta gara di servilismo, tenti di richiamare a dignità la
coscienza italiana ed a carità l'umana. A me, come a qualunque onest'uomo, fa
orrore l'omicidio, fosse pure politico, ma a me, come, purtroppo a pochissimi,
fa insieme schifo lo spettacolo di uomini, i quali, non solo da sentimento di
sdegno santissimo traggono pretesto ad adulazioni che l'amor di patria non
iscusa, ma imprecano a quella libertà che li ha fatti e supplicano perchè sia
loro tolta130»: fiero commento a questi versi che bisogna rileggere
qui, poichè ignoti e bellissimi:
«NUOVE NOZZE»
«Piombò l'ignoto Iddio su Humana. Sparso
fu il nuzial sangue. Immensa orrida teda,
Lutezia in fiamme. Paraninfa, Morte.
All'improvviso amplesso Humana un grido
di voluttuoso spasimo gittò,
e, affranta, cadde nell'onda dei sogni.
Ma il sonno è sciolto. Ella si aderge altera
ricordando l'amplesso, e, intorno, mira
se ancor rifulga il suo terribil sposo.
«Vieni, o diletto» - desiosamente
chiama - «vieni a colei non sazia e tua
e le rinnova quel dolor fecondo.
Stanca son io dell'amor che legge
avara mi misura: amor che ha tiara
ha plico e diadema e sotto è calvo
Vecchi rabbiosi d'impotenti voglie,
mi circuendo, a fedeltà costretta,
e il talamo che olezza ancor di te;
«il tuo - mi dicon - nome è annientamento.
Dunque t'affretta! Quanto intorno veggo
invoca scure, rogo e oblio profondo.
Tutt'ardo ed amo. Colle gruccie loro
seguon, que' vecchi, di briache
linee la terra urlando: «oltre non amerai!»
Sentomi adulta e di me stessa donna.
Vieni, o possente, e colla man tua rude
lacera i veli che mi offuscon gli occhi,
strappa i monili che mi son catene,
sciogli la veste che mi impaccia il piede,
e mi ritorna al sol libera e nuda.»
Questi endecasillabi si volevano stampati anche da Alberto Pisani,
segretario alle sabaude diplomazie della Consulta, come tradotti da Carlo
Dossi, se pur lo vennero, perchè ritrovai solamente le bozze ma non il
foglio che li avrebbe dovuto recare, ed oggi, in tempo migliore glieli
rivendico a grande titolo di gloria. Senonchè, allora apertamente, in sospeso,
si tenne in bilancia col Regno dei Cieli. Che, se in questo
evidentemente veniva all'individualismo libertario e rispecchiava le Nuove
Nozze, lo aveva però vestito di beneficenza e di carità, dandogli la rossa
zimarra talare del Cristo. Ma la sua profonda dottrina, il suo scetticismo
caustico, dubitarono ancora: riposero sotto a sopannare la camicia del Rabbi,
la palandrana lunga, la zimarra decorata del conservatorismo, quasi volesse
entrare, e nei palazzi e nei templi, coll'uniforme d'obbligo, volendo
sorprendere per insidia le posizioni che desiderava occupare. E però nessuno si
illuda, se la sua critica, che permane anche contro il socialismo, si rivolge
diritta specificatamente a limitare le funzioni dello Stato improprio
conservatore de' privilegi, a combattere la falsa morale, il costume,
l'attitudine alla menzogna sociale.
Vi dice chiaramente e rivoluzionariamente: «Il
Comunismo131 ed il Socialismo vanno posti negli errori del tempo
presente. (E ricordate che il presente è l'opera del Commercio). Il primo, a
fortuna, è inattuabile; esso esige una perfetta e continua eguaglianza. Or come
ottenere quella dell'ingegno? - L'altro, troupeaux et bergers, pur
troppo è in pieno vigore. I Governi ne sono la massima prova; i quali tendono
sostituire allo spirito dell'individuale interesse un interesse comune cui
nessuno partecipa. L'Internazionalismo è tutt'altra cosa del Socialismo: ma
Governo-Socialismo-Dispotismo, nel mio dizionario, sono sinonomi». - «È
ora132 che l'individuo esca dalla tutela dello Stato: ciascuno sia
responsabile di sè: facciamo senza degli Dei, tra poco faremo senza dei
Governi». - La petizione è singolarmente individualista ed anarchica, per
quanto uscita dalla penna di un diplomatico. Ma chi non ha accorto i germini di
una teocrazia libertaria in De Maistre e le sementi di un determinismo
anarchico in De Gobineau? Carlo Dossi è di questa razza; e non solo dubita, ma
condanna lo Stato: «Lo Stato! come133 espressione, anche
etimologica, il suo vocabolo rappresenta l'immobilità: Stato è cosa che non si
muove»: mentr'egli sa che il futuro filosofico e storico è l'Anarchia; però che
la Repubblica, secondo l'opinione di Proudhon e di Giovanni Bovio è
l'attuazione generosa di un reggimento libertario. «Lo134 Stato
è sempre un peso immane: pure bisogna pagarlo alla Società col prezzo
del lavoro; come alla Natura si paga la Vita colla Morte. Da giovanotto fui
persuaso che bisogna rassegnarsi allo Stato come alle sepolture. Oggi è
sepoltura aperta che ammorba. E così in me si venne delineando il concetto
dello Stato, come un organismo in cui tanto scema il Governo, quanto di
autonomia acquista la persona. Un tale concetto, esplicato idirettamente,
tirava all'Ideale della Repubblica sociale. Se nello sgravarci di tutto
questo, però, noi non possiamo, nè potremmo, buttarlo giù ad un primo scrollo
di spalle, riduciamolo - dico io - secondo il disegno evolutivo della storia»;
però che questa si avvia all'Anarchia deliberatamente. Al maggior filosofo
italiano moderno può ben rispondere Carlo Dossi: «La Libertà135
consiste nel poter fare quanto si deve volere, e non nell'essere costretti a
far quanto non si può, nè deve. Ora, dato un Governo tutte le forme si valgono.
Quod interest quot domini sint? Servitus una est! Dato un governo, il
migliore è il meglio amministrato. Ed allora, noi sentiamo tutti i mali della
libertà perchè non la possediamo intiera».
L'osservazione critica si ripropone colla salacità fine e acuta,
col senso nascosto della pratica: lo sentiamo irridere alla religione dello
Stato, alle Religioni delle masse, alla Religione del Socialismo, alla
Religione del Papa; e però ci consiglia alla osservanza di un codice, di un
decalogo, di un rito, di un governo, contro cui si appunta e storce il suo Regno
dei Cieli, il Quinto Vangelo!
Torna egli all'errore? «Taci136, non insultare Natura, la
eternamente, la immoderatamente buona. Insieme alle lagrime ci ha dato il
sorriso; qui vive felicità...» Felicità nell'inganno? Necessità della menzogna
fiorita e dolce: perchè interromperà il sogno fatato delle Illusioni? Perchè,
«con una137 sfornata di ragioni semplici, evidenti, con una eloquenza,
tanto più insinuante quanto meno pontificale, darsi a scalzare la buona fede di
Pietro?» - «Che le aveva da sostituire il povero138 uomo?» Carlo Dossi
si ferma davanti alla verità che accieca, ma che non consola. «Abbiate pazienza139,
o Dei di seconda mano, miseri fabbricatorini di mondi contro natura; con
l'ignoranza non hanno mai valso i raziocinii della saggezza, nè varranno mai.
Di addurre al Vero la plebe, unica via, l'Errore». Sacrosanta Utilità
dell'Errore; formola sociale: disse Sinesio: «Conviene che le folle sappiano
quanto è proporzionato alle loro racchiuse intelligenze:» - E Varrone: «È
necessario che il popolo ignori molte cose vere e creda a molte false». - E:
Joseph de Maistre: «La folla comprende questi dogmi, quindi sono erronei; li
ama, ed allora sono pericolosi». - E Champfort: «Scommetto che ogni idea
pubblica è una consacrazione atavica di sciocchezze, poi che ha compiaciuto a
tante persone». - Ma per qual ragione privarli del loro piacere? Loforte-Randi,
che è un razionalista, anch'egli fa parte all'errore e lo coonesta:
alessandrineggia da gramatico e da gesuita, ma ammette: «che la
folla140 creda ciò è un gran bene; essa supplisce, così, alla sua
fatale ignoranza, con un atto di fede, rimettendosi, in ogni cosa, a colui che
- come essa crede - sa tutto e può far tutto;» ed invidia I poveri di
spirito, perchè «gli atei, i quali141 hanno la fortuna - o la
disgrazia - di non farsi abbrutire dal bestiale materialismo (e sono gli atei solitari
alla Shelley ed alla Nietzsche) sono degli infelici paragonabili a coloro, che,
un giorno ricchissimi, sono tormentati dal ricordo della ricchezza
irreparabilmente perduta». Per ciò, Carlo Dossi predica la pratica del Bene
per l'Utile; e, non ricorrendo più alle illusioni religiose, alle
speranze della fede, alli entusiaismi del sacrificio, va diritto al senso
logico dell'egoismo, che per convenienza, conserva e riconsacra la
religione. Il circolo si chiude: nuova interpretazione, antichissimi fatti
positivi a persistere; Gaetano Negri sbircia malizioso dalle persiane
socchiuse.
Gaetano Negri, che si nasconde; un filosofo anch'esso anarchico,
perchè egotista ed autoritario, che impropriamente si cammuffò da conservatore,
gesuita di altissimo garbo moderno, che assunse il servizio, per meglio
dominare, anche del clericalismo, questa volta servo-padrone nel reggimento del
ducato di Milano, oggi Consiglio Comunale di Paneropoli: ma fu raté,
perchè non ebbe il coraggio delle proprie opinioni. Gaetano Negri, non beneviso
a Carlo Dossi, che, se ammette necessaria una religione positiva nel
compromesso sociale chiamato Stato - vedemmo in qual conto lo tenesse, - la
considera colla mirabile impudenza d'affermare: «Manzoni142 ostenta di
aver fede; Rovani di non averne: Dossi ne piglia quando gli occorra di far
degli effetti e quando gli accomoda: ma nessuno dei tre ne ha». - Perchè:
«Data143 una religione, la migliore, secondo me, è quella in cui l'altro
mondo meglio giova alla felicità di questo» Il tema è tuttora l'utilità;
il modo di svolgerlo uno scetticismo, che si esaspera cinicamente.
Ond'io non lo seguo e vado lealmente colla serena e nobile
franchezza del Renan: «La144 nostra base consiste in ciò: bisogna agire
come se la vita futura non ci fosse, sia che essa esista, o no. Predicare al
popolo la non-vita futura, vuol dire rendergli un servigio; perchè è lo
stesso che eccitarlo a compiere uno sforzo nel presente. Predicargli la vita
futura, significa addormentarlo e forse truffarlo, facendogli perdere tutto per
indurlo a correre dietro una chimera». Ed «io dico145, che quando uno
scettico somministra al povero il dogma consolatore senza credervi, al
solo scopo di tenerlo tranquillo, egli fa opera di scroccone, pagando in biglietti,
ch'egli sa falsi, la buona fede e la miseria altrui. La preoccupazione
della vita futura è nociva alla umanità; nè ci si deve affidar troppo
all'apostolato del prete nei giorni della paura. Perchè creda il popolo, e credano
le classi dominanti; ma queste credono, o fingono, o s'illudono di credere
solamente nei giorni pericolosi al loro dominio. Singolari cristiani questi
forzati dal terrore! Al primo sole della tranquillità, ritornano increduli:
Voltaire può venir cacciato dalla loro biblioteca, ma non dalla loro memoria.
Così, se costoro mantengono una parte dell'umanità nelle barbarie, per
dominarla e sfruttarla, fanno opera pericolosa ed immorale. Bisogna dare a
ciascuno un posto nel banchetto reale della vita». L'anarchia di Carlo Dossi
non se ne preoccupa, perchè è comunque, ed in ogni regime, liberissima anche
nel libito, ed il suo esercizio è incondizionato con qualunque professione di
fede? Non so: egli desidera che i propri fratelli siano armoniosamente in pace
con loro stessi nella supposizione dì essere felici, l'unica vera
felicità: la religione li può aiutare, in questo dunque giova. E che più?
«Imaginiamo per rinnovarci il coraggio di vivere!» A qualche cosa
serva anche l'inutile ricchezza della poesia e del sogno, a popolare il deserto
della morte coll'al-di-là» a soggiungere ragione di governo colla pompa e le
menzogne pietose delle religioni: «L'illusione146, l'errore
necessario, è perciò il profumo più squisito della vita!».
Diplomaticamente De Maistre l'aveva già ammesso e Carlo Dossi gli
si apparenta più che non a Manzoni, come meglio a Nietzsche che non a Rosseau.
E pure, quanti ascosi legami, quante secrete intelligenze allacciano Nietzsche
a De Maistre, - Rousseau a Manzoni! De Maistre, che considerava il catolicismo
ragion sociale, sorride alle ingenuità di Manzoni, che lo attesta ragion
morale: il Dossi può proclamarlo religione positiva, utile, il giorno in
cui può giovarle al nostro interesse quando, comunque, ci allontana da un
pericolo, ci consiglia su quanto ne nuoce, ci propone ciò che può aumentare la
nostra felicità. Onde, chi sgorgò da viva fonte manzoniana e percorse un lungo
cammino tra bronchi, sassi, cascate, paludi e calmi laghetti ornamentali, pur
contrastando alla Morale Cattolica, la ripropone per convenienza;
e dopo maturo esame, può aver motivi di credere: «Manzoni147, come ogni
grande humorista, è scettico. Non si guardi alla esterna fisionomia dei
Promessi Sposi. Dentro in vece. E Manzoni non crede; ma il suo scetticismo è
vestito di fede; e ciò l'introduce, sotto mentite spoglie, nel campo
avversario: Rovani pure non crede; ma ostenta la sua incredulità a volto
aperto, e forza il nemico d'assalto». E Carlo Dossi? - L'ho sorpreso qualche
volta con questa frase sulle labra: «Credo a questo mondo!» E nella efficacia
dielle sue religioni positive?
L'Utile accetta, dall'entusiasmo, l'ascetismo: integrativo e
sperimentale, fa dalla metafisica sentimentale e dai logaritmi della
imaginazione, dalli eccessi dell'isterismo e dalla forza d'inerzia della folla
ignorante, un altro serbatojo di energia. L'Utile non può trascurare l'impulso
collettivo ed operante della suggestione, come preghiera, come superstizione;
non può lasciar da parte la massa di forze vive che si spostano da una
comunione di credenti, dall'esorcismo rituale e condecorato, da tutti li
incentivi erotici, profumi, colori, luci, suoni, contatti, commistioni d'alito,
di abiti, di carni: non può non impiegare la potenza divulgatrice ed eccitante
delle processioni e de' trionfi, delle tensioni nervose dell'aspettare, della
vibrazione molecolare dell'aria per le grida, le orchestre, i cori squillanti.
Freme la folla; aspetta la celebrazione di un mistero, l'avvento di un
miracolo, di una grazia, di una cosa non mai prima occorsa: ed il fluido si
riversa a fiotti; penetra ognuno ed ogni cosa; opera le trasmutazioni, si fissa
in visioni, in allucinazioni, parla parole misteriose, apre la bocca ai muti,
li occhi ai ciechi, i sessi alle infeconde; risana, ristora, converte, domina,
feminilità radioattiva e passionale erotta e respirata, taumaturga,
nell'atmosfera. L'Utile non ripudia Lourdes, le guarigioni, che Charcot
dimostra colla scienza, nel suo laboratorio. L'Utile esprime le sue mille virtù
dalle Lettres de Malésie, quando Paul Adam si induce mitografo e
riassume, sotto la simbologia cattolica, il culto della Ragione e della
Scienza; lascia ai miti la loro poetica potestà, li aumenta d'esoteriche
funzioni, li espone, con isfarzo di teorie e di lustrazioni, alla saggezza del
popolo nuovo; ma riserba, come i sacerdoti egizii e le gerusie di Eleusi, alla
dottrina ermetica delli iniziati, il senso nascosto delle verità assolute, che
dichiarano, per gesti ed attributi, le bellissime iconi, che declamano, con
divine maestà di sinfonie e di poemi, le tragedie, sacre commemorazioni della
storia, dei conflitti, della gioja e delle vittorie della Terra e delli Uomini,
nello svolgersi delle epoche e nelle successive conquiste dell'Utile
sopra la brutalità della materia e de' semplici istinti animali.
Per questo motivo, Il Regno dei Cieli racchiude una parola
di più ed un concetto maggiore di quanto La Morale Cattolica non abbia
esposto: dall'Utile, combattuto e rifiutato da Manzoni, Carlo Dossi ha estratto
un principio morale e sociale a cui Manzoni non arrivò. Inalza prezzo e bontà
alla vita, mandata in discredito dal pessimismo leopardiano, dal sarcasmo
schopenhauriano, restituisce santità alla missione dell'onesto, poesia al
lavoro: non toglie la fede a chi crede, le consolazioni ideali e verbali a chi
prega, le speranze dell'al di là a chi le brama, e senza delle quali non
saprebbe esistere; ma tutti inchina ad adorare Dio anche nel prossimo loro.
Egli confida nella Natura; col suo esempio e patrocinio, risponde allo
sconforto; benedice anche il vizio, perchè necessario ed in tal modo che
nessuna forma di governo, nemmeno la imaginaria repubblica aurea di Platone, ha
saputo estirparlo. Egli, forse, sognava ancora, se vien desto: «La148
mia soave fanciulla, sedutami a fianco, dicea: Che fai tu all'oscuro? - E con
un bacio; mi rischiarò».
E però, dal delitto, fa sorgere novella Roma.
La clemenza di un principe dotto ed umanista, nutrito di Enciclopedia,
innamorato delle teorie di Tomaso Moro e del Contratto di Gian Giacomo, concede
a una torma di delinquenti, rei di delitto capitale, vita e libertà; la deporta
in un'isola sperduta dell'Oceano. Colà, tiepidezza di clima, suolo pingue,
fortunatissima stagione, costante salubrità d'arìa, protezione di foreste e di
fauna pacifica, favore di Natura li conservano: munificenza reale li dota
d'armi a difesa e ad offesa di quella vita, cui la legge della madre patria
rifiutò di privarli, abbandonandoli, alla loro coscienza ed al loro arbitrio,
per ridiventare, in caccia di loro stessi e de' loro istinti, nella troglodita
anarchia, vindici e protettori del proprio egoismo limitato ed aggredito
dall'egoismo altrui.
Liberi, le armi in pugno, delinquenti, senza legge, monade prima
della società civile, quaranta tra uomini e donne stanno dissoluti e diserti
dalla comune patria sopra la spiaggia, in faccia al mare, dopo la lettura della
sentenza che ve li inchioda e che li abbandona alla implacabile coscienza:
passano, in cospetto del suolo ignoto, rassegna omerica. Il maggiore e più
forte si avanza; pretende, soggioga, domina «Ex ferocibus universis singuli
metu suo, obedientes fuere».
Ed è Gualdo-beccajo. Rex o Konig, la violenza;
biondiccio, membruto, occhi chiari, asciutto, barbaro primordiale, il brigante.
Incontra tra le peccatrici, Nera bellissima; la sotto pone, la avvince a sè col
prestigio de' suoi muscoli, colla fiamma della sua lussuria; Nera, bruna,
magra, vibrante, oratrice d'insolenze e bestemie, trombettante strida acute,
l'impulsiva. La coppia aristocratica si fonde, la cellula della famiglia
tipica, progenitrice di dinastia, funziona.
Ma Aronne, letterato, debole di corpo, ricchissimo di mente, Vate
o Pontifex, faina e volpe, il detentore delle parole, il fraudolento,
colui che sa commuovere e convincere, che sa creare, dal nulla, cose col verbo,
che dà anima ed azione alle idee, il depositario della scienza, che, in quella
solitudine oceanica, appare rivelata, perchè nessuna contiguità di continente e
d'uomini influisce sopra l'isola della deportazione; l'osteggia; si oppone a Gualdo,
pretende e pretesta la sua ragion psichica, domanda superiorità nel comando.
I più deliberati, li assassini, i sanguigni seguono la fazione
militare; i più pacifici, i cabalatori, i nervosi sostengono il geronte.
S'azzuffano, Ghibellini e Guelfi; il Dispotismo e la Teocrazia si rimettono di
fronte; incominciano l'evo di Mezzo di ogni storia universale; provano le loro
forze, prima di fondersi, di costruire, sopra i due pernii essenziali, una
patria; Diritto e Forza, Cervello e Muscolo, lo Stato integrale.
Il figlio nato dalla coppia regia, da Gualdo e dalla Nera,
l'indice vivo della fecondità, della stirpe che si infutura, della posterità
che appare, accelera la pace tra le due parti; la giurano. Leggi si informano,
preste ed esecutive costituzioni. Aronne le detta; Gualdo le fa eseguire: il Rex
ritorna braccio armato del Pontifex; il Cervello, il Diritto si valgono
dei Muscoli e della Forza: «Se il149 pugno io l'ho forte, - Gualdo
oppose, - debole è il capo. Io non potrei che farmi accoppare. Troppo mi sento
ignorante di una ignoranza a cui non c'è pezza. Il mio braccio ha bisogno di
testa. Ecco la testa! - e additò il Letterato». Per cui si instaura la
diarchia, la antichissima diarchia romana, che i sette re di Tito Livio fa
quattordici; che sussiste colla Repubblica ne' due Consoli; che appare nelle
istituzioni civili e militari, concomitando all'unico scopo della grandezza
romana. - Ne sdegna le leggi Mario, il Nebbioso: elegge esilio, il cammino de'
boschi e della miserrima libertà delle fiere; Mario bello, giovane, forte,
generoso ed intelligente, il dissidente, il refrattario; un'altra nuova potestà
umana, la coscienza del proprio individualismo idealista. Ma amore lo
ricondurrà alla comunione.
«Et Venerem sensere lupae, sensere leaene».
L'albore, in cui si annega il crepuscolo delle anime terrose e
scabre e della informe coscienza umana, nella crisi tormentosa di voler essere
di più; la pallida luce, in cui l'uomo ridiventa individuo, accetta e
consiglia leggi, si fa cittadino, balenando, si affaccia colla seconda
generazione: amore, incondizionatamente, fa il miracolo. Forestina nata da
Gualdo, e sopravissuta nella nascita, alla Nera, che moriva nell'esporla;
Forestina riallaccia la cretura alla natura, il finito all'infinito, ridona esistenza
al sentimento, alla fede, determina la religione naturale, difesa preziosa per
le anime sensibili e passionate. - Nelle pure viscere della verginità impubere,
il bisogno di confidarsi fa scoprire a Forestina la prima preghiera alla
divinità. Carlo Dossi trova, per le sue labra commosse, una nuovissima Ave
Maria panteista; la preghiera scorre soave e maestosa, battuta sopra, un
endecasillabo scolto di foscoliana venustà, nascosto nella piana tipografia di
una prosa, che male inganna li orecchi esercitati al verso:
«O Madre, o Madre, dalle tue profonde
viscere, alziamo lamentosi il canto.
Tu, spento sole, con feconda morte
anima e forma a noi susciti e cibi.
E noi, tuoi vermi..........»
Così io leggo e declamo il cantico classico e razionalista: altri
scanda, se può, diversamente
Ma, nelle pure viscere della verginità pubere, scocca l'amore
scintille ed accende. Ed è Mario reietto; colui, che, dopo le vicende d'odio e
d'angoscia, dopo il sangue versato, dopo il rinnovarsi del mito di Elena, senza
rovina d'Ilio e della favola dei Promessi Sposi, senza l'intervento del
Cardinal Federigo e di Fra Cristoforo, ritorna alli uomini, dai boschi e dalle
selve. Consacransi li sponsali tra la cannonata benaugurosa della nave, che
arreca, dalla madre patria, l'assunzione de' deportati a cittadini,
affermandoli redenti e utili. «Egri150 eravate - interruppe il silenzio
la voce del capitano, leggendo - non vi spegnemmo, guariste. Da ogni Vizio,
Virtù. Roma, covo prisco di ladri, diventò nido di Eroi: siate Roma!».
Il nocciolo latino, fondamentale, un'altra volta appariva, anima
indimenticabile, nell'innesto barbarico, che, chiaramente aveva inlievitato il
racconto da Rousseau a Victor Hugo; felicissima integrazione. La Colonia Felice
incomincia dove termina il romanzo intitolato La Colonia Felice.
Carlo Dossi può, com'egli crede, condannare, nella Diffida,
che precede la quarta edizione del 1883, La Colonia Felice.
Corroborato dall'arida efficacia del vero, dalla dura esperienza, che vorrebbe
cancellati li ultimi fantasimi delle nebulosità ottimìste, azzurro-rosei, sotto
il nero-fumo del sopravenuto pessimismo, sconfessa, per ragioni scientifiche e
pur lombrosiane, il concetto del suo lavoro, non ne accoglie la forma,
sembrandogli lo stile troppo latineggiante e la concezione di romanzo storico
impropria. S'egli desiderò ripetere la piacevolezza di Manzoni sul Romanzo
storico, non so: comprendo invece lo scrupolo della sua sincerità, che gli
fa preferire la verità del suo momento del 1883 all'altra iniziale del
1874. Comunque, egli aveva fatto onore alla sua antica divisa:
«Tuttavia151 ai presentì miei occhi (i quali non sono gli stessi di
jeri e non saranno que' di domani)», predisposta nella prima giovanezza
letteraria: e per ciò li occhi suoi del 1883 videro in modo specialissimo; se,
per due altre e successive ristampe, quel suo lavoro apparve ma non sbandierò Diffida
in sulle prime pagine. - Io pure la trascuro.
Ora, qualunque sia l'apprezzamento, che, delle sue proprie idee
oggi faccia Carlo Dossi, non vorrò dimenticare che La Colonia Felice
venne di quel tempo, e, per discussioni legislative, citata più volte nelle
Camere italiane a sostegno della abolizione della pena di morte e della
istituzione di una colonia penitenziaria; sì che la salace arguzia di Cesare
Correnti, scrivendone all'autore, trovava modo di pungere: «Voi
vorreste152 che io, affogato, come sono, negli zeri, vi scrivessi
qualche cosa del Regno dei Cieli e della Colonia Felice? Ieri, il
Senato votò confermata la pena di morte. Domani, la rivoterà anche la Camera
dei Deputati. Lasciatemi dunque ripigliare la marra e continuar a dirompere
codesti sassi. È una brutta conclusione di vita, dopo essere riuscito a fare
(scusatemi, volevo dire a vedere) una rivoluzione poetica, terminare vecchio e
cieco a voltar una macina di mulino. Dio, che non è sordo, nè muto, ma ha
orecchi e lingua nel vostro cuore, vi conservi giovane e buono anche quando
vorreste essere matto». Magnifica patente di genialissima inattuabilità, per la
quale chi ha scritto La Colonia può essere sicuro di aver torto per
molto tempo, ma di sopravivere alli errori de' plurimi, che sembrano aver
sempre ragione. Intanto Giosuè Carducci gli faceva sapere: «Ho
ricevuto153 e letto tutto di un fiato il suo libro. È una rappresentazione
potente, a momenti sbalordisce. Meglio, molto meglio dell'Alberto Pisani,
ultimo libro suo a me conosciuto. Ma mi bisogna rileggere attento e calmo. Dopo
che, le dirò, con più coscienza, che me ne pare. In tanto, salvo alcune
manierature, ne sono innamorato».
Precisamente, a riprova, e ne estraggo dal mazzo una per tutte,
ecco, la154 Rivista Europea, che riassume lo spirito del tempo e
della gazzetteria in ispiccia forma sintetica: e gli faceva subito sapere: «La facoltà
inventiva, che non gli manca, l'immaginazione vivace, gli studi meglio diretti
volga il Dossi a scrivere popolarmente, e, dal suo ingegno, poichè supponiamo
che il vizio preso non sia in lui inveterato, si possono ancora attendere bei
frutti; s'egli proseguirà, invece, nella malaugurata via per cui si è messo,
per quanto amico devoto orni di splendida veste i suoi libri, questi saranno
nati morti, ed il nome del Dossi, o andrà intieramente perduto, o si citerà,
per ricordarsi che visse, a Milano, un giovine ingegno, che concepi il pazzo
disegno di creare, in Italia, una nuova lingua furbesca, ch'egli e il suo amico
Perelli erano i soli ad intendere e ad ammirare». Per cui, le veniva subito
risposto:
«Critico mio,
«Quand un tête et un livre
Viennent à se
heurter,
Et que cela sonne
creux,
A qui en est la
faute:
De la tète ou du
livre?»
Conoscete questi versi? Pare di no. Li capite? Capiteli pure senza
ritegno, che non son miei, nè nuovi. Del resto, io vi offro
sinceramente la mano. Ho pochi anni, ma bastante esperienza per sapere, che,
dal nemico, il più cieco, cavasi spesso l'avvedutissimo amico. E, se voi non
siete ancor mio, io mi dico già il vostro Dossi»155.
Per me, Regno de' Cieli è l'inno orfico, Colonia Felice
l'epopea, nel complesso dell'opera sua. Lo stile vi si appiana, si distende;
smaglia de' suoi colori più belli; riflette, in limpido specchio, l'anima
dell'autore, le sue imagini, l'espressione delle cose, la fisionomia delle
persone. Non è più il torrente fragoroso e rabbioso, mal contenuto nelle ispide
sponde, aspre di scogli su cui raschia, acciottola, schiumeggia e strepita in
cascate subitanee, sotto le quali si nasconde, ipogeo, per tornare a rivedere
il cielo, umiliato, per rigonfiarsi, con mille aspetti che imbarazzano, impreveduti,
strani: è il lago maestoso, tra ripe lontanissime; si intumida; ha un ritmo
seguito; le sue onde, infrangendosi sulla ghiaja della spiaggia, cantano le
strofe isocrone di una canzone prosodica di accentate e prestabilite misure, di
rime in risposta e ricchissime. Alli albori delle Odi barbare, Carlo
Dossi volle sfoggiare la maestosa fluenza del suo Carmen solutum; le due
espressioni della genialità italiana si trovavano, anche qui, a corrispondersi
ed a valersi, per necessità di momento sociale ed estetico, corroborate dalla
stessa romanità. In Dossi, appariva meno evidente, ma più assimilata,
ridivenuta muscolo alla sua prosa: in Carducci, sfolgorava da tutta la
massiccia ostentazione della sua sintassi oraziana, dalla sua purezza
ciceroniana; ma erotta, dopo un XX settembre di savoina ed indifferente
occupazione, per cui l'Urbe non divenne laica, suonava una poesia ibrida e
pretenziosa. Le glorie e li eroi, ch'egli evocava, s'imbrunivano, inumiditi
«nella nebbia del tempo, inattuali e lontani: ancora amordi patria, rifugiarsi
nel passato ed illudersi di accendere, a que' morti soli, il secolo: ma
riflessione acuta e preveggente, succhiare e spremere il midollo intimo de'
fasti e delle bellezze nostre, per saper porgere al piccolo contemporaneo, col miele
della magniloquenza, l'assenzio dell'ironia: ecco, definire l'opera di Carlo
Dossi.
Donde la sua ragion pratica viene insemprandosi con alto timbro
speciale di prerogative costanti e perpetue. E, quando l'antropologia criminale
lombrosiana invernicia il romanticismo ideologico di Rousseau, ne risulta La
Colonia Felice; quando l'humorisino predominante viene a contatto colle
vigilie armate e le ideali esaltazioni socialiste, sboccia Il Regno dei
Cieli: il misantropo si fa filantropo. - La Colonia Felice è una
riprova: induziona il principio di una civiltà con quella esperienza, per la
quale Condillac perfece, viva, la Statua. A gradi, a gradi, dimostrò
come, sotto la spinta della necessità, l'uomo si migliori. E davanti alla
confusione filosofica del secolo, conseguenza del sistema hegeliano,
contemporaneo di Spencer, egli ha proposto una intuizione, che, per le sue
applicazioni, potrebbe assumere il valore di quella di Lamarck, precursore di
Darwin nel determinare i principi della evoluzione in serie di costanza.
Eccone i Personaggi, avvicendati sopra l'isola ad informare
simboli, a contenere, nell'albume maligno, il rosso embrione delli organi utili
e buoni; dai quali si svolgeranno, necessariamente, le funzioni attive e le
attribuzioni effettive disposte, per la divisione naturale del lavoro, in ogni
aggregato d'uomini in lotta, per riaffermarsi e ricomporsi in clan, in nazione.
Dall'atto riprovato dalla legge e dalla legge morale, sorge l'applicazione
esatta di un valore, il quale, rivolto al governo di un popolo, l'avvia al
miglioramento. Il gesto singolo differenzia l'individuo; tutti li individui
concorrono ai diversi poteri di cui sono capaci: in questo modo l'egoismo si
conserva e prospera; s'aumenta con lui la solidarietà delli egoismi, sin che
raggiunga la più estesa espressione nella carità beneficente, senza sottintesi
d'amore, di gloria, di paradiso, per il bisogno di espandersi, rimunerando sè
stessa a profitto d'altrui.
Nobili ed immortali tempre d'artisti e di filosofi intesero a
ricercare ciò che saranno per essere li uomini se potessero essere più saggi.
Platone ha la sua Repubblica d'oro; Tomaso Moro, martire inglese, l'Utopia;
Campanella, monaco cosentino, sfuggito al supplizio, ma non alle carceri
napoletane, La Città del Sole; Fénelon, che retrocede, avvia Telemaco a
Salento; Cabet, che galloppa avanti, vola in Icaria; un sognatore, il
d'Ussières, uscito dal grembo della rivoluzione, rinnova Cyrus et Milto,
sulla ragione delli Illuminati di Martinez de Pasqually e di Weischaupt,
specchio del civismo giacobino; Paul Adam ripropone la sua maraviglia nelle Lettres
de la Malésie, dov'egli si instaura Solone, Pericle, Omero e Fidia con
sacerdozio di pace, di guerra, di pompe, di vittorie, di amori e di funebri. Il
gufo parigino Sebastiano Mercier, destina le sue imaginazioni socialiste a L'An
deux mille quatte cent quarante, Réve s'il en fut jamais; lo ringiovanisce
e lo plagia il Bellamy: Nell'anno 2000; William Morris discopre una
nuova Atlantide, e sopra fabrica ed instaura armoniosamente, le cimmerie
Città della sua speranza; Camille Mauclair, confidando nelle umanità a venire,
legge nei secoli futuri, la vittoriosa difesa dell'Europa insindacalizzata
contro l'Asia musulmana; Anatole France, che ha voluto insegnarmi, ma non a
digiuno, questa enumerazione, sfoggia l'ironico sogno di Sur la Pierre
Blanche, dove il suo paradiso comunista protende le ali della felicità, ma
dove la felicità è troppo consuetudinaria e non consente alla noja del vivere,
rincontro dell'impreveduto, la razzata di smeraldo e di porpora del fortuito.
Perchè, se l'umanità muta di poco nell'epoche e le togliete anche ed ahimè! il
mistero, il pericolo, la paura, il sospetto, la necessità, il desiderio
degenerata, sì annullerà ad un tratto con la bellezza, la bontà e la ragione
della vita stessa.
Carlo Dossi lasciò da parte l'interrogazione: che cosa saremo
domani? per raccontarci le origini; e, quando dalla scienza nuova, Zola estrae
un romanzo di mostri, La Bête humaine, in cui la visione bovina dei
fenomeni assume l'orrore delle allucinazioni deliranti, Carlo Dossi eleva un
poema di naturale eroismo.
Regno dei Cieli, Colonia Felice,
rappresentano, in estetica, un momento italiano di scientifico ed esatto
positivismo, serenamente severo, vi è espresso l'ottimismo, determinista, colla
fede nella perfettibile continuità, nel fatale andare dell'Uomo, verso Dio, per
Dio divenire. Consacrano, nell'arte, la massima scoperta del XIX secolo, la
legge divulgata ed assodata della evoluzione.
Dal mito poetico, dalla imagine filosofica, dal comma e dalla
proposta ellenicamente colorita d'Anassimandro, d'Empedocle, di Democrito, che
avevano intravisto l'unità della natura nella pluralità dei mondi, forza e
materia in azione e tangibili, ed il concetto che tutti li organismi derivano
da un solo o da pochissimi stipiti primogenii; sorgeva, in sul principio del
1800 e prendeva luce chiarissima, il fondamento razionale dell'evoluzione,
sotto cui le belle poesie del dogma e d'ogni altra mitologica teogonia,
cessavano di apparire, anche per la morale, verità rivelate. Per lungo spazio
d'evi, la virtù della Indagine scientifica aveva sonnecchiato dentro le ceneri
dell'ignoranza: la Genesi, sopportata e divisa dal Dimonio e dal Dio, aveva
dettato il suo insegnamento, ne varietur. Tutto il Medio-Evo fu la lotta
nascosta tra verità latina ed errore orientale; finchè la Rinascenza diede
passo alle Divinità, restituiti simboli, non esseri resuscitati.
Copernico, Galileo, col tentando e ritentando, riaprirono
le vie generose alla coscienza ed al rinnovamento scientifico del mondo;
Laplace, dalla sua nebulosi, determinò l'origine de' sistemi solari; Lamarck,
Saint-Hilare, Darwin trovarono che tutti li esseri viventi hanno origini
comuni, che la vita delle piante e delli animali si svolge, da forme cellulari
microorganiche, sino a raggiungere la complessa semplicità dell'uomo; in cui si
assumono tutte le leggi della fisica, della chimica, della mecanica, donde
gesto, volontà e pensiero sono il risultato di operazioni controllabili
metodicamente e producono, similmente, reazioni al loro riflesso. - Venne
Gorini, ed apprestò le sue scoperte, le sue pubbliche esperienze, auspice la Società
del Pensiero; e dimostrò la teoria dei vulcani, le spontanee generazioni,
le determinazioni evolutive. Venne Lombroso; e risalì a nostra dottrina
autoctona, attinse alle fonti di Pitagora, discese per Gian Battista Vico, per
Filangeri, pei Verri, per Romagnosi; si alleò al portato sperimentale di Darwin
e di Spencer, colla selezione naturale, l'elezione sessuale, l'adattamento
all'ambiente, la lotta per la vita, necessità per cui si trasformano e pure
permangono li organismi: affermò, così, per opposto motivo, l'involuzione e,
l'arresto di crescita, la stasi degenerativa, i fenomeni morbosi psichici e
regressi di alcuni esemplari umani; fece parte, nella follia, al genio.
Egli aveva fondato la scuola scientifica del diritto: se
l'antropologia criminale toglieva l'uomo dall'assurdo di un peccato originale,
dalla crudeltà di una deliberata malvagità, gli assegnava una malattia,
sostituiva, ad una colpa, l'immeritato destino del delinquere; chiamò, in
parte, responsabile la società di molti delitti individuali, che
scomparirebbero, se li organi dello stato volessero difendere e premunire,
nella corsa del vivere e del meglio vivere, li individui soggetti alla loro
tutela e trascurati per l'imperio delli antichi pregiudizii e privilegi,
condannandoli ad essere li insufficienti abbandonati senza ajuto a migliorarsi.
A che il castigo ultimo e definitivo che sopprime? Perchè diffidare della
concreta virtù naturale, dell'istintivo principio che ci avvia, per l'utile, al
meglio, e richiamar la legge grettamente sul fatto e là colpire a morte, quando
il delitto capitale? - Anche la predicazione cristiana aveva fatto suo cardine del:
«Viva e si converta!» Perchè, li ergastoli non avrebbro potuto
tramutarsi in manicomii criminali, dove la esperienza e le cure avrebbero agito
a salvare delinquenti, redimendoli? Perchè, se tutto è un cerchio chiuso e non
sappiamo distinguere dove termini la materia e dove incomincia la forza, dove
l'Uomo, per dar luogo a Dio, si dovrebbe dubitare della continuità delle leggi
nel campo morale, dalla selezione fisica alla metamorfosi delli istinti,
rivissuti come anomalie crudeli, sanguinose, cleptomane, bugiarde, depravare
(tutti modi primordiali di difesa del troglodita, esposto ai pericoli del
cielo, della terra, delli animali e del proprio fratello); perchè le bestialità
non potrebbero svolgersi in virtù coscienti ed operanti, per l'utile, al benessere?
Li atavici, che rispecchiano le forme morbose della razza de' loro
progenitori, si trasformano; una moralità superiore si evolve, per affrancar
meglio la vita dell'individuo; si insempra, colla autonoma espulsione del male,
la durata della specie. L'energia di costanza del Bergson riprova l'esattezza
delle leggi evolutive: il regresso scompare; l'individuo si assetta in vista
del futuro; il delinquente passivo e pericoloso, si tramuta nel cittadino per
la grandezza della patria, per la gloria di sè stesso.
L'arte accorre a condecorar di bellezza la ragione scientifica
della legge biologica; foggia i simboli umanati ed in azione del più grande
poema di vita cosmica, - L'Esistenza umana; fa del mistero un drama, lo
recita; dà alli uomini la percezione tangibile delle proprie origini e della
propria destinazione. Ciò ha fatto Carlo Dossi, colla Colonia Felice: la
mia lirica gli si mette al pari:
«Natura accoglie secreti avvolgimenti,
Forme protende e le conserva:
erompon, dal grembo materno, infinite
varietà di gioire e di sofrire.
Le Essenze prime sfoggiano onnipotenza,
sono le Allegorie personale a popolar la Terra.
Dai più brevi cristalli, al cervello del genio,
una legge presiede e comporta
questa continua trasformazione
dall'elettrone all'uomo.
Dal lampo che abbaglia alla fiamma del ceppo,
dal rombo del tuono al canto delli uccelli,
dalla Vita alla Morte, e fin dentro la tomba,
una legge presiede, completa, rinnova
il moro indefinito della Costanza e lo prova.
Tal cade una pietra spontanea da un monte;
vorticano, così, nell'orbite stellari
in armonia le Sfere e si compensano.
Fede nuova ridesta d'esultanza;
credi e confessa divinità la Vita.
Ama sempre ed ancora,
approssima il futuro coll'amore:
questo è il grande lavoro
che incalza la speranza a concretarsi.
Sofri; sofrirè è bello con nobiltà serena:
in te si affisa, nel tuo dolore,
tutto il dolore del mondo;
se tu gridi di angoscia ciascuno risponde,
ciascuno è ferito,
il tuo pianto singhiozza e si confonde
colla pena di ognuno.
Tutto consente e ti protende
plurime grazie di compassione156».
Dio torna a sorridere dai millenni, dimenticatosi della crudeltà,
nel cuore dell'Uomo; s'Egli Lo venera adora logicamente Sè-Stesso nella sua
creativa potestà.
L'Iddio filosofico sorride anche a Carlo Dossi; gli apre il regno
dei cielì; gli appare, globo d'oro e di fuoco: quello che sembrava assente
della sua letteratura avvisò che sempre l'aveva protetta e stava per istaurarne
l'autore nuovo poeta di teogonia per l'Inno al Dio venturo. - Nel
concetto rientra la reversibilità dogmatica, come si presentano le limitazioni
ataviche e naturali testè scoperte dalla scienza. E chi assistè le prove di
laboratorio di Paolo Gorini, il quale fu demiurgo di mondi nella pentola
officinale e probatoria della chimica; quegli non dimette l'idea della
Divinità, Energia del Mondo. Perchè Carlo Dossi è un moralista: già disse Ugo
Lazzarini, nella sua Etica razionale: «Non v'ha morale senza Dio»; e si
può soggiungere: «Non vi ha artista ateo, nel senso della negazione,
perchè dovrebbe annullare sè stesso creatore per eccellenza».
In questo modo venne a riconoscere tutto: il Dio impersonato per
sè; la Religione positiva, cioè la procedura della legge morale in arresto per
chi teme l'al di là, custode preventiva e sociale, preventivo antiflogistico
per le crisi climateriche delle rivoluzioni; la Fede grande, che sa d'ogni cosa
e ne suppone le origini ed il fine, la Gnosi scientifica dei filosofi.
Così, evidentemente, sfuggì all'errore di Gaetano Negri, professore d'ateismo
tra li Academici, leader di salotto applaudito dal clericalume,
anarchico sbagliato nelle ricerche razionaliste sopra il fenomeno religioso,
reazionario parteggiante di stati d'assedio e di violente repressioni, davanti
alla rivolta di piazza, che, con lui, danneggia i suoi consorti; doppia figura
d'ibridismo cui il grande ingegno e la più grande abilità non seppero rifondere
in un tutto sincero ed unito. - Forse, a Carlo Dossi concorreranno postume
abdicazioni e postumi elogi anche da questa parte; ma, se potranno convenire ad
Alberto Pisani, col quale non concordo in tutto, non si rivolgeranno mai al suo
maggior fratello. Ora, se attenta alla libertà individuale, è pur santo che la
pietà muliebre e l'affetto famigliare impetrino suffragi plurimi per lui, già
rasserenato dal sicuro stoicismo. E però lo spirito determinista e positivo
della sua letteratura, l'anima del suo schietto idealismo filosofico e
scientifico non se ne sentiranno menomati: rimarranno pur sempre anticlericali,
e ciò è il pregio: hanno raggiunto l'Iddio, fuori ed oltre l'ufficiosità
turibolante d'ogni e qualunque pratica di setta, d'ogni e qualunque esorcismo
di prete, perchè ebbero da tempo, il concetto completo di fiamma e d'oro della
Divinità, eterna Energia del Mondo, quando scrisse: «Il Pensiero157
è Dio, perchè Lo comprende. Dio pensa Noi, quando Noi Lo pensiamo».
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