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Gian Pietro Lucini
L'ora topica di Carlo Dossi

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  • VI   «BASSE-COUR» - «TIERGARTEN» «GABINETTO ANATOMICO» E.... «GINECEO»
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VI

 

«BASSE-COUR» - «TIERGARTEN»

«GABINETTO ANATOMICO»

E.... «GINECEO»

 

Li occhi, accostumati a vedere le imagini virtuali, riflesse dalli specchi ortogonici ed academicamente levigati, secondo realtà, si atterriscono e riprovano le visioni singolari, che interpretano, dalla apparenza, le intime verità. Le accusano di deformare li aspetti, di non percepirli bene; accennano maligni e deplorevoli difetti nella composizione del cristallo, nella patina mercuriale della lastra. Ciò può essere esatto parlandosi di uno specchio reale, suppellettile domestica e consigliere di civetteria, non metaforicamente, di un cervello d'artista. L'espressione sua d'arte che accentua, aggiunge, scopre, è il risultato del veder meglio, è l'attestazione di una virtù rara, difficilmente conseguibile. Mettere a nudo le tare nascoste dello «istinto di perversità» - come le chiama Pöe - rifugiatesi ed avviluppate nelle pieghe prolisse e sotto la lucida vernice della convenzionale educazione del viver comune e solito; leggere, in lettere majuscole, i vizii appiattati nel profondo dell'animo umano; riproporre l'umanità, ne' suoi tipi esemplari, nella serie di un'altra zoologia, è rendere, colla fisionomia del proprio tempo, l'immutabile caratteristica delle forze umane, passioni, istinti, interessi, virtù; sviluppare, sul tono di una canzone estemporanea, il ritmo archetipo e millennario della razza e della stirpe. Significa, in altre parole, occuparsi di Morale.

L'Arte riguarda la Morale come un attributo dell'individuo; la accetta coefficiente allo studio di un problema, che giornalmente, la vita risolve e la biologia propone. L'Arte varia il suo intenderla, col variare delle epoche, dei costumi, col modificarsi della superficie sociale. Per l'Artista, studiar la Morale, significa divertirsi a mettere in esercizio le sue migliori facoltà, sollecitate a funzionare dalla successione de' fatti, delle persone, delle cose che va, a mano a mano, scoprendo e dettagliando. - Viene egli, in fatti, col suo corredo scientifico e filosofico, nei suoi viaggi per il mondo, a visitar le anime, e spesso trova delli istinti; a riconoscere delle umanità, e, molte volte, trova delle animalità.

Il mondo appare alla sua indagine od un cortiletto insiepato e campestre, dentro cui si rinchiudono, col pollame variopinto, piumato, rostrato, speronato, ancheggiante, gracchiante, stridulo, chicchireggiante, schiamazzante, i conigli timidissimi e lussuriosi, le cavie, soggetti vivi e sperimentali di infezioni e di colture microbiche e bacillari, le capre ed i caproni testardi e salaci, le pecore sudicie, popolate di aragnidi e di assilli, cieche d'imitazione, le vacche prolifiche e lattifere, mugolanti e stupide d'imbambolatura ascetica e fatalista, i porchetti rosei ed azzurrini, intrufolati nella melma del truogolo, divoratori delle proprie immondizie, feroci per golosità, dalli occhietti infossati nell'adipe e dallo sguardo bieco, sospettoso, salesiano.

Il mondo si svolge anche alla sua passeggiata più amenamente; appresta boschetti ed ombrie, piante esotiche, frondeggiar di palme, zagaglie lucide ed erette di banani, infiorescenze delicate e strane, ajuole di orchidee assessuate e mostruose, falliformi e vulvaperte; capanni accomodati per bestie rare: antilopi, muffloni, daini, cerbiatti, pachidermi di costo e d'importanza, elefante bianco o rinoceronte violetto del Nilo; la stragrande varietà più che socievole delle scimmie del Capo, della bertuccie, delle platarrine americane, a coda retrattile, ginnaste per eccellenza e per isfarzo funambolico, Wright delle foreste vergini, se, della appendice delle vertebre dorsali, si fanno propulsori forti e delicati per volare, senz'ale, da una pianta all'altra; uranghi di bell'aspetto civilizzato a salutare, a nascondere la vergogna perpetuamente stillando leucorrea; scimpanzè d'ultimo stile, onanisti in cospetto delle damine che li eccitano, mascherati, in faccia, di rosso e violetto, come il nicchio di un prelato delle camere vaticane e ripieni di dignità e di buon senso come un magistrato italiano. Vi sono anche delle gabbie conteste secondo i dettami dell'ultima igiene, con canaletti d'acqua scorrente, col becchime riposto nelle mangiatoie ad hoc, coi pioli disposti ed orientati secondo l'uso e il costume dei volatili che li abitano; colle leccornie a portata di becco. Qui, i pappagalli d'ogni clima e colore - se ne trovano sotto tutti i paralleli - dove la loro stupidità diventa impostura ed inframettenza, la loro chiacchiera naturale è purolento parlamentarismo, la loro schiamazzante vuotaggine, loquela meetingaia, il loro sgargiare di penne e d'albagia, virtù academica. Qui, anche i fagiani dorati, quelli d'Inghilterra, li altri del Giappone; della China, i galli rossi e neri di montagna e tirolesi; li uccelli, insomma, preziosi; caccia regale ed imbandigione di solito, alle mense meretricie, doni facili e niente costosi per le amanti delli uomini decorati ed impiegati nei mille ed uno offici della venaria, delle stalle, delle cucine, delle anticamere, delle alcove, del water-closet de' principi.

Il passeggiatore solitario e sentimentale tenta invano, di incontrarsi in un'aquila, in un leone: se ne trova le spoglie, vede la carcassa di quella, colle ali aperte, inchiodata a spauracchio in sull'architrave del castelletto di qualche miserabile Don Rodrigo da operetta: se si imbatte nella pelle fulva e riccioluta dell'altro, la sa impagliata, con due occhi di vetro dispajati e loschi colla cartilagine del muso incartapecorita dalli acidi, con l'odor di valonea della concia e di naftalina per proteggerla dalle tarme e dai tarli; la ammira domestico immobile per destinazione, guarda - portone e vedetta di un Museo, baraccone ambulante, di storia naturale per le fiere suburbane e stridule.

E bene; non è egli tra li uomini invece? Che cos'è questa trasformazione calunniosa, indecente, che qualche volta si giova delle parole scatologiche più vive e più indicative? Già: le imagini passano dallo staccio del cervello dell'operatore singolare; il quale ha la facoltà di depurarle, di naturalizzarle, di ridurle, da apparenti, vere. Quale delitto di lesa umanità avere dei reagenti interni e psichici per cui si scompongono le imitazioni, i fac-simili del vero uomo e vi fanno depositare tutta la pelle, la vernice, il lustro, il falso oro applicatovi non chimicamente, rimandandone nudo il nocciolo osseo, amaro, laido, la pasta fangosa della materia genuina! Vorrete voi incolpare a questa sua virtù il disordine della verità? A questo suo coraggio la scelleraggine di essere sincero? A questa sua sincerità il bisogno di essere sfacciata? A questa questa sua purezza il diritto di mostrarsi com'è cristallina ed intemerata? Chi mai ha osato imputare alla anatomia il logico processo di brancicare tra pezzi di cadaveri per studio? L'abilità di esporvi le proprie e nitide preparazioni? La giusta superbia di farvi ammirare il risultato di una difficile operazione? Ben venga il disegnatore necrofilo, che dettaglia e descrive le rigonfiature dei muscoli, il groviglio delle arterie, le molle in tensione dei tendini, l'armatura schietta delle ossa, i perni, le cerniere, le guaine, le membrane, le scanalature delle articolazioni, la ramificazione filiforme dei nervi e dei vasi motori, i meandri, i grafiti, i nielli damaschini di tutta l'innervatura, di tutta la capillare distribuzione, per cui ogni parte del corpo è nutrita e sente. Se ciò non basta, ajuti il plasmatore dei modelli di cera a ritrarre, dal vero e colli stessi colori, l'ascesso, la pustola, la fistola, il cancro imperiale e magnifico, le spondiliti, il rachitismo, i guasti epiteliari e le ulceri della sifilide, le necrosi dei lupus, le piaghe divoratrici della tabe, le obesità idropiche della elefantiasi, le contorsioni spasmodiche, le revulsioni, le slogature dell'epilessia, del tetano, dell'isterismo. Dipinti, disegni, statue di cera, preparati di carton-pierre, fotografie, cinematografi portino, in copia, i loro prodotti al Gabinetto anatomico.

Questo si annuncia, in sull'entrata, col buttafuori in livrea oscura e bottoni d'oro, cilindro e guanti; scosta cerimoniosamente la cortina dell'entrata, come un usciere ministeriale; si è assunto l'ufficio che le avvertenze e le prefazioni oneste fanno in sulla soglia dei libri. Chi se ne intimidisce, come coloro che hanno soggezione del preposto alla porta, stia fuori. La timidità, in questo caso, non è mai l'espressione rubiconda del pudore e della innocenza, ma il sospetto, ahimè, troppo fondato, di riconoscere, in qualche pezzo esposto, i sintomi, il colore, la deformazione malamente nascosta della propria malattia vergognosa: hanno paura di rivedersi al vero, di dimostrare, col loro imbarazzo, alli altri visitatori, la qualità del morbo, la specie della gangrena di cui sono affetti e vanno accusando giornalmente altrui, che non li ha di patirli cronicamente.

Chi vuol impedire a questo sfarzo di scienza, di abilità, di sicurezza il mettersi in vetrina. Quale la mano del veto che protenda un pennello intinto di nero fumo, per dar di frego ai disegni, per annullarli sotto tintura indelebile: «Voi non dovete dire; noi non vogliamo sapere! Vi manderemo la legge a inchiodarvi l'uscio, i gendarmi a rinchiudervi in muda: siete pericoloso». - «Baje! È la società pericolosa a sè stessa!». - Santa insistenza della sincerità! Come i barbari, come li anarchici che vedono rosso, li uomini dell'ordine, della legge, della bibbia, ricorrono al pugno; manu militari, apprestano la sanzione del loro privilegio, della loro povera e spaventata volontà «Silentium!» Sferra l'urto una catapulta contro lo strumento, l'apparecchio, lo specchio perfettissimo e fatato, che vede più di quanto non dovrebbe. Miracolo! Nell'infrangersi argentino e campanellante, sonoro e gajo come una risata di giovanetta, li specchi si moltiplicano; ogni pezzetto porta la sua immagine vergognosa; ogni scheggia riproduce li uomini d'ordine, di legge, di bibbia nelle loro più grottesche ed usuali abitudini; lo scandalo singolare si fa pubblico; tutti debbono rivedersi, messi alla berlina, che attira folla di motteggiatori e pur tra i beffeggiati. Baje! la violenza contro l'Arte aggiunge stipe secche alla bragia: divampa meglio la fiamma intorno, li Artisti cantano e danzano la canzone pirrica della rinnovata purificazione; quest'uomini dell'ordine inconsideratamente incediarii li divertono. Perchè, vedetene la contradizione:

«Quando80 alcuno, compreso da queste verità, sorge come Parini e Porta a dare la vera poesia civile contemporanea e topica; quando la applica alle tendenze pseudo-filantropiche, agli abusi, alle arti alle istituzioni libere; quando vi adombra alcuno de' vostri piccoli eroi, non quale se lo imagina il volgo, ma qual'è realmente: e tutto ciò con tocchi leggieri di gioconda ironia, colla bonarietà che si addice a questa ricca, grassa ed allegra Lombardia; allora, sapete che cosa succede? Dai più si ride, sì applaude, si vuole che si prosegua; ma nessuno francheggia il poeta di autorità e di protezione; ma tutti si ritirano in circolo a contemplare, sogghignando, l'assurda lotta di una povera penna isolata coi pregiudizii appoggiati alle casse d'oro. Poi si grida all'inquieto, all'accattabrighe, all'uomo pericoloso, all'imprudente che si compromette e si danneggia. In somma la stessa Civiltà s'impenna e si spaventa della troppa civiltà». - Povero Raiberti, del bel numero uno medico-poeta: la sua diagnosi torna attuale, come sulle bocche dei ben pensanti tornano le accuse: «Pericolosi, delinquenti!» Perchè? li Artisti di questa tempra non valgono assai più del borghese fabricatore di coperte di lana, di pezze di sete, di macinini da caffè e di rosarii, (che sono poi la stessa cosa) - di gingilli e di chincaglierie cavalleresche, di abluzionanti bidets e di confessionali, (che lavano il di dentro ed il di fuori meticolosamente bene) - che battono acciajo per sciabole, vanghe, schiumarole, coperchi, catene, chiavi, chiavette inglesi per casse-forti e per cinti di castità? Eh via! È dunque per questo che l'Artista è un farabutto, perchè vi dà come siete e vi ride in faccia, vi ha visto piccoli, deformi, pretenziosi, vili, sudici, lui, oh, quanto puro, oh, quanto bello, oh, quanto nobile, oh, quanto grande al vostro paragone!

S'egli poi discende nelle grotte ipogee, lubriche, che stillicidano, pullulanti di lombrici, viscide di serpentelli ciechi, imbarricate di spesse ragnatele, trascorse dal volo flacido, delle membrane luttuose dei pipistrelli; se si sprofonda nelle miniere inesauste della sessualità, in che modo dovrà chiamare la cameretta verginale della educanda, la camera nuziale, il letto della vedova, il giaciglio della serva, il covo della quadrantaria? Potrà sostituirvi altre parole più determinative, senza esserne indispettito e scontento? Simbolo, ritrova La Desinenza in A.

Ritratti? Si: sempre Ritratti umani. Vi ricordate ciò che lo scultore Rubeck dice a Maja nella calma e calda mattinata d'estate, sulla riva di un fiord norvegese, stazione balnearia, in mezzo al comfort di un albergo di prim'ordine, ricco di giardini vìridissimi e di fontane? Ibsen si sottintende dentro la maschera di Rubeck ultimo nell'Epilogo in tre atti: Quando noi ci ridesteremo di tra i morti: e confessa. «Altro vi ha dietro questi ritratti, a questi busti ch'io plasmo. Vi si trova alcun che di sospetto... qualche cosa vi si nasconde, vi si appiatta, ipocritamente, e che li altri uomini non accorgono. - Io solo lo vedo. E mi diverto secretamente. Già, per li altri, esteriormente, questi busti, queste plachette, questi bassorilievi posseggono quella assomiglianza evidentissima, per cui la folla fa le sue meraviglie, e ne resta intontita; ma là, in fondo, dentro, si dissimula, nel volto ora, un'onesta smorfia di cavallo in riposo, ora il muso di un asino restio, ora, un cranio di cane dalla fronte piatta, dalle orecchie penzoloni, ora un ghigno di porco in grassa, spesso, anche l'aspetto di un toro stupido e brutale. - Già; mia cara Maja, non altro di più semplicemente lo schema, la caricatura de' nostri buoni animali domestici, quelli che l'uomo ha sfigurato... e che, a loro volta, sfigurano il proprio padrone. Bah! sono appunto quest'opere subdole, sornione, che li ottimi borghesi ricchi vengono a chiedermi e pagano.... oh, ingenuamente, a peso doro. Già, ed io son felice».

Veramente, i grassi borghesi d'Italia non vennero mai in folla a comperare i loro propri Ritratti, che Carlo Dossi aveva loro preso sopra misura: egli è meno prudente dello scultore Rubeck; comunque non se ne duole ed è lieto del pari.

«Ma passiamo81, per ora nella galleria de' Ritratti umani, dove tutte si accumulano le nubi del cielo mio, dove i colori bui e l'aggrondatura predominano a simiglianza di quelle caliginose imagini di antenati che, nei palazzi patrizi, occhieggiano biechi i loro rachitici successori»; egli ci fa il cicerone delle tele esposte, ci racconta vita, morte e miracoli. Per questa volta essi sono nella categoria delli infusorii e dei parassiti sociali, di cui le lenti dell'interno e nascosto microscopio, han fermato, con sicurezza, il profilo; de' quali li organi di relazione e di digestione furono deliminati esattamente col loro ufficio, pompe aspiranti e lancette tricuspidate di mosche, di zanzare, di vespe, zanche dentate di scarafaggi, di coprobii e di coprofaghi, bisturi flebotomi di pulici, sesso generosamente prolifico di aragnidi capillari.

Eccovi i Lettori in varia categoria; quelli che pur trovano di poter spendere qualche lira, oltre alle cento che sprecano in guanti, in falso Champagne, in baci inverecondi; i lettori quasi analfabeti ma dotati di molte pretese legislative e no. - I Lettori misti spulcia-codici, puristi ed etimologisti, ed altra roba in cisti, umile come la coronata humilitas dei Borromei: Lettori scriventi, pesca grossa e pesca minuta; i Lettori puri, li sciocchi, i salati. - «Se non altro», direte, «questo letterato, ci conosce bene, sin dal principio, ci indispettisce subito e noi di rimando gli saremo scortesissimi».

Scortesissimi, del resto, come la presunzioni de' Dilettanti: seguono, la cantatina di buona famìglia; - l'ammacchiatore di acquarelli; - il cuoco dilettante avvelenatore, secondo i precetti di Brillat-Savarin o le norme di Monsignor Bignami; il dilettante vinicultore, bachicultore, floricoltore. - il dilettante auriga e cavallerizzo; - il dilettante benefattore; - il dilettante amoroso; - il dilettante medico; - Domine a delectantibus libera nos!

Perchè, subito, incontrate i Seccatori che stanno un gradino più in su, - poi, la Gente-che-sparagna, che tiene da conto; poi, i Poveri Cristi, che han da mangiare quando possono, di fronte alli Epuloni che mangiano quando vogliono; - poi, li Allarmisti, quelli ecclesiastici, quelli politici, que' sanitarii, tutte brave persone piene di scrupoli, di paure, che hanno gambe agilissime, leporine, orecchie all'agguato e tese, conigliesche, pallori, lagrime, diarree, dissenterie marziali, politiche di raccoglimento e di riflessioni... venostiane, dice Carlo Dossi, io vi aggiungo giolitto-tittoniane, per concordar col tempo.

Ed altri giungono sempre in ritardo o troppo presto; i Contrattempisti; eccellono le donne: «la82 maggior parte delle quali non fa mai nulla a suo tempo, cominciando dai bimbi» «Contrattempista83 è l'architetto che, a glorificare un avvenimento attuale, innalza un edificio nello stile di dieci secoli fa; (convien forse ricordarne i nomi e con quelli l'illustre e glorioso, ma morto Sacconi?). Contrattempista è il politico, che in mezzo ad un popolo avido di libertà, di progresso, di potenza, stringe paurosamente i freni sciupando la generosità di un corsiero in un lavoro di machina burocratica, contrattempisti, più che tutti, siam noi, scrittori, che ci ostiniamo a presentar libri a una Italia che non sa leggere».

Ma codesti scrittori, ed io sono tra loro, hanno subito imparato ed usano i Vantaggi dell'ineducazione. Tutti ci possono, a loro pesta, gridar contro: «Maleducati, zoticoni, bifolchi!» Essi non potrebbero, con più grato profumo, incensarci. È piacer nostro, è nostra virtù, è nostro vanto, di comparire presso di loro ineducati. Niente Della Casa, niente Baldassar Castiglione, niente Melchiorre Gioja del galateo academico-professionale-aulico-costituzionale; noi non vogliamo mai più sciupare il nostro tempo nelle loro stalle a mangiatola dorata.

Altri si incontrano, per caso e sono li Irreperibili quando debbono pagar di borsa e di persona. Ma, ovunque, li troverete, arrugginite cavallette de' Comitati, locusta divoratrice di Fiere di Beneficenza, con voce reboante, spettacolosa corporatura, insommergibile impudenza sul palcoscenico delle vanità, delle rinomee, delle vuote gonfiature scipite. - O si fan piccoli, miserabili, mendichi per aumentar in fortuna; - -o dicono di fare, di lavorare, procurandosi le mostre e le apparenze, politici, letterati, scienziati: e nessuno e nessuna libreria, nessun museo, nessuna esposizione protese le loro opere mai.

I Fannulloni sono i più fortunati. - Teologi, creature diafane e galleggianti, come palloncini nell'aria, sonnambolici per la frequenza colli inquilini di là su; - Metafisici, che abitano in un cielo incontrollabile ed in un sistema planetario di semplice masturbazione, detto filosofico: - Gramatici, che protendono il trionfo della parola sullo spirito: è la Gramatica l'erba, dove in fatti, si sdraiano e brucano i fannulloni, che presi a burla da tutti, entrano a pieni voti nelle academie - il refugium mediocritatis, - e vi finiscono - fortunati noi! - ad addormentarsi: Oratori, trottole parlamentari e forensi, il cui scopo è dir nulla in molte parole, gonfiando ogni argomento col fiato dei loro polmoni, ciarlando e rimovendo forme elefantesche, pachidermi trombettanti a barriti disarmonici colla letteratura conferenziera ed alimentare.

E venga qui la razza dei Matematici calata nella seducentissima Italia, allora fresca, fresca, oggi, pur troppo, con germogli, rampolli e ceppaje inradicate di loro gramigne; i «Matematici84, uno de' trampoli del dispotismo, odiatori della originalità, sillogistici sragionatori, preceduti da legge senza amore a terrorizzare l'istruzione, a desolarci il buon senso, barbari odierni, mondeghiglia di erudizione».

Insieme a questi interessantissimi ed assomiglianti connotati, Carlo Dossi vi darà pure la Ricetta per farsi illustri; cioè come si giunga dai mediocri, al trionfo. Non distenderà il fresco enorme, mal disegnato e colorito a tintaccie villane e stridule de L'Arriviste di Champsaur, zibaldone romantico-dramatico d'appendice secolina; ma precederà, con nostrana sottigliezza e maliziosa didattica, Henri Chateau, insegnandogli, quasi, i passi migliori del suo Manuel de l'Arriviste, dandogli le norme generali sul modo di vestirsi, di parlare, di porgere, di ammobigliare il proprio appartamento, con speciale riguardo lo studio; il recipe di non perder di vista li odori della cucina e pur di aver occhio alla bandieruola della fortuna. «Sii puttaniere, spilorcio, legalmente birbo in tua casa, - padrone - inviolabile è il domicilio; basta che la facciata stia in regola colla commissione d'ornato. Ti consiglio, per tanto, di pendere più dalle vecchie che dalle nuove idee: mettiti in fronte allo scrittojo qualche ritratto di celebrità, vere anche, ma a patto che siano antiche, o, se contemporanee, a patto che sieno false. Un busto, un medaglione, ad esempio, di un Cantù, o di un Bonghi, farebbe egregiamente al tuo caso. Non temere la spesa. Basta il gesso». Polvere di scagliola e pasticcio di mota rappresa, la fama che si vende dalle gazzette a buon mercato: per Carlo Dossi, per quest'uomo piccolo, sparuto, magro, di poche parole, che difficilmente vi accoglie nella sua casa, acutissimo, che sembra saper tutto, che vede quanto alli altri sfugge, non ebbero che dei sorrisi di commiserazione. Ed egli, che ascoltò il cuore secreto della società, porge la mano esperta al polso de' veri e falsi ammalati; fa loro da medico, d'infermiere, da Giovenale, li sostituisce, degente.

Domanda al Dottor Ferretti «che, dopo avere per tanto tempo o con tanta ostinazione sofferto, per necessità di natura, la parte dell'ammalato», gli sia concesso il diritto di fingere - per breve capriccio d'arte - la parte del medico Il Dottor Ferretti non è più nella prima giovanezza, ha trentott'anni; è discretamente colto in belle lettere; ha qualche ambizione politica, molto amore per il suo ufficio e per li ammalati in sua cura; la praticaccia del mestiere non gli ha ottuso la sensibilità: è un uomo di mondo ed onesto. Il Dottor Ferretti gli concede la sua persona, il suo stifelius, la cravatta bianca, i guanti gris-perle, il cilindro, l'aspetto elegante e sereno di un procuratore della morte, la tranquillità dello scienziato. Esso rappresenta il medico moderno. Non più i Merlini ed i Sabini, con barbe e zimarre e berrettoni; non più i Grotteschi, che balzano nel Monsieur de Pourceaugnac, colle più acadabranti preteste ed i più stolidi medicamenti; non più il sottile medico di Montesquieu e delle Lettres persanes, farcito de' misteri della cabala e della potenza delle evocative projezioni - ricordiamo le sue tisane purgative, i vomitivi, le sanguettate, i clisteri generosamente inferti di revulsionante e letteraria indicazione -; non più il Medico-categoria, soggetto de' mille epigrammi, da Marziale al Magister Stopinus; non ancora le crudeltà fredde, matematiche e professionali dei Morticoles dell'ultimo Daudet; nè la curiosità scientifica e sanguinaria, l'avarizia sistematica, che dibatte il prezzo, al letto del moribondo del principe chirurgo, emerso dalle pagine aspre e virulenti del Mirbean; nè la lunga satira di dolore, di angoscie e di rassegnazione de' Dottori in Medicina di Carlo Del Balzo; nè il sacrificio compartecipato d'abnegazione del medico-sacerdote di La Force du Mal di Paul Adam.

Non è nè meno il medico-romanziere, della sanguinolenta e clinica autobiografia, il dottor Veressaïef delle: Memorie di un medico; le quali ebbero successo tolstoiano in sulla fine del secolo scorso in Russia rappresentando la dolorosa confessione di una vita di professionista tra il rammarico costatato della impotenza, della menzogna e della sterilità di una medicina di grido e di una chirurgia di fama internazionale impiegate nei casi difficili al letto de' pazienti: non codesta requisitoria contro l'ufficio sociale di una scienza la cui attività si manifesta in progresso sopra un cumulo di cadaveri; prodotto dalla inesperta e pur cocciuta curiosità travagliatrice per scoprire l'origine delle malattie, nelle vivisezioni, sopra li ammalati delli ospedali di pubblica beneficenza. - II Dottor Ferretti non è un mago di scienze miracolose; è un galantuomo professionista, che sa il suo conto, che si tiene al corrente delle ultime scoperte della chimica, delle ultime applicazioni elettriche, che già fa caso della chinesiterapia della laringojatria, dei microbi, de' bacilli, della igiene preventiva; egli non ha più in bocca l'Ipepaquana85 o il Sal de duobus non è chi vende la salute e li sforzi per non lasciar morire, come dice Raiberti; è chi sa, «come il volgo sia86 sempre disposto a rinnegar la Medicina» e con ciò opera, senza illusione ed ancora con amore, il suo ministero.

Il Dottor Ferretti piacevoleggia; ha lo stile di Carlo Dossi, la pratica clinica di Giovanni Raiberti, il suo determinismo portiano:

 

«Gh'è87 l'Omiopatia;

Gh'è l'Idro-glacio-sudo-terapia;

Gh'è i dottor dessedaa, stradessedaa,

Che guarissen qualunque malattia

Con i rispost di donn indormentaa».

 

Perchè questi nostri88 «dottorini senza gravità, nè velluto alle unghie, abbigliati con gusto e ben pettinati, che fumano sigari e usano di occhialetto, che dottamente annojano poco, ma chiacchierano anche di capellini, che spesso sanno sonare delle polche e dei valsi, e, all'occorenza, ballarli», - questi eleganti cavalieri della farmacopea, del bistury e del forcipe, non hanno abolito l'erudita ciarlataneria, l'uomo essendo tuttora qual'era nelli eroici tempi: «dagli abiti in89 fuori quel desso». Questione di livrea, di soppanno, di lavorini ricamati con arme differente, con colori opposti; Carlyle ce l'ha da tempo insegnato col suo Sartor resartus.

Il Dottar Ferretti regala a Carlo Dossi penna, carta, calamajo ed inchiostro molto nero, impresta la sua esperienza; l'altro se ne valga. - La penna corre, l'inchiostro tinge, afferma, inchioda in berlina. È tutta una spigliatezza, un ghirigoro liquido e scorrevole di frasi semplici e pungenti; ogni parola ha un aculeo, ogni virgola è un amo immesso a pescare nella coscienza del lettore, un uncino suggestivo; ogni esclamazione un graffio. Malati, malattie, infermieri, eredi che aspettano impazienti l'ultimo nato del parente ricco, che li ha diseredati; medicastri che ritengono la laurea in medicina come una licenza di caccia; delitti sordidi, crudeli, nascosti, appiattati sotto la lustra del titolo nobiliare; la gola, la lussuria, la sciocchezza, la paura; dilettanti ammalati e dilettanti isteriche; Putifarre de' proprii medici curanti; nevrastenia, cattiveria, ed, ultima perla, invece del veleno in fondo, la riconoscenza d'un brav'uomo: tutto questo rivedono, al passo elegante della chiacchiera saporita, i Ritratti umani, dal calamaio di un medico.

La sua magnifica innocenza ha dei traslati, che, come una luce raccolta acconsente al mormorio caldo della voluttà sussurrata senza adombrare il pudore, così, castamente, persuadono a fare quanto offenderebbe di udire; qui, si barzelletta ad aforismi ed a paradossi, come un conferenziere di bazzecole umanitarie; qui, si riversano, si smascherano le nagioni de' drami, che esplodono sopra la cronaca de' giornali, con meraviglia di tutti; le tare secrete e vergognose, donde provengono li aspetti interessanti, poetici, romantici delle persone per bene ed assai sentimentali. Che più? Il coraggio è sangue in copia. - La bontà? digestione perfetta. - Il rossore? delicatezza di pelle. - Carattere integro, irriconciliabile? mal di fegato. - Poetiche malinconie? semplice gotta! - Dalla cura alla bara il Dottor Ferretti, raddoppiato da Carlo Dossi, ci porta in sulle braccia scientifiche e disinteressate questo corpo, quest'anima; cencio e fiato intermittente, gettandoceli sul tavolo della necroscopia e della vivisezione: «Questa è!» dice. Si riporta alla biologia pura ed alla sua parente, anatomia comparata: «L'anima90 - mi diceva Gorini - è come il vapore, che, sempre quello, da effetti diversi, a seconda dei mecanici ordigni mossi da lui: perocchè la stessa anima, entrando in un organismo di tigre, rugge; in uno di augello canta; in uno di uomo pensa; in una di donna ama». - «Ama?» riflette tutto solo Carlo Dossi, ridivenuto psicologo integrale. «Mente!» Ed ha la visione infernale e meretricia della Palingenesi della sua Desinenza in A.

Certo è, che Carlo Dossi, appunto perchè conobbe in sul tardi la donna di dentro, come troppo presto l'aveva degustata platonicamente, si trovò da queste sue esperienze disgustato e spaventato insieme. Se, per quasi dieci anni, avrà patito una specie di purgatorio-libero più o meno matrimoniale; se, una sua perversamente ingenua amica la N... tenterà di mutargli in odio l'amicizia coll'ottimo Perelli; se, una T... si sarà incaricata di spampanare e portar in trionfo una pseudo-maternità incolpandogliela; se egli avrebbe potuto dire dell'A... paragonandola ai bagni arsenicali di Roncegno, scrivendo ad un amico: «Già mi tuffai in due bagni di arsenico: assuefatto ad un veleno che era il riassunto di tutti l'A..., me la cavai, ma non ne trassi fino ad ora sollievo91»: può lambiccare queste sue scoperte e prove provate nel suo libro capitale di lussurie rientrate, di misoginismo e di morale per un'opera, caustica, dissolvente, fuori diella consuetudine, personalissima.

Su via, non arrossite; non fatemi i bambinoni maliziosi ed imbambolati, colti sul fatto: non lo negate! Voi avete pur avuto tra le mani questo libro diffamato, lo avete gustato in secreto; avete palpeggiata la sua copertina, che, sotto una fascia rossa colla nera leggenda del titolo, porta le due belle testine di Conconi; e l'una ride giovanilmente graziosa, e l'altra s'attrista precoce, vizza, inviziata, erma bifronte, il libro e la vita. «Scegliete», vi dice ancora l'autore: «Scegli ipocrita lettore, soggiungo io, «hypocrite lecteur baudelairiano, tu che non hai letto con animo puro Lesbos e Les Metamorphoses du Vampire, ed hai foraggiato, colle mani  tremanti, ne' secreti ripostigli di Les Bijoux, cercando il tuo vizio; scegli le pagine di questo volume, su cui tu non sapresti recitare una preghiera alla sincerità, senza di cui non esiste mortale, nè in Arte, nè nella Vita vissuta». -

Essi sanno che non ci ingannano e pure continuano a ripeterci davanti i gesti archetipi della menzogna; impalpebrano li occhi, si nascondono il volto colle mani, arrossano, fuggono gettando grida d'orrore e trepidano, sfoggiano la mimica del bluff della pudicizia, della castità, della verginità della compunzione, veri saltimbanchi della morale pubblica, presbiterani dalle coscienze sporche, jankees invischiati d'ogni vizio, ma ripoliti al di fuori, lucidi, specchianti, profumati, inganno vano e pretesa ignorante. Chamfort sogghigna ed io con lui: «Più il costume peggiora, ed in eguale misura s'aumentano le delicatezze della decenza. Per ciò, più li uomini si fanno viziosi, meglio applaudono ai quadri virtuosi». Vi risponde il Diavolo innamorato di Cazotte: «Mi avvedo, che da quando hanno incominciato a rispettarmi, e con me, li altri, ciascuno e tutti, io mi sento più infelice d'allora che mi si odiava». Perchè il mondo è così: Fra Timoteo e Tartufe sono i più tristi bighelloni e ladri della opinione pubblica: essi leggono di nascosto Desinenza in A, se ne dilettano; interrogati pubblicamente, crocesignandosi, eruttano l'omelia delle virtù teologali, strillando come bimbi sculacciati dalla balia.

E bene, bando ai gufi! Questa è altra musica e orchestra! A me i giovanotti che vivono all'avventata, facendo l'amore sui pianerottoli! A me i prudentissimi vecchi, che han sempre fatto lo zio e i verginoni senza rammarico, e i «non92 indegni di aver perduto la prima! - Or chi mi dona una rossa matita? Tu Cletto mio? Oh, grazie! - E la rompo. - Mezza è per te, criti-cuccio, cui ogni mio sproposito è seme di mille tuoi - tu giudice inquisitore che non amasti che il male, per poi, se nol trovi, inventarlo. Hai qui casi di maggiore scomunica, eresie da tanaglia e da rogo. Troverai idee nuove, che tali almeno parranno alla tua squisita ignoranza, troverai gagliardi sapori, che a te, assuefatto alle più scempie pappine, abbaglieranno il palato. - Ma che vuoi? A gusti scaltriti (ed io sol cucino per essi) non può l'ingenuo manzo piacere se non a forza di salsa. Anzi anche il sale è talvolta lor dolce, e però ci vuol pepe. Viva il pepe che salva i panni dal tarlo - ed anche i libri». - Ora, se volete ascoltarlo e vedere, venite qui: se no spulezzate in fretta e subito sull'entrata. - «Chi ama le comedie prive di sesso, ha i teatri suoi, ha i suoi burattini, dove, può assistere senza pericolo alcuno, da quello all'infuori di addormentarsi. Per i poveri d'intelligenza provvede la caldaja dei frati, c'è una letteratura estesissima, nientemeno che il novantanove per cento di ogni biblioteca. Ne profittino, dunque. L'acqua non costa nulla e rinfresca. Questo libro contiene, certo, veleni, ma anche i veleni sono utili, basta sapere dosarseli; così che l'arte della salute - intendi per burla la medicina - fonda in gran parte su di essi. Non succhia il midollo di un libro se non il lettore, il quale si trovi in una disposizione di nervi consimile a quella in cui era, scrivendo, l'autore. Il gran Milton è da leggersi la domenica, quando si accumula nell'atmosfera il religioso uragano fatto di nubi d'incenso, di cerei lampi, di armonioso tuono di organi; Leopardi in una giornata piovosa, colla disgrazia ai calcagni e la dispepsia allo stomaco; Cattaneo in un'aula parlamentare, assente lo sfibratore Depretis; Carducci, sotto un arco romano, non medicato dal dottor Baccelli; Correnti, fra le stoffe preziose e le rarità antiquarie; Hugo al mare. Così è nell'epoca del malinconico e verginale erotismo dell'adolescenza che più si comprende la Vita nuova del giovinetto Allighieri, ed è nell'ora del disinganno amoroso che il presente volume sembrerà facile e piano.

Il Daimon greco di Carlo Dossi si è tramutato nel Dimonio gotico: gli imporrà tutte le birichinerie del caso; lo doterà d'ogni e più secreto strumento, doppia vista, invisibiiità, volar per l'aria, sprofondarsi sotto terra, penetrare nelle camere chiuse e sotto le lenzuola del letto, essere ovunque: l'ubiquità lo franca d'ogni alibi e d'ogni presenza, nello stesso momento. Altro che l'Asmodeo di Le Sage, il Shallaballah della puppets-woman londinese! Egli è il Belfegor di Machiavello, il Mephisto di Göthe, è il Diavolo margravio di Von Grabbe; per di più ha in dito, a talismano, l'anello di Gige.

Scoperchia tetti seziona case, divarica cortine... e coscie, spalanca imposte, abbatte usci e tramezze; segna e segue chiunque incontra sulla via pubblica; ne pesa il cervelletto dalla cuticagna; penetra nell'occipite e s'aggira nelle circonvoluzioni cerebrali; discende pel midollo spinale; si sofferma ad analizzare il succo che ne spremono le ghiandole: divide la vita feminile in tre parti; le dice tre atti di una tragedia comica di dieci scene ciascuna, in cui dramatizzano e farseggiano personaggi esemplari; precede ogni atto un Ouverture, come una sinfonia, che riassume, leit-motiv e spunti, accenni musicali e variazioni, tutta la tematica della orchestra e del canto; Intermezzi e Finale, che si presentano, come il coro della tragedia eschilea e della comedia aristofanesca, e, se non danno il giudizio della folla, pure come il personaggio che canta e il genio muto della scena chinese, come il Gracioso di Garcilaso e di Lope de Vega, esprimono il sentimento e l'intervento dell'autore.

Pupe di carne innervate a capricci ed a cattiverie, pupe di cenci, di cera, di mecanismo, si rispondono, nel giuoco, appena uscite dalla culla, in sulle prime pagine; si destreggiano, nella scuola redibitoria della guardaroba, del lavandino, della scuderia, nella normale educazione del servidorame; incominciano a vivere a paragone per la civetteria, l'inganno, l'intrigo, l'elegante viziosità.

Carlo Dossi, non ancora padre, non ancora chino a scoprire ed a scifrare l'intimo fiorire della intelligenza e del sentimento sopra figli suoi, ebbe delle intuizioni esatte, delle rivelazioni istintive e naturali, quando dettaglia il piccolo tenace ed egoista organismo della feminilità bamboleggiante; prescrive anche una norma a' suoi per il futuro.

Poi il Collegio; un collegio tipico di ricchi, dove incontrate le bimbe di Rìmbaud e di Tarchetti ad erudirsi; dove si risvegliano le prime prurigini; dove, le angiolette meditano, col palato, il terzo dei sacramenti ed altre si preparano al settimo»; mentre si disputano «a gara il Millo del portinajo, un gongolino di un anno e se lo serrano al seno, e gli fanno il linguino, e il pizzicorino, e lo mangiucchian di baci e carezze - baci che han denti, carezze che hanno unghie - palleggiandolo, soppesandolo, mirandolo e di sopra e di sotto e all'indrizzo e al rovescio, per imparare forse, come i bimbi si fanno». E le malignità, e le insinuazioni: si determinano i caratteri.

Vi son dipinti i balli e le ragunate: casa Polonia espone le proprie magrezze, ricoperte per pudicizia, colle figliuole da marito; le mamme decantano le palesi e nascoste virtù delle loro bimbe all'incanto. - E l'amor di sorella risponde colla gelosia, colla diffamazione; e l'amicizia è impastata sul livore e l'invidia, che traboccano in cortesi scortesie, in aggraziati dìspettucci, in umili vanaglorie, dove le linguettine fesse impastojate tra l'r ed il v, lubriche di francese, unte di pittoresco gergo, lutolenti di domande indiscrete, schiumeggiano, dimostrano l'arte maravigliosa e feminile del Flos duellatorum, inchiovata, un'altra volta di più, in un odio sincero d'amicizia formale.

Noi sapremo come ami una madre la propria figlia; come, nelle gioie del matrimonio, si amino li sposi; noi vedremo morire la marquise Iza Millerose di Garza, maravigliosa maschera indimenticabile, erotta diritta a sfida per Les Diaboliques di Barbey d'Aurevilly; se chiede alla infermiera lo specchietto, al sacerdote il viatico, al vasetto cinabro e cerussa per comparire, dipinto cadavere, in sulle soglie della eternità, mormorando le antitesi di sua vita, tra il sonno e la veglia: «Suis-je en ordre pour le bal? où êtes-vous, mes amis? Dio, non rapitemi il sole! Il bujo soffoca - e lo specchietto le fuggì di mano. - Perdo il chignon!... Mamma, il chignon!... e con un profondo sospiro, Iza piegò sulla spalla il capo, torta la bocca». Fissa la statua perenne, nel marmo della morte, Carlo Dossi.

Escano a stuolo le bergamine serotine, le lussuriose rondinelle del crepuscolo e della notte; portino la pregustata golosità, il piacere alla caccia del vizio; ridestino le memorie del lavoro di Venere, la rinomea delle manipolazioni erotiche e strane.

L'evocatore sfoggia la sua potenza; chiama a sè lo Spirito della Lussuria, senza materiale corrispondenza, senza bisogno di un seguito diretto, in cui si sfibri e si plachi. L'atto si annulla alla visione; rimane l'entità psichica e morale della intenzione; il gesto si spiritualizza, s'infosfora di bellezza e di pensiero; l'animo dell'artista, erotizzato, si esaspera; il cervello persiste a definire, in etica, l'estetica; rende la nobiltà di un ideale entro cui combattono e fremono, senza potersi superare, in vicenda, il Cielo e l'Inferno. È l'umanità nel suo punto più nudo e più crudo, in bilancia sulla Purezza e la Lussuria, fulcro Priapo; pietra nera d'Elagabalo discettatore della ragione animale ed eterna.

La punta della penna di Carlo Dossi stride ed incide, nera, sulla carta indelebile; non l'emula lo stile libero, che tracciò il museo secreto di Giulio Romano, di Marc'Antonio, de' Caracci, dell'olandese Torrentius, delle stampe saporose e grasse di Rembrandt; le grivoiseries postillate ed acquarellate, a sanguigna ed a grisailles, dei La Tour, di Boucher, di Fragonard, delli artisti in diciottesimo, del diciottesimo secolo, che hanno dato il massimo contributo al Décolleté et Retroussé di quattro secoli di gauloiseries, non la superarono mai. Anche Rowlandson, colla sua gioja ventripotente e massiccia, anche Hogarth son già sorpassati. Goya gli cavalca alla portiera di sinistra, a destra Rops; essi gli porgono il terribile ed il delizioso; riabilitano, colla soferenza la lussuria: «Oh se la voluttà non è che il sorriso del dolore, la lussuria sarà lo strazio dell'amore!» Ancora i Giapponesi insegnano. Orribili e bellissime hanno dipinte delle donne riverse, li occhi chiusi, i denti serrati, tra la linea di sangue delle labra, il ventre martoriato, straziato da una caviglia spettacolosa; deformi li uomini e divini, inalberando un lingam, invidiato dal Dio di Lampsaco; orribile e martire, la donna succhiata dalle mille ventose di una piovra, e pur convulsa, isterica, soddisfatta dalla lussuria che conduce a morte: orribile e reogonico, il mostro ragno mygale, che divora, lentamente, il cuore alla fragile Tang Choui, la Dea della oscurità: orribile ed aspirante, la Corona del Piacere incredibile scoltura ferruminata d'argento, d'oro, di stagno, di perle, di giada, di avorio, di legno, di bronzo, di corallo, di lacche, di porcellane; corona di tutti i peccati mortali, che si spiritualizzano in tutte le virtù: l'Hoan-hi Koan-mieu. Morte; Lussuria: perciò è morta Iza Millerose; perciò vengono portate in trionfo, da braccia maschili ed ebre, da banchieri, studenti e cavalieri di fortuna, sopra la majolica bianca degli sparati insudiciati da una notte di veglione, la Sciana e la Firisella debardeuses emerite di borse e borsacchini; perciò si baciano frementi, sulle bocche insaziate, nella cella conventuale, piissima, nuda a difendere il vas spirituale, la janua coeli, la mystica rosa, le monacelle ed, altra farnetica le serafiche misticità di Santa Teresa gridando: «Dabo tibi dorsum et non faciem» quasi parlasse al Diavolo, mentre s'intrattiene col suo confessore, - il che è lo stesso. Perciò tengono casini da giuoco per i barati, i bari ed i baroni, principesse valacche e russe, vive ed attuali similitudini di quella Leonora che andò sposa a Borso d'Este: «faciem pictam, dotam fictam, vulvam non strictam»; - perciò la Barbica  vende carne tenera feminile e già scozzonata; - Sofonisba  Altamura del Conneticut dispensa il feminismo alla moda - vi appaiono cinedi ed insatiriti; - la duchessa di Stabia, nuova Marulla, ingaggia domestici d'alta statura, dal collo toroso, dalle spalle quadre, a servirla per cocchieri e stalloni, salvo poi licenziarli, se, nel soddisfarla dimenticano di chiamarla eccellenza; Elda duchessa di Stabia, che divaricavit tibias suas sub omni àrbore.

Mirabile ed autentica sintesi letteraria; è sempre l'idealista precipitato in fondo alla cloaca sociale, dentro li infondibuli del sesso. Ne estrae il groviglio biblico: la donna, il dragone, l'uomo, il pomo: tra fiori, tra frasche, tra le angoscie: il serpe-dragone, sopra tutto, che rinchiude, nelle sue spire, tutto l'amore della umanità, che lo agglutina, lo protegge, lo cova e ne schiaccia mosto dalla pazzia e dall'isterismo. Mirabile assunzione della carne nell'ideale: Carlo Dossi, come Barbey d'Aurevilly, come Rops, come Péladan, come Villiers de l'Isle-Adam è un gnostico; Lussuria, per lui, sottintende la Morte, - donde trova: il Peccato, l'Assoluzione. Ne descrisse il simbolo Flaubert nella Tentation de Saint Antoine: «Toutes sortes de bêtes effroyables surgissent: c'est une tête de mort avec une couronne de roses; elle domine un torse de femme d'une blancheur nacrée, et dessous le linceul une étoile fait comme une queue. Et tout le corps ondule à la manière d'un ver gigantesque, qui se tiendrait debout». Gorgone d'altra e modernissima fattura, non quella che ha spaventato Sant'Epifanio, durante le sue preghiere, nel deserto: «La Gorgone somiglia ad una bella donna, i suoi capelli biondi terminano in teste di serpente; tutto il suo aspetto è incantevole; ma se tu la guardi, muori. Quando infuria di fregola, chiama, con voce armoniosa il leone ed il dragone e li altri animali, ma nessuno accorre all'invito. Quindi brama l'uomo. Costui si lascia ingannare e l'avvicina; ma s'Ella concede di nascondersi la testa la si cattura di sorpresa»: - «Questa donna, che nella sua bellezza sorride d'amori, ti regalerà l'anima e la morte»: termina Ottavio di Parigi. Nella sequenza di queste psichiche esperienze, il risultato è un paradosso, di queste espressioni esestiche la nota determinativa non è già la caricatura, ma l'humorismo: sopra la linea solita della realtà sociale si disegna la sigla personale della verità umana; la scoperta è ancora una specie di grottesco feminile.

L'humorismo ha trovato che sia il vero pudore della donna; portato dalla sua educazione, indica la paura dell'uomo consideratolo come nemico, prima d'averlo carnalmente saggiato. Ma fate ch'ella si famigliarizzi col mostro; ed il pudore sarà una natural reazione, la tattica istintiva di tutte le femine della zoologia, tattica e processo che mira alla sovraeccitazione dei sensi, all'erezione massima della virilità per l'assalto ed il possesso.

Il pudore - nel giudizio di Carlo Dossi - ed i connessi attucci difensivi della civetteria, sono cantaride, carezze squisitissime, via alla lussuria: la realtà sessuale compie quanto l'imaginazione ha mal indovinato, e qui la lussuria è l'unico legame che mantiene l'accordo carnale e psichico tra l'uomo e la donna; che quando incespica in un giuoco impotente risovviene la castità e la continenza per logico dispetto. Però ch'egli vide tutte le donne così: affannate ed intese a quest'unico scopo; saziare le bramosie del sesso. La sola dissimulazione che loro presterà non altro significa che l'apparenza forzata di dover ubbidire. Esse invece determinano e regnano; esse invece, si modellano, schiave compiacenti, ai disegni preconcetti del loro piacere, per soddisfarsi la morbosità curiosa della loro imiaginazione, avendo l'aria di farsi mancipie di una millantanta docilità.

Arte, artificio supremo scoperto e raccontato; le femine ci regalano ma si raddoppiano; la febre erotica abolisce i generi; vi è un duale classico e greco che interviene, con un modo speciale e completo di verbo agito, ad esprimere una duplice azione concordata. Ma la virilità più da che non riceva,.... per quanto insofferente d'indugio e bramosa di critica la Desinenza in A, trionfi sopra la fregola pudicissimamente.

I timorati vergognosi di loro stessi, non lo credono, ma non importa. La Desinenza in A raccorda le linee della passione collo stile acuto e dismagatore di un Rouvèyre, in tutti i suoi passaggi. Segue la donna, dallo sviluppo alla esplosione della voluttà, in ogni attitudine, quando le trine coprono una lupa, quando i lini male scoprono una tigre, quando le mussole denudano una leonessa che rugge. Carlo Dossi, se rifugge dal descriverci l'atto, lo suggerisce con due parole che ne uncinano l'imagine tra riga e riga di una banale presentazione; noi lo indoviniamo a canto ad ogni femina passante; di sotto alte maschere, che va rappresentando nelle attitudini le più solite, noi scopriamo l'unica positura animale, normale e personata caratteristicamente in una parola, in un aggettivo che riproduce in sulla ribalta letteraria l'altalenare commosso della foja.

E pure egli rimane freddo, come stanco e sazio: è l'artista che ha la mano sicura, ferma e traccia dal nudo vero la figura del modello lascivamente adagiato, con un tratto solo, dalla testa ai piedi e non si eccita: si ricorda, disegnando lucidamente, di tutta la nomenclatura topica ed anatomica, pronuncia delle frasi che palpeggiano ancora come mani sui fianchi tumidi, altre che graffiano e mordono di voluttà, ed or son tristi come ogni maschio dopo l'abbraccio; altre ancora che riflettono il delirio suppliziatore di cui persiste la torsione estasiata, il flagello della crudeltà, perchè Hilarion proclama: «La lussuria ne' suoi furori, come la penitenza, è sempre gratuitamente disinteressata: l'amor frenetico del corpo accelera la distruzione e proclama, colla sua stessa impotente debolezza, l'amplitudine dell'impossibile». Verdetto assolutamente futurista se un'altra volta Marinetti ne dà le ultime conseguenze in un Mafarka africano e barbaro, disceso in modo insospettabile, - per quanto li altri non lo vogliano comprendere - dalla Bibbia e dalla Desinenza in A.

Però che Carlo Dossi, come F. T. Marinetti, è un mistico e la filosofia del suo Gineceo, da tutte queste sue bocche spalancate, da tutti questi suoi ventri nudi e proferii, urla: «Noi siamo i procreatori: bianco di luna che inganna sulle rotondità callipigie e marmoree: però che la voragine si apre sotto, piena di ombre, aperta sul nulla; il maschio vi si troverà sicut in vacuo basiliscus antro» - Ma la Desinenza in A trionfa anche dopo il coito, gelidamente ostentandosi doppia da un prisma nero. - Ricondotta la carne ad una azione esagerata, immessala in un posto preponderante, colla brutalità, nel drama comico del mondo, opera come un perfetto esorcista, un demonologo della scuola di Sprenger, che, per troppo amore alla salvezza eterna dell'uomo fatturato e stregato, consiglia affidarlo alle fiamme del rogo. Nella donna trovò subito la patologia, le rare; cercando la geniale, ha sfogliato molte rose senza giungere alla sincerità, all'affetto generoso, alla dignità, al sicuro affidamento, cui avrebbe dedicato sè stesso. - Un gorgoglio di risa represse, lo avrebbe presto persuaso della enorme fatica inutile.

 

«E93 le donne? Oh, le donne!

Che modelli di spose,

di ragazze, di nonne!

Che virtù portentose!

Se questo tempo dura,

non c'è più corna per la jettatura».

 

Si ebbe davanti la folla della bagasceria rimorchiata da' suoi critici, uggiolantigli alle terga, «un94 nuvolo di gonnelle, - dalla seta alla cotonina - ballerine ed avvocatesse (ambo oratrici coi piedi) trecche toscane e maestre di scuola (ambo appendici de' classici) sorelle di carità, mogli a nolo ed altre parenti posticcie, sarte, balie, modelle, cantiniere, telegrafiste, filandiere... un cibreo insomma di femmina, che, dopo di aver assistito ozioso alla pugna, cerca ora di riappicarla coi denti e colle unghie».

Ciascuna di esse egli accusa nelle sue virtù maleficenti; tiranni-domestici, bas-bleus, feministe, isteriche, streghe sobbillatici, ninfomani, simulatrici di reato, pervertite, vampiri dissanguatori, megere, prossenete, facitrici d'angioli, svuotascarselle e brachette, lo scandalo, il tormento, la peste, la sifilide. Erasmo di Rotterdam lo titilla a fianco: «Su via; bisogna confessarlo, la femina è un animale inetto e folle, e pure piacente e grazioso».

Quante volte le letterature europee, con diverse lingue, metri differenti, identiche intenzioni intonarono l'Est enim mulier di Sant'Antonino misogino e taumaturgo, al cospetto della cristianità! L'Avidum Animal, che incomincia il suo alfabeto per terminare col Zelus Zelotypus, è ancora lo stesso. Tutte le massime, i proverbi della antichità, spolverati, ripoliti, riordinati La Desinenza in A ripropone colle aspostrofi contro il malinteso feminismo, dalla Lisistrata aristofanesca al pamphlet, inglese del principio del'800: Women and the Alphabet d'Higginson; dalle diatribe d'aurevilliane alla psicologia stendhaliana, dalla epigrammatica della Erotica Biblia all'odio posticcio di bravata futurista, genialmente marinettiana.

Anche il suo Swift permette allegramente il misoginismo, se concepiva la femina non come creatura umana ma come una specie di essere tra l'uomo e la scimmia, la quale è, tra li animali, mon il meno cattivo, ma certo il meno spendereccio e più divertente. - Anche un recentissimo e giovane Georges Fouret decanta maliziosamente La Negresse blonde:

 

«.....Sa mimique

Me dicte, et je sais lire en ses regards profonds

De vocables muets au sens metaphisique;

Je comprends son regard et nous philosophons:

Elle croit en Dieu par qui le soleil brille,

Qui crea l'univers pour le bon chimpanzé,

Puis, dont le Fils-Unique, un jour, s'est fait gorille

Pour ravir le pécheur a l'enfer embrasé».

 

Dond'Eva evoluta, come codesta Singesse, va ragionando sul tema a mo' di Bernadette, intermessa una prova saffica classica e monacale: che, se non conosce Spinoza, s'acconcia a divertirsi, ritornando a ballare, cioè ad arrampicarsi di nuovo sulli alberi trogloditicamente a quattro mani, come ha imparato a stento a suonare il piano ed ha pensare a quattro mani.

Non sarà dunque logico l'intervento delle agitate verghe del sadismo e della correzione didattica:

 

«Asinus, nux, mulier simili lege ligati,

Haec tria nil recte faciunt si verbera cessent»;

 

ed a che pro?

 

«Quid levius fumo? Flamen. Quid Flamine? Ventus.

Quid vento? Mulier. Quid muliere? Nihil».

 

Dove potrà rifugiarsi col proprio amore? Dove imbattersi nella bellezza fresca, nell'innocenza generosa della Sulamite? Chi gli ripeterà il versetto del Cantico dei Cantici? «Mane surgamus ad vineas, videamus si floret vinea, si flores fructus partorient, si flomerunt mala punica; ibi, dabo tibi ubera mea». O fecondità della campagna, a maggio, ed in quell'incenso di corolle sbocciate, in quelle sicure promesse, prossime a fruttificare, la munificenza lieta e serena delle grazie di sposa! Si? Cinque lire d'amore costa. Costei della sfacciata fornicazione è la più pura, perchè la più sincera: s'ella proclama le sue doti, sfoggia un inno maraviglioso alla Pandemia, al suo valore sociale di valvola di sicurezza per la pudicizia borghese, al suo merito profilattico ed igienico contro i pericoli e le degenerazioni dell'onanismo, alla sua divina compassione che nulla e nessuno rifiuta: e la lirica inchina alla prosa dossiana le più alte vette musicali, la satira si fa poema battuto nel'oro.

Perciò la natura trionfa: il Magoboja operatore della Palingenesi, fabrica la femina integrale; sorge Venere, «Un biondissimo95 fumo dalla fragranza di muschio vela la tremolante figura e si direbbe una chioma che già s'innanelli a larghe onde, e, fra l'aureola di essa e del fumo, va la figura accentuandosi a femminili curve e turgenze. Una bollicina di azzurro (vitriolum coeruleum) le scoppia nel mezzo, ed ecco a fremerle a pelle il reticolato venoso; una striscia di minio (cinnabaris mercurialis) vi guizza, ed ecco guance soffuse di pudico rossore, con una bocca che è un bacio; due faville vi scattano, ed ecco due occhi lucidi di desiderio e di lagrime che infensamente mi fissano». Non altrimenti vivono, sotto il bulino di Rops, le sue donne - simboli, per quanto si sformino in piedi caprini, in zampe unghiate, Sirene dell'asfalto parigino: «nuda sino alle coscie96, erge una testa laida e pure simpatica; sorride la provocazione, con grazia ebra e stanca; bestemia parole grasse di suburra, mentre di un gesto crapuloso, in un colpo di gomito, si fruga nell'edificio della capigliatura. Odora il marciapiede e l'acqua profumata del bagno recente; evoca canagliescamente la quadrantaria all'agguato ed in caccia del cliente; sa tirar di coltello». Esse sono che loscheggiano, cachinneggiando con insolenza, espongono le loro acconciature color zafferano; impiumate, accendono la larga bocca col carmino, li occhi piccoli col bistro; si mettono al mercato su divanetti, sotto camicie succinte e rialzate sui fianchi; esse, le belle ragazze del dicterion elegante, esse, la Bellezza-Peccato verso cui balzando la libidine accorre, come un polledro inuzzolito, nitrendo. «Amore97 mi tiranneggia. E già le palpito in braccio, e dileguo entro lei ed anche il sogno dilegua».

Il giorno chiaro, l'alba lucente e lucida, le ore dell'uomo che lavora pensa e vuole, non le ore oscure e passive, vincono il succubo, lo annullano, ritornano il sognatore spaventato alla realtà. «Su via, vieni tra i tuoi fratelli, dopo la palingenesi, scrivi il nuovo testamento. L'umanità confessa e l'uno e l'altro documento e ne deriva: ma canta la speranza, la carità, l'amore di nuovo e sorgi, con noi, non più, a soffrine ma a combattere per essere più buoni, più belli, più sinceri».

«La Desinenza in A, fu, nella vita letteraria98 di Carlo Dossi, quel che si dice un avvenimento. Si era ai bei giorni della guerra tra idealisti e realisti, guerra gioconda, allietata dalla fecondità straordinaria degli spropositi, che i giovinetti - obliosi di Senofonte e di Euclide - allegramente si scaraventano in faccia». Dossi, impropriamente, veniva chiamato realista, accolto con fervore nel campo spumeggiarne della Farfalla: anzi gli allogavano titolo ed onori di capitano, messia di un verbo nuovo in estetica, che, del resto sopravanzava realismo ed idealismo scolastico ed ufficiale, catalogati sui quadri di avanzamento della letteraria burocrazia.

Tanto egli era lontano dal carnalismo rubicondo e rubensiano e dalla effervescenza della gazzosa stecchettiana, quanto non volle, ed in sul bel principio lo dichiarò, confondersi «colli99 incettatori della nazionale moralità, una compagnia di lamentazione perpetua di cui fanno parte i violacei predicatori, che ventilabran dal pulpito vituperi contro la cuncupiscenza e le ascoltatrici loro ammiranti, le baldracche, che han messo insieme bastevoli soldi per comperarsi il rossetto della castità»; con quelli «che fanno100 de' loschi compendii di virtù per il popolo, a dieci centesimi la dispensa, e i gazzettieri, che, colla sifilide cristallina sulle labra, sermonano di pudicizia, e le mamme affannate a difendere le orecchie premaritali delle figliuole da ogni susurro impudico, salvo a lasciarvi precipitar dentro un mondezzaio di roba, non appena quelle figliuole sien giunte al legittimo stato di comporre adulteri». Egli stava col realismo di Omero, dal Porta ripresentato meneghino: ammetteva che «la smania101 sessuale è in natura ed ha dunque diritto di avere anch'essa la sua sede nell'arte; manchevole quindi sarebbe quella letteratura che si occupasse esclusivamente (perdonate la frase) dei propri inguini non studiandoli che di renderli appariscenti, nè più nè meno dell'altra che si cappona per procurarsi una voce d'angelo».

Urgevano prossime, sull'orizzonte, le aure fiammeggianti, ne' rutili vapori delle quali si sarebbe commossa la funzionale e romantica cavalleria cavallottiana, ed avrebbe spillato, dalla sua lirica, che poco prima aveva commemorato la morte di Manzoni, riepilogando un Cinque Maggio:

 

«Morto!102 ed nunzio lugubre,

Via sull'ali del vento,

Udii pei campi italici

Lungo echeggiar lamento»; -

 

la povera bestemia al Povero Vate, indicandovi Stecchetti:

 

«Povero103 Vate! in che rimorsi fieri

De l'antica viltà struggi te stesso!

Ti levi e insulti! e non sai dir cos'eri...

Se allor più vile - o men superbo adesso.

Cessa lo scherno.

Non insultarla se tu sei poeta,

La sacra fiamma che ti accese il core»;

 

per interzarvi, da La Ragione milanese, l'apostrofe patetica:

 

«Poi sdraja104 nel porcil l'anima sazia

E - vigliacchi siam noi - si mette a urlare.

Potrà darsi benissimo. Ma... in grazia...

Se parlaste un pochino al singolare?»

 

Sarebbe riuscito imminente un poema a Giosuè Carducci, console di repubbliche per schiette rivendicazioni letterarie:

 

«Enotrio105, dormi ed alte a' il ciel le grida

de la battaglia vanno, e la bandiera,

la tua bandiera dispiegata ai venti sta ne la pugna.

 

E lo Stecchetti avrebbe accusato:

 

«........ de l'incenso il puzzo

e il canto fermo e d'Escobar la voce,

 

e il buffon Mena, da 'l tuo forte schiaffo

segnato il viso le tue laudi canta,

ma co'l pugnale di ferirti prova

dietro le spalle.

 

Oscenamente dondolando l'anca

Bavio, spadone, d'assalir si vanta

l'arte tua bella e di tenerla sotto

ferma, domata;

 

e Lesbia, usata a glubere i nepoti

flosci di Remo sotto gli angiporti,

getta il tuo libro e colla lingua infame

urpe lo dice.

 

Ecco i nemici».

 

Per intanto, La Desinenza in A aveva ingaggiata la pugna a mezza lama, sotto; aveva preceduto il rosario delle pubblicazioni sommarughiane, che da Roma, riburattate dal fresco ventilabro della unità italiana, spargevano sementa gagliarda e spregiudicata, protette da i nomi grandi di Boccaccio e di Machiavello. Il breve libro denso, schiaffeggiatore, apriva la carica, come un foriero galloppante sopra il miglior cavallo dello squadrone, a Gli Amori bestiali del Valera, a Terra Vergine del D'Annunzio, a la fioritura bolognese della Postuma, della Nuova Polemica; aveva snocciolato non poche avemarie, già nel 1878 prima che in patria si incominciasse ad allungare le orecchie dalla parte di Francia, ascoltando quanto volessero dire di nuovo Zola ed i suoi amici, - «Com'è, La Desinenza in A - libro non certo per monacanda - rappresenta la giovinezza dell'autore, gli errori della poca sua carne, il suo squillo di bicchiere nell'orgia. Ma la giovinezza gli è oggi completamente sfiorita. La penna che segnò quei ritratti donneschi è rotta per sempre. Bene sta. Ogni stagione il suo frutto. Fanciullo, scrissi d'infanzia e vi offersi L'Altrieri; adolescente, di adolescenza e vi diedi, L'Alberto Pisani; giovine, di gioventù ed eccovi La Desinenza in A. Se la vecchiaja non mi sarà, come sembra, contesa, scriverò cose da vecchio - metafisici soliloqui, archeologiche dissertazioni; chissà mai! anche ascetica. Letterariamente, almeno, il Dossi non si falsificherà106 mai».

Già dal 1883 egli aveva ipotecato, logicamente, il suo avvenire, predette le sue tappe, tutte quante sorpassate nel suo vivere: l'ascetica doveva arrestarsi all'Inno al Dio venturo in cui tutte le libertà, tutte le bellezze, tutti i benesseri conquistati avrebbero proclamato la felicità dell'uomo, al cospetto del cielo sereno e rappacificato, sulla paura della divinità, sopra il terrore e l'invidia de' propri fratelli. - Ma pure, cristalline rimasero sempre la prosa e l'anima di Carlo Dossi, a rinfrangere le meraviglie de' suoi sogni, il disgusto della sua onestà, la fiducia costante nella perfezione e nell'umano volere. Per conto suo, in arte, fu e rimase aristocraticissimo: come Frine egli non ambisce che all'omaggio de' sovrani... dell'intelligenza.

Non venne per ciò e d'un subito compreso; anche oggi lo comprendono poco. Allora minimamente, quando la pudibonda gesuiteria era venuta all'arme, quando il Carducci denunciava i cuoricini stillanti lagrime e sangue, esulcerati dal nulla de-amicisiano, le marionette di carta pesta e di filo di ferro del Giacosa, ed incominciava a genuflettersi il Fogazzaro, e deliberava, tra il boja e l'esorcista, quell'altro Imbriani dei Dio ne scampi dagli Orsenigo, e s'inteneriva liricamente La Contessa Lara, promessa al coltello assassino del suo ganzo, povera vittima di letteratura e d'amore, e s'incarnava, a doppio aculeo, la Nuova Polemica, suscitando reazioni.

Ultima questa era venuta a definire ed a stravincere: ribatteva nel Prologo le lamentose ed aggressive fandonie del feminismo arrabbiato, corso a mordere alle calcagne Stecchetti e compagnia: si faceva a gridare «contro le107 svenevolezze degli amori poetici passati, che tendevano a fare dell'arte un mare di latte e miele». Donde la donna viva e vera era esclusa, dove si ammetteva una sua copia manierata, aerea fumigosa, dispersiva, ideale che veniva a lagrimare, come un salice piangente, magra lirica, in ogni romanzo. La Silvia, la Nice, l'amica lontana facevan da modelle promiscue; Vittorelli trionfava; il cant della superipocrisia anglicana pontificava dentro le fuori la vita e la letteratura. Era «l'ideale108 disceso agii uffici del mantello di Noè; voglia il senno italiano che Sem e Jafet, a forza di trascinarlo piamente su tutte le vive libertà del secolo, facciano di te un cencio spregiato anche dai rigattieri e dai preti!».

Ultima determinava, a favore della libertà dell'arte, di cui, per sè stessa, La Desinenza in A aveva già usato vittoriosamente; evitando l'eccesso ed il contagio del francesismo allettato a visitarci, col favore de' pronubi avvisatori innamorati dello Zola, e conservando tono, nerbo proposta e risultato nazionale. La Giacinta del Capuana, i classici e massicci Malavoglia del Verga, sicuro attestato di potestà siciliana, sarebbero venuti dopo. Madri per... rìdere, - Commedie di Venere stavano per uscire, sollecitate dall'esempio dossiano.

Nel folto della mischia, corpo ed anima, alla bersagliera, era infatti venuto a sciabolare, ad amministrar manrovesci e stoccate, Cesare Tronconi; aveva raccolto un buon libro di altre e saporitissime Confessioni e battaglie - che hanno il merito di precedere quelle carducciane - e lo inviava «Alla Gioventù italiana (maschi e femmine) affinchè non si lasci imbecillire». Vi si leggeva, come «il realismo non è che l'uso, in arte, della ragione pura, - che l'immoralità vera, in arte, consiste nello scrivere i libri così detti morali, - che il realismo, come lo intendo io, è un continuo inno al bene ed alla virtù, - che la morale, la morale, la morale per l'uomo è... la donna e il denaro». Vi difendeva sè stesso, Praga, li amici; si schivava dall'essere un imitatore di Zola, «perchè l'arte non si impara a scuola - l'arte deve essere nell'anima - l'arte è l'anima stessa». Per ciò rivendicava il diritto del tempo ed il tono morale di quella speciale atmosfera, se, contemporanee, Nana e Commedie di Venere erano pur uscite, ignorandosi. Per le piccinerie della ineffabile Rivista Europea e dell'altra, con licenza, Nuova Antologia aveva un motto che Carducci non lasciò senza parafrasare, nel secoletto vil che crìstianeggia: qui più completo: «Cari fratellìni Italianini, piccinini, Cristianini ed... Ebreini.» E con ciò Delitti avevano respiro.

Perchè non vorrò lasciar da parte Cesare Tronconi, dimenticato, o spregiato, dai saputelli euforetici del corrierismo, dove accorsero dalla anarchia e dal iperdannunzianesimo, sapendo che tutto potevano conservare, rivoluzione ed Arcadia in quel luogo refrattario alla sincerità, aperto a tutti i retori barzineggianti d'Italia. E lo rammenterò, come mi apparve nelli ultimi anni in cui lo conobbi, assorbito dalla morte troppo presto, mestissimo e sfiduciato dall'arte, cui aveva volte le spalle per più sicura esistenza, e nei giorni gagliardi, ne' quali la repubblicana amicizia di Perrussia e di Quadrio, editori per gusto e per amore delle lettere, gli apriva la Casa editrice sociale e ne accoglieva i romanzi. - Dalle loro pagine donna Venere-Tisbe-Clementina-Salieri-Arditi-Miller, può dire, a conforto della Desinenza in A... e del misoginismo del tempo: «Se sapessero109, quanti sguardi non significano altro che: Sei tu il mio cinque franchi? - oppure: Vuoi tu essere il mio due-franchi?» Per lo che Tronconi istesso interviene e riflette: «Ogni110 donna è un caso nuovo. Dobbiamo quindi regolarci secondo i casi. Certo, bisogna capire... e qualche volta si capisce... quando non si è innamorati - perchè è la femmina che rende ciechi noi altri. - Ora, la femmina è fuori e la donna è dentro. Bisogna trovar la chiave». Egli tornava a distinguere, a far due parti di un tutto: e bene, la sua dedica non rifuse, come la Palingenesi dossiana? «A Lei111 che ricorderà questi versi giusti... ma ingiusti:

 

So che......... amore

In............. uccidi

So che..........core

So che..........iridi.

Pur.............……..

............…………

 

E non inorridisca, se....

 

In Arte, tutto ha la sua ragione d'essere - purchè tutto sia al suo posto. Quell'intelligenza che mi si è rivelata così bella... può comprendermi bene». - Comprendono male i barzineggianti, che fan della morale ad uso de' cotonieri e dei caratisti delle fabriche nostrane di automobili. Perciò, qui, Cesare Tronconi può trovare il suo posto; da che, mi pare che questo sia un rosario recitato a tutti i santi senza altare, e destinati alle future basiliche della sincerità.

Per allora, un momentaneo entusiasmo spingeva il Dossi alla popolarità; parve che sorgesse e potesse insistere, nel cielo torbido delle lettere e della critica riconosciuto, il sole meridiano della novella e del romanzo nostrano. Altri, in un impeto di bufera artificiale, vennero, come nubi a distendersi cupe, a velare per poco la faccia d'oro e di luce; poi si dileguarono: ritornò il sole a soggiogare le nebbie.

Comunque tutti i poveri di spirito della pudibonda melensaggine patria e confessionale gridarono allo scandalo ed alla irriverenza. Li ultimi cavalieri di Re Arthus infiordalisati sotto la procura lasciata loro da Tomaseo se me adontarono. Risuscitarono, per l'occasione, li spauracchi più neri del loro arsenale di guerra, a difesa del loro sacratissimo e male odoroso pudore, per difetto di cotidiane ed igieniche abbluzioni alle parti, domandarono per ogni dove, foglie di fico, di platani e di vite; Stecchetti pornografo, Carducci ateo e fuori legge; altrove Swinburne contaminatore di Londra; qui Dossi infamato con quelli. E, nelli insulti verbali, la rugiadosa pastorelleria risuscitò dal Bosco Parrasio, per scolare nelle pie giaculatorie manzoniane, trovando che La Desinenza in A aveva sorpassato Nana. Certo, ha detto più di Zola perchè Dossi è più grande stilista; dove s'arresta la fotografia zoliana, là incomincia l'idealismo dossiano. Il suo timbro risuona in tono ben diverso che non squilli il gong di Nuova Polemica; unico ancora tra i suoi coetanei a dare quella nota di sua esclusiva personalità. Egli ebbe il coraggio di riscrivere il vecchiume misogino di venti secoli di letteratura, eroicamente senza ridirlo saggiandolo al suo tempo, provandone il contenuto colli aspetti che l'epoca sua gli offriva in ispettacolo: aggiunse, alla fisiologia ed alla patologia classica e romantica dell'odio e del disgusto per la femina, la novissima diagnosi delle donne ch'egli seppe e vissero con lui, le fermò, indice di costumi sociali, di un agire singolare. Chi considera La Desinenza in A, come fa del resto il Croce al puro obbiettivo del metodo estetico da lui ereditato da De-Sanctis, si svia. Carlo Dossi non va giudicato, isolato, come categoria, ma deve essere posto a paragone di uomini e di avvenimenti, ragione storica non solo d'arte, circondato dalla sua atmosfera morale e fisica, da cui respirò idee e nutrimento, cui ridiede nerbo ed eccitamento per maggiori volate di bellezza e di sincera applicazione.

Egli può venir imputato, da chi sa molto e non ha oscura nessuna delle letterature europee, d'aver riportato in tempo presente il succo delle pagine argutissime, felicissime, piene di vita del Delicado, spagnuolo, canonico che amò l'Italia, le sue cortigiane, le avventure di passione e di risa e di scherno del nostro rinascimento e diede a noi il più storico simbolo di quella umanità colla Lozana andalusa. Altri potranno obbiettare che La Desinenza in A si appaja in alcuni capitoli in parentela prossima ai Raggionamenti del divino Aretino, ed io pure sarò di questo parere; ma tra Carlo Dossi ed il Messer Pietro intercorrono oltre trecent'anni, ed il la de' Raggionamenti è la dilettazione sessuale soppannata di satira, mentre qui risuona in timbro di riprovazione e protegge le verità contro le menzogne. E poi, che gioverebbe questo paragone? A confermare l'opinione mia espressa altrove che il nostro realismo italiano non fu altro che un passaggio classicista, un ritorno al motivo iniziale e positivo della nostra rinascenza, sollecitato dalla voga zoliana; un rivedere in massa e materia, in plastica ed in pittura il mondo che il romanticismo intermesso, ma soffocato aveva descritto in idee ed in forza, in possibilità ed in trasformazione. Il valore nuovo di Carlo Dossi sta come azione di vita e d'arte, pur esplicandosi con formule naturaliste, metodo di arte per la tangibilità.

Oggi, pur troppo, lo so per esperienza, tornano i giorni dell'Indice: corre per le città una turba di iconoclasti e di svergognati piissimi in cerca del vero e del bello, e, perchè nudi, li fanno sudici. Non accorge la morale bruttura della sua anima collettiva e feroce. Oggi, il Concetto della Pornografia ha cambiato sede; io lo rimetto nel cervello, quelli altri lo inchiodano, tra coscia e coscia, nel sesso. Oggi, la pornografia è venuta in coturno a passeggiare, tra li onori delle pubbliche sedute parlamentari, careggiatavi delle 40.000 firme di dame e di dami di bergamasca e grottesca notorietà: coprire è mentire.. - Oggi, pornografia non è più quanto insulta, o non rispetta, il diritto d'arte, la bellezza della forma, la necessità funzionale e naturale della letteratura. - Pornografia non è pur sempre, e dovrebbe essere, quel pleonasmo che esorbita sul necessario, il dettaglio viziosamente enormizzato a proposito, sì da riempire il primo piano, la piccola e misera ragione di sfondo, l'atto accessorio, verso cui si vuole forzatamente condurre l'attenzione del lettore; dove rimangono l'artificiosa esposizione, l'inutile suggestione intensiva per li esercizii dell'inguinaja e delle perversità, certo di natura, ma non tutta la natura. Molti libri, affatturati su questa ricetta, invece, hanno spaccio per ciò, e sono lodati; moltissimi lettori vi accorrono, se a pagina tale, o tal'altra, degustano il sal amaro ed il limone spremuto di scene speciali, in cui Garaguez e Priapo, turco e romano, falliformi soggetti esemplari, discutono colla chreis greca e si accordano internazionalmente sempre, qualunque siano le loro capacità. Tali pubblicazioni si determinano per lucro; dimostrano l'esibizione, l'eccitamento, l'offerta, la soddisfazione acquistata a tariffa: «πόρνη bagascia: anche l'etimologia insegna; colei che vende piacere, che inganna, cioè, all'amore eseguendone tutti li atti; colei che è l'idolatra secondo il senso evangelico di Paolo da Tarso; insomma, la mercantessa di cose false, di spasimi e di voluttà simulate, di preghiere mentite verso una falsa e bugiarda divinità. Così, la letteratura pornografica rimane la menzogna gesuitica e male espressa: La Pia Giovanetta del canonico Nava, La Via del Paradiso, i romanzi ascetici e modernisti del Fogazzaro, il brecciame e la rigatteria variopinta, ricucita insieme, li sfoggi invelati di lussuria da basso impero, centone d'annunziano: tutta la roba rinverniciata, ridorata, a richiesta del tempo giudeo e ghettajuolo, le acadabranti posizioni ultra aretinesche, l'ambiguo ed il grigio, ad encomio, dell'epoca pigra e lutolenta, che appare, ora, sotto l'etichetta del libertinaggio, poi, della scienza, quindi, della religione, per ingannare, per corrompere, per farsi comperare, perchè autore ed editore ne abbiano i profitti maggiori: Pornografia.

E già che ci siamo, oh si, pornografia il nostro reggimento politico, in cui nulla è spontaneo, sincero, serenamente responsabile, in cui tutto è un affare, una burla insidiosa ed assurda, un commento pagato, un volo lucrato. Onde, se un giudeo di grandi numeri e di vertiginosa eloquenza, ipostasi non corretta di un montanaro allobrogo e cinico, interposto Luzzatti al potere dittatoriale di un Giolitti; se il filosofo-economista-scrittore di sulla religione sulla tolleranza, sui diritti dell'anima e della pancia, in bilancia tra il Ferri, avidissimo guascone di prerogative ministerali, ed il salesiano astuto bracconiere di coscienze e dilettante di gaudi deretani; se il Primo Ministro di quest'ultimo regno ingiurioso al buon senso ed alla virtù (ahimè, virtù!...) italiana, spaccia circolari per difendere la morale pubblica dai libri, dalle stampe, dalle cartoline, dalle scatole di zolfanelli, dalle maglie color carne, dalli inviti pandemii, dalle occhiate che offrono, dai pis-pis coi quali anche la povera prostituta si sfama, se, in quest'ora grigia dentro cui l'episcopato trionfa in Parlamento, la scuola è mancipia dei frati e delle monache, le banche passano allo sconto dietro l'attestazione del biglietto di pasqua, si vien parlando di morale, di ritorno ai sacri affetti della famiglia, d'instaurazione etica, di conservazione della innocenza, di diritti sacrosanti alla pura ignoranza delle vergini; oh, si, sono assolutamente convinto che tutto è pornografia tranne le aperte imagini, le belle pagine, le sincere rappresentazioni che danno l'uomo nudo ne' suoi atti d'amore; tranne l'eterno, purissimo, vittorioso nostro paganesimo che insorge contro i Cristi e le Madonne rachitiche, colle sue bellezze, vituperando in quelli venti secoli barbari e tenebrosi di teocrazia, di dispotismo, di ferocia cristiana, attestando la sua perenne divinità umana già mai oscena, se l'arte colga in ogni positura, e, commossa, rappresenti carne e spirito nell'odio, nel piacere, nel delirio insindacabile dell'amore, compartecipato gratuitamente, proferto ed accolto. E grido: «Se incominciassero codesti preti della morale pubblica a redimersi alla vera morale!».

Tutte quelle rappresentanze di un lucro sociale e costituzionale, tutti que' funzionari rimunerati vorrebbero forse mute le pagine di Desinenza in A? Ha Carlo Dossi trafficato mai del suo volume? Nessuno fu più di lui schivo a spingere il successo ad utile fortuna: egli sfida ogni indignazione cruscante e cristiana, pretesto ed ipocrisia, perchè non ha fatto nulla più di quanto fecero i loro Padri e Dottori del Vocabolario e della Chiesa. Ha riposto sulli altari quell'amore doppio e spaventoso in peccato, perchè ciascuno lo ammirasse con terrore e lo fuggisse con prudenza. - L'impudenza de saccentelli e dei paternostranti, del resto, apparve stolta, se ha voluto bruttar di fango pornografico La Desinenza in A; di rimbalzo schizzò loro in faccia. Quest'opera, dedicata a Tranquillo Cremona dalla cui pittura, Dossi, imparò a scrivere; quest'opera, che fu alli occhi molto casti e manzoniani di De Amicis la prova della virilità di un letterato formidabile; questo volume, che al classicissimo Luigi Lodi si presentò con pagine «serenamente112 belle, in cui la verità della vita è intesa e rappresentata con sobrietà, con nettezza di colorito e con bella sincerità d'artista» non è tale d'essere proposta per lettura ad virgam erigendam, a cantaridina sospetta, per Taidi e Batilli impomatati, per vecchiaccie insoddisfatte e ninfomani, per vecchiardi impotenti ed insatiriti. - Luigi Lodi comprese «lo sdegno113 iroso di chi imagina un mondo in cui non può, o non vuole, penetrare: l'odio feroce dei solitarii contro la gente che non conoscono, la crudezza ricercata di pitture e lo studio disgraziato delle parole difficili, degli accoppiamenti e degli accostamenti disarmonici di lingua»; ma accorse pure «che, di tratto114 in tratto, la pura tempra d'artista sapeva liberarsi forte e schietta dall'involucro accademico, onde si era avvolta e aveva, per una virtù, che è propria degli uomini d'ingegno vero, la intuizione esatta del reale e scriveva con una muscolosa energia, con un disprezzo superbo, che raggiungevano, non di rado, il maggiore effetto».

E però, quei melensi spauriti, tra la giaculatoria e la somma de' spiccioli recapitolatrice dell'introito giornaliero, bottegai al minuto e strozzini all'ingrosso, alla nuova edizione di La Desinenza in A si sentiranno orripilare. Stiano lontani, si scansino, l'aborrino. Di questi giorni, alcuni possono reclamarla sentinella futurista (disprezzo alla donna!) con suggello marinettiano, altri vengono ad aggiungerla a Quelle Signore, senza scrupoli reddituarie, per Le Maisons Tellier e l'Amministrazione Notari: la sua ristampa in ogni modo commoverà la Gente-per-bene delle Leghe per la pubblica moralità. Sciocchezze tutte che si ostinano ad accorrere per ricompensare o per proibire, autenticandole e truffando nello stesso tempo, le basse ignoranza, o le povere ed incomplete malvagità.

Malsicura coscienza del proprio valore, sollecitare, col pagliaccio in sull'entrata, colle insegne sesquipedali alla finestra, perchè si accorgano di voi: miseria, proibire, condannare. La prostituzione è un organismo ch'ebbe movimento dalla società, dalla comunione, dalle leggi che vollero impedire: il giorno, in cui il dogma ed il codice vietarono il libero connubio per ragioni statali ed economiche, si rizzarono le prime tende del dicterio: quando l'uomo si trovò nel bisogno di concorrere alla tribù, tutto ebbe valore, anche il proprio sterco: quindi, confini ai campi, limite all'azione, distinzioni permesso e no, venalità per il sesso.

Storie povere di mendicità internazionali e gemebonde. È pur lecito, che, sotto il patrocinio di San Luigi re, morto casto e imbertonato, in un torneo, mentre, piissimo, attendeva ad un'ultima e mirabile crociata; è pur meritorio, che, accomandati da San Luigi prete, vergine che vergognavasi di guardare in volto la madre sua, temendone tentazione carnale; è pur logico, che, ripristinato un specie di Indice nel gabinetto del procuratore del re, dove si accolgono le delazioni de' diversi Santini, de' varii senatori Béranger, delle dispersive Mrs. Grundy; risorga in onore la così detta Police des moeurs! Impudenza presbiterana; cacciatori di ragazze del marciapiede, di cartoline illustrate a donne nude, di Asini podrecchiani li agenti si ritrovano per essere esposti alle tentazioni di un sadismo sociale e questurinesco. Dentro di loro vigilia il senso nascosto della dolcezza di far sofrire, di spingere, pizzicottando le braccia e le natiche alle sorprese, di lacerare le imagini, di deporre davanti il magistrato calunnie. Portano daghe e dovrebbero rimettersi il sajo col caperuccio a bauta dei famuli; mi si rappresentano collo staffile in mano e la disciplina, intonacati, il kepi a sgimbescio, le mortelle al kepi, in un orrido compromesso di costumi, capuccino-Menot birro-croato-vice-boja-dell'Inquisizione. - Vengono a passi foderati di ovatta, come i gatti in ispedizione ladresca: annusano l'aria, le carte, l'inchiostro di stamperia, i cartoncini bristol e no, le sottane, le mani, l'alito, le pudende. Louis Veillot di ultramontana e clericalissima memoria ha raccontato di un santo che avvisava, dall'odorato, la castità feminile, cane di scovo per selvaggina di paradiso: codesti agenti si pretendono dotati della medesima istintiva virtù per quella d'inferno.

Oggi, domando loro, ed a coloro che li sguinzagliano, come l'ho chiesto ieri, se, essendo concesso di allegare il voto ai contadini bergamaschi, perchè ne approfitti uno de' qualunque Coris o Longinotti del parlamento - dove li eletti allogano sè stesso al governo, il quale ricatta e vende promesse e buona fede alla Nazione; - se, potendo, secondo un'ambigua carta, essere permesso alla libertà individuale di affittare temporaneamente, la forza de' muscoli, l'abilità delle mani, il prodotto de' suoi cinque sensi, in pittura, scoltura, musica, letteratura, industria, bellezza, non sia possibile dar a nolo, in buon contratto, il sesso alla femina, perchè un maschio, che ne la richiede, ne usi a soddisfazione de' propri istinti genitali. Vi sono delle regioni anatomiche sante e sacre, e delle altre vergognose nel corpo. Vi è una legge che proibisca, per ordine pubblico e pubblica igiene, le indigestioni? Verrà, forse, quando messer Ferri s'incontrerà sulle direttive politiche con mastro Giolitti: per ora è tollerato il morire di colica epatica in seguito ad una scorpacciata di ciliege acerbe. Chi oserà dunque determinare alla fame ed alla golosità del sesso, ora, motivo, pietanza legittima e no, quantità, qualità razionale? È vero: l'indigestione simboleggia lo spirito cattolico e si pratica indisturbata: l'amore è Venere che torna fatale a contrastar Cristo: qui, vi ha contradizione; là corrispondenza: per intanto codice e dogma confondono bellezza con peccato e delitto, ma sopra tutto paventano la sincerità. Protenderanno le granfie a una prossima ristampa di Desinenza in A?

È dato solo alli uomini puri, come Carlo Dossi, d'immettere le mani nel brago e di ritorle monde: essi hanno in loro stessi il preservativo eccezionale, salutare e fatale del loro carattere, che li fa, in ogni momento della loro vita, candidi e schietti. Essi possono discendere nelle oscure profondità dell'anima e nelle latebre del corpo più oscure, dettagliarne le complicazioni eretiche, ripresentarne le cerebrazioni, coll'arte: il mistero torbido affascina e completa la piena conoscenza delle cose chiarissime. Vicino alli Amori, gilii e rose stretti in fascio ed offerti alla più bella ed alla più saggia, stiano il fior di cardo, le orchidee, la panocchia violetta ed eretta dall'aconito d'alpe. Si compensano; sanno di completare la botanica; definiscono per opposti cardini, la vita. Perchè il sole e non l'ombra? - Perchè l'ombra, sempre, e non mai il sole? - Carlo Dossi, che fece opera di vita, non ha trascurato i due elementi; dal bene e dal male foggia l'intiero suo poema: voi scegliete quanto meglio vi aggradi, o dal Romanzo della Bontà o dal Romanzo della Malvagità: o dalla sua ragion critica, o dalla sua ragion pratica. Egli non vi limita, nè v'impedisce l'opzione; quanto a me non distinguo; lo accetto e lo bandisco in totalità.


 

 

 




80 Raiberti, La Prefazione delle mie «Opere future».



81 Etichetta al «Campionario».



82 Campionario, I Contrattempisti.



83 Campionario, I Contrattempisti.



84 Campionario, La calata dei Matematici in Italia.



85 La prefazione delle mie «Opere future» scherzo in prosa del Medico-Poeta.



86 Il Volgo e la Medicina.



87 Raiberti, I Fest Natal.



88 Del calamaio di un Medico,  Nuova ed antica impostura.



89 Del calamaio di un Medico,  Nuova ed antica impostura.



90 Del Calamaio di un Medico, Bruti e Cristiani.



91 Lettera inedita a L. C, Roncegno, 14 Agosto 1885.



92 Desinenza in A, Via publica.



93 Lorenzo Stecchetti, Nuova polemica Palinodia.



94 Margine alla «Desinenza in A.».



95 La Desinenza in A, Palingenesi.



96 Huysmans, Certains, Félicien Rops.



97 La Desinenza in A, Palingenesi.



98 Pipitone Federico, Saggi di letteratura contemporanea.



99 Margine alla «Desinenza in A».



100 Margine alla «Desinenza in A».



101 Margine alla «Desinenza in A».



102 F. Cavallotti, In morte, di A. Manzoni, 1873.



103 F. Cavallotti, Povero Vate, Milano, agosto 1877.



104 Nel giornale «La Ragione» Anno IV n. 233.



105 L. Stecchetti, Nuova polemica, a Giosuè Carducci.



106 Margine alla «Desinenza in A».



107 Stecchetti, Nuova polemica, Prologo.



108 Stecchetti, Nuova polemica, Prologo.



109 C. Tronconi, Commedie di Venere.



110 C. Tronconi, Commedie di Venere.



111 C. Tronconi, Commedie di Venere.



112 L'apologia dei Rebus, - Carlo Dossi, la Desinenza in  A, seconda edizione, - LA DOMENICA LETTERARIA, Anno III, N. 46,  20 Aprile, Roma, 1884.



113 L'apologia dei Rebus, - Carlo Dossi, la Desinenza in  A, seconda edizione, - LA DOMENICA LETTERARIA, Anno III, N. 46,  20 Aprile, Roma, 1884.



114 L'apologia dei Rebus, - Carlo Dossi, la Desinenza in  A, seconda edizione, - LA DOMENICA LETTERARIA, Anno III, N. 46,  20 Aprile, Roma, 1884.






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