DEL SANTO,
FINO ALLA SUA
MORTE.
Chi ben comincia ha la
metà de l’opera;
E chi
finisce ben l’ha tutta intera.
Non si
comincia ben se non dal Cielo;
Ma sol
nel Cielo bene al fin si termina.
Principiò la sua carriera
il nostro Divinissimo Sole a summo Caelo; e la finì per l’appunto
colassù dove l’haveva intrapresa: & occursus eius usque ad summum eius.
Il movimento anhelante di
una Corsa sì grande fu senza alcun’intervallo di rimesso fervore. Passò
vigoroso per tutti li Segni di quel Zodiaco, che dovea formargli un Arco al
Trionfo. Sempre aspirando [423] all’Occaso, appena vi giunse, che si
fe’ ravvisare, come il Polifemo degli Astri, ascendere a quell’Orizonte, dal
quale si era spiccato.
Nacque fra due Bruti
accolto: morì fra due Ladri confitto. Se nella Culla hebbe la Genidrice
Lagrimosa di gioia assistente, la compatì sulla Croce, amareggiato dalla vista
di quella dogliosa, più che dal fiele, che li porse l’Hebreo, colto nella Vigna
della Sinagoga, delli cui Tralci spinosi cantò il Cigno Reale: Uva eorum uva
fellis, & Botri amarissimi. In Bettelemme fra le paglie campestri: sul
Golgota fra i Giunchi marini. Là fra i Bifolchi agresti: qui fra i Villani
Giudei: Là colle Stelle del di lui Natale foriere: qui col Sole per la di lui
Morte languente. Là rugiadoso nel pianto: qui ammollato nel Sangue. Là
interizito dal gelo: qui dall’angoscia tremante. Là nelle fascie ristretto: qui
dall’Amore spogliato. Là di latte pasciuto: qui d’opprobrij satollo. Là in una
Mangiatoia disteso: qui sopra di un Tronco confitto; ma sempre dal Presepe al
Calvario, come Cervo ferito, senza fermarsi, né mai rallentare il Viaggio
intrapreso.
Appena hebbe messo, non che
la mano, tutto il suo Augustissimo Corpo all’Opera immensa della nostra
Redentione, che non mai levollo; ma sempre più il sottopose con indefessa
Perseversanza al patire [424] fino alla Morte. Cominciò nella
Circoncisione a soffrirne i mesti preludi; indi impiegò tutta la sua lena agli
stenti, finché s’impiagò tutta la sua carne colle sferzate.
Viva l’inesausta Pietà di
così gran Redentore, che non colla di lui Vita hebbe fine; ma dopo haver colla
sua Passione consumat’i Tormenti, ricominciò risorgendo a spargere i Beneficij.
Fu ben sì sepolto il
Sagrosanto Cadavere, ma non già la Clemenza del Salvatore, la quale perseverò
ad arricchirci quando pareva, che colla Vita della nostra Vita dovesse
venir’estinta, e sepolta.
Gelosissimo il Verbo Eterno
della Virtù della Perseveranza, non intralasciò mai l’essercitio di Virtù così
Nobile, con cui tutte le altre, a guisa di Perle, come con filo d’oro si
schierano in fila. Se queste sono le Anella, quella è la Catena; e se l’una
chiama l’altra, come compagna, e l’abbraccia, come Sorella, la Perseveranza
tutte le chiama insieme come Discepole, e tutte le abbraccia in uno come
Figliuole.
Et ecco insorgere la
ragione, spiegadrice del gran Mistero, perché il nostro Christo, se non calò
dalla Croce, volò del Sepolcro. Lassù non volle troncar nel più bello
dell’Opera la gran Virtù della Perseveranza, che ne fu l’Ingegnera,
[425] perché non doveva lasciar nell’aria sospesa quella gran Machina
della nostra Redentione, ma solo il Divino Cadavere, che ne fu l’Organo. Laggiù
non potea più patire, onde ne proruppe tosto impassibile, con gloriosissimo
movimento.
Hebbero perciò i Santi
Padri occasione, fra tante altre di derider l’Hebreo, così pazzo come blasfemo,
che il provocava a sferrarsi dalla Croce, perché non sarebbe stato un oprar da
Dio il lasciar la Passione imperfetta sul bel procinto di terminarla. Quinci fu
dal Saggio Agostino seriamente schernito il Gentile, che finse un Dio Giano a
cominciare, & un Dio Termine a finir le facende: perché non può dirs’Iddio
quello, che senza finire comincia; e né men quello, che senza cominciare
finisce.
Oh come FRANCESCO,
Protratto per ogni verso del Crocifisso, fondossi costantemente sopra la Base
di questa Dottrina incrollabile! Egli non discordò dal suo Natale Innocente una
Morte Candida, perché perseverò nell’essere Candido, & Innocente. Nacque
come un Colombo, e morì come un Cigno. Visse qual nacque, morì qual visse: Ogni
passo della di lui Vita Mortale avvanzò FRANCESCO all’Eterna. Ogni momento de’
di lui respiri guadagnogli un’Immensità di Trionfo: ogni [426] respiro
de’ suoi momenti acquistogli un Trionfo d’Immensità.
Hebbe alla Culla gli Angeli
canori, alla Tomba, ufficiosi. Basta, ch’ei come Christo nascesse, e come
Christo morisse, perché gli spalancasse il Paradiso le sue finestre alla
nascita, e le sue Porte alla Morte.
Morì Platone Ottagenario
co’ Numeri di Sofròne Mimografo sotto al capezzale: Morì FRANCESCO Nonagenario,
co’ numerosi Esempli del Salvadore, impressi nel capo, e registrati nelle Opere.
Egli fu sempre il medesimo;
sol se non superò sempre sé stesso professandosi Minimo, e sublimandosi
Massimo. La Perseveranza il rese sì grande, che di un Punto, ch’ei voleva
essere, lo stese in vastissima Sfera di lume, la cui fulgida circonferenza
hebbe tante linee procedute dal centro, quante Virtù tirò la Perseveranza dal
cuor di FRANCESCO.
Di FRANCESCO sì, che come i
Sagri Animali di Ezechiello, a guisa di fulgore corruscante, senza fermarsi, né
ritornar mai addietro, tutto splendente corse al suo Scopo; & hebbe così
per nemico il riposo, che a sembianza degli Astri non trovò mai, che
nell’Inquietezza la quiete.
Io lo considero sempre
affaticato, e non mai stanco. Suda, né si raffredda, perché [427] non
prende l’aria del Mondo. Si macera, e non si ferma, perché ha gli stimoli a’
fianchi. Dopo haver messo mano all’Aratro non mai si arresta, ma sempre attento
a tirar diritto il suo solco, vi sparge semi di Meriti, per raccorne Messi di
Gloria.
Durò Protogene sett’Anni
interi astinente sol pago di Lupini ammollati, affin di haver il capo netto da
que’ fumi, che cagionano i Cibi pingui, per poter applicar con tutto lo spirito
il suo Pennello a delinear’il Protratto di Gialisso dal naturale. Durò
FRANCESCO quasi, che un Secolo contento di poco pane per far di sé stesso,
mortificandosi, al vivo un Ritratto del Crocifisso.
Ei seppe tirar più diritta,
che Apelle, sulle Tavole della Legge la Linea della sua Vita non mai obliqua, e
non interrotta; ma con tal sottigliezza, non come dilicata, ma come astinente,
che non potea tirarsi più indivisibile, perché fu Vita del tutto semplice. La
Perseveranza fu la Geografa, & il Vangelo servì di Regola. Ogni punto fu
continuato con tal’esattezza, che non vi fu discrepanza dal primo all’ultimo:
quindi la Linea fu retta, perché diretta dalla Perseveranza, che senza mai
vacillare tirolla.
Morì FRANCESCO nel Giorno
del Venerdì Santo, all’hora medesima, che Gesù, stendendosi sovra una Croce da
[428] lui portata addosso per tanti lustri, crocifisso da’ suoi
quattro Voti, coronato di Spine i lombi se non il capo, scorticato da’ flagelli
il dorso; e se non hebbe il fiele sulle labbra, fu perché le mantenne morbide,
e raddolcite, col favo del Mele Sagramentale, che fabbricò nell’Alveare di
un’Hostia l’Ape Verginale del Paradiso.
Oh Fortuna! Oh Virtù! Oh
Perseveranza! Oh Morte degna di Eterna Vita! Io non so trovar un Fasto più
Augusto per celebrar del mio gran FRANCESCO le Geste; per innalzar del mio gran
Patriarca le Glorie. Datemi voi una delle Cetere vostre, o Celesti Orfei, colle
quali rapite senza favola i cuori, se non i Tronchi, ed i Sassi. Ma troppo
indegno di tasteggiarla con ragion mi escludete, e mentre mi sento cader la
penna stupidito, più che divoto, odo, che voi armoneggiando accompagnate
l’Anima bella di FRANCESCO in Trionfo; e mentre rapir mi sento dalle vostre
dolcissime Sinfonie confesso ancora che sete Orfei nel rapir i Sassi, & i
Tronchi.
Sormonta lo Spirito di
FRANCESCO le Stelle, che lo coronano, & accresce all’Empireo le fiamme
colla sua Carità così ardente. Multiplica i Serafini acceso di Amore. Co’
Cherubini si mischia havendo da essi appresa quella Scienza Mistica, che non
gonfia di Vento, ma empie di Dio. Giubila il Paradiso, [429] &
ondeggiando co’ raggi d’oro i Beati, incontrano quel gran Prodigio di Penitenza
quel gran Corifeo di Humiltà, quel Purissimo Celibe, quell’Astinentissimo
Confessore, quel Martire valoroso, che tormentò la sua Carne sì lungamente per
bearla risorta coll’Anima sua nella Gloria.
Languisce allo svelarseli
del suo Dio tanto amato quanto bramato, in soave Deliquio, non più di disio, ma
di Amore, e lo sostengono tramischiate all’ale degli Angioli, quelle Virtù che
l’accompagnarono sempre Mortale, dalla Perseveranza condotte, e che hora
immortalmente con lui trionfano.
Il Verbo Incarnato
l’abbraccia, & all’Eterno Padre il presenta, che lo vagheggia come una
Coppia sì ben formata del Crocifisso dalla Perseveranza perfettissima
Imitadrice; Ma lo Spirito Santo in esso come in suo Tempio s’interna, e non più
l’accende coll’impatienza, ma colla gioia.
Mentre vien fatto sedere
sopra un Seggio Stellante de’ più sublimi, onde furono deposti gli Angioli
Alteri, cantano que’ Cigni arguti del Paradiso questo Mottetto Davidico: Deposuit
Potentes de Sede, & exaltavit Humiles. E chi fu, che depose di Sedia i
Superbi (che Potente, e Superbo spesso è il medesimo?) Chi li diroccò dalla
Gloria? Il non perseverar [430] nella Gratia. Chi fu, ch’esaltò i
Santi (sempre Humile, e Santo è lo stesso)? Chi gli stabilì nella Beatitudine?
La Perseveranza nelle Virtù, per conseguir come fe’ FRANCESCO quella Gloria,
ch’altro non è alla fine, che una Gratia consumata, e perfetta.
Hor noi perché stiamo più a
bada? Deh chi ci trattiene tanto infingardi, e non ci lascia correre, se non
così a gran passi, almeno in sicuro, sulla Carriera, che tenne FRANCESCO? Ah
troppo è vero! Se si tratta di camminar su quella del Senso siam tanti Barbari:
Se su quella di Dio siam tanti Ronzoni. La Perseveranza nel peccato è di
macigno: la perseveranza nell Gratia è di Creta. Chi veste l’Habito della Colpa
se lo lascia marcire in dosso: E chi si addatta quello della Virtù facilmente
lo spoglia. Il Vitio appena veduto si apprende; e l’Honestà tante volte
incontrata si fugge.
Buon Dio, che scempiezza!
Il Male perseverando si accresce; & il bene perseverando si diminuisce.
Comincia l’Anima distratta ad amoreggiare col Mondo, e non sa lasciarne
l’affetto, perché l’Interesse la lega. Inveschia il piè nelle panie del Senso,
e non sa staccarnelo; che se pur si sviluppa, e divelle non è solo, che per
istanti. Ma se si tratta di volgersi al Crocifisso, e di perseverar’all’ombra
di esso non v’ha nel pensiero stabilità, che [431] suscita solo, che
per momenti, poiché il divertono l’ombre.
I Cani ritornano al Vomito,
& i peccatori al peccato. Le Colombe si ricovrano al Nido, & i Giusti
alla Croce. I Fiumi Reali non tornano mai in dietro, e l’Aquile che fissano gli
occhi nel Sole non mai torcono lo sguardo alla Terra; ma quanto più contemplano
quel fonte di lume, tanto più si appressano a berne i rivoli chiari colle
pupille assetate. Con questo dire Simbolico parlo a bastanza.
Esser più facile, che si
sommerga un Otro pieno di Vento, che un Giusto, parve a Zenone. E pur era
questi Gentile, e non haveva, che lo Spiraglio Morale della Scienza, e non la
luce, che a noi disgorga da tante parti a rischiarar il cammino dalla
Perseveranza battuto, ma così poco da noi frequentato, che piangono le vie di
Sionne per lo squallor della Solitudine, e ridono quelle del Secolo tanto dirupose,
sdrucciole, & infangate; E pure tanti le calcano ancorché veggano tanti,
che le calcarono prima, eternamente precipitati.
Vaticinò il Salmista de’
Reprobi in questo proposito, che sicut Oves in Inferno positi sunt. Ma
perché come Pecore, se hannosi più tosto, seconda la Dottrina di Christo, a
chiamar Capretti? Più tosto per la loro rapacità di Lupi; per la rabbiosa bile
Orsi; per la loro fumante Superbia [432] Lioni; per la loro stolidità
infingarda Giumenti; per la malitiosa furberia Volponi; per l’immonda Lascivia
Maiali; per lo livor dell’odio maligno Cameli; per l’avaritia in accumular, e
custodir i Tesori Dragoni; per le machine dell’Ambitione, che portarono
addosso, Elefanti; per la crudeltà Tigri; per la sboccattezza Cavalli; per le macchie
Pantère; per gli artigli Grifi; per l’unghie Gatti; per la maldicenza contra la
Virtù Cani; per gli raggiri Serpi; per la Vanità Struzzoli; per la voracità
Orche; per la Doppiezza Amfesibene; per la Simulatione Scimmie; e finalmente
per le lor Colpe Bruti, come più brutti, e più insensati animali. Ah sì come
Pecore, perché seguirono l’uno dell’altro le polverose Vestigia, perirono
coll’esempio negli occhi, si precipitarono sopra le Rovine degli alteri, che
tal’appunto è l’Indole delle Pecore scervellate. Oh Pecoroni, oh Peccatori,
tornate addietro, che il sentiero, dove voi sete, guida all’Inferno! Buon per
certo: Costoro non sentono la voce di Christo, non rispondono alle ispirationi
della Gratia, non ubbidiscono alle chiamate della Sinderesi, sempre Traviati,
perché sempre Ciechi, come Mitridate convertono in alimenti i Veleni, e come
Rospi in veleni gli Antidoti.
A te mi rivolto, che leggi,
e teco conchiudo; che, se non vuoi perire con tanti, [433] dei seguir
le pedate de’ pochi, che perseverando sulla strada del Paradiso senza fermarsi
giunsero a possederlo sicuri, come FRANCESCO. Deh intagliati nella memoria
queste parole, che il Pio Bernardo scrivendo ad uno, intese di scrivere a
tutti, in una delle sue vaghissime Epistole, che per contener la Perfettione si
ponno dir Circolari: Perseverantia est Unica Filia summi Regis, finis
Virtutum earumque consummatio, totiusque Boni Repositorium, & Virtus sine
qua nemo videbit Deum.
L’hai tu ben intesa? La
Perseveranza è la Sorella della Beatitudine, perché ci svela la faccia di Dio.
Ella ci fa correre la Cortina del Santuario: Ella tira la Portiera della
Gratia: Ella ci scorge, Guida infallibile, sul cammin della Gloria.
Hor se tu vuoi, che il
Signor ti esaudisca, procura di perseverar nel bene, c’hai cominciato. Non
trattar con Dio alla sfuggita, ma di proposito: non l’adorare per necessità, ma
per debito: non lo servire per timore, ma per affetto. Hoggi è per te, il
Termine della Divotione de’ Tredici Venerdì; ma non sia il termine della tua
Divotione. Hai promesso a Dio molto: deh mira, ch’Egli non può venir ingannato:
Iddio ti ha promesso molto, deh considera, ch’Egli non può ingannare. Attendi
la tua Promessa, se vuoi conseguir [434] la sua Gratia. Delectare
in Domino, & dabit tibi petitiones cordis tui. Non ti stancare di
amarlo: Saporeggialo nell’Eucaristia Augustissima: gustalo nell’Oratione
fervente: Sentilo nella Sacra Scrittura; e nella Lettione Spirituale; che così
potrai sperare di conseguire: quanto il tuo cuore dimanda con questi ardentissimi
AFFETTI AL CROCIFISSO
Mio Dio! poiché la vostra
Onnipotenza mi fe’ qualche cosa di Nulla, senza chi vel chiedesse, la vostra
Misericordia mi faccia Giusto di Peccatore, mentr’Io ve ne supplico. Ispiratemi
a far sempre la vostra Santissima Volontà, perché il vostro premio è bensì
dovuto alle buone Opere quando si fanno da noi; ma la vostra Gratia a noi non
dovuta ha sempre da precedere, accioché possano da noi farsi. A questa Croce,
Tribunale di Amore, presento la fiacchezza della mia Natura, che Io non mi
scelsi, & al rigor delle vostre Leggi il vigore del vostro Sangue, che a me
versaste. Ah Signore? La mia Volontà è la mia Colpa: il mio Diletto è il mio
Delitto: il mio Intelletto è il mio Fiscale: la mia memoria è il mio Timore: la
mia Coscienza è la mia Tortura, la mia Sinderesi è la mia Sveglia: dentro al
mio Cuore sta il mio Processo, & il mio Spirito costernato è il Testimonio,
[435] che senza risposta mi accusa. Voi che siete il Giudice, siete
l’offeso; e se non ammettete per nullità di questo mio Processo, la mia
Genidrice, che in peccati mi concepì, e la Vostra, senza peccato concetta, si
fulminerà senza dubbio contra di me la Sentenza. Io so bene, mio amabilissimo
Redentore, che se mi danno, debbo dar gloria alla vostra Giustitia; e se mi
salvo alla vostra Misericordia; Ma so ancora, che, se ben’Io sono così
protervo, che voglio perdermi; voi sete così Buono, che volete salvarmi. Per
questo principalmente Io sto recitando: Facciasi la vostra Volontà, e non la
mia. Ascoltate dunque i miei Prieghi, e non mirate i miei Falli. Datemi deh
mio Divinissimo Ristoratore ciò, che mi conviene, e non ciò, che merito; poiché
chi commette peccati, e pur chiede salvezza, non solo dimanda ciò, che non
merita, ma presume d’impetrare ciò, che disprezza. Ah mio Generosissimo Dio
Pietà! Pietà di me, che non l’hebbi mai; e perciò più la ricerco, quanto men
m’è dovuta. Ma le vostre Misericordie sono sempre maggiori de’ miei mancamenti;
e dove abbonda il difetto, suole sovrabbondare la Gratia. Voi tutto Benefico
perseverate nel perdonare a me, che tanto ho perseverato in offendervi. Per me
voi non voleste discendere dalla Croce; & Io ricuserò ancora di ascendervi
per corvi Frutti di [436] Vita, come voi li coglieste di Morte. Oh
bontà senza fine! E pur anche voi mi attendete col capo curvo per invitarmi, e
colle braccia per ricevermi aperte; & Io quello fui, che tante volte vi
diedi le spalle, e tante volte alzai la testa contra di voi? Ah mio Crocifisso
Amore, deh spezzate questo mio cuor di sasso, hoggi, che si fransero alla
vostra Passione le Pietre. Che se Pietra son’Io di scandalo, incontrandomi in
voi Pietra di soccorso, non potrà essere, che non mi spezzi, per divenir intero
colla vostra Gratia, e per perseverare in questa fino a giugnere, con una Morte
felice, alla vostra Gloria.
SUPPLICA AL SANTO.
Così succeda, col vostro potentissimo
aiuto, come ve ne fo humilissima instanza, o mio riverito Avvocato. Questo è
l’ultimo de’ Tredeci Venerdì a vostro honore della mia debolezza santificati; ma
sia pur anche il primo di una Vita novella, che come nato di nuovo tutto
Innocente, mi sacrifichi a Dio. Ottenetemi, prima di ogni altra Gratia, quella
di salvar quest’Anima mia, ancorché ne succeda il naufragio di tutto il resto.
Impetratemi una perfetta Perseveranza fino alla Morte, che sarà per me Vita, se
giugnerò a morir, come voi, con Christo. Fate, che nell’avvenire s’habbiano
sempre [437] da me negli occhi le spine del mio Gesù, per le lagrime
sulle passate mie colpe, e per non più vedere gli Spettri di questo Mondo
fallace. E che mi giova (pur troppo il so a mie spese) quando ben tutto il
guadagnassi, per nello stesso tempo quest’Anima, che costò più del Mondo tutto
al mio Dio? No no! Morirò a quell’infido Fellone, per vivere all’Autore della
mia Fede. Deh fate, o mio caro FRANCESCO, che m’entrino profondamente nel Core
i Chiodi del Crocifisso, accioché configgano col Santo Timor di Dio la mia
Carne; che così non temerò l’estremo Giudicio; ma canterò in eterno le
Misericordie del mio Signore. Dalla mia Morte so, che la mia Vita dipende, e
che dipende la mia Morte dalla mia Vita. La sola Perseveranza può accordar
questo contraposto; e voi mio gran Taumaturgo fate ancora, fra tanti altri
questo Miracolo, ch’Io mi salvi, dopo di haver tante volte sprezzata, e derisa
la mia salute. Operate per me ch’Io viva; ma che viva a Dio: ch’Io muora; ma
che non muora al Cielo. Sia la mia Vita Morta, col morire del tutto al Mondo:
Sia la mia Morte Vita con vivere del tutto a Dio. Vivendo a Dio, viverò anche a
voi, o mio gran FRANCESCO, che sol a Dio, sempre, tutto viveste, & hora per
sempre tutto vivete in Dio; E già, che vi ho scelto per Astro Polare
[438] di questo mio periglioso viaggio, sfavillate colla vostra Carità
così fulgida a questo mio cuore fra tante tenebre, che l’opprimono; poiché voi
siete una di quelle Stelle, che sono monde nel cospetto di Dio, e risplendono
in faccia del Sole Eterno; da cui vi supplico ad acquistarmi
quel lume, che senza pericolo
in questo Mondo mi guidi,
e senza termine nel
Paradiso mi
bei.
Il Fine della Seconda Parte.
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