EPILOGATA LA VITA
IN ANGUSTO ELOGIO.
PROLUSIONE V.
Ma viva Iddio, sempre mirabile ne' suoi Santi, che fe' un Compendio delle
sue Maraviglie nel gran FRANCESCO DI PAULA, nuovo Taumaturgo per eccellenza, e
con ragione appellato.
Ogni momento, ch'Ei visse, hebbe del Miracolo:
Ogni movimento, ch'ei fe', pizzicò del Divino. Fu Miracoloso, perché
sussistette così lungamente Digiuno nel Mondo senza sustanza: Fu quasi, che
puro Spirito, perché respirò dalla Carne sempre mai separato. Tutti li suoi
respiri furono sospiri di Carità: Tutte le sue Attioni furono Atti di Fede:
Tutte le sue Giornate furono condotte dalla Speranza.
[67] La sua Vita, non sol pretiosa,
perché tutta Virtù: non sol Eminente, per essere tutta Humiltà, fu di Angelo
più, che di Huomo, perché tutta Spirituale travasando da' confini della Natura
si alimentò più di Dio, che nel Mondo.
Quinci adorollo il Mondo medesimo, incurvato alla
mole immensa di tanti Prodigij da quello operati, che ripartiti fra molti
basterebbono a qualificar molti per Semidei.
Impetrato dall'Intercessione del Serafino d'Assisi
doveva nascere tutto Fuoco, e tutto impetrito alle morbidezze del Senso. Tale
preconizzollo sul di lui tetto paterno Fiamma Celeste, discesa ad esprimere
questo Concetto raro il Misteriosissimo Nascimento.
A dinotar, che nella di lui Genitura hebbe il
Ciel, se non tutta, la miglior parte, Angioli Paraninfi si udirono armoneggiare
alla di lui Culla mottetti arguti. Emulò di essi col viso Angelico le arie
sovrane: ben degno, per essere Giglio all'Anima, come Rosa nel Volto, che sopra
di lui si posassero le Api del Paradiso.
Sin da Bambino cominciò, qual Hercole, a
schiacciar le creste a' Serpenti infernali; & appena con tenera, e tremula
mano sopra il suo petto spiegò l'Augustissima Croce, che piegò il collo humil',
e riverente, già di Christo seguace, a portarla sopra il suo dorso. L'hebbe nel
cuore [68] all'istante medesimo, che gli penetrò nell'Idea, e negli
occhi non men, che dell'Intelletto del Corpo, percosso in uno di essi da
doloroso Appostèma; ma ne ricovrò la salute all'intercessione di quel
Francesco, del quale doveva essere la Pupilla, sicome ne fu, con questa seconda
gratia Dono addoppiato.
Fanciullo fu tutto Senno, tutto Pietà, tutto
viscere, gittando le fondamenta incrollabili del profondo Timor di Dio, Base
fermissima della verace Sapienza, per ergervi sopra l'eccelsa Machina di quella
Scienza Mistica, che solo si legge nelle membrane del Crocifisso, Libro aperto
di Vita, & Indice infallibile di tutta la Perfettione.
Entrato nell'Anno Dodecimo cominciò ad uscir
affatto del Mondo, in cui non si era insinuato, che sol col piede. Benché
coperto di cenere nell'Habito Votivo di que' Minori, che son co' Fatti Maggiori
de' Grandi, spettabile alla serietà de' Costumi puri, nella Città di S. Marco
si fe' conoscere un Lioncino, nato coll'ardor nelle fibre a far gelare di
spavento l'Inferno.
Si fe' vedere ne' primi aspetti, & a' suoi
riflessi avvampanti, limpido Specchio, per la diafanità del suo cuore ingenuo:
Parabolico per lo candore del suo lume ingenito; ma non fragile, perché
Adamantino di tempra, come per la temperanza purgato.
[69] Apprese la Disciplina Monastica
nell'Osservanza de' più Provetti, se pur non si fe' loro Mastro alle
chiarissime prove della sorgente Sua Santità, dimostrate sopra la Catedra della
sua Faconda Innocenza.
Ad un tempo medesimo veduto in due luoghi di quel
Religioso Convento, meritò di restar'accolto ne' cuori di tutti, & ammirato
dagli sguardi di ognuno. Portò nella Tonaca illesa, come Carbonchi freddi,
Carboni roventi per lo Turibolo alla Sagrestia, mercè, che nell'Oratione, non
so, se più facilmente distratto, o felicemente applicato, hebbe l'Incenso,
ascendente a tutt'hore al Trono Sovrano. Cosse, pur ivi, senz'alcun altro
fuoco, che quello della sua Fede, la Caustrale Civaia: che bastava
l'approssimatione sola di esso a riscaldar'i Cuor, non che i Cibi di quella
Regolare Adunanza.
Elevato di terra con estatico rubamento da Dio,
accostumossi a lasciarsi rapire dalla memoria di quelle Delitie, che solo si
godono in Cielo. Seguiva la di lui Carne, senza colpa leggiera, lo Spirito di
giusto peso tutto aleggiante nel sublimarsi dalle panie di un Secolo ingiusto.
Compiuto l'Anno di quel Soggiorno, dopo
l'adempiuta promessa, andò cogli Honestissimi suoi Genitori, non so, se
Peregrino, o Corsaro, per adorar'in quel Tempio Famoso di Assisi, l'Imagine del
Crocifisso, nel Corpo Sagro del Serafino [70] piagato, e per
saccheggiar'ivi tutti delle Indulgenze i Tesori.
Indi ascese a Monte Cassino, e quivi all'odorifera
Pianta del gran Patriarca Benedetto, carica di Tiare, e di Mitre, adagiandosi
Passaggiero, sentissi rinvigorire lo Spirito, e fra quell'ombre romite
concentrossegli all'Anima più intensamente la Luce della sua Celeste Vocatione.
Di là passossene a Roma, Santo Romeo, a quella
gran Città de' Miracoli, dove Maestosa la Religione Cattolica gode con
giustitia del Diritto di Capo, perché vi ha la sua Venerabile Sede
l'Intelligenza dello Spirito Santo: Dove la Venustà nel Volto adorabile della
Chiesa, senz'alcuna ruga di Errore vivacemente risplende; Nel Volto sì della
Chiesa, tanto più robusta, quanto più antica, e quanto più decrepita, tanto più
retta. A confusione dell'Hereticale Protervia, che non cessa cogli stili
affilati sopra la cote dell'Ostinatione indurita di tentar, benché in vano, di
sfigurarla. Oh quanto profonda, s'impresse a FRANCESCO in quell'Emporio della
Religione infallibile, la Pompa amabile del Paradiso col vagheggiarne così da
vicino il Protratto più somigliante!
Nel suo ritorno alla Patria diede al Mondo
l'ultimo calcio, ricovrandosi nel Diserto a viver'Agnello fra' Lupi per
restituire a' Mortali, in un Secol di Piombo, il Secolo d'Oro.
[71] Iddio lo guidò a quella incolpabile
Solitudine per favellargli al cuore, accioché il Mondo più non gli parlasse
all'orecchio; Et lui, a sembianza di un'Aquila ritirata, si applicò FRANCESCO
in una povera Grotticella, nascosta a i raggi solari, esposta alle
Illuminazioni Celesti, a premeditare il Nido de' suoi Pulcini.
Macerò fra que' Sassi la Carne: Indurì fra que'
Tufi 'l Petto, raffinò fra quegli horrori la luce. Stemprò al gorgoglio
dell'Isca, Fiumicello di quel Territorio Selvaggio, gli Affetti teneri, &
al mormorio di quell'onde garrule apprese i Segreti di un Eloquente Silentio.
Trescò fra le spine, per non sentir le punture del
Senso: Scherzò fra le Penitenze, per non provare le Pene del Pentimento:
S'impinguò col Digiuno, per far immagrire il Fomite ingordo: Si nutricò di
Radici, per isradicarsi affatto, per sempre dal Secolo: Si adagiò sopra il
Suolo, per volar meglio svegliato al Cielo: Si flagellò con severe sferzate,
per correre più veloce su l'intrapresa Carriera: Si abbeverò di lagrime, per
essere, Isacco novello, della sua Genitrice, la Chiesa, il riso: Si fe' inimico
giurato del Sonno, per conservarsi desto l'Imagine della Morte: Si esercitò
sulla Sveglia, per meditar fra' tormenti l'Imagine della Vita: Si curvò
nell'Oratione, per imbroccare, teso qual Arco, colle Saette de' suoi Affetti lo
[72] Scopo Eterno: Si sviscerò co' sospiri per unirsi Amante al suo
sviscerato Amore: Si assiepò i lombi con un Cilicio spinoso, per
conservar'illibato il suo Fiore Vergineo: Si coprì di ruvida lana, per divenire
Pecora Eletta: Si cosparse il Capo di cenere, per mantener' inestinguible il
suo Fuoco: Si fe' di una Pietra guanciale, per rompere la durezza del Sonno:
S'innabissò nel profondo dell'Humanità, per sublimarsi nella cima del Merito.
Così nel corso di sei Anni nelle angustie di quella Scuola segreta apprese le
Scienze; che non gonfiano l'Anima, ma colla Caritade Ingegnera edificando
l'elevano, & in quella Palestra Solinga si addestrò a combattere in campo
aperto contra l'Hoste Infernale.
Là cominciò con generoso coraggio a fiaccar le
corna lussureggianti di quel Toro licentioso, che somiglievole all'altro
favoloso di Europa, senza favola, perché colle favole, lusingando, coronato di
fiori efimeri, le Anime incante, nel mare del senso le ingolfa, e poi le gitta
alle spiagge sterili dell'Infamia.
In quell'agghiacciato Torrente attuffò con rossor
dell'Abisso tutt'i bollori della Concupiscenza spumante, e ne uscì tutto freddo
all'amor profano, e più, che prima acceso all'Empireo Incendio; che perciò fu
osservata ascender'ad un medesimo tempo con Esso delle acque Colonna
[73] ignita, Simbolo espresso della fortezza di un Cuore così fervido,
come intrepido.
Vittorioso all'hora il coronarono gli Angioli di
caste Calte, e di Gigli Celibi, portandogli dal Cielo il Disegno di quel
Capuccio, Nobilissimo, e Santo, ad onta di Chi ne lacera il Nome, e ne
contamina il credito, su cui come in Elmo d'impenetrabile tempra per Chiunque
degnamente se n'orna il Capo, si rintuzzano tutti i colpi delle Tentationi, che
da ogni parte assaliscono; abbattendosi anche con esso que' fiumi, che
vaporando dalla Palude dell'Ambitione, ad offuscare il lume del proprio
conoscimento, si elevano.
Testimoni fedeli dell'Innocentissima Vita di
FRANCESCO, Mortal Nemico del Fasto, furono i mitissimi Cavrioli, che insidiati
da' Cacciatori gli si arrestarono a' piedi, senza che osassero sforzar le mete
della Spelunca, i Levrieri anelanti. Ma molto più la testificarono quelle Anime
staccate dal Mondo, che corsero le prime all'Antro Celeste, per farsi arrolare
da questo Gedeone Christiano sotto l'Insegna insigne del Crocifisso, ch'Egli
tenea già piantata nella sua Carne confitta.
Esce perciò dalle Selve con agguerrita, benché
ristretta Falange, ma quanto più unita tanto più forte, & al Demonio
terribile; e già principia a tirar le linee d'inespugnabil Fortino nel giro
angusto di un [74] sagro Tempio; Ma perché cresca più vaso a
proportione del gran cuor di FRANCESCO, gli manda Iddio lo stimatizzato
Ingegnere, che lo consiglia a far la Pianta più grande, poiché doveva essere
molto il Frutto: Quindi provida mano il soccorre con l'oro, mentre il Signore
gli si dichiara evidentissimo Fabbriciero, e gli traspira così gran Luce da
cinque Finestre di Paradiso.
Toglie, in erger la machina al Cielo più cogli affetti,
che colle pietre, a queste il peso nativo, e le fa volare leggiere, accioché
s'innalzi velocemente la Stanza a quel Dio, che sulle Penne de' Venti cammina,
e sopra le Piume de' Serafini si asside. Furono più frequenti in questa
Struttura i colpi delle maraviglie, che diè FRANCESCO, che quelli de' Martelli
vibrati dagli Operai; onde più Martellate n'hebbe l'Inferno distrutto, che il
costrutto Edificio.
Ma quanto più questo gran Minimo si estolle col
Merito, tanto più coll'Humiltà si profonda. L'ammirano a' chiari rimbombi della
di lui Santa Fama le Provincie vicine, & Egli, qual Canna rauca, si reputa
degno d'irrisioni, ma non d'applausi. Vola per tutto il suo Nome, ed Egli
d'altro grido non cura, che di quello con cui chiamollo sopra la Croce, a portarla
seco, il suo Nume.
Se n'entra fra le fuligini ascendenti di
[75] rovinosa Fornace, e ne ristora intrepido, le fenditure roventi.
Scherza fra quelle vampe di fuoco, come se fossero fiati di Zeffiro: calca que'
Tizzi accesi, come se fossero Rose purpuree: e n'esce illibato ad abbagliar Chi
lo mira attonito prorompere a guisa di Sole, che sorga dall'infiammato
Orizzonte.
Apprende la Fornace medesima a non divorare gli
Agnelli, poiché non ha potuto divorare FRANCESCO; Che perciò vivo gli restituisce
quello, la cui polpe dente villando, la cui ossa fiamma vorace, meno però della
Gola ingorda, havevano tranghiottite. Egli lo chiama con accenti pietosi, e
l'ode tantosto rispondere con belati giulivi, mentre se n'esce da
quell'Incendio, come il Monton di Frisso col Vello d'Oro. Ma non istupisca il
Lettore, perché a FRANCESCO, che havea di già l'Innocenza risuscitata, fu ben
anche più facile a farne rinascere il Simbolo in un Agnello risorto.
Ad un altro pure restituisce l'aura vitale, che
morto sulla groppa di una Giumenta se ne portava legato un Incredulo
brontolante, convinto con questo nuovo stupore del successo del primo Miracolo
fra quelle Genti diffuso. Hor, che ne pensi, o Divoto? Non mostra forse
pateticamente FRANCESCO di essere Pastor buono, mentre non iscortica gli Agni,
ma gli ravviva?
[76] Innumerabili furo i Prodigi da lui
operati nel Fuoco, calcandolo come se fossero piume le Vampe, e gigli i Carboni
col piede ignudo. Più fiate l'estinse col fiato, l'ammorzò colle piante, colle
palme lo strinse senza lesione: Verificando in sé stesso, tutto rovente il
petto d'Amor sovrano, l'Assioma Filosofale Rigettarsi l'estraneo da ciò, che
nell'interno si cova.
Moltissimi di questi Avvenimento ammirabili nella
Vita di lui si rincontrano che forse non sembrano rari, perché frequenti; onde
conviene a FRANCESCO la qualità piraustica di scherzare, ma senz'abbronzarsi,
alle fiamme intorno non sentendo l'esteriori, per esser'Egli tanto dall'intime
riscaldato.
Non men fe' stimarsi nell'Acqua, che nel Fuoco
possente. Sopra lo sdrucito suo Manto, Palischermo di Fede, passò con due
affidati Seguaci, fatto Piloto, e vela, quel tratto infido di Mare, guardato da
due latranti Mastini Cariddi, e Scilla. All'hora provò coll'Esempio esser
Pennigera (come la descrive il Dolcissimo Ambrosio) la Carità, coll'Olio della
quale rammolcì le Tempeste di quel Golfo fremente, reso nell'avvenire più
solcabile a' Pini audaci, che all'invocato FRANCESCO, come al vero Polluce,
rivolti lo passano frequentemente sicuri.
Ei fe' in Paterno rimontar l'acque contra
[77] il suo corso nativo. Ivi fe' pure sfilar le stagnanti, che
imputridivano impaludate, ad impallidire quel Clima, marcando a quelle facile
lo sboccatoio, con una striscia del suo Bastoncello possente. Altre di amare
alla di lui Benedittione dolci divennero, in contrasegno, che la Croce di un
Giusto basta ad insoavire ogni Assentio. Altre rimasero Medicinali, perché
pullularono alla Carità di FRANCESCO colate, come le Minerali, per l'Oro.
Alle picchiate fervide del di lui vigoroso
Bastone, come di Verga Mosaica, disgorgarono dalle aride fibre delle Pomici
aduste, in più fresche sorgenti, humori vivaci ad abbeverare le secche labbra
de' Popoli inarsicciati: In ciò di Mosè, FRANCESCO, non so, se più felice, o
più provido, poiché nella medesima guisa con ammirato profluvio rinuova
l'ondoso Prodigio, che con vena d'argento, ancora della pretiosa Santità di
FRANCESCO favella.
Nella rasa Campagna un gran Diluvio punto nol
bagna mercè, ch'Egli arido non fu mai. Fa, che in angusta Fossa, dilagata si
stringa, ammorbadrice Pozzanghera, che l'accesso impediva al di lui Convento,
perché tante fiamme celesti nel brieve recinto del di lui piccolo Cuore si
concentravano.
E che dissi piccolo Cuore? Sbagliai. [78]
Così grande fu il Cuor di Francesco, che fu Trono di Dio immenso, & Organo
dell'ineffabile Onnipotenza.
Ed ecco la ragione in pronto, perché a' prostrati
Elementi con assoluto Impero, delegatoli dal suo Sovrano, comanda. Oh quante
volte destò ne' Sassi l'Ubbidientiale Potenza, altrettanto Potente sopra le
Creature FRANCESCO, quanto Ubbiediente colla sommissione al suo Dio! Ancor si
mira con ciglio inarcato hoggidì protestarne il Vero in Paterno Rupe sfiancata,
che scordatasi del suo centro, Penisola in aria, sulle penne di questa non mai
cadente, e sempre caduca si posa, perché la santa mano, che con un dolce cenno
arrestolla, con un perpetuo Miracolo la sostiene; Et ivi pur dirupato Scoglio,
che dalla vicina Montagna sfendevasi ad opprimere l'Edificio Claustrale, immobilito
a mezo corso trattenne, togliendo il moto colla tenerezza de' suoi Sentimenti
veloci alle Pietre insensate, e dandolo a' Cuori 'mpietriti.
Oh Fede di FRANCESCO de' Monti stessi più stabile,
mentre li muove! Si apparta un Colle al di lui comando, né più si oppone alla
Fabbrica del Convento, precipitandosi nel Torrente contiguo. Deh quanta Vaglia
ha il semplice Precetto di un Semplice Ubbidiente, la cui mano imitadrice della
Divina fa dissolvere i Monti in acqua, se quella fa, che vadano in fumo.
[79] Un altro pure ne appiana; e ben
professa l'Indole della sua profonda Humiltà in dimostrarsi nemico delle
Altezze Orgogliose. Ferma a mez'aria un Muro, che rovina staccato, essendo
FRANCESCO nato solo ad edificare col suo religiosissimo Esempio, e colla sua
Virtù così ben fondata.
Maneggia il Milazzo, come lievi fiscelle, Pietre
sì gravi, che ognuna di quelle havrebbe sfiancata a ben venti dorsi robusti la
lena; E le consegna compaginate, come se fossero pagine, nell'Edificio,
formandone gli Archi più allo stupore, che al Tempio. Una delle medesime da lui
consagrata col Segno della Croce Divina, di questa riman'impressa
indelebilmente, e di pesante si rende leggiera, per segno, che la Croce non
pesa a' veraci servi di Dio.
Ma non ho Miracoloso lo Stile, come FRANCESCO il
Potere, per portar qua tutt'i Sassi, che l'ubbidirono pronti, scordandosi
dell'innata gravezza: Molto men tutt'i Cuori inassiti, che si spezzarono alle
di lui Esortationi, da' quali, come da Pietre, cavò colle dolci Vergate della Miracolosa
sua lingua, abbondanti profluvij di lagrime, convertendo in acqua purificante
quel fuoco impuro, che tanti affetti mondani accendeva.
Trasanderò volentieri, come incapaci di venir
ristretti tra l'angustie di questi fogli, [80] tanti, e tanti Pesci,
che gli diguizzaron di mano, ancora ch'estinti, e più volte cotti; ravvivati
alla di lui viva Fede, e negli stagni scherzanti; Ma ben'anche tante, e tante
Anime morte, che ritornarono in Gratia nel gran Vivaio della Contritione, col
di lui mezo, attuffate.
Volarono le fuggitive Cervette, più che non corre
la mia Penna sulle di lui Glorie, a rifugiarsi alli di lui piedi, che per non
dar mai in alcun inciampo, promettevano certa la sicurezza. Né qui toccherò le
Vespe moleste, che da lui minacciate si ricovrarono altrove a logorare i lor
pungoli, & a consumarsi in sussurri; non convenendo, che allignassero
vicine a quest'Ape ingegnosa, che nelle cellette del suo dolcissimo Cuore,
candido più della Cera Hiblea, fabbricava il Mele del Paradiso.
Non dirò degli Uccelli famelici di rapina, che
insidiati, al posarsi, sul di lui pugno, furo non meno parchi, che salvi,
compiacendosi più tosto di digiunar con Esso astinenti, che d'infierir
nell'aria rapaci.
Lascio addietro le Serpi livide, da lui
trasportate, a piene maniche, per più di un miglio a vomitar'in erma foresta il
veleno, come tocche da quelle mani, che tanti Farmachi medicinali, e così
antidotali Rimedij sempre stillarono.
Non fo comparire schierat'i Tori feroci,
[81] che nella di lui mansuetudine morbida rintuzzarono le corna
cozzanti, e piegat'i colli si sottoposero dimestici al Giogo. A questi
accozzerò il Demonio, quel gran Bue, che prima Cherubino, affettò superbo il
soglio sopra le Stelle, & hor confinato nelle Stalle d'Averno rumina tanto
fuoco quanto hebbe fumo: quegli fu lungamente fatto lavorare dal Santo, che
ridusse una volta ad edificare colui, che sempre distrugge.
Mi arresta la riflessione l'intendere, ch'Egli
ancora, come scherzando (a dinotar la facilità de' Miracoli) soleva apparire
Miracoloso per vezzo trattando le Maraviglie. Fa da ruginoso Manescalco
ferrar'una volta il suo mite Asinello, e perché non ha moneta, che di Preghiere
a concambiar la fatica dell'Operaio, che a tutti modi brontolando chiede la
paga, o 'l Somiere in deposito; accenna FRANCESCO al fedel Giumento, che
restituisca la ferratura; ed ecco, che ubbidientissimo quello, crollante i
piedi, sopra il suolo, la lascia al Mastro indiscreto, mostrando, che questi
più di lui meritava di esser ferrato.
Deh qual mi opprime di tante Geste del mio
FRANCESCO, insopportabile al mio Stile slombato, voluminosa la mole! Il veggo
in ogni genere, a qualunque procinto, in tutte le maniere abbondar così di
Miracoli, fin'a ducento, e trecento tal [82] volta il giorno, che par
di questi haver le Miniere aperte nel seno.
Oh quanti Ciechi aprirono gli occhi a' purificanti
spiragli di questo Luminare Divino! Io non ho lumi a descriverli, come
FRANCESCO ad illuminarli. Oh quanti Muti prosciolsero della lingua stupida i
nodi a' prieghi industri di questo Celeste Facondo! Io non ho svelte le parole
ad esprimerli, come FRANCESCO a farli parlare. Oh quanti Demoniaci furono
liberati da questo Humilissimo Austero, che a' piedi scalzi calcava intrepido
il capo all'antico Serpente? Io non ho spiriti così puri a radunar in racconto
tutti gli Spiriti immondi, che FRANCESCO discaccia in effetto. Oh quanti
Morbosi acquistarono la Salute a' rimedij pietosi di questo Santo Esculapio! Io
non ho l'Eloquenza sì amena per infiorarli, come FRANCESCO i Semplici floridi
per guarirli.
Corrano i numerosi Zoppi, a' quali Egli diede il
moto, a publicarne retti, come divennero Essi, gli Encomij. Parlino tanti
Languidi Agonizzanti, che respiraro spiranti allo Spirito di FRANCESCO
sospiroso al Cielo, per prolungare ad Essi la Vita. Né sieno ingrate le Città
intere, che furono liberate da contagiosa influenza, o colla di lui presenza, o
col di lui Merito, a protestargliene l'obligo eterno.
Irracontabili per la moltitudine mi si
[83] oggettano i Monchi, e gli Storpiati, che rassettati dalla di lui
giusta Virtù, con una virtuosa giustezza, liberati non men dalla pena, che dal
deriso, si proportionarono più, che le Figure Rettoriche a celebrarlo.
Solo, fra molti, espongo alla vista di tutti uno
svisato Carname, massa indigesta di Mortalità mostruosa: Bambo infelice, dirò
più tosto Orsaccino informe, a cui distinse FRANCESCO il volto colle sue dita,
e colla sua Saliva (poiché la di lui bocca succhiava i Miracoli dal Costato del
Crocifisso, Fonte di Vita) gli diè l'humana sembianza, in ciò somiglievole a
Dio, mentre formò un Huomo ad imagine di sé stesso.
Fra tanti da FRANCESCO, in più parti, risuscitati,
e dalle Tombe rivocati agli Altari, anche di lassù dove Glorioso passeggia su
gli Astri, metto solo in prospetto quel Giovine, infaustamente caduto in Paula
dal sommo di un alto tetto, alle cui membra lacere, e fredde, congiungendo le
sue dalla Penitenza sdrucite, e dalla Caritade accese, restituì, novello
Eliseo, l'Anima separata.
Oh Spoglie rapite alla Parca da un Parco, Trofei
di Morte cangiati in Trionfi di Vita, meglio col Silentio divoto, che colla
Facondia confusa vi concepisco, ed ammiro!
Esca per divertirsi, oppressa dallo stupore,
[84] l'Imaginatione a vagar per le selve; e pur là si presentano ad
eccitare le maraviglie l'Opere Illustri di questi Insignissimo Taumaturgo.
Divide ad un sol fedente del suo, se non se
imperiale, imperioso Bastone, Pedale Annoso, & unisce due Fratelli
rissanti, che col ferro nudo alla mano, pretendendo ciascuno di Essi di
posseder quella Pianta solo, stavano già per isquarciarsi alternamente le
Viscere interessate.
Per un Piè di Castagno, con subita usura ne rende
sette, che sorgono istantanei al Padrone del primo a frondeggiare sublimi,
havendo il Santo in sette fossicelle cavate col suo bastone fecondo, sotterrati
altrettanti Frutti di quella Pianta; onde si cangia subito in riverentiale
stupore la stupidezza scortese di colui, che impediva a FRANCESCO, colle
rampogne l'uso dell'Albero già reciso.
Fa nascere intempestivamente, Vertunno provido, le
Fragole, che spuntan mature, e refrigeranti più assai di quelle, che la Natura
fiorita tempestivamente produce, poiché guarisce FRANCESCO con esse i
Febricitanti; mostrando, che non sol tiene sotto i piè gli Elementi, ma le
Stagioni ancor sulle mani, mentre prorompe da queste a suo comando la
Primavera, ancorché sia di Decembre.
Oh come pieghevole a' di lui prieghi divoti, come
a' suoi comandi efficaci delle [85] Creature Insensate l'Ubbidienza
s'inchina! Anche hoggidì si presenta in Paula Albero antico, robusto benché
decrepito, che sempre più verde s'inchioma; E pur sopra le radici, e sotto le
frondi di quello s'incende, tre volte l'anno, a cuocer la calce Fornace
ardente, fabbricata dal Santo, a cui non si scorda di ossequiare il Fuoco
avvampante; sicome anche seguì in Caieta dove fu estinto il vorace da meza
Imagine di FRANCESCO, che vi fu gittata, e poi ricavarne illesa, a mortificar
gli ardori di un'altra Fornace con danno prossimo de' convicini fiammante.
Anche là nella Gallia rinovellossi un Prodigio sì
bello, quando fu dagli Heretici, sempre freddi, ancorché sempre fumanti, dato
alle fiamme il di lui Mantello, che, avvezzo a coprir maggior fuoco in
FRANCESCO, non abbruciato si estrasse, profilato con auree striscie da quelle
vampe, che non ne morsero rabbiose un pelo, ma ne baciarono riverenti il lembo.
Non son di minor'energia le prove, ch'Ei fe' nel
multiplicare provido i Cibi. Più di una volta senza fuoco li cosse, come seguì
singolarmente in Paterno, pascendo più gli animi di maraviglia, che gli
stomachi del nudrimento. Et ivi pure colla metà sola di un Fico, ch'indi non
rimase scemato di un granellino, rese satolli vent'Operai [86]
stupiti, perché parve appunto, che FRANCESCO havesse colto quel frutto
dall'Albero della Vita. Crebbe in Corigliano l'ammiratione, dove satollò ben
Trecento Operieri con un altro Fico, che nel fine di refettione sì strana, per
l'interezza di FRANCESCO rimase intero. Tanto seguì di un Pane, onde vennero le
fameliche brame de' medesimi Trecento un'altra volta appagate, dichiarandosi
Egli coll'unir l'abbondanza al risparmio Economo vero del Paradiso.
E non imbandì FRANCESCO, Vivandiero Celeste un
Pesce, preso con l'hamo della sua Fede, in quell'acque, che son sopra i Cieli,
per un improviso Convito, apprestato alla Marchesa di Arena, alla Comitiva
della medesima, ponendo sopra la Tavola diece Pani, cotti dalla Providenza nel
Forno, a quel punto crudo, che si trovò dalla nobil'Hospite sovrapreso? E dal
suo Convento di Paterno non rimandò ben pasciuta, ma non satia di benedirlo,
con poco pane una gran moltitudine accorsa ad ossequiarlo? E non lusingò anche
tal hora colle svogliatezze il palato difficile di alcuni Nobili, rendendo ad
un istante gl'imputriditi Meloni non solo sani, ma dilicatissimi al gusto?
Forse perché le putride Coscienze di alcuni di Essi, con tal Esempio
divenissero buone, e non più marcissero nelle colpe. E non durò, senza punto
corrompersi [87] per lo spatio di cinque anni, un Pane, che nella manica
gli fu trovato, a confermar'il cuore dell'Huomo nella Fede di Dio? Pane di
Propositione, cavato da un Tabernacolo di Pietà, e da un Santuario di Virtù,
atto ad alimentar la Divotione di chi cibossene le pupille fedeli.
E che vuoi più Lettore? Parmi di vederti attonito,
& hai ragione, M'imagino di sentirti gridar: Non più! Perché ti stanca
l'apprensione il racconto; e ti abbaglia lo sguardo il fulgòre di Geste sì
luminose.
Dovunque cerco FRANCESCO, il rincontro fra Lumi,
ch'Egli per tutto accende, perché tutto Fuoco. Tutto Fuoco, perché tutto Dio.
Illustra perciò la Calavria, ma più l'incende, e lascia dove trascorre arso
ogni cuore nella cenere della Penitenza sepolto, infiammata ogni anima dalla
Tomba del Vitio sorgente.
Ei si rende invisibile a' soldati del Re di
Napoli, che andavano a prenderlo, e restarono preda, e que' lacci, che
portarono per legarlo, convertirono in ritorte ossequiose a' loro petti
prostrati alla Santità di FRANCESCO, che comparì come Agnello fra tanti Lupi,
per convertirgli in Pecorelle mansuete. Gran Miracolo cangiar il Ferro crudo in
Oro purgato, che tanto è appunto tramutar un Soldato Sgherro in un buon
Cattolico.
Ma non doveva FRANCESCO esser [88]
Legato, che nell'Empireo. Come tale s'introduce nella Corte del Rege Napolitano,
e di Ulisse più prode non si tura l'orecchio per non sentir di Partenope le
Sirene, ma coll'aprir la bocca le fa divenire stupide, e mute. Tali rimasero i
Cortigiani di Ferdinando, alla cui presenza, fa dalle Monete spezzate
grondar'il Sangue, che havean succhiate le voglie ingorde, dalle vene de'
Popoli smunte. Mentre FRANCESCO tormenta l'Oro, confessa quel Porporato nel suo
pallore il suo fallo, e stilla altrettante lagrime di compuntione dal cuore
indurito, quante gocciole vede cadere da quel Metallo adorato. Arrossisce
confuso a quell'oggetto sanguigno, e palpitoso nel suo pentimento tremante
conosce non haver di Re, che il Reato, mentre del suo Sovrano scordandosi, vede
ben chiaro, che gli sta contro, ogni suo Diletto divenuto Delitto, e che sono
perdite eterne i temporanei guadagni. Così ravvedutosi, mentre chiude gli
occhi, per un poco alla Vanità, si assicura nel suo timore, ma non persevera
nel suo proposito.
Usciamo pure con FRANCESCO da questa Corte, poiché
con zelo vaticinante non vi predice il Veridico, che Sterilezza di Prole
Scettrata, effetto di Colpa, feconda solo di Mali, e dall'oppressione de'
Sudditi afflitti l'abbassamento de' Principi infastositi.
[89] Accompagniamolo verso Roma,
dall'Ubbidienza verso la Santa Sede, ma non dall'Aura di un regio invito
sospinto. Ei lascia, pria di partire dal Regno, con un carbone delineata
l'Imagine di sé stesso, che gli vien richiesta, sopra di una parete: Forse ad
esprimersi in quelle botte caliginose, coll'Humiltà sua nativa, per huomo
oscuro; O perché da quella nerezza fuliginosa più fulgido, come dall'opposto,
il di lui candore risplenda; O pure per figurarsi tutto di fuoco, poiché si
dipinge col suo carbone più chiaro, ch'Io non so fare col mio inchiostro.
Io sì, che allucinato il perdo di vista fra i lumi
di tanti Miracoli, che a numerose schiere accende in quel suo Viaggio Famoso,
ma non fumoso, benché con un Carbon si sia pinto, & al gran polverio, che
gli s'innalza d'intorno, per l'affluenza di tanti Popoli, che accorrono a riverirlo
dovunque arriva.
Entra nell'Alma Città più in Equipaggio di
Trionfante, che di Mendico, e fa ben Roma conoscere, che sa tributar gli Honori
alla Virtù vera; E che maggiori Vittorie riportarono mai gli antichi Romani,
de' loro Nemici domi, di quelle, che questo Povero Scalzo ha ottenute di tutto
l'Inferno? Si strascina dietro FRANCESCO sul Carro, che gli fabbricarono le
Virtudi, il suo Corpo lacero dal Cilicio, il suo Fomite legato dalla Ragione,
[90] il suo Senso disfatto dall'Astinenza, il suo Intelletto cattivato
dalla Fede, la sua Volontà catenata dall'Amore, la sua Memoria ruminante
l'Eternità. Non gli mancano Lauree, come ad un Martire di Penitenza: Gli
sovrabbondan le Palme, come ad un Espugnatore del Vitio: Gli ridondano i
Trofei, come ad un Campione della Virtù.
Il gran Sisto Quarto, Gloria di quella Quercia,
che ha tanti frutti d'oro, e di Merito, quanti pullularono Germogli del suo
Pedale, coronato di due Tiare, fregiato di Porpore, guernito di Spade, c'hebbe
gli Scettri per tronchi, & i Pastorali, co' Generalitij Bastoni, per Rami,
l'accolse con Vaticano schierato, preconizzandolo colle lodi prelusive degli
Atti, co' quali il gran Leon Decimo Protettore de' Letterati (accioché si
vedesse questo ardentissimo Sole, se prima in Vergine, dipoi 'n Lione) doveva
canonizzarlo. Festeggia quell'Heroico Popolo la presenza di questo Minimo
Massimo, acclamandolo Santo prima, che ascenda a coronarsi di Stelle, perché
gli vede in faccia un riflesso diretto del Sol'Empireo; ma Egli sempre più
vile, sempre più tenebroso si ostenta; e si professa Larva di Nulla, quando sol
pare Fantasma per l'Austerezza. Non si gonfia agli applausi, perché non ha
orecchio, che per sentir le divine lodi; e benché paia nel suo continuo Digiuno
nodrito [91] d'aura, non si pasce però di Vento.
Di quel Vento è sol vago, che spira da' Colli del
Paradiso. Non gli manca mai questo, perché senza questo FRANCESCO non vive. Il
suo respiro, è il suo Dio; e con questo veleggia sicuro verso il Porto Beato.
Imbarchiamoci dunque seco, né temiam di naufragi, perché FRANCESCO sommerge i
pericoli, fa camminar lontani gli Scogli, incatena le Procelle, dissipa i
Turbini, e stermina le Tempeste.
Gli ubbidiscono i Venti nel Viaggio ch'Ei fa verso
Francia, ed egli tutto mite incalma quell'onde irate, che sovente appresero da
questo soavissimo Agnello ad esser Pecore mansuete. Gli diè non la Sorte, ma il
Merito, come ad un Nettuno non favoloso, l'Impero sovra il Pelago borrascoso;
Et Egli col Tridente Mistico delle Tre Virtù Sovranaturali fa dormire gli Euri
frementi, mentre risveglia i Favonij più favorevoli. Non la Fortuna di Cesare,
ma la Gratia di Dio l'accompagna: Non porta nell'Otro chiusi gli Aquiloni
rapaci, ma nel Cuore i Celesti Afflati riceve. S'increspa ridente il Mare, e
con ispuma di argento gli tappezza il sentiero ondoso, parendo, se ben tutto
placido, che tocchi 'l Cielo, & ascenda se non se turbato, fastoso fino
alle Stelle, perché fortunato, e non più fortunoso, tien sopra il dorso, quello
a cui già [92] per privilegio haveva baciat'i piedi indolcito.
Al passar di FRANCESCO per Genova, la Religiosa,
la Fedele, la Bella, la Maestosa, la Modesta Reina del Mare Ligustico, la
benedice colla presenza, assicurandola di quella Libertà, che le havea già
predetta Vaticinante, col metter su quelle sponde il suo piede. Ivi col suo
Pijssimo Genio tanto della Croce invaghito, vedendola in quel Serenissimo Cielo
porporeggiare, splendente fra i Grifi alati, che la riportarono in Gerusalemme
col possentissimo loro aiuto Vittoriosa, applaude a quella gran Città, che come
da Giano fabbricata, o denominata si può dir, c'habbia addoppiat'i lumi; e per
esser fondata più, che sugli Scogli, sopra le Leggi Divine, & Humane, non
può mai soggiacere a cadute. Si compiace il Giusto nella sua brieve dimora di
osservar quell'Augusta Republica, Saggia Moderatrice in ogni tempo de' suoi
fedelissimi Sudditi; Così retta nel suo Governo, tanto Cattolico, quanto
Politico, che non havendo mai separata dalla Pietà la Giustitia, può servir'ad
ogni Sovrano da Prudentissima Idea, e di Gloriosissimo Esempio.
Nel sontuoso, e regio Palagio del Nobilissimo
Principe Doria, la cui Casa fu sempre, come Seminario di Heroi, aperta a
ricevergli, & a trattarli con ogni più [93] magnifica
Splendidezza, fu con divotissimo accoglimento FRANCESCO alloggiato. Indi sopra
il Colle acclivemente vicino, detto Monte Sano, per convertirlo in un Monte
Santo, destina il suo Convento di Gesù Maria, specchio di Osservanza non finta,
e Fonte di Scienza non vana.
Hor via seguiamolo verso la Francia! Ma qui
protesto, che bisogna interpollar la Giornata, mentr'Egli per tutto vien dalla
Divotione de' Popoli trattenuto. Lascia in ogni parte l'orme venerabili della
profonda sua Santità, come nella Provenza le pietose vestigia delle sue Piante,
che nude evangelizano la Verità, solita sempre a camminare spogliata, e povera.
Accorrono precipitosi a folla i Popoli di Bormes a
tagliarli l'Habito intorno, che raccorciato fino al ginocchio, prorompe
immediatamente profuso alla lunghezza primiera, tessuto coll'invisibile Spola
dell'Onnipotenza, ne' suoi Lavori maravigliosamente instantanea.
Ivi così alla rinfusa le Turbe l'opprimono per
esaltarlo, che si rende ad esse miracolosamente, più d'una volta, invisibile;
Pur come Sole, benché coperto, non lascia di comunicar'a quel Clima li suoi
influssi salubri, purificando l'aere, non sol di Bormes, ma di Fregius ancora,
dal Contagio crudele contaminato.
Al picchio provido del suo bastoncello
[94] debole fa zampillare nel Delfinato Fontana limpida, per abolire
l'arsura torrida, e perniciosa, onde que' Nationali gemevano adusti, &
incommodati.
Entrò alla fine nella Corte de' Galli, a guisa di
un'Aquila, e vi si mantenne come un Colombo. Qui mi cade di pugno la Penna, che
non le basta il volo a seguirlo fra gli applausi universali, e, benché volgari,
non bassi, perché si sollevano fino alle Stelle, co' quali la Francia il
sublima.
Horsù FRANCESCO non se' più Minimo, poiché ti
veggo così magnificato da Dio nel cospetto de' Regi. Ma, che farai nella Corte
Scuola di Doppiezza, e di Frode, tu, che sei così Semplice, & Ingenuo?
T'intendo sì: Questa è la Corte de' Gigli; non ricusasti perciò di mettervi il
piede per fecondargli, & accrescerli co' tuoi purissimi non incespati, e
tanto odorosi. Deh più non si canti
Esca di Corte Chi vuol esser Pio;
poiché tu v'entrasti a renderla Santa.
Ma non è Cortigiano FRANCESCO, ancorché nella
Corte sia, perché non adula. Sentasi con quale franchezza dice al Re Franco,
Infermo: Sire non ho Miracoli, né rimedio per voi. Pur gli medica le
piaghe dell'Animo, e l'incoraggia a disporsi alla Morte, da quello prima tanto
temuta. Con l'aurea Facondia della sua lingua gl'indora una Pilola, appresa
pria [95] molto amara, presa poi così dolce, a salutari raccordi di
questo Hipocrate Sovrahumano.
Là non mancarono a FRANCESCO Insidie, perché nella
Corte basta essere un Ermelino, per haver dietro insidiose ciurme di Cani
latranti, e mordaci. Le superò Egli colla Patienza, le disperse colla Modestia,
le sterminò colla Virtù, e le fe' cessare colla Perseveranza.
Fu per FRANCESCO Pietra, non di Scandalo, ma di
Paragone la Corte. Su questa coppellossi l'Oro dell'eccessiva Carità di lui,
che fu trovato finissimo, e senza lega d'inganno; sicome conobbesi, e ben
tosto, esser piombo il livore, palliato di zelo, che a perseguitarlo
astiosamente accignevasi.
Il Medico Regio mal vedeva, che il Buon Huomo
(così chiamollo Luigi Undicesimo: Nome, che dura ancora a' Minimi di Nigione)
aprisse gli occhi di quel Monarcha, ch'Ei, come Cieco, voleva condurr'a sua
posta. Benché facesse professione di Semplici, era il più doppio d'ogn'altro,
che approcciassero quel Monarca, ond'havea in odio la Semplicità di FRANCESCO,
comparso ad immascherarlo per esser quegli un Hipocrita Cortigiano. Prevalsero le
Ricette del Buon Huomo a' Consulti di quel Maligno Impostore. La Candidezza del
Santo fece arrossire la Petulanza dell'Empio. Non [96] potea
prepararsi antidoto più diretto a' morsi lividi di quel velenoso Serpente, che
tutto si svincolava in perfidia, e si raggirava in astutia; Ma non istette
saldo al prospetto di un Colombo sì puro, e bisognò, che i di lui sibili
cessassero tosto agli Ensalmi di questo Incantatore Divino.
Col peso delle Calunnie s'innalzò FRANCESCO, come
la Palma alle Gloria. Sotto quel Cielo Benefico dilatò la sua Religione, che
Minima, come un grano di Senapa, crebbe Maggiore omnibus Oleribus, &
ampliatasi in Pianta ferace die' ne' suoi rami profusi l'accoglimento a' tanti
Uccelli del Paradiso, che vi si adunarono a farvi 'l Nido. Così vide pria di
morire, questo mistico Abramo, multiplicato il suo Seme Spirituale, come gli
Astri del Fermamento.
La di lui Vita fu Specchio a' Principi, che vi
carminarono dentro le lor Coscienze: Fu Filo agli Sviati, che uscirono dagli
Errori di un Laberinto come la Colpa: Fu Stella a' Naufraghi, che sfuggirono le
seccagne voraci del Senso spumante: Fu Face agli Oscuri, che si rimisero sul
cammino di Penitenza: Fu Caduceo a' Rissanti, che baciandosi pacificati
vomitarono come le Serpi, divenute amanti, il veleno. Fu Collirio a' Ciechi,
che aprirono gli occhi al Sol di Giustitia, e stillarono le Cateratte degli
humori peccanti in lagrimosi rigagni di compuntioni [97] divote. Fu
Medicina agl'Infermi, che risanati nel Corpo ammorbato, acquistarono ancora la
Sanità dell'Anima languida.
I Miracoli, ch'Egli fe' in quel Paese, nel di lui
Soggiorno felicitato, furono tanto più vigorosi, quanto più si avvalora il Moto
avvicinandosi al fine.
Sciolse colla Scienza infusa, Saggio Idiota, le
Quistioni difficili, propostegli da due Classici Dottori della Famosa Sorbona,
a' quali cattenò il cuore di modo, che gli furono poi Protettori benefici, se
prima l'haveano assalito Fiscali importuni.
Non presentossi alcun Egro a' suoi piedi; o non
presentossi Egli di alcuni di essi al Capezzale, che non ne partissero, o non
ne rimanessero tutti sanati; Né riccorse Afflitto al di lui Consiglio, che non
se ne ritornasse contento. Egli era un Giardino di Semplici per ogni Morbo, un
Favo di Mele per ogni Assentio.
Ogn'uno procurava di toccarlo, come già feano le
Turbe verso il Salvatore, che havea nel suo Servo trasfusamente infusa la Virtù
di curar gli Ammalati, e di risuscitar, se non se come Pietro i Morti,
coll'ombra del suo Corpo, colla luce della sua Santità, che sarà sempre da'
Posteri venerata Prodigiosa.
Santità; ma non di superficie; non di
[98] cerimonia, non d'inorpellatura: Di fondo, di proposito, di
valuta. Troppo abborriva FRANCESCO gl'Hipocriti, per divenirne l'Imagine. Non
curvava il collo per pescar credito a capo chino: L'Età piegar glielo fe', non
l'Hipocrisia. Non disvelava mai mesto il volto, per accreditarsi Austero: La
Giovialità gli rideva sul labro, gli brillava nell'occhio, per contrasegno, che
sempre si rallegrava con Dio. Non mormorava degli altrui diffetti, ma li
compativa, e quando non valeva a correggerli cogli avvisi, colle lagrime gli
scancellava. Non pregò mai come il Fariseo, ma sempre come il Publicano,
percuotendosi il petto si accusò Peccatore, e pure fu del Peccato il più capitale
Nemico.
La Sua Purità gli mantenne sempre sul capo vivaci
le Calte. Il suo Celibato assiepogli sempre di Gigli il cuore. La sua Modestia
gl'infiorò sempre di Rose il viso. La sua Penitenza gli cinse sempre di spine
il corpo. La sua Mortificatione empiegli ogn'hora il sen di Viòle. La sua
Astinenza mantennegli verdi gli spiriti sotto le nevi del Crine. La sua Humiltà
l'innalzò: La sua Fede il nodrì: La sua Speranza il ravvivò: La sua Carità gli
diè l'ale per volar'al riposo Eterno. La sua Vigilanza gli aprì la mente per
fissarla nella Beatitudine: Il suo Digiuno avvezzollo a cibarsi delle
intellettuali notitie: [99] La sua Giustitia lo sollevò tanto più,
quanto più il fece di peso. La sua Prudenza, come Sale d'ogni Virtù, lo rese
così saporito nelle Conversationi, come contrario alla Putridezza. La sua
Temperanza lo raddolcì di maniera, che la soavità de' suoi detti corrispose
sempre al temperamento de' suoi affetti: La sua Fortezza di tal modo
l'avvalorò, che si fe' temer dall'Inferno, li cui assalti, non che ad
atterrirlo, furono sempre vani per atterrarlo.
Fu Superiore, tutta sua Vita, della sua Religione,
ma più Servo de' Figli suoi, a' quali lasciò il Crocifisso morendo, accioché
non si scordassero mai di lui, che ne fu l'Imagine. Candido come un Cigno per
la sua venerabile Canutezza, ben fe' veder fino all'ultimo, che non hebbe mai
fumo in testa. Come Cigno appunto salmeggiando se ne morì con un finale
deliquio, più di Amor, che di forza, in Età di novantaun Anno, carico più di
Meriti, che di giorni.
Oh dolcissima Morte, poiché spirò FRANCESCO in
braccio alla Vita. Gli colse l'Anima il Redentor con un bacio, così pretiosa,
che meritava di esser rapita da chi l'haveva redenta colle sue Piaghe, e tanto
abbellita colle sue Gratie. All'hora, e nel Giorno medesimo del Venerdì Santo,
in cui Christo spirante depositò il suo Spirito nelle mani del Padre, deposita
[100] FRANCESCO il suo nelle mani del Figlio, non sapendo scordarsi,
anche morendo, di raggirarsi a' quei forami vitali, che furono sempre i Poli
de' suoi Pensieri amorosi.
Oh che felicità! Muore con Christo perché con
Christo fu Crocifisso, e la di lui Vita non fu, che una Passione continua,
martorizato per poco meno di un Secolo da un'Astinenza non intermessa, da una
Penitenza continuata.
Ma se gli fu, mentre visse, veduta sfolgorar sopra
il Capo Tiara fulgida, oh quante, oh quali hor, ch'egli più che mai vive, son
le Corone, che nell'Empireo lo cingono! Ah, che quel Dio, il quale mandogli
quaggiù per l'Arcangelo suo Michele la Divisa di sé medesimo, nello Scudo della
Carità fiammeggiante, con cui visse da quello sempre indiviso con cui vinse
sempre a quello Confederato, hor gli s'imprime tutto nello Spirito Glorioso,
come già fe' nel di lui Cuore acceso.
Quel Nume, che gli havea data la perspicacità
profetica di prevedere nelle caligini opache de' suoi profondi giudicij,
l'individuale successo di molte cose, dalla differenza lontana dell'avvenire
velate, hora palesemente, aprendogli altissimi li Tesori della sua Essenza
Infinita, gli mostra i Segreti ineffabili della sua Bontà Beatifica.
[101] La funebre Bara, che servì per
portar'alla Tomba la Salma monda di questo Santissimo Heroe, cangiossi in Carro
di maestoso Trionfo, mentre tirossi dietro innumerabil'Infermi dalla Tirannia
di varij Morbi per lo di lui merito liberati; Ma l'Anima Vittoriosa,
indiademandola gli Allori Eterni, fregiandola quelle Palme, che non si seccano,
ma sempre verdeggiano nel Meriggio della Visione Beante, col corteggio fiorito
delle Angeliche Schiere, venne introdotta in quel Campidoglio di Pace, in cui
non è coronato chi legitimamente non ha combattuto.
Perseverò quel puro Cadavere, per molti giorni
insepolto, parendo, che non osasse coprir la Terra la Spoglia Sagra da cui
contatto scaturiva a disgorgo, come da Fonte Vitale, ad ogni necessitoso il
rimedio implorato.
Il Sepolcro destinato a quell'Ossa così dalla
Carne, e per l'antipatica aversione, e per l'austerissimo esercitio disgiunte,
fu candido, ma non tanto, quanto quel Giglio, che accolse in seno. Ben parve di
Pietra viva, mentre fu spinto da Virtù occulta, più che strascinato alla Chiesa
di Tours con cinque Cavalli soli, che agevolmente il tirarono, benché per altro
diciotto paia di Buoi aggiogati appena l'havessero fatto movere.
Ivi dimorò, quel gran Deposito di Penitenza,
[102] incorrotto, & inviolato, finché l'Hereticale Perfidia
spietatamente il rapì per darlo alle fiamme, accese dal suo furore baccante,
con quelle faci, che suol vibrare una Megera tanto Infernale. Ma non può rimaner
combusto quel Santo Corpo, che col Fuoco del Paradiso; onde bisognò che quelle
mani sacrileghe svellessero i Crocifissi dagli Altari, che havevano profanati,
per preparare adeguato il Rogo alla Vittima. Tal esser dovea la Pira per questa
gran Fenice dello Spirito Santo, ch'esalando non men'estinta, che viva
fragrantissimi odori, hebbe una Tomba di fuoco divino in Francia, se nella
Calavria gli havean formata la Culla fiamme celesti.
Mentre ardeva l'Anima in Cielo dentro un incendio
refrigerante, godeva, che ardesse, con eguali sorte, il suo Compagno, sopra la
Terra, che come indegna di haver'appresso quel gran Tesoro lo tramandava alla
Sfera dell'Etere, come al suo Centro.
Restarono solo quaggiù l'Ossa ricuperate da'
Cattolici ch'estinsero colle lagrime quelle fiamme sacrileghe, e raccolsero
quelle Ceneri sagre per mantenerle tiepide co' sospiri, parendo che, o vivo, o
morto, l'Innamorato FRANCESCO gelar non potesse mai.
Delle innumerabili Gratie, che questo fulgidissimo
Sole diffuse dall'Auge della [103] sua Gloria, e va proseguitamente
spargendo a chiunque Divoto l'implora, l'Evidenza chiara, più, che la mia Penna
oscura formi 'l racconto. Ho voluto sol con un Tirso misurar la Grandezza in
una Pianta di questo Sublime Colosso di Santità, e come da un'unghia sola far
capire qual sia questo bravo Lione di Merito, che così terribile, col solo suo
Nome invocato, si rende a' Demonij, e così generoso col suo solo aspetto
discaccia le Traversìe.
Serva, per hora, a chi legge, appunto come un
Indice frettoloso, questo Ragguaglio diminuito. Forse arridendo il Cielo a'
miei sincerissimi Voti, e ridendo la Sorte a' miei travagliatissimi Studi,
seguir potria, che se per hora ti sono andato su questo Suggetto, così fecondo,
stuzzicando la fame, con istil più facondo havessi, tal giorno fortuna di
appagarti la sete.
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