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Francesco Fulvio Frugoni
I fasti del miracoloso S. Francesco di Paula

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  • PERORATIONE DELL’AUTORE AL SANTO.
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PERORATIONE

DELL’AUTORE

AL SANTO.

 

Ho finito, o gran Padre, di spiegar’i vostri FASTI Gloriosissimi; ma non di piegar i miei riverentissimi Affetti ad honorarvi così sublime nel Paradiso, come la mia Eleganza è bassa per celebrarvi qui nella Terra. Arrossiscono queste mie Pagine al riverberare de’ vostri raggi, più che non si rischiarano al lumeggiare de’ miei concetti. Allo splendore della vostra gran Fede, si oscura il brillo della mia vaporosa Facondia. Al fioreggiar della vostra viva Speranza, si secca sterile la mia sfrondata Eloquenza.  Al fervidissimo Ardore della vostra Carità così fulgida resta asciugata la vena della mia Dicitura inocchiosa. Non ho più parole ad esprimere le vostre Glorie Immortali, perché mi sovrabbondano troppo i Fatti della vostra prodigiosissima Vita. Voi, che feste quaggiù sorgere tante Fontane da’ Sassi, anche dalla Pomice del mio Ingegno feste spruzzare tante scintille. Mi feste illeso entrare nel Fuoco quando m’introdussi a lodarvi infiammato da quell’Amore, [539] ch’eternamente vi bea. Mi feste gallegiar sopra l’onde quando m’ingolfai sotto il vostro manto a passar il Faro de’ vostri Elogi. Mi Feste portar le gran Moli ad ergervi un Tempio di Fama, quando non caddi sotto le vostre Geste sfiancato. Mi feste maneggiar senza offesa le bracie avvampanti, quando trattai delle vostre Attioni Miracolose. Feste camminar le Montagne, all’hora, che deste il moto al mio cuor di Pietra. Feste nascer le Fragole intempestive all’hor, che dal mio Talento traheste Frutti in una Stagione, per me cotanto infeconda, e spinosa. Feste risorgere un Morto all’hora, che nella Tomba della mia Cella sepolto mi ravvivaste ad encomiarvi. Io sono simile appunto a quel Ruscelletto, che voi, per così lungo tratto, in Corigliano dietro vi conduceste. Io somiglio quegli Alberi, che così vasti, e fruttiferi un piccol Seme [fa] in un momento sorgere al Cielo. Io sono paragonabile alla vostra Tròtella, che fritta, e sbattuta in terra risuscitaste. Oh quanti Miracoli in me faceste! L’Opera presente, ch’Io vi consagro è sol Miracolosa per voi, che convertiste in tante Stelle per coronarvene i piedi ogni mio Carattere, che vi si abbatte a’ piedi ossequioso. Questa mia Penna, che appendo al vostro gran Merito era di Corbo, e voi di Colombo la feste: era di Rondinella, e voi d’Aquila la formaste. Appunto di un [540] Tronco di Pino ruvido tornaste, un’altra volta, a far’una Candela di cera candida, quando questa mia Penna sfiorata, & arida nel rigido Verno de’ miei tanti infortunij, da voi in una fiaccola così luminosa, e pura fu convertita. Questo mio Spirito sia pure per l’avvenire, come il vostro Agnellino poiché, come quello, divorato da’ Villani Indiscreti, e combusto da fiamme ingiuriose, il feste uscire rianimato dalla Fornace di un petto avvampante a festeggiarvi col capo chino, & ad elogiarvi co’ suoi belati. Deh rendetelo, o mio Divinissimo Patriarca, altretanto Innocente coll’imitatione della vostra virtù, quanto il rendeste purgato nell’Espressione della vostra Grandezza. La vostra Humiltà sublimata riceva intanto questa mia Humiliatione sublime, con cui mi esalto inchinandomi a voi. Ogni rettezza di queste Linee, che vi offerisco sopra le Carte mi si rifletta, col vostro aiuto, sopra i pensieri. Deh salvate quest’Anima mia colla vostra possente Intercessione, accioché non resti sommersa fra tante Tempeste, che la combattono; poiché liberaste da naufragare nel grand’Oceano delle vostre Lodi questo mio Intelletto, che giunge alla riva, in cui prostrato vi adora.

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