Obligationi
divotamente professate al
Santo da tutto il Christianesimo.
PROLUSIONE IX.
Bisognerebbe correre spatiosa la Terra, più che fermarsi su questa
Relatione accorciata, affine di gustar nelle piene sorgenti delle notitie
diffuse, più che ne' rivoletti mendici di queste linee fugaci, le profusissime
Gratie, che isgorgarono sopra diverse Nationi da questo Fonte miracoloso.
L'Italia, che diè la Culla a FRANCESCO, non può
mai nell'oblio sepellirne la rimembranza, poiché tutto dì vedendol
[137] rinascere, ne' di lui Prodigij, immortalmente ravvivato l'adora.
La Spagna, che in Carne nol vide, lo riverisce
Spirito valoroso a felicitarla bastevole qual'hor infelice l'implora. Più
illuminata dal nostro Fosforo di Santità, che non è dall'Hespero suo luminoso,
se riceve ogni anno l'Indie navigate dall'America dovitiante dalle Miniere del
Paradiso, che le discoprì questo vero Colombo, trahe tutto giorno Tesori di
Gratie Divine.
La Germania, la Moravia, la Boemia, la Fiandra, la
Carintia, e la Stiria, non meno della Polonia, con altri freddi Paesi del
Settentrione gelato, più si riscaldano a' raggi di questo Sole avvampante, di
quello che la agghiacciano predominij dell'Orsa algente.
La Gallia, che die' a FRANCESCO la Tomba, come
posseditrice della maggior parte di Esso in quel Deposito di Penitenza, può ben
vantarsi, che non le sia funesto un Sepolcro, da cui, come dall'Arca del
Testamento, le travasano tanti Beneficij Celesti.
Anche di là della Zona Torrida passò l'ardore di
questo Luminare Benefico. Gemeva sotto flagel di ghiaccio, punita dal Cielo nel
suo Territorio l'Havana, Città dell'Indie Occidentali nel 1628, e parea, che
là, dove solevano lussureggiare Pomona, e Cerere, havessero ceduto
[138] il Talamo in Campo a Tesifone, & a Megera. Si risolve per
tanto quell'Adunanza di procacciarsi dalla Sorte uno Scudo Sovrano, che schermisca
il Paese dalle frequenti, non men di frementi tempeste. Muove pietosa l'Urna le
Schedolette confuse, impresse de' Santi Nomi di que' Venturosi Beati, che senza
confusione schierandosi in Cielo vengono dall'Ecclesiastico Rito nel giro di un
Anno solenneggiati. Ed ecco di neto fanciullo candida mano per l'Innocenza
fiorita, se non se per la pelle adusta, estrarre IL GLORIOSO S. FRANCESCO DI
PAULA a' 2 di Aprile. Ristanno quelle Turbe sospese, e perché tenebrose,
non men ne' cuori, di quello, che sieno ne' volti, di così fulgido Sole non
hanno sol che un barlume; onde credendosi più sorprese dal Caso, che favorite
dalla Ventura, riggittano il Bullettino nel Bossolo, e dopo haver questo
ben'isconvolto commettono un'altra fiata alla prova il successo, la Divotione
alla Sorte. Esce di nuovo il Nome del Santo a ricondur seco più in fatto, che
nello scritto l'Aprile; onde alla raddoppiata comparsa riconosciuto, rischiara,
e felicita quell'offuscato, & infausto Clima. La Primavera in risulta vi si
marita all'Autunno: Si dissolvono i nembi sdegnosi ad un'aria ridente: Le
Grandini si disfanno in rugiade: I turbini si convertono in Zeffiri, & i
diluvij dell'acque si cangiano [139] in Influssi di Gratie. Non più
mugghiano le Nuvole gravide di Procelle in partorir'abbondante la Sterilezza:
Non più fischian gli Euri frementi di rabbia a svegliar palpitoso il terrore:
Non più stridono i gemiti de' guaiolanti Foresi in deplorare le loro Messi
prima colpite, che colte. Le Vendemmie stillavano pianto, e non vino: Le Viti
producevano spine a traffiggere l'animo, e non pampini a rallegrarlo.
Trovandosi que' Popoli i loro poderi adhuggiati, senz'herba si riducevano al
Verde, senza pascoli si vedevano in secco. Ad un tratto si varia la Scena, e
dove strepitavano gli Aquiloni scherzano i Favonij; dove baccava il furore
indomito si adagia Bacco sopito, dove la Bruma intempestiva cadeva spuntano i
Fiori ameni, e le Biade s'indorano pretiose. Apprende il Cielo da FRANCESCO ad
esser Sereno, l'Aere tranquillo, il Suolo ferace, placido il Mare, e dove pria
di Pandora il Vaso versavasi straboccato, il corno di Amaltea si rovescia
fecondo.
Entri qua hora a cantar le lodi del suo
frequentissimo Benefattore la fida Sirena del famoso Sebeto, che co' fasti,
degni della Grandezza Partenopea, accolse FRANCESCO nel numero de' sublimati
suoi Protettori, o per dir meglio, fu dal medesimo accolta nel numero delle sue
Città favorite.
Agghiaccia la Città di Nocera al mirar
[140] l'aere inviperito dall'atro livore del Vesuvio vorace nel 1631,
e mira col cenere in faccia scagliarsi da quell'Encelado, non più fulminato, ma
fulminante, Trave rovente ad incenerirla; ma poi arde solo di giubilo, che
colle sue fiaccole geniali protesta, poiché fu veduto ammorzar quel periglio
ignito il Santo Vecchio, che tante volte quaggiù, con piè caduco, con man
mortale, estinse i roghi, & accese i voti.
Grassava nell'ammorbata Città di Malaga nel 1637
il Contagio sì fiero, che già la Parca famelica havea con falce rotante alla
Giustitia Divina un'Ecatombe di quindici mila Vite sagrificato: Ma comparendo
con processional'Equipaggio la Statua del Santo dalla lagrimosa Divotione di
quel Popolo semicadente portata intorno, ecco che l'Angelo Sterminatore
rinfòdera la Spada dentro a tante viscere intrisa, e resta di quella Città
FRANCESCO DI PAULA per sempre l'Angelo Tutelare.
Non debbo trascurar qui quanto fu da me inteso da
Relatori non meno fidi, che gravi nella Regia Metropoli della Sardegna. Di
Cagliari scrivo, dove germogliarono tante Palme innaffiate dal Sangue de'
Martiri: dove rampollarono tanti Gigli assiepati dalle Spine de' Confessori.
Emporio più ch'Esilio di Santità, a cui più Innocenti, che sbandeggiati, si
ritirarono tanti Campioni di Christo, come [141] a Steccato delle loro
Vittorie, & a Campidoglio de' lor Trionfi. Correvano già molti mesi, che
quella fertilissima Regione solita per l'abbondanza, singolarmente delle Messi,
ad emular l'Arabia Felice, stava per pareggiar la Difesa. Le Glebe senza humore
insassite sotto la sferza cocente di una Canicula, fiammeggiante in Aquario,
esprimevano la durezza de' Globi Etherei, che divampavano sterile il fuoco. I
Cieli risplendevano con aureo lampo, e pur'erano divenuti di bronzo, ma solido
ancor nell'Incendio. Quanto più sereni tanto più procellosi con Cataclismo di
ardore assorbivano l'herbe adhuggiate, e con fendenti di fiamme uccidevano
moribonde le biade. Brandiva il Pastorale di quella Maestosissima Chiesa
Monsignor Macino, gran Regolare dell'Ordine, che per la sua tersa Eloquenza
nella Corte del Rege Hibèro haveva acquistatosi il Sopranome di Pico de
Plata, sicome il Mastro Santiago della medesima Religione, l'havea meritato
per la sua pretiosa Facondia di Pico de Oro. Prelato Dotto all'egual di
Pio, senz'altri fumi, che quelli del Timiama, senz'altra fame, che quella della
salvezza delle sue Pecore, alle quali non pelava la lana, ma la donava, e non
le smugneva, ma le nodriva. Haveva Egli imbanditi diversi pascoli di Penitenza
alle sgomentate da' fischi dell'Ira [142] accesa, con cui
rosseggiavano i folgori pronti nella destra divina; ma non si scorgeva ancora
alcun segno di Pace, perché non v'era un nuvolo da imaginarvisi sopra possibile
un'Iride di Clemenza. Piagnevano gli occhi molli, e se ne ridevano i Cieli
asciutti: Pioveano a disgorgo le lagrime, e non grondavano le piogge salubri:
Copriva mestissima Nube ad ogn'uno il viso, ma non ne compariva nell'aere pur
una lieta per colorirvi sopra l'Arco baleno: Si vedeano bensì l'Arco, e 'l
Baleno, ma separati, perché balenava il Sole fervente, e scoccava l'Arco di Dio
sdegnoso Saette ignite. Magniavan que' Miseri più pene, che pane; e questo più
di dolor, che di nodrimento, perché mentre lo consumavan sul desco in Casa,
miravano con humido ciglio il Grano secco sul Campo. Venne il giorno prefisso,
secondo il giro determinato, a portar la Statua del Nostro Santo
processionalmente alla Cathedrale: Hor'Ecco che l'Alba, non dalle altre
dissimile, comparisce coronata di fiamme, e non più, come già soleva, di Rose.
Cresce il Meriggio senza un'ombra di compassione a sferzar co' raggi la terra,
e la Fede si accende più che non fe' mai a gareggiar coll'ardor più, che prima
intenso. Mentre tramonta il Sole spunta la Divotione delle Turbe anhelanti,
colle faci alla mano colle palpèbre piovose, per provocar a pietà le
[143] Stelle, corteggiando un altro, ma più bel Sole, nella Figura di
FRANCESCO sorgente. Oh mirabil Peripezia! Appena dalla Chiesa de' Minimi passa
portata per que' vicoli dalle preghiere sonori l'Imagine dell'Implorato, ch'Ella
sembra un'Jade sorgente della pioggia foriera. Tanto seguì per appunto.
Veloss'il Cielo ad un tratto, e col nascondersi mostrossi placato. Cominciò
l'aria cogli spruzzoli inhumidita a scherzar piacevole pria, che la Statua
acclamata fosse introdotta nel Duomo. Non così tosto fuvi adorata, che non più
per ischerzo, ma con traboccanza inondante, versarono le Nubi l'acque salubri.
A così lieto preludio volle quell'Arcivescovo, che rimanesse per alcuni giorni,
esposta all'adoratione commune l'Effigie del Santo, cagione dell'universal
Beneficio. Perseverò la pioggia coll'Oratione; ma già stanche di pregar le
ginocchia, non però i Cieli di piovere, perché di soverchio haveano i prati
bevuto, intimò il buon Pastore Macino la restitutione della Sagra Imagine al proprio
Nicchio. E pur a tal funtione raddoppiossi il favore di un Astro così propitio,
perché comparso appena di ritorno al suo centro cessarono l'acque, e
ricominciaro gli applausi: Si dileguaro i vapori, ma non isvaporarono i Voti:
rasserenossi l'Aere, e rinverdì la Campagna: Arrisero gli Elementi, e risero i
Colli; e [144] se fu benefico il Cielo, fu FRANCESCO il Benefattore.
Negli horribili terremoti, che scossero l'Anno
1638 con terror così tetro le due Calavrie, & inghiottirono tante Cittadi,
e Castella, fino al numero di cent'ottanta FRANCESCO si mostrò stabile in
Cielo, sua Patria vera, pronto a protegger'in Terra la sua Patria nativa.
Pareva all'hora riconfermata l'errante opinione Copernica, mentre la Terra
medesima così sensibilmente movendosi, quasi che tornar volesse all'antico
Chaos, sembrava immobile il Cielo alle querule strida di quelle Nationi
agitate. Fremeva il suolo sconcosso, e gemeva il cuor palpitoso. Il Suolo apria
mille bocche all'hora per divorare quel Popolo afflitto; e quel Popolo
afflitto; scioglieva a migliaia le lingue per supplicar l'Altissimo irato. Le
Case si cangiavano in Tombe; dentro alle quali giaceano gli habitanti prima
sepolti, che spenti. L'horrore serpeggiava per tutto a lasciarvi colle sue
Striscie il ribrezzo: Ogni Sibilo d'aura, era annuntio di morte: ogni movimento
di Terreno era invito alla Sepoltura: ogni crollo recava cadute: ogni caduta
esterminij. La Parca non più si serviva di falce a recider Vite, ma di trappole
a coglierle, e tendendo le sue reti ne' Campi con funestissimo scempio
disertava l'Humanità fuggitiva, che quanto più cercava il rifugio, tanto più
incontrava [145] il pericolo: Tremavano i petti, che non havevano più
fermezza, imitando i piè vaccillanti: Lagrimavano gli occhi, che non haveano
più scopo, mentre languivano gli animi, che non havevano più Speranza. Più
naufràgi si pativano in terra, che in mare, & era più sicurezza cercar il
porto nelle tempeste, mentre mancava il fondo nelle Campagne. Hor'a primieri
vacillamenti si vide in Paula la Statua marmorea del Santo collocata sopra la
porta, che guarda il lido dell'onde, volgersi in dietro per contrasegno di
Salvaguardia: siché mostrando FRANCESCO la faccia a' suoi Cittani, scacciò da
essi il timore difendendogli ad huopo; e dando le spalle al mare accennò, che
si opponeva, qual argine, a' gastighi del Cielo. Terminati quegli Esterminij si
rimise all'ultima scossa la Statua nella sua positura di prima, in contrasegno,
ch'era finito il cimento colla difesa. Rimase Paula illibata da' morsi del
Terremoto, come pur seguì delle Terre Limitrofe, Foscaldo, Guardia, Cetràro,
Bonofati, Malvìto, Fagnàno, S. Marco, Rota, Lattaricò, Montalto, Vacarizo,
Belmonte, Longobardi, Lende, Santo Fili, Falconara, Amantèa, Fiume freddo, e
Santo Locito, le quali tutte a schiere piagnenti, col cuor nelle bocche, e co'
flagelli alla mano, ricorsero, e s'invotarono al gran Francesco loro efficace
Conservatore.
[146] Corrasi tutto il Reame di Napoli, e
quello della Sicilia, che ad ogni passo si rincorreran le vestigia fresche
della calda Protettione del Santo.
In quasi tutte le Città dell'Italia riverito, a
par di possente, FRANCESCO si fa conoscere, e nella Spagna non meno, che nella
Francia, & in tutto l'Orbe Catholico, cinto di fulgidi raggi, e spandente
Gratie ogni giorno a' divoti suoi, religiosamente si honora.
Iddio, che lo rese in vita cotanto amabile a'
Pontefici, a' Regi, & a' Principi, molto più lo rende ad essi venerabile in
Cielo. Le Maestà Cesaree, Cattoliche, Christianissime, e Polonesi: le Altezze
Reali, e Serenissime della Terra a lui si curvano, singolarmente nel Dì festivo
di esso come pur fanno moltissime Cittadi, & Adunanze Europee, che non si
possono dir nascoste dal calore di questo Sole.
Chi brama più distinte le prove di quanto ho
finito d'insinuar con questo superficiale trascorso, conti li numerosi
Conventi, fondati all'Ordine de' Minimi da' Regi, e Principi, da Signori, e
Divoti grandi, particolarmente nella Gallia, e se bene di minor numero, non
perciò di minor fasto, nella Spagna, con generosa Magnificenza, in segno di
grata protestatione al Santo, & a' loro Posteri di raccordo,
d'un'Obligatione immortale.
Sarebbe
assai lungo, onde riuscirebbe [147] importuno il racconto quando
volessi far qui un honorato Cathalogo de' Magnanimi Fondatori, che con erger'in
terra case, e Chiese a FRANCESCO, l'impegnarono a ricambiarneli con favori
continuati, & ad esser lor Fabbriciero nel Cielo. La memoria di essi meglio
leggerassi descritta nel Libro della Vita, che non verebbe impressa su queste
Pagine, dov'Io col silentio li riverisco, perché non ho caratteri d'oro da
stamparvi sopra la Gratitudine.
Non debbo però fra tanti, come singolare di
Merito, tacer per marca di debito eterno la gran Dama, D. Olimpia Aldobrandina,
Principessa di Rossano, affin d'ingemmar queste carte con un Nome così
preclaro. Hor questa brava Amazone d'ogni Virtù, e così chiaro ornamento di
nostro Secolo, havendo abbellita in Roma con una Fabrica sontuosa, al pari di
Vaga, una Chiesa, a questo prodigioso Santo, suo Protettore, merita per questa,
come per tante altre sue Geste Heroiche, di haver una Statua nel Campidoglio,
& un Nicchio nel Paradiso.
Conchiuda la Fama con una delle sue Penne più
candide, mentre non basta la mia, che non professa candor di Eloquenza, ma solo
di Verità; in memoria sopra tutte le altre gloriosa di Madama Reale Christina
di Francia, a cui replicati, e non mai stanchi, si debono, in questi fogli
[148] sinceri, gli Homaggi. Fra le bell'opere della sua Pietà
Trionfante, che, le tennero sempre aperta la mano, degna di strigner lo Scettro
di tutto il Mondo, sì come lo strinse di tutt'i Cuori, si riporrà sempre dalle
postere Etadi la Chiesa, che la gran Donna Reale ha fatto innalzar Superba in
Torino a questo grand'Humile sublimato, colle annue Fondationi di Convento, e
di Messa perpetua. Principessa Immortale, degna di essere, come di Meriti, di
Anni Fenice, che fra tanti beneficati, mirò vivendo così di buon occhio i suoi
Minimi, & honorolli morendo col ricordarsene negli Atti estremi della sua
Volontà Generosa. Non più, che nelle lagrime si sommerge lo stile.
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