PERORATIONE
DELL’AUTORE
AL SANTO.
Ho finito, o
gran Padre, di spiegar’i vostri FASTI Gloriosissimi; ma non di piegar i miei
riverentissimi Affetti ad honorarvi così sublime nel Paradiso, come la mia
Eleganza è bassa per celebrarvi qui nella Terra. Arrossiscono queste mie Pagine
al riverberare de’ vostri raggi, più che non si rischiarano al lumeggiare de’
miei concetti. Allo splendore della vostra gran Fede, si oscura il brillo della
mia vaporosa Facondia. Al fioreggiar della vostra viva Speranza, si secca
sterile la mia sfrondata Eloquenza. Al
fervidissimo Ardore della vostra Carità così fulgida resta asciugata la vena
della mia Dicitura inocchiosa. Non ho più parole ad esprimere le vostre Glorie
Immortali, perché mi sovrabbondano troppo i Fatti della vostra prodigiosissima
Vita. Voi, che feste quaggiù sorgere tante Fontane da’ Sassi, anche dalla
Pomice del mio Ingegno feste spruzzare tante scintille. Mi feste illeso entrare
nel Fuoco quando m’introdussi a lodarvi infiammato da quell’Amore,
[539] ch’eternamente vi bea. Mi feste gallegiar sopra l’onde quando
m’ingolfai sotto il vostro manto a passar il Faro de’ vostri Elogi. Mi Feste
portar le gran Moli ad ergervi un Tempio di Fama, quando non caddi sotto le
vostre Geste sfiancato. Mi feste maneggiar senza offesa le bracie avvampanti,
quando trattai delle vostre Attioni Miracolose. Feste camminar le Montagne,
all’hora, che deste il moto al mio cuor di Pietra. Feste nascer le Fragole
intempestive all’hor, che dal mio Talento traheste Frutti in una Stagione, per
me cotanto infeconda, e spinosa. Feste risorgere un Morto all’hora, che nella
Tomba della mia Cella sepolto mi ravvivaste ad encomiarvi. Io sono simile
appunto a quel Ruscelletto, che voi, per così lungo tratto, in Corigliano
dietro vi conduceste. Io somiglio quegli Alberi, che così vasti, e fruttiferi
un piccol Seme [fa] in un momento sorgere al Cielo. Io sono paragonabile alla
vostra Tròtella, che fritta, e sbattuta in terra risuscitaste. Oh quanti
Miracoli in me faceste! L’Opera presente, ch’Io vi consagro è sol Miracolosa
per voi, che convertiste in tante Stelle per coronarvene i piedi ogni mio
Carattere, che vi si abbatte a’ piedi ossequioso. Questa mia Penna, che appendo
al vostro gran Merito era di Corbo, e voi di Colombo la feste: era di
Rondinella, e voi d’Aquila la formaste. Appunto di un [540] Tronco di
Pino ruvido tornaste, un’altra volta, a far’una Candela di cera candida, quando
questa mia Penna sfiorata, & arida nel rigido Verno de’ miei tanti
infortunij, da voi in una fiaccola così luminosa, e pura fu convertita. Questo
mio Spirito sia pure per l’avvenire, come il vostro Agnellino poiché, come
quello, divorato da’ Villani Indiscreti, e combusto da fiamme ingiuriose, il
feste uscire rianimato dalla Fornace di un petto avvampante a festeggiarvi col
capo chino, & ad elogiarvi co’ suoi belati. Deh rendetelo, o mio
Divinissimo Patriarca, altretanto Innocente coll’imitatione della vostra virtù,
quanto il rendeste purgato nell’Espressione della vostra Grandezza. La vostra
Humiltà sublimata riceva intanto questa mia Humiliatione sublime, con cui mi
esalto inchinandomi a voi. Ogni rettezza di queste Linee, che vi offerisco sopra
le Carte mi si rifletta, col vostro aiuto, sopra i pensieri. Deh salvate
quest’Anima mia colla vostra possente Intercessione, accioché non resti
sommersa fra tante Tempeste, che la combattono; poiché liberaste da naufragare
nel grand’Oceano delle vostre Lodi questo mio Intelletto, che giunge alla riva,
in cui prostrato vi adora.
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