Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText
Francesco Fulvio Frugoni
I fasti del miracoloso S. Francesco di Paula

IntraText CT - Lettura del testo

  • I FASTI DEL MIRACOLOSO S. FRANCESCO DI PAULA; SPIEGATI NELLA DIVOTIONE DE' TREDICI VENERDÌ   PARTE PRIMA.
    • La Divotione al Santo, e singolarmente, quella de' Tredeci Venerdì ad honor di esso praticate per conseguir le Gra tieDivine.   PROLUSIONE X.
Precedente - Successivo

Clicca qui per nascondere i link alle concordanze

La Divotione al Santo, e singolarmente,

quella de' Tredeci Venerdì ad honor di

esso praticate per conseguir le

Gra tieDivine.

 

PROLUSIONE X.

 

Antico, e sempre più rinovato costume, instituito dall'ammabile SAN FRANCESCO DI PAULA, è il visitare le di lui Chiese per Tredeci Venerdì proseguiti, e come per tanti gradi ascendere all'Eminenza della Spirituale Felicità, affin di arrivare al Trono della Misericordia Divina, per conseguirne contra [149] tutti li Generi de' Travagli, favorevoli, come pietosi, gl'indulti.

Lo sperimentarono tanti, e tante, che ne sarebbe malagevole, perché innumerabile, la Narrativa. Tutti, o la maggior parte almeno de' Personaggi, di sopra accennati, si valsero di questo Antidoto salutare, per impetrar dall'Altissimo il sollievo dalle oppressioni, e dalla provida mano del Padre de' Lumi, illuminadrici le Gratie nel tenebroso peregrinaggio di questa Vita infelice.

Continuato giornalmente si osserva un EsercitioPio, come fruttuoso, e non solo per Tredeci, ma per tutti ancora li Venerdì dell'Anno, germogliadivoto il concorso in alcune parti alle Chiese de' Minimi, che a questo Santo Miracoloso si fa Seria Festa ogni Feria Sesta.

Genova, quella Famosa Città, da me proposta, come sempre riverita mia Patria, la prima che nella frequenza delle Opere Pie a tutto il Mondo insieme non cede; sì come nelle Machine de' suoi Regali Edifici; ma più colle sue Glorie sempre più eccelse, s'innalza, novella Cibele, tutta fastosa alle Stelle, mi vaglia per mille di credito, mentr'Ella porta, come la Maestà nella Fronte, la Fede nel Cuore. Sono que' Nobilissimi Genij, che con tante aspirationi, concordi al publico beneficio, formano unisoni 'l grave concerto di quella Politica Cetra, così alle belle Intraprese [150] del Culto Divino tutti rivolti, che sembrano i Cherubini al Santuario affissati. Fra le moltissime intrecciano la Divotione giurata verso il nostro Santo; e ne riportano aiuti, che si possono dir di Costa; poiché nella Costa di FRANCESCO, che nel Monastero di Gesù Marìa si conserva, un gran tesoro di aiuti si cole: Non meno dal Capuccio prodigioso di Esso, fonte di miracoli si cavano sorgenti di vita, e rivoli di Salute, li quali con torrenti d'oro, que' grandi Limosinieri, propagano. Le Dame, Angioli a' costumi, & a' volti, Veneri, ma Celesti, e purissime di quel Mare in cui non patì la mai naufragio, accorrono sovente all'Altar di FRANCESCO, come ad un vero Propitiatorio; e gran parte di esse ha riportato frutti fecondi, nel coltivare per Tredeci Venerdì una Divotione così fiorita. Non mai stanca Munificenza di quella spiritosissima, Nobiltà, di quella Pijssima Cittadinanza, oltre i giornali Sussidij, & i Legati, che sciolgono dalle Pene purganti, spande a mani piene un profluvio d'Argento nel consagrato al Santo, che con tutto il Concorso più che de' passi de' cuori, solenissime vi si festeggia.

Bisognerebbe sfiorar i giardini dell'eloquenza s'io volessi degnamente infiorar la memoria di que' generosamente divoti, e divotamente generosi, che tributarono [151] in Genova al gran FRANCESCO DI PAULA co' loro prieghi ferventi i loro providi doni. Ma non debbo tacer, fra gli altri, che registrati si leggono negli annali della Gratitudine de' Minimi, e ne' volumi della retributione celeste, il Senator Giacomo di Negro, che per tanti lustri fino all'età decrepita continuò la divotione al Santo, e l'assistenza al di lui Convento, procurando singolarmente, che i due di Aprile fossero in quel Tempio Sonori per l'esibizione dell'aurea, & argentea affluenza, lasciando impressa ne' suoi nobilissimi Figli, tra' quali due ne donò a FRANCESCO, per dargli ancor le sue viscere, questa geniale inclinatione. Venga la facondia più luminosa ad intrecciar un serto stellante alla rinomanza riveritissima del gran Luca Spinola; Principe di Molfetta, Padre de' Poveri, e così generoso alla mano aperta, come maestoso al sembiante reale. Io, c'hebbi l'honore d'essergli famigliare per più di un lustro con ossequiosa assistenza fino all'ultimo suo respiro poiché mi esalò quella grand'anima fra le braccia, posso asseverar senza hiberbole di non haver conosciuto mai un altro petto così propenso a donare, essendo il cortile del suo Palagio quasi sempre bollente di mendici, che non mai ne uscirono sconsolati, e le di lui anticamere ogni giorno innondate da' Mendicanti, che ne riportarono tanti [152] soccorsi, essendo sostenuti i Monasteri cadenti da questo Alcide famoso della Pietà, la qual ei fe' spesso sfavillar verso i Minimi, per la sua divotione verso FRANCESCO. Non tacia l'obligatione con cento bocche, perché non tace la Fama con le sue cento nel celebrarlo, il gran Cavalier Gio. Filippo Spinola, pur Principe di Molfetta Cognato, e Genero del generoso Luca lodato, che alla sua morte immatura, onde fu tanto accerba la perdita lasciò al Convento di Genova per terminarne la gran salita, per cui vi si ascende, più di tremila scudi, & hereditaria la sua fervente divotione nella sua nobilissima Sposa, e nel suo virtuosissimo Figlio in cui rifiorisce la gloria paterna. Aggiungo qui come principale Benefattore de' Minimi il già celebrato, e sempre degno di lode Gio. Luca Spinola, Splendor della Nobiltà, che più volte assistito dal Santo non si stancò mai di riconoscerlo grato co' votti colmi di gratie, e con le mani di limosine ridondanti, dovitiando gli altari di quella Chiesa vero asilo de' tribulati, e Drogheria per gl'infermi, che da un Semplice, come FRANCESCO, di virtù cotanto efficace a folla ricevono la salute, come la giornale sperienza, più assai, che la mia penna spennata può farne fede. Spennata è la penna mia, e perciò inhabile al volo per giungere a celebrare tante Famiglie chiarissime, che coronano [153] quella Repubblica Gloriosa, e rendono quella Città così Pia l'Emporio delle Virtudi, & il Teatro della Magnanima Magnificenza. Parlerò di tutte, e de' preclarissimi loro Individui nella mia Galleria Ligustica, se tanto mi permetterà la sorte, o la morte.

Ma qui non debbo obliare in proposito della Divotione verso FRANCESCO l'augusta Casa del Famoso Principe Doria, di cui Protettor'il Santo particolare a perpendicolo le sovrasta nel Monte Sano. Ella, che diè al mare più di un Nettuno dopo l'haver accolto FRANCESCO, che fu Nettuno nel mare, fu il primo refugio de' Minimi, che nel primo ingresso in quella Heroica Patria vi furono ricevuti, e poi sostentati per lunga serie di tempo si denominarono Religiosi del Principe Doria. Hor continuando ne' Grandi successori la relatione pijssima, non cessò mai ogn'uno di essi di tener FRANCESCO nel cuore, e di portarlo sul capo. D. Giannettino Doria non degenere figlio di quel D. Carlo Duca di Tursi Generalissimo del mare, Intrepido come il Padre, che fu ne' naufragi un Cesare, e ne' conflitti un Alessandro: Aquila nell'onde, e Generale della Squadra di Sicilia non mai soleva scioglier l'ancore alla partenza, che prima non fosse a prender inginocchione curvato, dovunque fosse, dal Superiore de' Minimi la [154] benedittione, praticando il medesimo stile dopo haverle gittate.

Entri qua hora a decorar maggiormente i Fasti del mio prodigiosissimo Padre quell'invitissimo, quell'immortale, quel grand'Ambrosio Marchese Spinola: quello, che non professò mai altro commercio, che con la Gloria: quello che fu il Ligustico Marte, non so se più prode in istringer'il ferro, o se più prodigo nello spander l'oro, che innesausto come il suo nobilissimo Sangue con tanta fulgidezza hereditario egli possedeva: quello che col rimbombo del suo nome tonante fe' tremar l'Olanda, e colla chiarezza del suo gran consiglio illustrò impareggiabile la militia: quello, che sollevò col suo governo così rinomato i Paesi bassi, e fe' pullular'al suo capo gli allori nel Settentrione, alla sua mano le palme nell'Occidente, quello di cui per bandir le geste sono fievoli, e scarse della Fama le trombe, poiché il valoroso, e l'assennato Guerriero superò gli Achilli colla bravura, il Milciadi co' Trofei, & i Temistocli con le vigilie; quello finalmente, che redivivo si ammira hoggidì nel suo gran Pronipote D. Paulo Marchese Spinola, Duca di Sesto, Governator di Milano. Hor quell'Heroico Generale d'eserciti, che fu Scipione in guerra, e Catone in pace, trovavasi venuto di Fiandra in Madrid, Corte della Cortesia, e della Pietà Cattolica, [155] e correva il tempo di quella Santa Settimana, in cui la Chiesa con Sacra gramaglia celebra in anniversaria doglianza i funerali del suo Sposo sepolto: Il gran Marchese Spinola, sicome havea dati già tanti saggi del suo valore nel Campo, volle ancora in faccia di quella Villa Reale produr gli attestati palpabili non meno della sua indeficiente divotione, che della sua vigilanza indefessa, poiché nella Chiesa de' Minimi della Vittoria, essendo egli Padrone del Choro di essa, & havendo quel luogo, come della Vittoria, per proprio il Vittorioso, perseverò in piedi per lo spatio consecutivo di ventiquattr'hore, dal mezo giorno del Giovedì, fino a quello del Venerdì Santo, & a chiunque l'interrogava di quel pijssimo eccesso rispondea sorridendo: Io posso bene per servire il mio Re star'otto giorni intieri a cavallo alla brina, e nel fango, e non potrò per servir'il nostro Dio, Re del mio Re, e di tutti i Regi, starmene qui per lieve tratto al coperto a meditare quanto per noi ha patito? Poi soggiungeva: Io so bene, che il mio Santo Vecchio S. FRANCESCO DI PAULA in queste occasioni era solito a non dormire, e che passava, non solo i giorni, ma anche le Quaresime intere senza cibarsi sol che di affetti. Imparino i Grandi, e sappiano, che il valor senza la Pietà, è un corpo senz'anima.

Fu questa Massima ben capita, e con [156] esattissima formalità praticata da quell'altro fulmine di Bellona, uscito dall'Arsenale Ligustico il gran Marchese Gio. Francesco Serra, che a tante Lauree sue militari (ed oh come intempestivi, e così tempestosi) intrecciò i cipressi ferali. Gran Soldato di petto Hettoreo, di cuor Cesareo; d'animo Epaminonda, d'ardire Lisimaco, di Prudenza Leonida, e di Religione Carlo Magno eguagliando, fu di FRANCESCO tanto invaghito, che lo chiamava la sua sentinella, e ben sovente ne fea correr di notte il nome per i quartieri, riputandolo per tante prove l'intelligenza della sua Militia, & il Cherubino infiammato delle sue Truppe custode.

Purpureggia qui per ultimo Serto de' Fasti Liguri abbreviati, per coronare FRANCESCO la gloriosa memoria dell'Eminentissimo Cardinal Durazzo, la quale dura, e durerà sempre intagliata ne' Cedri del Libano eterno. Egli è frutto purpureo di quel generoso Pedale, che diramandosi in palme, frondeggiando in lauree, spolpandosi in Pastorali, & intrecciandosi in corone, carico di frutti di merito serve alla Virtù di ricovero con l'ombra sua luminosa. Stefano inghirlandato dal proprio nome, che fe' al fulgòre della sua porpora, ma più al lampo della sua pietà arrossir'il vitio, & impallidire l'Invidia: Degno di quel concetto con cui la Fama per accreditarsi veridica il divolga [157] per lo più candido nella Vita, che spirasse all'aura di questo Secolo così macchiato: per lo più heroico nella morte, che trionfasse con gli affetti del Mondo vinto. Morì appunto come FRANCESCO stringendosi al Crocifisso, che portò sempre fisso nella sua mente, Croce sulla quale dalle Virtù veramente in lui Cardinali gli venne inchiodato il timor di Dio, & il zelo del culto celeste. Né mai si potè discernere s'egli fosse, o più buon Pastore pronto a dar l'anima per le sue pecore, od Agnello più innocente disposto a sacrificarsi per esse. Nel Capitolo Generale de' Minimi, che celebrossi, corrono già cinque lustri, in Genova, al quale fu dalla Sede Apostolica deputato Presidente, egli si fe' conoscere tutto viscere verso la mia Religione, e tutto sviscerato verso il mio Santo del quale non si stancava di esaltare le geste prodigiose. Io hebbi la sorte di sostener'alla di lui presenza humanissima l'ultimo atto delle Conclusioni Theologiche dedicate alla di lui Eminenza, & in questa, come in altre funtioni, fatte al di lui cospetto da me, posso attestare, come anche per molte notitie, che il di lui pijssimo cuore portava nelle sue fibre stampato profondamente il mio Patriarca.

Altrettanto dir posso dell'altro famosissimo gran Purpurato Lorenzo Imperiale, che fregia la sua nobilissima Stirpe di [158] splendori sempre più fulgidi. Egli è quell'invitto, che nella sua gran mente stellante raggira tanti astri quanti pensieri, degno di reggere un Mondo perché nel suo capo d'intelligenza eccessiva il moto alle sfere de' negotij più gravi. Capo, ch'è tutto petto per l'intrepidezza: petto, ch'è tutto capo per lo sapere. Sapere, che non ha fumo, e perciò senz'ombra; che tutto è fuoco per lo Spirito acceso, ma fuoco, che avviva, e non consuma; che non incenerisce ma indora; che purifica, e non affumica; che ascende, e non serpeggia; che balena, e non fulmina; che rimbomba, e non tempesta; che riscalda, e non rilascia; che risolve, e non danneggia; che risplende, e non affumica; che abbaglia, e non accieca. Anche purgatissimo fuoco può dirsi Lorenzo (poiché Lorenzo va così ben col fuoco unito) per l'ardentissima sua Pietà, singolarmente verso FRANCESCO, che avvezzo ad entrar'illeso nel fuoco, nell'igneo cuor di Lorenzo se ne sta riverito.

Qui viene naturalissima la rimembranza honorata di un altro Lorenzo, che tutto è lume perché tutto è Raggi. Raggi, che illustrando con raddoppiata luce la Porpora Vaticana, così fulgidamente s'incerchieno al Sole del Cattolico Cielo. È quell'Eminentissimo un fonte di Raggi vivi, perché dal di lui cuore disgorgano tutte quelle Virtù, che svegliano come [159] i Raggi gli occhi assopiti. Sono i Raggi flagelli dell'ombre, che le discacciano, e gli strali più proprij di questo Apollo, co' quali saetta i Pittoni de' Vitij per immortalarsi con la sua gloria. FRANCESCO in terra fu veduto coronato di raggi, & hora all'adorata memoria di lui non mancano Raggi mai, perché Lorenzo, che tutto è lume cinge con la sua Divotione FRANCESCO, che tutto è fuoco.

Potrei qui di tanti altri luminosissimi Porporati, che inostrano il manto della Liguria, & illuminando i sette colli ferono in ogni tempo fiammeggiar colla loro magnificenza, ricchi d'ingegno, e d'oro, di Pietà, e d'honore formar racconto. Ma troppo è scoscesa, e lunga la carriera heroica, alla mia penna Pedestre. Sono congeniti al Ligure gli Ostri, che spremuti dalle murici del merito fanno arrossire l'Invidia. Le Pontificie Tiare, che ornarono i capi de' successori di Pietro sono familiari a quell'inclita natione, che ne' suoi generosi, & heroici Fieschi s'innalzò al più sublime posto dell'Universo, co' suoi Cibo nobilissimi apprestò cibo alla Gloria più eccelsa, e colle sue Roveri di quella di Dodona più reali, e più sacre diè gli Oracoli a tutto il Mondo, e fe' ombra alle palme d'Idume più vittoriose, & agli allori di Eurota più trionfali.

Sarebbe tratto d'ingratitudine mostruosa [160] il coprir col silentio la chiarissima Pietà, della Bipartita preclarissima Famiglia de' SS. Viali, che a tanti Governi della sua gran Republica in più rilevanti maneggi addossati ad essa, ed a tante volte replicate Senatorie Toghe si è qualificata un Seminario di Catoni. Viva eterna la memoria di Francesco, di Benedetto, che nel Serenissimo Zodiaco Genovese furono Gemini luminosi, fregiati di tante Stelle di quante virtù si mostrano sempre adorni, e singolarmente d'un ardentissimo affetto avvampati nella Divotione del particolarissimo loro Avvocato FRANCESCO DI PAULA, al quale avvezzarono fino da pargoli a curvarsi sviscerati nelle preghiere i loro nobili germi, che con tanti celibi fiori, e con tanti frutti di bontà eccessiva germogliano al Paradiso. Tra questi, che con signoril decoro reggon le Case, primogeniti formati ad imagine vera de' Genitori, splendono singolarmente Nicolò, & Agostino: questi per l'ingegno amenissimo, & acuto, Stelo di Rose fiorite: quello per l'integrità; e per la pijssima indole; amendue ottimi Cavalieri, e veracissimi Cittadini di una Republica, che tra tanti suoi Fasti annovera la partialità riverentialissima, che a FRANCESCO, gran Protettore di quella Città Heroica illibatamente fervorosa conserva.

Mi stimula ancora la gratitudine tanto [161] mia congenita amica ad infiorar qui fra tanti heroici Cavalieri Genovesi l'honoratissimo nome dell'Eccellentissimo Signor Giorgio Zoagli, presentemente Governatore di Corsica, il quale ha in una lettera di putno del mio gran FRANCESCO un vallido passaporto per la Horia. In que' caratteri sacri, stillati da quella mano ardentissima, che lambiccò sempre le quintessenze della Carità più succhiosa, conserva quel pijssimo, e prudentissimo Cavaliere una franchigia contra i disastri più fortunosi, perché quelle lettere son astri tanto felici, che chiunque le strigne, e le bacia, si può dire, che tocchi 'l Cielo, e che volti le Stelle a suo beneficio. Ma tanto merita chi ha tanta virtù: Figlio di un Padre così saggio, e così giusto, che appunto, come Michele, seppe sonar la tromba canora, maneggiar la lancia della penna, e regger la bilancia della Giustizia: E Figlio non mai degenere, poiché nel Cielo Serenissimo della sua Gloriosa Republica, anch'Egli sfolgorante risplende non mai retrogrado; ma sempre ascendente; così puro per la sincerità, come regolato per la rettezza, fulgido ai raggi della modestia, & ai riflessi della gentilezza native; e tutt'acceso all'ardor divoto del mio Heroico Santo, suo singolarissimo Protettore.

Savona, e Serazana, che son le due pupille della Liguria, fedelissime, e chiare [162] per i lor pregi, e singolarmente per esser Seminarij di lumi Pontificij, e Purpurei, di splendori mitrati, e guerrieri, perché sempre fisse in FRANCESCO: cui si spiegano illuminate, & a cui si piegano accese, non dovevano qui nel silentio restar oscure; ma poco io narro perché se bene mi preme l'obligatione, mi opprime ancora il peso di que' Trofei, che ferono sudar l'Oriente infedele, e posero il giogo ad un Mondo nuovo. Basti per hora dell'inecclissabile Pietà Ligustica questa di passaggio strisciante notitia, e passiam'oltra, sicuri di non trovar'il termine mai a' Fasti Empirei del nostro prodigiosissimo Taumaturgo.

Venetia la fastosa Reina dell'Adriatico, seconda le prove del mio facile assunto colla Pietà del suo devotissimo affetto. Ogni Venerdì corrono, fra le Turbe affollate, que' preclarissimi Nobili al Tempio di FRANCESCO come ad un vero Arsenale di Giove, contiguo al famoso Arsenale di Marte; perché se da questo si cavano ferri guerrieri, e bronzi fulminei da contrastar'al nemico, da quello si hanno Scudi impenetrabili per ischermo contra di esso, e folgori possenti per bersagliarlo. Ardono que' canali di ardor celeste, e divampan quelle acque alle fiamme, che i partiali del Santo portano in seno di amor divino. E ben con ragione tengono in loro fuocopuro, perché FRANCESCO [163] solito a star negl'incendij, & a galleggiare sull'onde, da essi non si diparta, & ivi sempre sublimato si honori dove tanti favori diffonde. Veggonsi le pareti di quella Chiesa, dall'imo al sommo, tutte incrostate di Tabelle Votive, che vi appesero i Salvi da' naufragi diversi, della Terra, e del Mare; e per havere sfuggiti li perigli di un Mondo, che ha tanti venti quanti superbi, tanti scogli quanti Ostinati, tante seccagne quant'Infedeli, tante onde quanti lascivi, tante alghe quante frodi, tante arene quante colpe, tante reti, quante insidie, e tanti insidiosi Corsari, quanti Ladri rapaci.

Si è veduto il Serenissimo, FRANCESCO Molino (Molino a cui non mai mancò l'acqua delle gratie in FRANCESCO, che n'è la chiusa) Capo di quella invitta Republica negli ultimi Anni trascorsi, non intermettere mai lo stile, anche nella Senatoria Pretesta continuato, di andarsi a prostrar'ogni Venerdì alla capella del Santo, per esaltar, come giusto, quell'honoratissimo Corno, il quale cozzandolungamente contra gl'infami dell'Ottomanica Luna, prende il vigore singolarmente da FRANCESCO, Virginale Alicorno, che si dichiarò sempre, e con più maraviglie, in Otranto, & altrove, degl'Infedeli Cani nemico: Cani infedeli, che latrano al vero Sole in Lione, sempre più fulgido, e [164] fulminante. Nel lione di Marco alato, che col suo grido fa sentirsi per tutto il Mondo, mentre co' suoi vapori sulfurei pretende in vano di ecclissar nell'Oriente quel Sole, il quale se già vi nacque in Vergine non sia mai, che vi tramonti nel Sagittario, perché stationario vi fiammeggia in quel bravo Lione, che tanto è della Vergine amico, & ha per istinto di custodir la Virginea Fede di Christo, che della Candia è il vero Giove tonante. Tonante co i folgori di guerra, che si accendono al fuoco sacro di FRANCESCO, e sono somministrati dal Lione Aquilino di Marco, fra quali fiammeggiante per lo valore dell'heroico braccio, per la prudenza del saggio consiglio, per la pietà del divotissimo cuore, per la liberalità della provida mano, risplende l'intrepido, il famoso, il forte, l'invitto Giron Francesco Marchese Villa, che terrore degli Ottomani, perché ha cento mani nella Virtù, come un Briareo, ha così ben difesa la causa commune del Christianesimo. Egli è divotissimo di FRANCESCO, e tanto basta per accennarlo vittorioso, & uno de' baloardi più vivi, c'habbia fatt'argine all'inondatione sotteranea di tanto incendio, e di così numerosi Traci, che coì loro fumi infernali han resa Candia più candida, & il nome di questo cattolico Alcide sempre più chiaro.

Più chiaro sempre per lo stesso motivo [165] sfolgora quello ancora del gran Marte del Mare il Cavalier Gio. Francesco Morosini, che nuovamente in una prodigiosa Vittoria ha insanguinato l'acque di Sfacchia con lo svenato nemico, & imporporato il generalitio suo manto con le murici di un gran Cane come Durac il rinomato Corsaro, il quale non ha potuto durare a fronte di un Capitanovaloroso, che nel notturno combattimento meritava di haver il Cielo, Argo stellante, per attonito spettatore; Ma fra gli Astri dell'Empireo gli arrise FRANCESCO DI PAULA come singolare Avvocato, e fe', che le tenebre tetre, al lampo fulmineo d'una spada affilata dalla Virtù Heroica sopra la cote della militare costanza gli partorissero fra le procelle frementi de' bronzi accesi, e degli acciari fischianti un bellissimo giorno di gloria.

Non debbo trasandar qui la memoria, che può rendere memorabil di FRANCESCO i Fasti singolarmente in Venetia dove così venerato si adora. Io mi ricordo, che sett'anni sono predicandovi nel giorno di esso, ancorché slombatamente serpendo, le di lui Glorie inesauste alla presenza dell'Ambasciator Cattolico, l'Eccellentissimo Marchese di Manzera, splendor fra gli altri luminosissimo della gran Famiglia di Toledo; e presentemente Viceré del Perù, così partiale di FRANCESCO, che 'l volle stationario [166] nel suo stato, col ristorargli una casa, di cui la pietà de' suoi preclarissimi Antecessori fu fondatrice, formò l'Echo sonora alle mie fiocche voci un accidente prodigioso, ma non insolito al patrocinio ch'esercita così gran Protettore su i suoi Divoti. Un Fruttaiol se ne veniva in quel mentre, nell'affluenza del bollente concorso, ad offerire al Santo le sue fruttuose preghiere, come al suo Vertunno adorato, quand'ecco li fu scaricato da un suo nemico addosso un Pistone, che gli vomitò nel petto l'inferno; Ma le palle avvampanti gli si fermarono stupide nel trasforato grembiale, di cui era cinto, e lacerandone la tela accanite, gli lambiron la pelle mansuefatte da quella mano invisibile, che palpò quaggiù vestita di carne tante volte illesa le fiamme voraci. Ella insensibilmente le strinse, & in ribatterle con opportuna assistenza fe' comparire, che il piombo dell'odio all'oro della sua carità cedea vinto. Svegliossi sonoro il rimbombo di questo fatto, e mentre il Fruttaiuolo corse ad appendere col grembiale il suo cuore all'Imagine di FRANCESCO accorsero i Fedeli ad inghirlandarla di affetti fioriti, per accoppiare a' frutti dell'intercessione in Aprile, colti da questa pianta del Paradiso, i fiori de' prieghi germogliati nel Giardino della Divotione improvisi, per contrasegno, che FRANCESCO, il quale vivendo in [167] terra seppe unir'agli autunni le primavere, vivendo in Cielo con più agevole dispositione misticamente unite le produceva.

Canti dunque Venetia, Sirena dell'Adriatico, a FRANCESCO grata, e da FRANCESCO gradita, dolci, & armoniose le lodi, svegliando i suoi Cigni canori e soavi, Re de' quali, e d'ogni altro, che si abbeveri al sagro Caistro è l'Eccellentissimo, il Clarissimo, l'Ingegnosissimo mio Signor Gio. Battista Vidali, che colla sua penna d'Aquila, se pur se non debbo dir di Fenice, sen vola così altamente per lo ciel della Gloria al Sol della Sapienza, che lo perdon di vista, ancorché sieno degl'intelletti più perspicaci, le humane pupille abbagliate. Io non dovea negar'a queste mie pagine, per renderle maggiormente preclare un nome cotanto illustre, & un lumefulgido, non solo per debito di sviscerata amicitia, onde così mi pregio, & honoro, ma anche per dovere di gratitudine, poiché questo sublimissimo Ingegno ha più volte svegliata la sua candida Musa a celebrar di FRANCESCO prodigiosamente i prodigij; né dorme mai colla sua occulatissima divotione, con cui ogni Venerdì fissa lo spiritoso suo cuore nel Santo suo individualissimo Avvocato, prostrandosi riverentemente al di lui altare miracoloso. Così a questo gran Delfino di Santità, che [168] in quel gran mare di luce empirea, stellante di tanti meriti, sfolgoreggia, non manca nel famoso Vidali un Arione celeste, che colla sua cetera arguta, non meno, che colla sua mente accesa l'implora.

Entri qua hora con una delle sue penne più candide, e più svelte la Fama a manlevar la mia slenata, & oscura per descrivere in superficie di abbozzo semplice poiché non le può circoscrivere nelle angustie di linee brievi le Glorie immortali del Cavaliere Battista Nani Procurator di S. Marco, & uno de' più fulgidi Luminari, che mai splendessero, e che hora sfolgoreggino nel Serenissimo Veneto Cielo. Oh come si avverrà in esso l'omnes in unum poiché tutti i raggi diretti, e riflessi delle Virtudi più heroiche si uniscono in questo chiaro Cilindro. Chi brama di veder in un solo Individuo tutta la specie il rimiri: che se ad Anacarsi, presso Luciano, già disse Toxari, mentre quegli cercava di andar curioso lustrando col guardo tutte le grandezze di Athene: Omnia viso Solone conspexisti: haec sunt Athenae, hoc est ipsa Graecia: per veder'in un solo Solone tutta Venetia, più gloriosa d'Athene, basta mirare il gran Nani. Egli è un Nano di nome, & un Gigante di merito: Nano per antifrasi, poiché tocca le Stelle col capo, e regge il fermamento politico con la mente: Nano, che [169] ha dell'Alcide, perché colla clava dell'herculea sua penna sconfigge l'oblio, colla face dell'accesa sua lingua abbate l'ignoranza: Nano robusto come un Atlante, sublime come un Olimpo, nato a sostener col suo vigoroso ingegno il decoro della Sapienza, col suo animo intrepido a riputatione della sua Patria. Egli è Battista, e come Battista è Lucerna, Lucerna a sgombrar l'ombre, a dissipar le caligini, a rischiarar'il Consiglio, a guidar gli erranti, ad illuminar gli offuscati. Lucerna, ma senza fumo per l'affabile gentilezza: Lucerna d'oro per lo sapere purgato: Lucerna scintillante di gemme per i fregi delle Virtudi innestate: Lucerna più pretiosa, che quella di Epitèto, più famosa, che quella di Callimaco, più degna, che quella di Cleante, più filosofica di quella d'Aristofane, più morale di quella di Diogene. Lucerna ardente per la pietà, lucida per la prudenza, inestinguibile per l'honore chiarissima, per la nobiltà, elevata per lo merito, & immortale per la gloria. Lucerna al cui bagliore l'Aquile sono Farfalle, & i Cigni sono Nottole; poiché volando innamorate del fulgore di essa a corteggiarla ossequiose, se pur se non debbo dir'abbagliate, le menti più aquiline; & i più candidi ingegni col guardo rintuzzato abbatton l'ale per venerarla prostrati. Parli la Gallia, e dirà, che non vide mai nella sua Regia Corte [170] chi de' Regij Ministri, Ambasciadori sensati fosse più grande di questo Nano, che pareggiò i Giganti col fasto dell'ostentatione, e superolli coll'eminenza del credito. Favelli la Germania, e confesserà, che questo Nano fu più candido, e più sublime delle di lui Alpi, delle quali egli superò la fortezza col petto heroico, penetrò le freddure col genio focoso, sorpassò l'altezza coll'ingegno elevato. Parli tutta l'Italia, & il Mondo tutto favelli; e che potrà dir'in concerto di tutte le lingue più terse, come più vere? Che il Nani è, una Sirena, se pur non è un Ulisse nell'Adriatico; una Pecchia delle più operose, che in bocca di un gran Lione, come quello di Marco, più di quel di Sansone famoso formino i favi; una Fenìce fra le Aquile, uno Fosforo fra le Stelle un Mercurio, se pur se non debbo dir'un Giove fra i Pianeti. Un Cigno per la candidezza, per l'armonia, per la penna, per la stanza, per la purità, per lo celibato, con cui liba il Cielo, svellendo il piè dal fango del senso, e spiccando il volo alla sublimità dell'Empireo; E con ragione arguta egli spiega un Cigno nel Gentilizio suo Stemma, essendo proprio de' Nani, come ad essi connaturale, il candore de' Cigni; Che se questi, per testimonio del medesimo Luciano, furono Assessores Apollinis: hor rinovato si vede questo attributo ne i Nani, che di Apollo son Consiglieri; E se già favoleggiò [171] la Poesia, che Giove per amor di Leda in un Cigno si trasformasse, hor dimostra la verità, che per amor di Minerva un Cigno si cangia in Giove, perché cotanto giova Battista Nani alla sua Republica verace Minerva. Ma ristringerò con lo scorciatoio una lode, che nell'immensità potrebbe ampliarsi diffusa, e dirò, che questo gran Cavaliere sia l'Achille della Religione Politica, e della Politica Religiosa, poiché né il più pio, né il più saggio può rinvenirsi nelle rivolutioni di un Secolo, nelle quali la Virtù più divota, e la Divotione più virtuosa ha in pochi sicuro, e grato l'accoglimento. Esprimerò tutto asseverare, che FRANCESCO sia Protettore benefico del Nani, e che il Nani sia un Protettor generoso, un Benefattor cordiale dell'Ordine di FRANCESCO: quando non per altro, per questo solo motivo doveano ingemmarsi questi miei caratteri con un nome così preclaro, & ingioiellarsi queste mie pagine con un elogio così dovuto.

Napoli, con tutte le Città di quello splendido Regno, non minori cava gli aiuti da questo suo potentissimo Protettore, di quelli, che somministri fedelissima al suo gran Rege; E quel generoso Cavallo, che qual Hippogrifo, sempre più vivaci rimette le penne, si solleva, ancora che carico, al Cielo, per [172] esser ivi FRANCESCO, che gli riparte il vigore.

Quell'inclita Nobiltà ne' cui preclari individui si conserva la specie della Cavalleria più gentile la gentilezza più cavalleresca, fulgida per tanti Principi, che sono le stelle della maggior grandezza in quel Cielo, porta scolpito, fra gli altri suoi Santissimi Tutelari, profondamente FRANCESCO ne' cuori. Cuori così pij, che si alimentano d'aure celesti; così grandi, che bastano a nutrire l'Aquila Ibera. Respirano questi nelle loro angustie collo sospirare a FRANCESCO, che li soccorre pronto, perché l'implorano fervorosi, refrigerandoli, perché ardenti nell'invocarlo. Io sentij più volte alcuni di essi stemprarsi in prieghi colle fauci anelanti, come chi aspira assetato al fonte, di cui li gorgoglia nell'orecchio dolce il zampillo, nell'adorar l'imagine del nostro Heroe sclamare pietosamente: AH, S. FRANCESCO: AH S. FRANCESCO AIUTAMI.

Vagliami per fede d'ogni eccettione, & ingrandimento maggiore la gran Pietà del gran Cardinal Carafa, che hoggidì co' suoi raggi fa fiammeggiar così pura la Porpora Vaticana, e Legato memorabilissimo di Bologna, col sapientissimo, e dolcissimo suo governo la scioglie da tante cure, e l'incatena con tante gratie. Quest'Hercole della Chiesa prende il suo [173] vigore singolarmente dalle sollecitate assistenze del nostro Santo prodigioso, a cui s'inarca assai spesso orante in prelusivo augurio del sicuro trionfo, che spera, & ottiene dall'efficace assistenza di quello nelle sue generose intraprese.

Palermo, e Messina, le due Città Polari della Sicilia son da FRANCESCO illustrate co' suoi bellissimi favori, come li due occhi bellissimi di quel Reame, che se nel suo Mongibello, Polifemo de' Monti, apre un occhio fulginoso, & acceso da sulfureo vapore, ne' suoi divotissimi Popoli, e nella sua gentilissima Nobiltà, par un Argo Celeste ingemmato di lumi: gli spiega tutti al suo FRANCESCO attentissimi, singolarmente nel Venerdì, che quell'Isola Maestosa tramuta giorno di Passione in giorno di gioia, per l'opportuna consolatione, che riceve da un EsercitoPio, onde ne' numerosi Conventi de' Minimi, fra le altre molte forze, che la muniscono, ha tanti propugnacoli per sua difesa.

Tutta la Marca festeggia il Santo, e non fa, che una Fiera di guadagno sensibilissimo quando ogni Feria Sesta a lui fa ricorso, per non fallire con Dio, per pagar i suoi Debiti, e per multiplicar'il capitale delle Gratie, onde si trova arricchita.

Ancona fastosa di tanti suoi pregi gli abbatte tutti per maggiormente sollevarsi [174] a' piè di FRANCESCO, & il gran Cardinal Conti, che n'è il Pastore, havendo sul dorso tinta dal suo nobilissimo Sangue, tessuta dal suo merito eccelso, e fregiata delle sue Virtù così fulgide la Sacra Porpora, la rende più vivace col lampo, che dal FRANCESCO suo gran tutelare li si traspira.

Pesaro, che può chiamarsi una Città veramente di peso per le sue sodissime, e non punto lievi prerogative, librata dalla bilancia di Astrea, come un gruppo di Stelle nelle sue Famiglie preclare, per rendersi più ponderata, e per conseguenza incrollabile alle scosse del tempo, & alle rivolutioni de' Secoli, a FRANCESCO si volge, e con fervorosa divotione l'implora. Qui mi viene la gratitudine a regger la penna troppo pesante, mentre sopra di Pesaro aggirasi, perché la gravano i Beneficij, che con tanto cumulo l'Eminentissimo Vidmani adunò a FRANCESCO in quella Chiesa de' suoi Minimi ristorata, abbellita, & ornata dalla generosa Pietà di quel Candido Porporato, la cui riverita memoria intagliata in que' marmi, e fulgida per que' fregi eretti, e donati al Santo, oltra le innumerabili qualità di quell'animo così grande, viverà sempre immortale.

La Toscana, venerando ogni Venerdì colla memoria di FRANCESCO adorato, discaccia i morbi, & acquista il respiro [175] a' cuori soffocati nelle Passioni, e tra gli affanni spiranti. Fiorenza la Città Nobilissima, da cui si forma Reggia Fiorita alla Virtù Florida de' suoi Principi Saggi, che sono i Senechi del Trono, infiora colle preghiere l'Altare di questo Taumaturgo adorato, per impetrarne Frutti di sapore celeste. Più volte la gran Vittoria, che può chiamarsi la Decima Musa, e la Quarta Gratia: La Serenissima gran Duchessa, che spiega le Palme nel Nome, & il Trionfo nel Merito, Principessa delle Virtù, Gloria dell'Honestà, è rimasta Vittoriosa del Mondo calcato con Fasto Pio, col ricovrarsi all'ombra di questo Santo suo Tutelare. Anche la Spiritosissima gran Principessa della Toscana, Rosa di odor così puro, e di Bellezzamaestosa fra quante pullulassero mai sopra il Regio Stelo de' Laureati Borboni, provò FRANCESCO, che tanto favorì sempre la Real Casa di Essa, efficacissimo, e grato. Si rasserenano queste mie pagine, perché spunta in esse, per renderle un Orizonte di albori, un Sol Porporato nel Serenissimo Principe Leopoldo, il quale sulle sue spalle intrepide, che non vacillerebbero alla mole di un Mondo, rende più fulgido l'ostro del Vaticano. Non ha tratti la penna ad effigiarlo, perché non può mai pennelleggiarsi nell'auge il Sole. Egli è tra le Muse l'Apollo: tra gli Eloquenti [176] il Mercurio: tra le Scienze il Trismegisto: tra le Gratie il Giove: tra le cortesie il Marte, per lo canto, per la facondia, per lo sapere, per la magnanimità, per la vittoria, che riporta de' cuori. Leopoldo, Leone, ma di quegli alati, che più sublimi dell'Aquile volano: Leone che prostra a' suoi piè d'ogn'uno gli affetti; Leone; che sfolgora nel Zodiaco de' Principi Toscani segno Celeste, e col suo virtuoso calore ogni petto accende ad ossequiarlo; Come pur fa il Serenissimo Mattia gloria del Principato, e non punto degenere alla grandezza del gran Ferdinando, che co' due gloriosi germani formando un Trigono luminosissimo, fa che fiammeggiano triplicati a FRANCESCO gli honori.

Pisa la Dottissima Mastra delle Scienze, annovera fra' suoi semplici Medicinali l'Intercessione di FRANCESCO, coltivata singolarmente nel Venerdì, possente a risanar gli Egri, a scacciar la Morte, a guarir le palpitationi del cuore, a ravvivare gli Estinti, come ne fe' spesso fede sotto quel Cielo l'esperienza.

Pistoia, che coronata di glorie porta nel cuor impressa la fede al suo Principe, è nella fronte, che piega fedelissima a Dio, spiega la riverenza verso FRANCESCO, entri a colmarne i Fasti miracolosi. Città benedetta dal Cielo; anzi Cielo di benedittioni, poiché nel gran [177] Pontefice regnante versolle al Mondo. La preclarissima Famiglia Rospigliosa, che s'instella di tanti lumi siderei, quanti sono i Suggetti fulgidi, che da lei sorsero ad innalzarla, hor giunta all'auge della grandezza del clementissimo CLEMENTE IX., che si è sublimato all'auge della Virtù vera, e per conseguenza del Merito sussistente, può vantarsi d'haver'in esso un luminare maius, all'Orbe Ecclesiastico sfolgorante, mentre s'aggira indefesso sul carro trionfale della Maestà Pontificia, sopra l'Ecclittica della Giustitia, intorno alla via lattea dell'Innocenza, tra i Tropici della rettezza, fra i Poli della Carità, e della Speranza, ed esaltatione della Fede, col trino aspetto della fiammeggiante Tiara nel venturosissimo Vaticano. Vero Clemente, alla cui zelantissima Santità scaturisce di sotto il piè dell'Agnello Divino il vivo fonte della Clemenza. Vero Pastore, che solleva le sue pecorelle con provida ridondanza di cibo temporale, e celeste. Vero Sacerdote, che si esibisce vittima per i suoi Popoli. Vero capo della Chiesa, perché tutto mente: intelligenza verace della medesima, perché tutto spirito. Vero Pontefice, che forma del suo petto l'altare, del suo cuor'il turibolo, delle sue preghiere il timiama, dell'anima sua l'holocausto in sacrificar senza fumo le proprie viscere sviscerate per la salute del [178] Christianesimo a Dio. Vero Cherubino, che custodisce la via del legno della Vita, & il mistico Paradiso della Chiesa. Vero Vicario di Christo, per esser pietra vivissima, su cui si appoggia la Religione incrollabilmente fondata. Vero Pescatore degli huomini colla sua esemplare bontà; sicome fu sempre Pescatore de' cuori colla sua officiosissima gentilezza, e colla sua magnanimità generosa. Vero Aronne dell'Apostolico Soglio, poiché vi ascese da Dio chiamato a riempirlo colla Beatitudine del Ministero sovrano. Vero Salomone del sacro Trono, perché con esso vi si assise la Sapienza. Vero Mercurio del Giove non favoloso, perché fe' spuntar la Pace qual Iride sulle torbide nubi, che minacciavano co' tuoni guerrieri tempeste di sangue, e di fuoco. Vero Padre de' Principi, perché con genialissima providenza procura d'unirli al soccorso di Candia, per discacciarne que' Traci, che agognano a divorarla, ma se ben ancora circuibunt Civitatem, famem patientur ut canes, perché il gran Clemente colle preghiere la custodisce, e con assistenza esemplare a premunirla concorre. Vera Ape, ma senza pungolo, che nel giardin della Chiesa ha fatto subito spuntar le ROSE beate, e melificando nel Lione di Marco, produce al Cattolicismo la Primavera. Hor questo Santissimo Heroe fra gli altri tanti suoi pregi, [179] che l'ingrandiscono al Sommo, fe' sempre sfolgorar la Divotione verso di FRANCESCO, suo Protettore non so se più favorevole, o favorito. Quind'io in segno di humilissima gratitudine verso un così glorioso Principe di Santa Chiesa appendo nel Tempio della Fama questo

 

*

 

[180]

Alla Santità di N. S.

CLEMENTE IX.

Pontefice Ottimo, e Massimo.

 

SONETTO.

 

Stella de' Cigni fosti, & hor sorgente

Splendi, fulgido Sol, nel Vaticano:

Clemente al nome, & a l'aspetto humano:

Caro a l'Aquila ardita, al Gallo ardente.

 

Da' tuoi sereni rai tosto rispente

Fur le faci d'Erini a un Marte insano:

Aperto a Giove il Tempio, e chiuso a Giano;

Tanto sol far potea Saggio un CLEMENTE.

 

Stella in Sol ti cangiasti: Ah l'empia Luna,

Per te scema, s'ecclissi horchépronti

Spirti al Leon'il tuo calor raduna!

 

Deh non sia, che sì chiaro a noi tramonti!

Sta gli anni almen, con più vital fortuna,

Che stier le Stelle a tramontar da i Monti.

 

*

 

[181] Né debbo qui velar col silentio ingiusto la partiale adherenza, che tutto l'inclita Famiglia Rospigliosa professa al Santo, poiché non debbe un Cielo di tante stelle restar coperto per me dalle atmosfere indegne dell'ingratitudine vaporosa. Risplende in quella l'Eccellenza pijssima di D. Camillo Castore chiarissimo del Sacro Polluce dalla mia penna qui sopra superficialmente lodato. Castore, che quanto più si concentra tanto più giova, e quanto più nell'auge vuol parer minimo tanto più sfolgoreggia. Egli non ha mai intermessa la divotione verso FRANCESCO suo particolarisimo Tutelare, il quale con l'affluenza degl'influssi celesti, nelle cordiali acclamationi di Roma festosa, che gli forma un Campidoglio di affetti esultati, & un arco trionfale di Gloria dal Cielo lo benedice.

Sotto quest'arco pur', e con ragione, trionfano agli applausi festivi dell'Universo Cattolico i tre gloriosi Fratelli Rospigliosi, Giacomo, Eminentissimo più per la Virtù, che per la Porpora, Don Fra Vincenzo, e D. Tomaso, più per lo merito, che per lo titolo Eccellentissimi. Questo gran Ternario di lumi candidi, perché non fumosi, con religiosissimo ardore fiammeggia, a rischiarare, ad accendere il Christianesmo. Bisognerebbemi stemprar le stelle per abbozzar'un Trigono così stellante, ma questa mia pagina [182] somiglievole alla via lattea per lo candore, seminata di tremuli, perché riverentiali asterismi, non è capace di quelle lodi, che richiedono le sfere per fogli, e per Panegiriste le Intelligenze. Solo dirò, che se il gran Clemente è l'Atlante Santissimo della Chiesa, il gran Giacomo n'è il sacro Alcide. Giacomo, che havendo un nome tonante, ha una lena invincibile d'animo, una fulgidezza abbagliante d'anima, un rimbombo chiaro di acclamationi. Hor questo Fosforo Porporato, che precorre dovunque arriva, la luce solare, del suo gran Zio, & Hespero fido le va facendo luminoso la retroguardia, fu così sempre, co' non degeneri suoi fratelli, di FRANCESCO, e del di lui Ordine partiale, che ben dovea la mia penna indorar del mio Patriarca i Fasti coll'auree strisce di questi Elogij, ancorché scarsi, ma non mendicati da un Mendicante.

Parma, che ha la Palma Hereditaria ne' valor degli Heroici, & Invitti Farnesi, Principi, che sempre sposarono la Virtù, e campeggiarono anche in Pace Gloriosissimi, riverisce FRANCESCO, che la protegge, e conserva, prosperando quell'Inclita Stirpe, che tutta intrecciata di Allori, sempre più fruttifera, e vigorosa s'infronda. Qui non debbo lasciar'obliata la gran Principessa Margarita di Toscana, Vedova del famoso Odoardo, la quale vive a FRANCESCO, & alla di [183] lui Religione con genialissima pietà cotanto inclinata, che dal suo grand'animo fa rifolgorare l'ingenito amore della Virtù, di cui ella per tutte le circostanze può addimandarsi un'Amazone valorosa.

Comparisca qui ancora a coronar di FRANCESCO i Fasti la Real Margarita, Principessa di Savoia, primiera Sposa del nobilissimo Rannucio regnante. Ah che bisognerebbe, che queste mie linee fossero filze di Perle per intrecciar lacrimosi serti alla memoria funesta, ma sempre più chiara di questa Dama immortale. Margarita sì, che nelle porte della celeste Gerusalemme può inaugurarsi innestata, o nel purissimo vezzo di quelle perle, che generate nella conchiglia della divotione, al rugiadoso stillicidio de' prieghi, forman divelte da queste limacciose, e basse maremme all'Alba eterna il monile. Tale si dee piamente credere, che sia Margarita, & io potrei esserne testimonio di asseveranza severa poiché, tra le altre prove, ch'ella diè sempre della sua bontà non fucata, la vidi più volte pender'affabile dalla mia voce scabra evangelizante in Torino, gran contrasegno di quell'indole religiosa, che la rendea sfavillante stella stationaria in faccia del Sol'eterno nella Tribuna di S. Giovanni, mentr'io come vapor opaco mi raggirava in quel Pergamo asceso. In Parma poi la riverij di passagio pochi mesi prima, ch'ella passasse [184] ad arricchir l'Eritreo della Gloria, e tacendo gli honori, che la generosa si compiacque di ripartirmi, l'osservai, nel tributarle i convenevoli della mia osservanza, tinta di un pallor prenuntio di morte, ma però sempre sfavillar, come stella appunto sul tramontare, non meno spiritosa nella frizzatura delle vivaci parole, che spirituale nell'espressiva de' suoi concetti: Felice il Mondo se havesse così felicemente la saggia saputo esprimere quelli del corpo, come fea quei dell'anima. M'incaricò strettamente di dover pregar per l'Altezza sua, c'hor senza la nuvola della mortalità si può chiamare più propriamente Serenissima, e m'ingiunse con replicata anelanza, ch'io la raccomandassi al mio Santo, principalissimo suo Avvocato, pregandolo, che nelle fluttuationi di una vita ondeggiante in questo procelloso mare del Secolo si degnasse di scorgerla al porto della vera salute. Così seguì appunto, e quella gran Principessa, che indorò la Dora col suo splendore, fe' svenir la Parma col suo deliquio, accrescendo a questi due fiumi lagrimata gli humori.

Piacenza, che porta in fronte il Nome di Pia, essendolo ancora di fatti conserva nel cuore la Divotione del gran FRANCESCO, da cui, nel Venerdì particolarmente supplicato riporta sensibilissimi Emolumenti.

[185] Mantova, Nido de' Cigni, e Reggia dell'Aquile, cole FRANCESCO sopra il suo Lago, qual Cigno candido, e nel suo Cielo qual Aquila proteggidrice. Son a lui troppo cari gl'Imperiali Gonzaghi per non iscordarseli mai: Gli hebbe in Francia suoi Fondatori, e per gratissima corrispondenza in Italia li conserva ristabiliti. Quel purissimo Sangue, da cui si accrebbe cotanto lo splendor alle Porpore non può mancare nelle sue augustissime Vene, perché FRANCESCO il fomenta colle sue Divinissime Gratie. L'Austriaca Isabella Clara Arciduchessa Reggente compendia nel suo gran cuore la pietà di tante anime generose, che coronarono quel nobilissimo Trono. A FRANCESCO deve quello Stato felice il virtuosissimo Duca sorgente, che negli albòri di un rischiarato Orizonte, scorto da un'Aurora così fiorita di senno come l'Imperiale sua Genitrice non mutuata luce Sol della Reggia già purpureggia.

Qui farei torto alla gratitudine più dovuta, se non istellassi queste mie pagine col fulgido nome del Principe Alfonso, Conte di Novellara, Fondatore benefico di un Convento all'Ordine Minimo, e di FRANCESCO sviscerato divoto, gareggiando colla nobilissima Principessa sua Sposa nella fedelissima Divotione verso il Miracoloso lor Protettore. È quella gran Dama figlia heroica [186] del famoso Principe di Massa di Carrara Alderano, e Sorella di quel gran Cardinal Cibò, che ha fatto sepellire nelle sue valorose Legationi la fellonia, e risorgere la Giustitia. Queste due famosissime Famiglie hanno havuto sempre, e conserveranno ogn'hora più fervoroso, pijssimo l'affetto verso FRANCESCO, che arridente dal Cielo le prospera, e benedice.

Bologna, la Minerva Italica, Centro delle Lettere, Scuola di Sapienza, Sfera di Nobiltà, e Teatro di Religione, honora FRANCESCO ad ogni tempo, e precisamente ogni Venerdì, perché tante volte, in quel giorno in cui pianse il Sol ecclissato all'hor, che morì la Vita, le si mostra FRANCESCO, Sole più bello, in dar la Vita alla Morte, chiaro, e ridente. A portar qua di Bologna le Glorie si stancherebbe non solo della mia penna la fievolezza incurvata, ma sì piegherebbe anche la clava herculea de' più facondi Alcidi, che reggano le sfere dell'Eloquenza. È quella gran Città un regolatissimo Cielo, a cui mai non manca un purpureo cardine, che la sostenga. Sono que' gran Cavalieri Astri così fulgidi, che ancora risplendono in faccia al Sole. Quel maestoso Senato è composto tutto di Stelle benefiche, e così chiare, che mai non fan movimento, che non influiscano luminose. Splende fra queste il gran Senator Carlo Luigi Scappi, di cui può dubitarsi [187] se sia più saggio, o più pio; più huomo, o più gentile; più luminoso, o più sodo; più direttore, o più retto. Per lui ha Felsina il suo Seneca, com'hebbe in Roma, il suo Solone come la Grecia. Egli è un Quaranta, che val per mille; e se più d'una volta fu Confaloniere della sua Patria può esserlo sempre della Virtù. Questo fugace, ma veridico Elogio, tributo della mia ossequiosa obligatione, non giunge ad un merito, che per esser'interminabile non può ristringersi nell'angustia di quattro linee. Fugge le lodi chi è solito d'encomiar sé stesso con le opere, e le geste d'anime grandi sono periodi più sonori, che quelli dell'aureo Panegirista del gran Traiano. Tacio perciò i pregi de' nobilissimi Marchesi Camillo Senatore, e Giuseppe gran Croce de SS. Mauritio, e Lazaro dell'insigne Famiglia Paleotti, e di tante altre generosissime stirpi, che con singolarissima Divotione si curvano a FRANCESCO in Bologna, non con affettata pompa di affetti, ma con affettuosa sincerità di preghiere.

Ma tacer già non debbo l'Eccellenza nobilissima del Signor Marchese Riario, in cui come nel Rio della Plata si disgorgano i tesori della Fortuna, e della Virtù, mentre gareggiano ambe per ingrandirne la piena, e per renderlo non tralignante dalla sua augusta sorgente. Ad un alveo così maestoso, e purgato aggiunge questo [188] gran Cavaliere una Pietà congenita, & una particolarissima Divotione verso FRANCESCO, ch'egli non cessa di venerare come suo fortissimo Protettore.

Coroni la pijssima gloria della nobilissima Regina dell'Italico Reno il nome gemmato del Conte Senator Gio. Francesco Isolani, Nipote del rinomato, & honorato tanto Marchese Cornelio Malvasia; e Cavaliere di Singolarissimi pregi, nel quale concorre con la riputatione la nascita, con l'ingegno il giudicio, con la gentilezza il decoro per renderlo degno della sonora sua fama. Egli un Idolo delle Muse, un Paraninfo delle Gratie, un Protettor delle Lettere, & un Lince delle Scienze più curiose. Ma s'ei si fa sentir sul Parnaso Cigno armonioso per la canora sua vena, si fa scorger anche nel Tempio Cigno divoto sotto la Protettione di FRANCESCO, da lui come suo Sacro Apollo implorato.

Modona, de' Valorosissimi, e Nobilissimi Estensi Purpureo Trono, non cessa d'inchinarsi a FRANCESCO, perpetuo Protettor di que' Principi, che così Principali, come degni dell'Impero di un Mondo per la Virtù, son'anche degni d'essere custoditi da FRANCESCO per la Pietà, con cui l'invocarono sempre divoti, e nell'alloggiarlo splendidi in Terra l'obligatione ad esser loro splendente in Cielo. Viva l'immortal memoria degli [189] Alfonsi, che furono di FRANCESCO tanto ferventi, che ferono traspirar l'ardore verso di esso generosamente inesausto. Vivano pure negli annali della gratitudine gl'incliti Estensi, che o fiano Aquile bianche per la candidezza dell'animo, o nere per l'heroica Stirpe sempre fissarono il guardo pio in questo Sole divino. Le due gran Principesse Spose successive di Rannucio, il gran Farnese, Sorelle di Virtù, come di Natali, Figlie non malignanti di Francesco l'invitto, il Saggio, il valoroso Italico Marte, l'una perché defunta, per ceder'il talamo all'altra, da riverirsi come Aquila nera, ma candida per i costumi, se non se per lo volo: l'altra da encomiarsi come Aquila bianca per haver rinovata dell'estinta Suora in Parma con la sua presenza la candidezza, e risarcitone felicemente l'ali reali, che dalla Parca maligna furono troche; hor queste all'altar di FRANCESCO, che adornarono con magnanima munificenza, il Tempio di FRANCESCO, che concorsero a riedificare con providenza limosiniera, più volte si presentarono ossequiose, e ne riportarono doni votivi.

Angusto è questo foglio per rimostrarvi sopra della gran Lucrezia Barberina Colonna le glorie, che sono intrecciate alla prudenza di un'anima veracemente romana. Ella, che honora il Sesso con la virtù sua maschile, e più divoto il rende [190] con la sua pietà sfolgorante, Tortora solitaria, dirolla meglio Aquila solare, a FRANCESCO sovente si eleva per consolar le tenebre del suo intrepido Vedovaggio. Qual Aquilino, che ha già spiegate regie le penne col proprio materno esempio solleva il generoso Rinaldo, in cui redivivo il gran Genitore si ammira, Principe degno della fortuna di un Alessandro per haverne il cuore; alla grandezza del cui petto regale, e di un merito già maturo nel fior degli anni, angusto sarebbe un Mondo, ma egli, che ha saputo impugnar lo scettro di tutti i cuori si è reso padrone del più nobile impero.

Entri qui hora fastosa a laurear di FRANCESCO i Fasti Laura la spiritosa, la pia Duchessa Reggente, non men partiale del Santo di quello, che sia la gran Principessa di Contì sua Sorella, che si può dir nella Gallia Minerva. Minerva pure può dirsi Laura, madre se non figlia di un Giove, che tal va crescendo il vivente Duca in una così accurata educatione della gran Genitrice a' suoi Stati. Che se di Giove è simbolo l'Aquila, con qual gran volata comincia il nobilissimo Giovinetto ad emular del valor avìto i trionfi, poiché non gli manca la destra hereditaria de' fulmini di guerra, & ha le pupille così perspicaci per fissarle nel Cielo, in cui già contempla FRANCESCO suo Protettore.

[191] Ma per espor'in epilogo tutte del regij Estensi le glorie, basta produr il purpureo nome del gran Rinaldo Principe Cardinal d'Este, splendor così vivo dell'Ostro sacro, Astro così luminoso dell'Ecclesiastico Cielo. Rinaldo, che tutto è Specchio, ma di Diamante, in cui balenano i riflessi di una mente fulgidamente soda, e così sodamente fulgida, che non si può discernere nell'abbagliamento, che vibra la di lui grandezza s'egli sia più intelligente, o più maestoso. Egli è Rinaldo, e ciò basta. Rinaldo, che com'Aquila sua genitliaca stende le penne a volar duvunque la Fama arriva, e stringendo in vece di fulmini i Gigli d'oro, che son de' fulmini i più temuti, e più sfolgoranti, è del Gallo Reale il foriero. Hor'egli come Specchio da FRANCESCO DI PAULA singolarmente tira ne' raggi di esso col implorarlo il vigore; e come Aquila con la sua pijssima Altezza, quanto più si abbassa supplichevole a questo gran Minimo, tanto più sublime s'ingradisce, e s'innalza.

Ferrara, che sotto un Nome di Ferro ha innumerabili pregi d'oro, sotto il Mantello di questo zelantissimo Elia ricovrata, mentre ha la sorte di bacciarli l'habito, discaccia i morbi letali, s'illustra colle nobilissime Discendenze propagate dal Santo Fecondo, e non mai arruginita nella Divotione verso di Esso, qual hora, [192] singolarmente nel Venerdì lo ricerca necessitosa, favorevolissimo lo rincontra; Sarebbe qui troppo suppina dimenticanza il silentio ingrato del merito, che la Purpurata Famiglia Rossetti con una così lunga prescrittione possiede in ordine al Patrocinio del Santo, non minor di quello, che accumula giornalmente per le sue singolari prerogative nell'estimatione del Mondo. Il gran Cardinal Rossetti, che fu l'Edipo Italico in iscioglier gli enigmi della Sfinge Anglicana: il Teseo che seppe uscir glorioso del Laberinto Inglese col filo della prudenza, la quale fu sempre la sua Arianna, senza temer il Minotauro biforme dell'Heresia. Quello, che prima intrecciò le lauree al suo capo, filosofante, che i fiori dell'età più ridente, degno negli animi suoi giovenili dell'Elogio, che Plinio il giovane scrisse a Serviano di Fusco Salinatore in quelle succinte, ma succose parole: Ipse est studiosus, literatus, etiam disertus, puer simplicitate, comitate iuvenis, senex gravitate. Parlo di quel Rossetti, che fe' arrossir l'Invidia col suo candore, e pria, che li pungesse la lanugine il mento trafisse l'Ignoranza con le acutezze Scolastiche del suo ingegno fiorito. Quello, che rende più grave la Porpora col suo sapere, più fulgida col suo splendore, più maestosa col suo portamento, più venerabile col suo decoro, più sensata col suo giudicio, e [193] più sacra colla sua Pietà. Pietà, che serve di specchio a Faenza, religiosamente rabbellita in osservarlo con una riverente osservanza, aggiunger riflessi alla mitra colla sua luce, e lustro al Pastorale colla sua mano. Pietà, che singolarissima sfolgora verso di FRANCESCO, cui ha fatto nel suo gran cuore un tempio, e nella sua divotissima mente un Sacrario. Non tralignante da esso si acclama l'ingegnosissimo, il compitissimo suo Nipote Francesco Marchese Rossetti fiore de' Cavalieri, & honor delle Muse fiorite delle quale è la Pecchia soave, poiché nell'alveare di un Gabinetto mellifica con l'acume della sua vena melodiosa, e fa rimbombar le scene con l'argutezza della sua dolcissima vena. E perché le Muse son per lo più delle Gratie compagne, singolarmente quando volano senza fuchi, essendo l'Api sempre amiche de' fiori, & i fiori sposi dell'Api, a questa Pecchia di Pimpla è toccato in sorte Consorte un Fiore di Saba: voglio dir che alla Musa del Marchese Rossetti, si accompagna una Gratia nella nobilissima Giulia Trotti, che ben si può chiamar fior di Saba per la fragranza delle Virtù, e per lo spirito della Pietà; e ben si può dir Gratia perché celeste, & ornata di tutti que' fregi, che decorono una modestissima, & esemplarissima Dama. Da FRANCESCO, Divino Aristeo, prendon la legge queste [194] due Api, per lui sviscerate; e perché il Santo fu sempre gelosissimo della gratia più pura, vedendone nella divotissima sua Marchesa Giulia il candore, dal Cielo la benedice, mentr'ella non intermette di presentarsi orante per lungo spatio tutti i Venerdì al di lui prodigiosissimo Altare, e di baciar quell'habito miracoloso di esso, del quale vanno le Gratie vestite.

Io so, che doverei qui a tante Famiglie chiarissime, che indoran Ferrara colla genitliaca lor fulgidezza intesser'un Elogio fiorito per coronarne la partialissima Divotione, che professano al Santo a titolo di Pietà, e di gratitudine; ma mi perdonino s'io le lascio in bianco, perché del candor amiche abborrirebbero forse la tetrichezza del mio inchiostro, il quale non può con le sue ombre colorire la luce, ancorché vaglia nel contornarla, a fare, che maggiormente nell'Orizonte della Fama risplenda.

Tanto succede a Padova, la gran Città; Emporio delle Scienze, e Steccato delle Dottrine: A Vicenza Fulgida per sue Chiare Prerogative, & Illustre per le sue Famose Famiglie, la quale a FRANCESCO con beneficenza pijssima erge un Convento per alloggiarlo, e per haverlo Stationario in sua Casa: A Verona grande per lo giro, ma più per lo merito, che professando la Verità nel suo nome, e l'Honor ne' suoi Fatti, non partorisce [195] l'Odio, ma genera l'amore in chiunque la vede così Nobile, e Virtuosa: A Brescia, Pallade Armata, e Bellona Bella: A Bergamo, Pergamo non dell'Africa ma dell'Italia, che qual virtuosa Fenice in Religioso Rogo combusta a questo Sole di Carità spiega l'ale: A Lodi, che sempre lodevole ha molto suggetto di lodar FRANCESCO, il quale colle sue Beneficenze la fertilezza: A Como, che non sa come render piene le gratie a' favori, che da FRANCESCO riceve ancor più inesausti, che l'acque del suo vasto Lago: A Cremona, che per la sua Fortezza detta da Tacito Propugnaculum adversus Gallos, hebbe da un Santo, che fu tante volte Propugnacolo de' Galli stessi contro a' Galli medesimi la Difesa sulle sue Mura. Ad Alessandria, che generosa secondo il suon del suo Nome, ma più valorosa secondo il tuon del suo grido, quanto più attiva, tanto più resistente, hebbe più lancie che paglie per discacciar il nemico, c'hebbe più paglie negli occhi, che lancie nelle mani quando la cinse, mercè che FRANCESCO entro ad essa rinchiuso, non vuol esser assediato con arme, ma con preghiere: A Pavia, che havendo nel Tempio di Marco in FRANCESCO un Lione fe' ritirare sovente il Gallo, & abolì col contrario effetto l'Historia mendace, che s'intimorisca a fronte del Gallo, benché Re de' Piumati il Lione Re delle Fiere.

[196] Viterbo, che dalla Vite trahendo il nome appresta continuate vendemmie di divotione all'agricoltore sovrano, havendo nell'Eminentissimo Cardinale Brancacci un così provido Vignaiuolo, si appoggia per innalzarsi pampinosa, e fruttifera ad un Olmo così sublime di Santità come FRANCESCO, che stende i proteggenti suoi rami così profusi sovra le Stelle; E quel gran Porporato, che colle sue virtù fulgidissime le innamora, così sviscerato il cole, che delitiando nella fioreggiante memoria delle di lui geste ammirabili, condisce quasi sempre la frugale sua mensa colla leggitura di quelle, forse perché allo stupor della mente s'istupidisca il palato, e la bocca attonita più s'apra dalla maraviglia inarcata, che al cibo intenta. Così havendo un Parco alla sua tavola verticale vuol, che l'astinenza sua Economa gli trinci le moderate vivande, le quali attinge con sobria mano: con quella mano, che sapendo pescar l'anime colle gratie, si è resa degna di quell'Anello Piscatorio, che nel suo breve giro compendia la vastità delle sfere, e colla sua pietra viva, simbolo del Redentore, fortifica incrollabilmente la Chiesa Cattolica, a cui communica la fermezza sua vigorosa.

Tutte le lodate Città, e quasi, che tutte quelle, che fan corona alla Lombardia, riconoscon FRANCESCO per Salvaguardia, [197] onde frequentano le di lui Chiese come tanti Argini alle innondationi nemiche, come tante Scaturigini di Gratie celesti; e colla Divotione de' Tredici Venerdì, rifioriscono ne' loro Cittadini divoti, malgrado le rivolutioni de' Tempi sconvolti.

Ma degno fra tutte, come singolare, di singolar'Elogio Milano, sicome di tutto figura il Capo, merita sopra tutte di portar la Corona, Milano la Grande, la Forte, la Nobil, la Ricca, la Pia, la Virtuosa Città, che può chiamarsi Italico Parigi, il Decoro della Terra, la Maestà delle Adunanze, la Pietra del Paragone Politico, la Sfera della Religione Cattolica, il cuor della gentilezza urbanissima, il Corpo dello Spirito più divoto, & il centro di tutte le linee più giuste, non mai a bastanza lodata, perché sempre più lodevole, ingrandisce se stessa ancora coll'uscire dalle sue mura a riverire FRANCESCO, parendo, che faccia Pasqua nella Quaresima, in cui più singolarmente lo solennizza, e Domenica nei Venerdì, giorno nel quale particolarmente lo cole. Chi vuol gratie dal Cielo ricorra al FONTE dove raddoppiate disgorgano, e da MARIA, che è Mare di Gratie, e da FRANCESCO, che n'è il Canale. Il Cielo collocò nella Chiesa de' Minimi della FONTANA un Vivaio di vita: Se quivi la Vergine è la Piscina Probatica, [198] FRANCESCO è l'Angelo, che muove l'acque. Vi accorrono i languidi, gli ammorbati, gli afflitti, gli aridi, i Ciechi, se non di corpo, di mente, i zoppi, se non di piede di spirito; & ognun riede sano, o contento, perché in quell'onde fa naufragio il pericolo, si ammorzan le febri, si levan le macchie, si attuffano l'ire, si sommergono gli odij, e si dissolvono gl'Infortunij, FRANCESCO è il Giardiniero di quell'Horto Mistico, ed a lui tocca far correre i rigagni di quel Fonte salubre.

Fra tanti, che fer ricorso assetati ad abbeverarsi di gratie in quella Fontana di maraviglie, & ad attigner le acque da un Pozzo di Miracoli, come FRANCESCO, oltre a molti gran Cavalieri, e Dame Principali di quella Città famosa da' quali fu, in ogni tempo, riportata sorte felice, tacer non debbo l'Eminentissimo Litta, nuovo splendor della Porpora Vaticana, Gemma delle più fulgide, e virtuose, che mai sfolgorassero in quella gran Mitra Arcivescovale. Prelato, ch'empie la Sagra Sede, e la converte in venerabile Trono colla Maestà, che gli splende in volto, colla Nobiltà che dalla Nascita in lui deriva. Pastor'Urbano, e Giusto, Heroico, e Saggio, Cavaliero, e Dotto, Generoso, e Prudente, Religioso, e Discreto, Zelante, e Divoto. Divoto singolarmente di FRANCESCO suo particolarissimo [199] Protettore fin dalla Nascita, dal cui benefico aspetto, come dalla Stella sua Verticale aspettò sempre benign'Influssi, e sempre li ricevè a seconda del suo gran Merto, e della sua Pietà interminabile. Hor egli appunto si trovava finita la Divotione de' Tredici Venerdì, quando si trovò fiammeggiar sul capo l'Ostro Divino. L'ultimo di que' giorni consagrati al Santo gli recò l'Aurora Purpurea, e quando si rivolgeva a FRANCESCO, Polo de' Supplichevoli, si sentì dichiarato Cardine della Chiesa.

Io passerò, affin di accorciar il cammino, ancorché molte cose mi lasci addietro, in Piemonte per incontrar FRANCESCO a' piè delle Alpi, più delle Alpi medesime, sublimato. Torino l'Augusta Città, che più risplende in Terra per gli suoi Principi, che non fa nel Zodiaco il Toro per le sue Stelle: Quella, che vanta Fasti Sovrani, e Glorie indelebili, Dotta, Nobile, Pia, Religiosa, & Illustre, Deposito della Santissima Sindone, e perciò Erario del Paradiso, e Partialissima di FRANCESCO, ad esempio degli Augustissimi suoi Padroni, che lo chiamarono a sogiornar appresso di Essi per haver vicino un Genio così felice, e lo providero di sontuoso Albergo in un Tempio, degno di chi fabbricollo, e del Titolare, a cui venne dedicato. Quelle Altezze Reali l'impretiosirono moltissime volte colle loro Regie [200] Presenze, e non contente di abbellirlo co' loro Doni, l'ornarono co' loro Voti, l'honorarono colle loro Grandezze all'hora più Alte, quando si curvarono al Re de' Regi, & al Santo degli Humili; e più Reali quando posero la loro Corona a' piè di FRANCESCO, affinché Questi per renderla incrollabilmente perpetua la riponesse nelle mani di Dio, nelle quali stanno singolarmente le Sorti de' Principi.

La gran Christina di Francia, non mai a bastanza lodata, innumerabili Venerdì, e Novene offerì a FRANCESCO, e ne conseguì sempre i bramati intenti, come l'accenna l'Iscrittione del grand'Altare, così Magnificamente inalzato da essa al suo Santo, in questi formalissimi termini, spiegati colla penna di una Fenice, cioè con quella del mio carissimo, e riveritissimo Signor Conte D. Emanuele Tesauro:

Sancto Francisco de Paula

Christiana a Francia,

 Quid pro se, Regiaque Prole,

Saepe invocatus, semper affuit

Æternum sacrat.

E di fatto propagata, la Regia Propagine della Savoia, dalla Protettione Verticale del Santo, sempre prontissimo a benedirla, nel novello Principe di Piemonte rifioreggia Pomposa, e come in Epitome espone, al favor di FRANCESCO, epilogata, non che proseguita la Serie de' suoi Heroici Personaggi.

[201] Nacque Vittorio Amedeo Francesco, in giorno di Venerdì, tutto luminoso col Sole a dimostrar di esser Parto de' Tredeci Venerdì con tanto fervore santificati dalla Regale sua Genidrice. La Pietà di Maria Giovanna Battista sfolgorò così bella, che innamorò gli Astri fulgidi del Paradiso a colmarla d'influssi fecondi. FRANCESCO arrise alla Genitura, come Stella de' Principi; e nel giorno, a lui dedicato, si fe' vedere tutto propitio. Tredeci Venerdì così dolcemente infiorati dalle preghiere dovevano haver per termine i quattordici di Maggio tutti fioriti. Mentre la Stagione ridente spargeva sulla Culla del nato Principe tempeste di Rose odorose, FRANCESCO arridente la colmava co' nembi di Gratie Divine. A lui tocca singolarmente conservarlo, perché singolarmente impetrollo; accioché se il Bambino hora tenero è il riso de' Genitori Sovrani, robusto ne sia la Gloria vera, e Glorioso ne sia il contento perfetto. Né questo mio Vaticinio si rende vano perché comincia a verificarsi con l'evidenza, che nuovamente si è resa fortunatamente cospicua, perché questo gran Principino sul confin di due anni nel corrente del 68, assalito da mordacissima febre già stava per accrescere collo spirito suo spirante una stella alla Galassia del Paradiso, una Rosa al Giardin dell'Empireo, quando a' due di Aprile, giorno [202] destinato ai Fasti di FRANCESCO DI PAULA respirò con sensibilissimo afflato del Cielo il regio Fanciullo all'aspiratione di tanti fervidi voti, che supplicarono il Santo a salvarlo da quell'ardente naufragio; così se un Maggio il diè come un fiore mirabile, un Aprile il ridonò come un frutto miracoloso; e FRANCESCO, che l'haveva impetrato tra i fiori delle preghiere, si compiacque di restituirlo tra i frutti delle allegrezze.

Pria di partir da Torino convien fissar di passaggio lo sguardo riverentissimo nella gran Principessa Lodovica di Savoia, che accoppiando ad un Senno Virile una Pietà d'Angelo, sicome perseguita valorosa nella Selva le Salvaggine fugaci Diana casta; così protegge nella corte le Virtù favorite Minerva Pia. Ella è partialissima di FRANCESCO, a cui prostra sovente tutta pietosa il suo cuore; Et havendolo per tanti Venerdì venerato Divota, obligollo ancora a conservarla felice; Né può presumersi mai, che il Santo non la rimiri dal Cielo con occhio dolce, per esser Ella il Deposito della Bontà virtuosa.

Dopo un così gran volo, che la mia penna innestata all'ale dell'Accademica Fama ha fatto per tutto il Mondo letterato, si raggira pur'anche in Piemonte, per lodar quella Casa Reale, sol'affin di pagar, [203] o almeno di confessar il debito, che la mia Religione ha contratto per le generose beneficenze di essa, e per la singolare Divotione, ch'ella al mio FRANCESCO professa.

Si raggiri pur la mia penna medesima dove nella Chiesa de' Minimi si custodisce il cuore del Duca FRANCESCO, GIACINTO, in contrasegno, che la gran Christina di Francia donando a FRANCESCO in deposito il cuor del suo cuore, accoppiando sempre il suo a quello del suo Francesco, nol separava mai da quello del suo Giacinto. Essendo uniti questi due nomi in terra, come que' due spiriti in Cielo, doveano anche restar congiunti i cuori di FRANCESCO, e di Giacinto; e perché la gran Dama non mai staccò il suo cuor da FRANCESCO, per non dividerlo da Giacinto volle, che il cuor di Giacinto per non allontanarsi mai col pensiero de quello fosse riposto dove la magnanima benefattrice havea collocato il suo cuore, per verificar l'Assioma classico del Liceo: Qua sunt eadem inter se sunt eadem uni tertio. Ma di giustitia toccava il cuor di Giacinto a FRANCESCO, poiché FRANCESCO haveva rapita l'anima di Giacinto; che se con questa come con gemma pretiosa adornò la Corona del Re de' Secoli, con quello come con pietra reale gittò le prime fondamenta della regia sua Chiesa.

[204] Io favello di cuori reali, e perciò non può riputarsi solo che cordiale, sol che reale questa mia lode. I cuori de' Grandi sono sempre correlativi, quindi è, che nel Tempio de' Minimi di Torino si conserva pure, oltra quel di Francesco Giacinto, quel cuore, che fu più grande di tutta Roma. So, che m'intende chi legge, se pur'intende. Parlo per chi nol sa, e perciò parlo con pochi. Pochi son que', che non sappiano, che il cuore dell'augusto Principe Mauritio di Savoia, è il suggetto del mio discorso, è il predicato dalla mia penna. Io favello di quel cuore che bastò ad empier col suo fatto una Roma, Theatro degli Heroi. Mauritio, che con un cuor più grande, che non fu quello di Hermogene, rese angusto il Campidoglio all'hor, che dilatando gli splendori dell'ostro sacro col raggio fulgido del sangue regio, fe' velar col l'ale dell'Aquila Austriaca il suo Cavallo Sassonico a far de' sette colli un Permesso, aprendo nella sua Corte un Parnaso, e facendo scaturire non meno rivi d'eloquenza dall'altrui bocca, che fiumi d'oro dalla sua mano. Dalla di lui famosa Accademia uscirono i Porporati più celebri, i Prelati più facondi, & anche i Pontefici più eloquenti. Regnavan l'Api quando le Rose della Savoia, Reine de' fiori purpureggiavano in Roma, che perciò si vedeva questa diventata un'Hibla di Letterati. [205] Ogni Talia era divenuta stipendiaria ancella della Virtù, né questa affamava spogliata negli atrij, ma si scaldava pasciuta ne' Gabinetti. Ogni Pane, ancorché agreste, purché havesse una rusticana Sirigna alla mano, si ricovrava al rezzo di un Platano così grande come Mauritio, che sotto l'ombra della sua Protettione accoglieva i Regni, non che i Filosofi, né mai per lui alle Muse mancò provianda, né Cerere a Minerva, né Bacco ad Apollo. Ma tronchiam perché digressivo l'Elogio, e trattiam della Divotione di Mauritio singolarissima verso FRANCESCO. Mauritio, che candido qual Ermellino di genio, si adagiò sovente co' suoi ricorsi a FRANCESCO in grembo. A FRANCESCO appunto parea, che disponesse di donar'il suo cuore, perché frequentemente moveva i passi ne' di lui Claustri, e parea, che dicesse con affabil sorriso: Hor'il lascio, hor'il depongo qui dove ha destinato il Cielo, che sia sepolto. Ma se FRANCESCO era il tesoro spiritual di Mauritio, ben conveniva, che presagisse, che presso di FRANCESCO depositar doveva il suo cuore. Anche più alla lettera si può intendere ciò, che testè ho detto, perché vivendo Mauritio cominciò a diffonder'il suo tesoro nella Chiesa di FRANCESCO, impiegandolo in far sorgere una sontuosa Cappella, a Nostra Dama del buon [206] soccorso: Quivi dunque conveniva, che il di lui cuore havesse il proprio suo luogo, perché ubi thesauras vester est ibi, & cor vestrum erit.

A questi due gran cuori, se ben' estinti ancor luminosi, succedeano nell'elogio due altri gran cuori avvampati tutti di gloriosissimo ardore. Io so ben, che l'esperto Lettore mi prende al motto, e capisce subito, ch'io favello de' due Serenissimi Principi Filiberto, & Eugenio, il primo Principe di Carignano, & il secondo Conte di Soessone, Figli dell'invittissimo Principe Francesco Tomaso di Savoia, il Marte Alpino, dell'Alpi assai più candido, e forte. Egli che fra' suoi principalissimi Tutelari annoverò FRANCESCO, di cui ostentava più con l'opere, che col vanto religiosissimo il nome, trasfuse col Sangue nella sua Prole augusta non meno la Pietà, che il valore. Filiberto di Savoia è un Principe che sa favellar meglio con la destra, che con la lingua, e più col cuore, che con la bocca Principe al baleno della sua spada fulminante in guerra, al lampo della sua magnanimitade tonante in pace: Saggio egualmente, e forte: prudente all'egual di pio, con la sodezza della sua mente base della Virtù, colla sensatezza del suo capo capitollo dell'Honore, e tutto in uno Colonna del Principato, la cui maestà sa così ben sostenere, che non mai, benché pieghevole per l'affabilità [207] decorosa, si lascia veder vacillante per la serietà sua serena più, che severa. Severa è bensì la di lui religiosa divotione, singolarmente verso FRANCESCO, nel cui Tempio sovente si curva orante con esemplarissima rimostranza del suo pijssimo, e gentilissimo genio, a cui debbe il mio ossequio obbligato, non che la sincerità di questi caratteri veri nella continuatione de' miei affetti dalla riverenza temprati. Tanto posso dir di Eugenio Conte di Soessone, Principe, a cui l'Italica riputatione tanto è tenuta, poiché la fa campeggiare tra i Gigli d'oro, volando egli tra i Galli più sublime di un'Aquila, & appunto, qual Aquila, sollevandosi a venerare FRANCESCO, suo chiaro Sole.

Non debbo qui trasandar'i due chiari Lumi di quell'augustissimo Sangue, che splendono con gare alterne di luce, ad illustrarne maggiormente le glorie. Son questi D. Gabriello, D. Antonio di Savoia: il Castore, & il Polluce del Ciel Alpino: Fratelli per l'ascendenza della Nascita; ma molto più per la somiglianza del Merito. Son eglino i Gemini di quel Zodiaco sfolgorante; e ben con Homero può la penna descriverli come i Gemini:

Iovis è caelesti semine natos,

perché Figli di quel Carlo Emanuello, il quale dal Soglio sassoso dell'Alpi, con perpetua bellicosa tempesta, avventò colla [208] mano intrepida, & ambidestra, splendida al par di splendente, cotanti fulmini, e profuse tanti tesori. Come fulmini appunto di valor', e d'ingegno, uscirono i due incliti Germani da quel Giove tonante; e se il primo è un fulmine in guerra, il secondo è un'Iride in pace. Fulmine il primo, poiché sconfisse con generose prodezze (onde si accreditò per un Marte vittorioso) più volte i nemici; Iride il secondo, poiché co i colori delle Virtù più nobili (onde si accreditò per un Mercurio eloquente) balenò sempre sereno. Il primo, come fulmine, riconosce da FRANCESCO, (Santo veramente di fuoco, e non mai di fumo) il vigor', & il Lampo: Il secondo, com'Iride, trahe da FRANCESCO (inecclissabil Sole di Santità) con singolar divotione la fulgidezza.

Di voi non parlo, valorosi, Nobili, forti, e gentilissimi Cavalieri Piemontesi, e Savoiardi, perché la mia penna non ha tratti bastevoli ad abbozzar né meno una striscia del vostro ardentissimo lume, del vostro luminosissimo ardore, con cui fiammeggiando ossequiosi, & ossequiandolo fiammeggianti a FRANCESCO accendete il cuore. Voi, ne' quali si epiloga con epitome spiritosa la Virtù militare, la Cavaglieria virtuosa, siete gli Astri indefessi, che vi aggirate sempre a FRANCESCO. Né men parlerò di voi preclarissime Dame del Piemonte, e della [209] Savoia, che formate la via di latte, perché il mio inchiostro è troppo dissimile dal vostro candore. Voi Stelle purissime, che vi lasciate rapir dal Cielo, e mover da un'Intelligenza, come FRANCESCO, il quale si può dir, senza ingrandimento, la Stella più verticale di quella famosissima Corte.

Con occhio non meno grato mira FRANCESCO la Regia Corte de' Galli, a protegger la quale Egli stende l'ale, qual Aquila, dal Paradiso. Ricordevole quanto vi fosse già ben'accolto nel Mondo non può scordarsene mai: L'accoglie perciò supplichevole ne' voti, che ad Esso porge; e fa spedir favorevole le Richieste, Mastro di esse nel gran Tribunale della Misericordia Divina, in cui si assolvono i Rei, Avvocato di prima Classe in quel Parlamento Celeste, così Saggio, perché vi si favella coll'Intelletto, entra tutto giorno in ringhiera a patrocinar le cause degl'innumerabili suoi Divoti, che, singolarmente ogni Venerdì, si presentano a' di lui Sagri Altari, per impetrar colla di lui Santa facondia gratiosi i Rescritti.

Parigi quella Città impareggiabile, ch'Io non so se la chiami un Mondo di Popolo, od un Popol di Mondo: una Città di Provincie, od una Provincia di Città, di un Capo di un Regno, od un Regno di un Capo: per la sua Confusione distinto [210] dalle altre Adunanze, e per la sua adunanza confuso nella distintione di tante Genti, che quanto più varie, son tanto più folte; e quanto più vaganti di piede, tanto più stravaganti di Genio: Mostro, ma bello, e perciò curiosamente veduto Hidra, che, quanti Borghi, ha teste, sempre più pullulante di Nationi; non velenosa, né fiera, ma alletadrice, e cortese Mare, benché sconvolto, sempre più navigato, che per la sua Grandezza tien l'Isole in grembo; fra le Turbe infinite, che vi ondeggiano come flutti, conta numerosissimi Divoti del Santo, da' quali, come Stella foriera di eterna Luce, particolarmente nel Venerdì, vien tutto l'Anno con frequentissima sollecitudine riverito.

Accorrono que' Principi bravi, quelle Principesse Divote, que' Cavlieri valorosi, quelle Dame fioreggianti; e que' Borghesi Limosinieri alla Cappella di FRANCESCO, come ad un Fonte di Consolationi; e mentre la fanno sfavillare di lumi, più accesi ne' candidi affetti, che nelle Cere stillate, sentono refrigerarsi l'interno al provluvio delle Gratie profuse, che scaturite da così fausta Sorgente, ricevono quelli con isgorgo abbondante.

Anna d'Austria, la gran Madre Reina, che tanto candor, e fermezza accrebbe a' Gigli Reali, impetrò a questi da FRANCESCO la fertilezza (poiché, secondo [211] Plinio, Lilium seritur lacryma sua) Coll'abbondanza delle lagrime sue Votive, che sparse, per un anno intero, ogni Venerdì nella Chiesa de' Minimi della Piazza Reale: dove cibata del Pan degli Angeli, alle sonore preghiere del nostro Celeste Arione fe' comparir finalmente sopra la Senna un Delfino.

E che dirò di Teresa la gran Reina Regnante, vivacissimo Simulacro della Virtù, Aquila di Nascita, Colomba di costumi, Fenice di Pietà. Stella di Bellezza, e Sole di Gloria? A FRANCESCO suo Tutelare, fra gli altri tanti, ancor fe' ricorso, e ne riportò l'assistenza. Nel giorno di tutti i Santi hebbe un Frutto di tutt'i Voti; e partorendo alla Francia un Giglio, portò in Novembre la Primavera; & esponendo alla Reggia un Delfino, diede al Mondo un Heroe, che non men fie valoroso de' suoi Ascendenti, poiché si schierò tutto il Cielo, come in Battaglia, a fiancheggiarne la felicissima Genitura.

Si stancherebbe la Penna, se volesse intraprender'il volo sopra tutta la Gallia a raccor le notitie della Divotione de' Tredici Venerdì, così fruttuosa nell'esito come fiorita nell'esercitio.

Non meno si stancherebbe se calandosi in Aix, ch'è la Minerva della Provenza, volesse lodar la Pietà di quel Capo sacro, che per essere tutto mente può senz'adulatioria inorpellatura chiamarsi di Aix la [212] Minerva. Io m'avvego, che son inteso, perché favellando di un Lume purpureggiante qual Hespero, non può la notte dell'ignoranza coprirlo agli occhi intellettuali. Parlo di quel gran Cardinale Geronimo Grimaldi, Arcivescovo di quella Città famosa, il qual le accresce colla sua presenza la Fama, e col suo Pastorale l'honore. Egli è quel grande, che non degenere da la sua generosissima Stirpe, vola con l'Aquila sua Genitliaca per lo Ciel della Gloria, e col mele purgatissimo del suo merito sustantioso è di tanta pastura all'Api del Vaticano, e co' sudori fulgidi della sua saggia fronte recò tanto inaffiamento a' Gigli Reali. Con un petto di diamante ben fe' conoscersi per Cavalierone, che tal sovranome fastoso porta la sua Famiglia, Heroina, che generollo come un Hettore della Porpora, e come un Achille della Virtù. Se la verità de' di lui pregi impregiabili mi sprona a lodarlo, la modestia del discreto suo spirito m'impone il silentio. Ma tacer non posso quando si tratta d'encomiar un Atlante così vigoroso della Religione Cattolica, e della Immunità Ecclesiastica. La Porpora, che 'l veste di fiamma, molto più il zelo, che ha per l'esaltatione della Chiesa, l'accredita un Serafino. Tal si è dimostrato in tanti Conclavi; e tal si fa venerar nella Prelatura. Come Serafino humanissimo, e così asceso, [213] che ama con genial'inclinatione FRANCESCO, il qual può chiamarsi Serafino divinizato nel suo refrigerantissimo incendio, e però così verticale alla Gallia, che sul partorire Genij cotanto focosi, e divoti al riverbero della Vita esemplare con cui l'infervora questo gran Cardinale, che nell'età sua più cadente, sempre più retto dall'Universo nella Francia si ammira.

Parli qui hora per tutte le Città di quel florido Regno, come antichissima, e di tanta riputatione, la sola Tours, che conservando le ceneri di FRANCESCO, mostrar si debbe per FRANCESCO più ardente, sì come per FRANCESCO è più chiara. Dica pur'Ella con qual'Affetto fiammeggi a far risplendere i Venerdì nelle Chiese di quel suo Minimo, da cui si trova tanto ingrandita. Da quella Tomba tanto honorata cava sovente la Vita sicura, e par ben, che FRANCESCO sia solito a far, che scaturiscano le fontane da' Sassi ad isgorgo, mentre da quella Pietra salubre fa sgorgar le gratie correnti.

Chi non si appaga ancora di queste cose, vada a radunar maggiori dimostrationi nella Spagna, dove FRANCESCO, non minori forse, che nella Francia sparge i suoi Doni, colla frequentissima Divotione de' Tredeci Venerdì in quelle Città fedeli solenizzato.

[214] Madrid, che se ben porta il Nome di Villa, è il Centro della nobilissima Civiltà, e fondata sulla Pietra focaia cava il lume fin dalle sue Fondamenta: detta per Vanto Madre de todos, perché, qual Madre feconda, per tutti ha poppe; come Bambina lattante non sa staccarsi mai da FRANCESCO, che, qual Madre Amorosa, a ripartirle celesti alimenti l'accoglie in seno, & a prosciorla da cure infeste la stringe al Cuore.

Fra molti maestosissimi Monasteri degli Ordini Dottissimi Regolari campeggia quello della Vittoria, in cui sono i Minimi Massimi per l'Osservanza non finta, e per la Scienza non gonfia, in cui FRANCESCO nella Porta del Sole si fa veder luminoso; & havendo da un lato Nostra Signora della Soledad, dall'altro Nostra Dama del buon Successo, non può presagir sol, che felici, e sicuri Eventi: in quel così vasto, e chiaro Zodiaco, dove son tanti Mostri di luce, unito questo gran Lione, che fu vivente un Augello alla Vergine, fa splendere co' suoi raggi benefichi, gli ardori della Misericordia Divini. Ogni Venerdì è per FRANCESCO Festa Solenne, per esser Festa di un Sole: e pur FRANCESCO par, che all'hora meno riposi, per essere, il Venerdì, quel giorno, in cui maggiormente si fa conoscere attento nell'operare.

Tanto fa nell'Imperiale Toledo, nell'antica [215] Burgos, nella vasta Vagliadolitte, nella Dottissima Salamanca, nella Saggia Alcalà di Henarez; Et in tutti due giri della vecchia, e nuova Castiglia, dove non invecchia mai, e sempre più si rinova la memoria immortale di FRANCESCO maraviglioso.

Così succede nella bassa, e nell'alta Andalogia, dove s'inalzano con abbassarsi a FRANCESCO, tante Città Famose. Malaga, il riverisce, come un mar di Miracoli: Siviglia il cole in quattro Conventi principali, come un Cardine di quattro Angoli, a renderla sempre sicura. Granada sotto la Serra nevata arde di fervorosa Divotione nell'adorarlo. Anduxar nelle di lui Vergini l'honora fecondo di meriti, e ne' di lui Altari l'implora ferace di Gratie. Cordova lo sperimenta humanissimo nel soccorrerla con opportune sortite nelle avventure. In cento Città, e mille luoghi di quel diffuso Paese il Nome di FRANCESCO, che forma un'Echo ai di lui Fasti, trionfa.

Tutto il Regno di Aragona sovente si inchina a FRANCESCO, perché da FRANCESCO sovente vien sollevato. La Real Saragosa, che merita di esser, chiamata Augusta più per a Vergine, che con un Pilar la sostiene, che per la denominanza havuta da Chi fondolla riconosce in FRANCESCO un Cesare valoroso [216] a difenderla, e principalmente nel Venerdì, ch'Egli maggior Udienza, l'implora.

Il Regno delitiosissimo di Valenza fiorisce più per la Divotione verso FRANCESCO, che per la Verzura de' suoi Giardini, poiché se questi fan pompa di Primavera a' fiati de' Zeffiri, si seccan di State ai bollori della Canicola: ma quella, anche nel cuor dell'Estivo Meriggio, s'inghirlanda di candidi Gelsomini, e nel sen dell'Inverno gelato si corona di Rose fragranti.

Il gran Contado di Barcellona ha da FRANCESCO più afflati salubri, che non ha da' Favonij di Primavera: E quello di Rossiglione coglie più frutti da questa pianta celeste, che canne delle sue pallustri pianure.

La Maiorica divien Maggior di sé stessa, e fatta per questo Minimo grande, lo tien nel suo Capo adorato, e nel suo cuor lo conserva, perché non mai lo Spirito Vitale le manchi.

La Sardegna lo chiama, quando lo supplica, S. FRANCESCO BELLO, con vezzo tutto particolare; e con ragione, perché non v'ha Bellezza maggior della Santità. Fu Bello FRANCESCO nelle fatteze del Corpo, che lo circoscrissero più, che humano; ma più bello assai a quelle dell'Anima, che lo accreditarono per Divino. Cagliari, Capo di quell'Isola fertile, amoreggia FRANCESCO, [217] che la fortifica, e la difende dalle Vertigini della Fortuna, di cui tien Egli sotto i piedi la ruota. Tutti li Venerdì sono a quella Città Venerabili per la memoria di FRANCESCO, alla cui statua si curvano quegl'Isolani Divoti, come chi beve assetato ad un Fonte di humori refrigeranti.

È questo generoso Benefattore un Albero Sagro, piantato sopra la riva di quel gran Fiume Beatifico, al cui gorgoglio sonoro si rallegra la Città di Dio vivente, così abbondante di frutti, che mentre l'un gli matura, l'altro gli spunta, e le mani pietose, che si spingono a coglierli, ne colman sempre, singolarmente nel Venerdì, delle Anime i seni.

Più tempo richiede la Descrittione de' Fasti di FRANCESCO in tutta la Spagna, che il trascorrerla in ogni sua Parte, dov'Ei si mostra sempre Prodigioso. Su 'l Manzanares, su 'l Tago, su l'Hebro, su 'l Pisverga, su 'l Guadiana, su 'l Guadalete, su 'l Guadalquivir; e su cento altri Fiumi di quel Paese Famoso la Fama di FRANCESCO fiorisce; e son tante le Gratie, che dalla di lui piena intercessione travasano, quante son l'onde, che in quelle Correnti profuse s'increspano.

Con Epifonema dovuto io debbo coronar l'Hispano devoto. Ho peregrinato per una gran parte dell'Europa, e non ho trovato ancora, chi sorpassi, se pur non [218] deggio dire chi eguagli la Pietà Spagnuola: Natione la più Religiosa che mi sia occorso di praticare giammai. Religiosa così, che il Religioso in Ispagna, vien osservato come riverito, e non come censurato. La capacità de' Capucci, che son teatri delle più sode Scienze, e la Dottrina de' Chiostri, che sono Reggie delle più Sacre Minerve, eccita col sapere l'ammiratione, e col decoro il rispetto. Que' Grandi si honorano di frequentar le Case de' Regolari, perché sono quelle tanti Areopaghi, & ogni Claustro può dirsi un Portico di Salomoni, un Porto di Letterati. Ma favellando individualmente del mio Ordine, che nella Porta del Sole in Madrid tanto luminoso risplende, Io posso attestar testimonio occulare, che que' Titolati di maggior fasto il depongono tutto a' piè di FRANCESCO. Più volte l'Almirante, & il Contestabile di Castiglia: i Duchi di Ossuna di Usseda, di Vejar, e molto altri di egual rinomanza, e grandezza, e deposta la spada, mi hanno servito di Ministri nell'adorabile Sacrificio dell'altare, abbattendo con gli Angioli l'ale della celebratione di così alto Mistero. Il Duca dell'Infantado Ambasciator Cattolico in Roma, dopo l'haver Io predicato alla di lui presenza, di tutta la sua Casa, e della Fattione Spagnuola, in Castigliano Idioma un Sermone del Sacramento Augustissimo, in cui digressivamente [219] m'insinuai ad encomiare la Pietà di quella Natione, degnossi al discender, che fei dal Pergamo di divertir il passo ad incontrarmi con queste esageratissime, ma generose espressioni: Muy bien a dicho V. P. como si hubiera naçido en España; y mucho nos a honrado mas que si fuera Español. Non isdegnò il medesimo all'hora, che argumentai nell'Atto celebre delle Conclusioni dedicate al Re Cattolico dal Padre Manero eletto all'hor Generale, & Assistente di esse nell'Araceli, il giorno di Pentecoste, di spiccarsi nel fine ad honorarmi con lodi procedute dalla magnanimità del suo cuore, non già dalla fievolezza del mio merito. Per la Veneratione singolare, che quel Grande professava al mio FRANCESCO proromper soleva in questi eccessi di cortesia tanto indovuti alla mia insufficienza, quanto proprij della sua Divotione. Per questo solo motivo la mia gratitudine mi ha sospinto a svagar in questo racconto.

Ma non ho certo svagato; né sarà vanità l'aggiungere, che l'Eminentissimo Cardinal di Aragona, quello al cui dolcissimo freno il Cavallo Partenopeo così pieghevole fe' voli altissimi d'Hipugrifo; & alla cui vigorosissima Intelligenza si muove così regolata la Cattolica Monarchia, non degenere dalla sua Regia Famiglia, la quale in un così preclaro Individuo compendia, se pur se non dilata [220] le sovrane sue Glorie nell'affetto sviscerato verso FRANCESCO, non cede a chiunque si sia. Ben l'ha fatto conoscere ad ogni emergenza, e singolarmente in Roma, dove ha fatto sorgere al Santo una sontuosissima Cappella, che ne' candidi marmi simboleggia la sodissima Divotione di lui, così partiale de' Minimi, che trovandone un altro gran Cardinale, nell'Anticamera di quello assemblati alcuni per l'udienza disse per vezzo ad Aragona, se si facea Capitolo quivi? e quegli rispose Esta es mi honra; honorandosi di honorare, con genialissima indole l'Ordine di quel Santo al cui honore non fu mai pigro.

Non debbo per la stessa ragione lasciar qui correre la memoria negletta di due nobilissimi Porporati Spagnuoli, fra gli altri tanti, che ha immortalati la Fama, & ha segnalati la Divotione verso FRANCESCO. Il Primo è l'Eminentissimo Cardinale di Sandoval già Arcivescovo di Toledo, Prelato, che addimesticò la Moderatione nella sua Corte, e convertì col suo esempio in Monastero il Palazzo: Il Secondo è l'Eminentissimo Cardinal Pimmentelli, che dal Claustro all'Ostro, e dalla Scola alla Mitra portò i fulgori. Questi due Grandi sono così benemeriti di FRANCESCO, come mi consta per l'honore c'hebbi di riverirli, il primo in Xaen & il secondo in Cordova, all'hor che servij nella Visita il mio Generale, [221] che li sentij fatti Panegiristi del Santo esprimere nelle lodi geniali di esso in una purpurea facondia una candida mente colorita da un pijssimo affetto verso la Religione de' Minimi. Per far compiuto il trisagio ad un gran Ternario, accenno qui la riveritissima rimembranza di quell'altro Augustissimo Cardinale Arcivescovo di Siviglia. Prole ben degna di quel gran Marchese Spinola, ch'essendo un'Aquila fulminea, generò una Colomba pacifica, e di genio così mite, così innocente, come quel gran Purpurato, che quanto di gloria diè la Guerra al Padre famoso, altretanto di fama diè al Figlio Sacro la Divotione. Quella, ch'ei professò a FRANCESCO fu tale, che in mia presenza disse al mio Generale, il quale gli havea portato il Palio mandatoli dal Sacro Pontefice Innocentio X. Padre Generale io posto nel più intimo del mio cuore la veneratione del Santo; e ciò basta per assicurarla, che sempre mi sta a cuore, un Ordine, che ha un così gran Fondatore, il quale co' suoi Miracoli ha stancata la Maraviglia.

Qui quando penso di haver'il mio Viaggio finito, eccomi nuovo suggetto di correre, perché mi si spiana all'occhio della riflessione il Basso Paese, su cui a cataste s'inalzano le Maraviglie da FRANCESCO operate. S'estolgono con pia Superbia per gli favori ricevuti dall'humilissimo [222] Santo cento Cittadi, e cento, che s'incatenano tutte colla Divotione verso FRANCESCO, e coronandosi nel Venerdì, per presentarsi ad esso, de' Fiori della Passione, colgono dinanzi a lui, che sparge nembi di Gratie, i Fior delle Maraviglie.

Brusselles il corteggia amoroso, colla sua Gentilissima Corte; e que' Gentil'huomini, che per la loro pietà non han nota alcuna d'huomini gentili, fanno a questo Grande del Paradiso convenevoli ossequiosi. Grande del Paradiso FRANCESCO, e perciò quasi sempre dipinto da' Pittori col Capo coperto. Grande perché quel Dio, che depose dalla Seggia sublime i superbi in Lucifero, in FRANCESCO, che fu il contraposto adeguato di quell'Orgoglioso fumante, esaltò gli humili ardenti.

Anversa a FRANCESCO s'inchina per rimaner sollevata dalle cadute delle colpe più rovinose, che quelle degli stati; E quella gran Città Mercantile, che si può chiamar l'India del Negotio, non ha Contrattione più utile di quella, che ha con FRANCESCO, il quale puntualissimo corrispondente non mai la lascia fallire. Così non lascia ella passar Venerdì, che nol segnali con qualche Traffico di Rilievo nella Fiera dell'Eternità, passando i suoi conti con questo Mercatante Celeste, a cui dando a cambio le sue Preghiere, con sensibile usura ne riporta il cento per uno, [223] da Dio promesso; e co' suoi Voti, multiplica a migliaia le gratie, che da FRANCESCO riceve.

Lo stesso a tutte le altre Città della Fiandra accade felicemente, perché in quel Cielo di Marte sempre si son goduti gl'Influssi di questo Giove; e 'l fragore dell'Armi non ha punto offuscato il tuono delle Preghiere, che, singolarmente ne' Venerdì si sono a FRANCESCO offerte Votive. Egli con sodezza maggiore di quella, che habbian le Dighe a rintuzzar i flussi delle crescenti Maree, rispigne gl'Influssi sdegnosi de' celesti furori; e sempre su quel basso suolo esaltato FRANCESCO, a que' Popoli fidi, a que' Pijssimi Genij, a quella Nobiltà ingenua risplende.

Mi si accolora lo Stile; e pure mi appresso al Norte, perché veggo la Germania ardere tutta nella Divotione verso FRANCESCO; e così avvampante nel cuore, come gelata clima fiammeggiar tutta accesa, nel Venerdì principalmente, per festeggiarlo.

Vienna, che ha la Fortuna di Cesare, con haver Cesare per fortuna: Corte nel Settentrione dell'Austro, che Spira dalle Maestà Imperiali, Zeffiri della Fede Cattolica, Serenissimi afflati; all'Aura di FRANCESCO, non come a quella de' suoi Venti nativi, ma tutta dolce, come ad un Salubre Favonio, si chiarifica tutta felicitata. Piegansi riverenti que' Palatini a [224] FRANCESCO per invocarlo; e come al loro Palladio a lui fan ricorso ossequiosi Que' Cattolici Principi, unendo alla Carità di FRANCESCO avvampante la loro purissima Fede, riportano da questo perpetuo Benefatore li frutti della loro ferace Speranza. L'Augustissima Imperatrice Leonora, che spiega l'honore del suo gran Nome, Leonza magnanima, anzi Aquila veramente Imperiale, poiché per lo suo gran senno ha due capi, e col nero ammanto oscura la fama delle Artemisie, volando così altamente con l'alta sua mente, che la perdon di vista i Linci più arguti, è un Panegirico fioritissimo del merito sublissimo di FRANCESCO. Ella, che ha la Maestà congenita, la perspicacità luminosa, la generosità familiare, la Prudenza usuale, e la Religione internata, è l'ammiratione del Secolo, la Fortuna del Sesso, la Tutelare della Virtù, la gloria delle Principesse, l'Heroina delle Gratie, è l'Amazona della Fede Cattolica. Ella è l'Aurora dell'Austro, la Pallade delle Muse, la Tramontana del Norte, la Stella del Settentrione, la Minerva delle Scienze, e la Serafina della Divotione. Helena del suo Secolo, se non Madre, Sposa di un Cesare, che se non fu Costantino nel nome, fu nelle geste grande, e pijssimo al paro di Costantino, trovò la Croce negl'incendij illibata, e ne accrebbe il culto, e dalle ceneri del [225] suo Palagio spiegando volo come Fenice al Sole Divino, portò la Croce racquistata, con la pietà d'un Heraclio alla sommità di quel culto, che si debbe a quel Santo Legno di cui fabricossi l'arca della Salute, così miracolosamente salvato in un diluvio di fuoco, che dileguando l'oro lasciò illeso quel Tronco da cui pendè la Vittima dell'Amore. A disfar i ghiacci della Germania, che l'algente Heresia impetrisce su i cuori alpini, basta questo novello prodigio, & è soverchio l'ardore, che fa sfolgorar dal suo petto per la Religione verace questa Dama Reale, così della Croce invaghita, che stringendola al seno fervente, non può a meno di abbracciarsi a FRANCESCO, che sempre alla Croce si strinse. Dicano i Minimi dell'Alemagna con qual cordiale svisceratezza honori la gran Leonora il gran Santo suo Tutelare; e con qual innesausta beneficenza dell'Imperiale Clemenza di quell'Austriaca Reggia sien sempre stati favoriti, e protetti.

L'Augusto Elettor di Baviera, fra gli altri tutti sfolgoreggia Sovrano, quanto per la sua sublimatissima Nobiltà, tanto per la sua humilissima Divotione, che singolarmente a FRANCESCO professa. L'alloggia ne' suoi stati, per haver'in essi una salvaguardia sicura, & in ciascun Monastero del di lui Ordine riverito un Alessifarmaco antidotale contro a' Veleni [226] dell'Anima, & a' malori del corpo. Ogni Venerdì vien FRANCESCO dall'Astronoma Divotione, che sempre si volge al Cielo, osservato, per esser quello il giorno più proprio, in cui questo bell'Astro di carità, fa i suoi movimenti vitali.

Ma non ha l'Arte del Dire così fini li suoi colori da ben pennellegiar sulle Carte la Pietà fina, e non finta, con cui Adelaide la Virtuosissima Principessa, splendor del suo Regio Sangue, Gloria del suo Nobil Sesso, Ornamento del suo fulgido Trono a FRANCESCO suo Tutelare singolarissimo, Sempre più retta si curva. Da FRANCESCO conosce particolari assistenze, & a FRANCESCO protesta continuate le obligationi. Da FRANCESCO ottenne la Prole per ristabilire lo Scettro Bavaro; & a FRANCESCO ogn'hor la presenta per conservar le sue viscere generose negli Augusti suoi Figli. Oh quanti Venerdì durono da Essa accesi co' prieghi, & infiorati co' Voti, accioché non le mancassero lumi, e frutti: Tanto appunto le avvenne. Hora regna contenta da FRANCESCO protetta, e da FRANCESCO protetta spera di regnar immortale.

Finisco la Prolusione, e me ne ritorno in Italia donde partij; che troppo bello è quel suolo a dimorarne lungamente lontano.

Per terminare colla Virtù stessa, siami [227] Mallevadora una Dama Forte, un'Amazone al petto intrepida, una Stella allo splendor della Nascita, uno Specchio al riflesso dello Spirito, una Perla alla purità del candore, un Diamante alla fermezza dell'Animo. Scrivo di Madama Aurelia Spinola, Grimaldi, Doria, Duchessa di Valentinese, e Principessa di Monaco Saggia al paro di Pia, Pia al paro di generosa, generosa al paro di Nobile, Nobile al parto di Sfortunata. Di quella, che rimasta in Fiore fra' Triboli, hebbe da una fatale Fortuna tante percosse, che sarebbero state bastevoli a spiantar le Quercie più radicate, spianar le Rocche più dure. A sembianza delle Vite feconde di Engaddi, priva nell'Età verdeggiante del Gloriosissimo Olmo Marito, appoggiossi alla Pianta soavissima del Crocifisso; Et havendo perduto un Hercole in Terra, trovò in ogni Santo Avvocato, particolarmente nel Nostro un Anteo Celeste, Artemisia del suo Secolo accordogliata, eresse all'estinto suo bene un pudicissimo Mausoleo del suo Cuore; Più fortunata ne' suoi Travagli; che altre molte nelle loro Prosperità; Onde mostrò in pratica quella gran Massima così poco praticata per la fiacchezza da tanti: Che la Constanza della Virtù non ha miglior paragone degl'Infortunij: Essendo questi, mentre coppellano un'Anima, che sia ben nata, Pietre, che la rendono più luminosa, perché quando toccano, illustrano; [228] & all'hora che paiono unirsi a formar la Tomba, si congegnano ad ergersi in Trono. Hor Aurelia, che più del Nome ha lo Spirito pretioso, e che nel Titolo professa la Valentia dell'Animo imperturbato, e che sa governar se stesso: Rosa non meno alla Bellezza Modesta del Regio Viso, che alla fragranza purissima delle spiritose, e spirituali sue Doti; come Rosa appunto, avvezza a star tra le Spinte, che intorno ad Essa, più che non la conservarono, la trafissero, dalle celesti rugiade sol riconosce il suo vigor coraggioso. Di questo (fatta Spettacolo di Fortezza da stancare la Maraviglia) diè tanti, e sì chiari Saggi, che ferono stupir l'Invidia più tetra, & inarcar le ciglia al più spietato livore. Sempre pugnante colle Sciagure, ma sempre Vittoriosa, fu Scoglio immobile in un Mar di affanni, fu Aquila trescante in un Ciel tempestoso, fu Palma innalzata da ingiusto peso, fu Lauro verde a' fulmini delle Traversie, fu Lume inestinguibile a' Venti opposto, accioché l'Età nostra non invidiasse all'Antica le Zenobie, le Penelopi, e le Amalassonte. Di queste dovute lodi al di lei gran Merito, benché scarse, die' la Prudente Magnanima ad ogni rincontro prove soverchie: singolarmente in faccia della Corte di Francia, dove propagò cogli Esempli della sua Indole tutta Pia, e tanto affettuosa, quanto non affettata [229] verso il Culto Divino, l'Osservanza Monastica ne' Chiostri delle Vergini Celibi, alle quali, se non impresse il rossore co' chiari riflessi della sua Candidezza, accrebbe il Candore co' verecondi riverberi della propria Modestia. Nel Monastero di Bella Caccia in Parigi, ritirata con altre Qualificatissime Dame, e Principesse (secondo lo Stile di quel Paese) non sol fe' preda di aiuto Celeste, ma di credito inestimabile, non così facilmente da moltissime, perché troppo corsero, sulla Carriera della discretezza, arrivato. L'encomiò la Reina Madre, che ben conobbe, in più Conferenze intimissime, lo Spirito d'oro di Aurelia, purificato dal fuoco de' patimenti; e l'Ingenuità impareggiabile di un Genio grande, che superò l'Infelicità colla Patienza, la Patienza colla Pietade. La coronarono di Elogi que' principali Magnati, e le Dame più alte di quella Reggia Sovrana, perché ammirarono in Aurelia una Bontà senza fuoco, un fuoco senza fumo, una Perspicacità senza fuligine, un Naturale senza artificio, una Sincerità senza maschera, una Parità senza nota, una Condotta senza inciampo, una Maestà senza superbia, un'Intelligenza senza errore, una vivacità senza balzo, un'Equalità senza intervallo, una Maturità senza sprezzo, un'innocenza senza neo, un Candor senza nero, un'Affabilità senza disegno, una [230] Semplicità senza scorza, una Scaltrezza senza raggiro, & una Pietà senza Hipocrisia. Hor questa Virtuosissima Principessa, havendo arrolato FRANCESCO fra' que' Santi suoi Difensori, che nell'Empireo possenti, vengono da lei tutto giorno, implorati: ossequiatolo anche colla Divotione de' Tredeci Venerdì, si è valsa di un Mitridate così vigoroso per contraveleno alle Vipere, e di Antidoto alle Cicùte.

Conchiudo il Peregrinaggio della mia Penna, mentre mi fermo nel Luogo Nativo del Santo per appenderla in voto al di lui Sagro Altare, intorno al quale pendono tanti cuori di argento, poiché non oso, e non debbo mettervi il mio di Piombo.

Paula, che può dirsi Minima delle Terre, ma come Paulo, che si diceva Minimo degli Apostoli; Sol se non le si aggiusta la Profetia sopra Bettelemme del nequaquam Minima, perché se ben in essa un Minimo nacque, fu Massima dall'hora, che partorillo, perché FRANCESCO, Imagine di Gesù viva, la fe' simile a Bettelemme medesima: e più fastosa per la Nascita del suo FRANCESCO, che non fu Itaca per quella del suo Ulisse. Non ha Fabbriche Eccelse nelle sue Case honorate, ma vanta un Colosso di Maraviglie nel suo Santo Miracoloso. Più famosa di Memfi, ha tanti Obelischi, quanti sono i Prodigij da FRANCESCO nel suo Territorio [231] operati, e più Piramidi innalza, che Babilonia Superba, nelle Gloriosissime Geste del suo Humile sublimato. Ha ella sulla sua riva un Faro di lume in FRANCESCO, che nel tenebroso Egitto di questo Mondo infelice addita a' Naviganti Mortali sicuro il Porto nel Paradiso. Ivi FRANCESCO, come nel suo Epiciclo, tutto luminoso si adora, e spande più raggi benefichi in terra, che non fa il Sole nell'Apogèo. Accorrono a venerarlo con Romerie Divote i Fedeli, e da lui partono colmi di Benedittioni Divine. Tutt'i Venerdì sono in Paula così solenni, che più risplendono per la Carità di FRANCESCO, che per la luce del Giorno.

Ma non deggio partir da PAULA senza appender'a quel Tempio, in cui hebbe la riverita mia Religione la culla, un Elogio sincero alla nobilissima Casa Spinelli, Padrona antichissima di quella Città, di Foscaldo, e di altre Cittadi, e Luoghi nella Calavria, e nel gran Regno di Napoli. Famiglia, che stanca le penne della Fama per la vastità della sua chiarezza augustissima, & accresce fulgidezze alla Gloria colla sua Pietàpreclara, tutta festosamente compendiata negli Heroici Marchesi di Paula hoggidì viventi.

Nacque il mio Sovrano FRANCESCO, e visse fedelissimo Suddito degli [232] Spinelli, sempre fedeli sudditi a Dio; e fu da essi favorito, e protetto; come la Rosa, che naturalmente dalle spine è difesa: Ed anche in ciò egli svelò il suo genio; che havea di patire fin dalle fasce, spuntando all'ombra delle spine alla luce. Ma queste spine, imporporate da tante honoratissime Rose, sicome non recano sterilità, ma ornamento, così furono sempre intrecciate ad assiepar vigorose, e curve a questo Giglio fragrante del Paradiso. FRANCESCO perciò le benedice sempre dal Cielo, accioché sieno sempre fruttifere (sicome ne constano evidenti, e numerose le prove in una continuata, e miracolosa assistenza) e con ragione perché gl'incliti Spinelli sono i primarij, & i principali suoi Fondatori; Quindi è, che la cura più accurata di esso sia tutta intenta a conservare stabile, e florido uno Stelo così glorioso, che co' suoi rami carichi di Trofei, spinoso al nome, e ferace di merito, attrahe colla sua Divotione l'igneo FRANCESCO a sfolgorare, senza, che restino mai combuste, & incenerite, tra le sue fioritissime Spine.

So, che doverei qui nel finire spiegar, come Fasto di FRANCESCO particolarissimo, gli Elogi del di lui Ordine, perché gloria patris, est Filius sapiens; ma la mia Eloquenza sfiancata non giunge ad affasciar in succinte linee ciò, che richiede la vastità di ampli volumi. Io, che sono [233] fra i Cigni una Rondinella non posso in un piccol nido di creta, come questo mio corpo frale, o pur'in quello dell'angusta mia cella, tra l'arsicce paglie delle mie pagine armoneggiar canoro, per celebrar la fama di tanti, che la Penitenza fe' Martiri, tra' quali molti versarono il sangue svenati dagli Arabi, e dagli Heretici, e molti gl'inchiostri svenati dallo studio, e dal zelo d'ingrandire la Fede Cattolica. Parleranno per me le Storie: ma meglio quelle, che nel gran Libro della Vita, impresso sotto il torchio dell'Eternità con caratteri di Stelle si leggeranno ad un'occhiata veloce nella Visione Beata.

Coronò questa Prolusione, per indorarla, col riveritissimo nome del gran Cardinale D. Flavio Ghigi, che con Pontificia Maestà purprureggia nel lampo del suo nobilissimo Sangue, e nello splendore dell'ostro suo luminoso. Egli con l'Eminenza del suo merito s'innalza più sublime d'ogni Elogio, e mentre i suoi genitliaci monti toccan le stelle, non può se non radere 'l piè di quelli questa mia vaporosa, e non istellante Eloquenza. Ristringerò tutte le di lui Glorie nel divoto silentio; anzi spiegherolle in un motto con chiamarlo vero Protettore de' Minimi, che vuol dir Massimo, perché super omnem gloriam Protectio. Egli è Protettore della Religion di FRANCESCO, & in conseguenza il Cherubino custode di un terrestre [234] Paradiso, ma non si fa veder in forma di spada fulmineo, bensì di scudo radiante. All'ombra de' di lui monti si ricovra il mio Ordine; e ben può dirsi

Maioresque cadunt altis de montibus umbra,

perché la Protettione di esso, è sempre maggiore; né a quest'ombre manca la luce per esser dalle stelle illustrate. Son però stelle, che non fan notte, ma che come il Fosforo portano il giorno, e splendono ancora in faccia del Sole. Le Stelle di questo Cardine hanno virtù magnetica di tirar a sé i cuori, e di far, che la Religione de' Minimi calamitata da' loro influssi nel volgersi ad esse habbia quiete. Così questa non può temer di non trovare sicuro il porto, perché veleggia con la scorta di Stellechiare, e cotanto benefiche. Viva dunque felicissimo chi sa felicitar così generoso, e siano i Voti de' Minimi sempre rivolti al Cielo, perché queste Stelle mai non tramontino, poiché sono il Diadema più fulgido, che dalla Divotione intrecciato di questo gran Cardinale scintilli in terra al gran Patriarca FRANCESCO DI PAULA sul capo.

 

*

 

[235]




Precedente - Successivo

Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC
IntraText® (V89) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2007. Content in this page is licensed under a Creative Commons License