Perché
il Venerdì sia destinato a così
Salutare Divotione.
PROLUSIONE XI.
Il Venerdì già profanato dal Nome d'impura Venere su consagrato col Sangue
Verginale del nostro purissimo Nume.
Giorno segnato con quelle Perle, che stillò da'
suoi Fonti lagrimosi, & spirante l'allegrezza del Paradiso: Marcato nella
Faretra della Croce con cinque Gemme di prezzo infinito nelle Piaghe adorabili
del nostro amor Crocifisso.
Giorno, che nel Meriggio hebbe l'Alba coronata di
Spine, e tempestata di Rose, tutta rugiadosa di Sangue, che spuntando nuda da
un Monte, nelle tenebre dell'Universo confuso recò la luce al Genere Humano
redento.
Giorno, in cui squarciatosi dall'imo al sommo il
velo del Tempio non v'ha Portiera, che impedisca l'accesso a Dio.
Giorno, in cui all'Ecclisse del Sole si manifestò
la Luce del Mondo, & al tremor della Terra si stabilì la Salute dell'Huomo.
Giorno, in cui si spezzano co' sassi i cuori, e
dalle Coscienze fetenti, non meno, che dalle putride Tombe i corpi svegliati,
fa risorgere l'Anime incarognite.
[236] Giorno, che ruba alla Morte anche i
ladri, non che le spoglie rapite, e favorisce gli Assassini, ma Penitenti, che
saccometton'il Paradiso in quel punto, in cui stavano per essere messi a Sacco
già nell'Inferno.
Giorno, in cui si videre le Stelle di mezo dì,
perché quel Dio, che stese il suo Cielo, come una pelle, stese la sua pelle
come un Cielo, in cui sono tanti Astri fissi, quante Cicatrici impresse; e
tanti ripercossi splendori, quante livorose sferzate.
Giorno, in cui fra le nubi del Ciel'oscuro, dopo
un diluvio cruento comparsa l'Iride, in segno dell'Altissimo confederato con
l'Huomo, & della Divina Giustitia pacificata con noi.
Giorno più chiaro per le sue tenebre, che non son
gli altri per la lor fulgidezza: che nell'horrore risplende, delle ignominie si
gloria, colla Morte si avviva, a' deliquij s'inforza, per le bassezze si
esalta, sotto i flagelli s'inostra, fra le spine s'infiora, dentro al fiele si
raddolcisce.
Giorno, in cui l'Eterno Padre, per islegar gli
Schiavi, legò alla morte il suo diletto Unigenito, più con catene d'immenso
amore, che non fe' il Giudeo co' lacci d'odio maligno.
Giorno di ubbidienza, in cui piegò il collo sopra
una Croce il Re de' Secoli, a cui si curvano tutte l'Empiree Schiere: &
[237] il Mistico Isacco chinò la Testa alla Spada della Giustitia
Divina, dal Mistico Abramo vibrata.
Giorno di Sacrificio, in cui si fe' Vittima il
Sacerdote, e su l'Altar della Croce l'Hostia cruenta non fu diversa dal
Ministro candido, e rubicondo: Candido per la sua impeccabilità, e rubicondo
dal proprio Sangue, in cui lavò la stola della sua Humanità lacerata.
Giorno d'Innocenza; ma nell'Agnello di Dio
svenata; che quanto più stracciata tanto più bella, ancora, ch'esangue, si
coronò di Viole pallide, e di smorte Peonie, e si fe' conoscere tanto più pura,
quanto più intrisa.
Giorno di Tesori, perché si aprirono squarciate
da' ferri tutte le Miniere del Paradiso, e nel Divino Eritreo si ritrovarono
tante Perle, quante furono l'anime riscattate.
Giorno di Pace, perché cominciò fra gli Ulivi, ma
terminò fra le Spine: perché il Cielo abbracciò la Terra: perché dall'Arca
della Croce fissata sopra di un Monte, dopo un diluvio di Sangue, uscì la bella
Colomba dell'Anima del Salvatore a recar le novelle liete dell'Ira Divina
cessata.
Giorno di Guerra, perché il Principe della Luce
pugnò col Principe delle Tenebre: perché con una lanciata fu passato il petto
al gran Dio degli Eserciti, che [238] colla sua morte die' la rotta
agli Eserciti de' Demonij: perché cadette il Goliatto Superbo, vinto
dall'humile, e mansueto Davitte: perché l'infernal Sisara si trovò inchiodate
le tempie: perché s'inalberò la bandiera del Crocifisso, sotto di cui si
schierarono tanti Venturieri Campioni, quanti venturosi Predestinati.
Giorno di Trionfo, perché su 'l Carro della Croce
l'Imperatore degli Elementi, & il vero Augusto, coperto di Porpora
s'incaminò al Calvario, che più del Campidoglio honorato, meritò d'havere per
Ispettatore l'Empireo, e per Ispettacolo lo stesso Dio.
Giorno di Fortuna, perché con quattro Chiodi fu la
nostra Sorte fissata, e si fe' da noi più guadagno colla Morte del Redentore,
di quello che fosse la perdita, a cui ci astrinse del Peccato la Morte.
Giorno di Riscatto, perché sul Banco della Croce
si sborsò il prezzo sovrabbondante della nostra copiosa Redentione.
Giorno di Misericordia, perché si spalancarono le
cateratte del Cielo a disgorgar sopra tutti li Condannati di Perdono.
Giorno di Pietà, perché Iddio perì accioché si
salvasse l'huomo: patì l'Innocente, perché non patisse il Reo: si appiccinì
l'Immenso per ingrandire il Nulla, fu derisa la Sapienza, per compassionar
[239] l'Ignoranza: fu spento il Lume per dar a Ciechi la Vista: fu
condannata la Giustitia, perché fosse assoluta la Fellonia: fu confitta la
Gratia, perché restasse sconfitta la Colpa.
Giorno di Sangue, che imporpora: di tormento, che
bea: di Passione, che rallegra: di oscurità, che rischiara: di Ecclisse, che
illumina: di pena, che felicita: di deformità, che abbellisce: di Povertà, che
dovitia: di nudezza, che veste: di strage, che ristora: di Morte, che avviva:
di obbrobrij, che honorano: di ferite, che guariscono: di Piaghe, che risanano:
di flagelli, che fregiano: di guanciate, che innostrano: di abbassamenti, che
sublimano: di canne, che sostengono: di spuri, che ingemmano: di macchie, che
purgano: di lividure, che adornano: di cadute, ch'esaltano: di punture, che raddolciscono:
di ambascie, che consolano: di scorni, che nobilitano: di tristezze, che
confortano: di tenebre, che illustrano: e di dolori, che imparadisano.
In questo Giorno il Salvatore, secondo l'opinione
di molti concetto, anche fu Crocifisso, in segno che il fine dell'Augustissima
Incarnatione altro non fu, che il redimerci dal Peccato.
Le pijssime riflessioni, che potrei fare a'
riflessi di un Dì, che dalle sue beate caligini fa proromperci tanti lumi, son
tali, e tante, che mentre le concepisco, mi [240] abbagliano; onde
convienmi venerarle col Silentio profondo, più che descriverle con Eloquenza
offuscata. Restrignerolle tutte alle parole rosate, che fra tanti suoi fiori
congegnò il melato Bernardo, per intrecciarle alle spine del Crocifisso, a
coronar le Glorie di questo Giorno, ancorché di Morte, Immortale.
Posso ben Io (scrive il grand'Abbate di
Chiaravalle, rivolgendosi al suo bell'Amore Confitto) ah posso ben'Io aggirarmi
sulla Terra, e nel Cielo, per l'Aere, e sopra il Mare, che non vi troverò, mio
Diletto esangue, se non attaccato per me ad una Croce, dove per aspettarmi vi
feste configger'i piedi, e per non punirmi vi feste traffigger le mani. Qui voi
dormite disteso: qui vi nodrite di pene; e su questo durissimo letto adagiato
dal vostro tenerissimo affetto, nell'ardente Meriggio della vostra Carità
fiammeggiante, trahere ogni cosa a voi; e nel vostro sonno finale sommergete le
nostre chimeriche fantasie. In questo sol Legno di Vita Chiunque vi cerca, vi
rinviene; A questa Pianta Divina l'Anima co 'l vostro Corpo resta sospesa,
& ascendendovi sopra tutta pentita, e divota raccoglie i Frutti delle
vostre Gratie tutte fiorite, & officiose.
Questa Dottrina fu praticata con eminenza dal
nostro Santo, così appassionato del Crocifisso, che si crocifisse al Mondo
[241] per imitarlo; e per non mai separarsi da quello, portò la Croce
nel cuore, se non sul dorso, e nelle viscere i Chiodi, se non nelle mani, e ne'
piedi. Non gli mancaro flagelli, stretto con dure funi alla Colonna di una Durissima,
e stabile Penitenza. Hebbe le spine d'intorno a' lombi, se non sul capo: come
Christo fu schiaffeggiato; & annoverò fra' suoi Discepoli qualche Giuda. A
sembianza di Christo, se non fu strascinato a' Tribunali dell'impietà, fu
dall'Impietà degl'Impostori bersagliato nelle Corti, nelle quali si suol sempre
tirar'al bianco; e quando non fieno giuste, pareggiano quella di Herode, &
al Palagio dell'Empio Pilato, quando si lavano i Principi le loro mani del
Sangue degl'Innocenti.
Il Venerdì accolse FRANCESCO nascente: il Venerdì
accolse FRANCESCO spirante. L'uno, e l'altro può dirsi Santificato, perché
nell'uno nacque l'Innocenza, e nell'altro morì la Santità in FRANCESCO. In
Francesco, che dovea conformarsi al Verbo Incarnato dalla Culla alla Tomba. Tomba
fu la Culla di FRANCESCO, perch'egli nacque a morir ogni giorno al Mondo, come
l'Apostolo, mortificato: Culla fu la Tomba di FRANCESCO, perch'Ei rinacque a
vivere Glorioso nel Cielo.
Morì appunto in quell'hora, di cui non trovossi
fra tutti gli Horoscopi la [242] più fausta, perché la Stella
verticale della Clemenza in essa fe' tutt'i suoi Movimenti. Hora, che nel suo
brieve giro rovesciò sovra il Mondo tutte le Beneficenze Sovrane. Hora, che
rise nel pianto degli Elementi, perché in essa pianse degli Elementi il
Fattore. Hora dell'Hore Reina, perché imporporossi del Sangue, che stillarono
le murici del Paradiso lacerate da' Cani. Hora Principessa dell'Hore, perché
l'altre tutte le resero Vassallaggio, mentre la videro coronata di Gioie ne' dolori,
che patì l'Allegrezza del Paradiso. Hora d'incenso, perché l'Oratione
dell'Agonizante Messia ascese al Cielo nel cospetto del Padre a placar l'Ira
della Giustitia, & a cangiar'i fulmini dello Sdegno, in piogge di Gratie.
Hora di cui l'Horiuolo fu il Corpo di Christo così ben regolato nelle ruote
delle sue Potenze animastiche, smaltato col Sangue; a cui non mancò la corda
nel corso, né il suono ne' prieghi, né la battuta ne' flagelli, né lo
svegliarino nelle percosse, né alcun dente negl'improperij, né la catena nella
Prigionia, né la cassa nel Carcere, né il Tempo nel patire, né la Saetta nella
lancia, né la Chiave nella Tomba.
Horiuolo da Sole, c'hebbe tante linee, quante
sferzate sul tergo candido: il cui Stilo fu il Chiodo: la cui ombra fu
luminosa: il cui Geroglifico fu la Misericordia il cui Motto fu I. N. R. I.
[243] Passa il Peregrino Mortale, e
vedendo l'hora, ch'Ei pensi di restituirsi al Paradiso, da cui lo scacciò la
Colpa, così legge affidato: Io Non Ritornerò In Vano. Passa il Fedel compunto,
e spezzando il suo cuor'ad un colpo di affetto legge Pentito: Il Nostro
Redentore Innocente. Passa il Rubelle a Dio, e vibrando il guardo severo
legge impetrito: Io Non Rimiro Ingrati. Passa l'Impenitente fellone, e
legge con l'occhio asciutto: Ie Ne Retournerais Iamais. Passa il
Teologo, e legge con senso profondo: Inde Nata Redemptio Iniustis. Passa
il Ricalcitrante alla Gratia, e legge con sovrasalto: Ite! Non Rispondete
Infidi. Passa il Giusto Fedele, e legge con giubilo interno: Iddio
Nostro Ristoro Infinito. Passa il Mistico contemplativo, e legge con
attentione: In Nomine Regis Iustitia. Passa il Divoto, e ricordevole
della Gratitudine al nostro Salvatore dovuta legge con affetto: Ille Nos
Redèmit Innocens. Passa il Cattolico vero, e legge con verità: Infinita
Nostra Restaurationis Imago.
Tutti leggono in quelle Note l'hora dell'Horoscopo
Universale, & interpretandole ciascuno a suo modo ne fa il Giudicio sicuro
al suo stato. È vero, che il tenor Letterale di esse altro non ispiega, che Iesus
Nazarenus Rex Iudaeorum: Sommario di quel Processo crudele, e di
quell'empia sentenza, con cui la Giustitia fu condannata dalla Perfidia; ma
Christo [244] non volle altro Regno, che i suoi Fedeli seguaci, che
leggono tutti uniformi: In Noi Regna Innocenti.
Egli sul Tronco della Croce, Trono d'Ignominia e
Re de' Dolori coronato a spine, e come tale a FRANCESCO gli rese sempre
humilissimo Vassallaggio. Anzi usurpatasi la Corona del suo Sovrano; all'hor
gli fu più fedele, che disiò con isvisceratissimo affetto di levarlo dal
Soglio, di spogliarlo dell'Ostro per rivestirsene, di torgli la Corona per
adornarsene.
Ogni Venerdì l'assalto singolarmente co' baci,
l'assediò co' sospiri, il pose cogli abbracci alle strette, il colpì co' voti
divoti, il ferì co' guardi pietosi, co' cilici il cinse, il prese per fame, e
l'imprigionò nel suo cuore.
Che più? Così possente fu FRANCESCO ne' Venerdì,
che si fortificò colle Astinenze, si avvigorì co' deliquij, si ravvivò colle
mortificationi, si sollevò al Cielo coll'atterrarsi, s'imparadisò col penare,
si sprigionò col legarsi, s'infastosì coll'Humiltà, s'impinguò col Digiuno,
riposò colla Veglia, spiccò colla ritiratezza, s'innalzò coll'abbassarsi,
s'ingrandì coll'annientirsi, s'immortalò col morire.
Morì FRANCESCO nel Venerdì, all'hora di Sesta per
morire con Christo; Anzi per vivere eternamente con lui. Il [245] Sole
non si ecclissò come al Redentore spirante all'hor, che spirò FRANCESCO,
perché, se alla Morte di Christo, come a quella del suo Creatore patì la Natura
gemente, se piansero gli Elementi confusi, se comparvero le tenebre sopra la
Terra, perché moriva la Luce del Mondo: alla Morte di FRANCESCO, come a quella
del suo Diletto, rise la Gratia fiorita, gioirono gli Egri sanati, fuggirono i
Demonij invasanti, festeggiarono gli Angioli lieti, si rallegrarono i
Confessori Beati.
Morte degna d'Invidia! Le Vergini accorsero a
Drappelli Volanti ad infiorar nell'entrata, che fe' in Paradiso quell'Anima
Celibe. Gli Anacoreti accolsero il gran Solitario tutti festosi, per haverlo
compagno in Cielo da poi, che l'hebbero imitatore in Terra. I Martiri
l'abbracciarono nell'incontrarlo, perché con un lungo Martirio il videro
laureato. I Penitenti l'aspettarono affettuosi, perché l'osservarono sempre
nelle Pene felice. I Troni gli ferono Seggio dell'ale. Le Dominationi gli
presentarono lo Scettro del Regno. I Principati lo sublimarono al Soglio di
Dio. Le Potestà l'ingrandirono nella Vaglia de' Miracoli. Le Virtù lo
correggiarono nel Trionfo. I Cherubini gli aprirono affatto il Libro
dell'Eterna Sapienza; Et i Serafini lo cinsero di fiamme vitali, perch'Egli
ardesse nell'Arabia [246] Celeste, in faccia del Sol Eterno immortal
Fenice.
Il Venerdì fu sempre Miracoloso a FRANCESCO, o per
FRANCESCO Miracoloso. In tal Dì, sempre a lui Solenne fe' i principali
Miracoli. Per gli altri fu Giorno di Passione; per lui di Gloria; E sì come gli
Astri sogliono ne' lor periodichi circoli, benché sempre splendano fulgidi, far
talora movimenti più luminosi, così FRANCESCO, tutta la sua Vita Chiaro, ogni
Venerdì si fe' veder abbagliante. Quindi è, che i Fedeli conoscendone l'Indole
Geniale, l'attendevano singolarmente al Venerdì, come fan gli Astrologi, che
mirano ad occhi fissi le Stelle, all'hor, che più si muovono a cribrar benefiche
influssi salubri.
Lo stesso costume si proseguisce ancora Hoggidì,
perché nelle Chiese di FRANCESCO, ogni Venerdì s'aprono le Chiuse del Paradiso,
e ne disgorgano le Gratie a torrenti.
Vide la Città di Napoli in uno di questi Giorni,
nel 1610 L'Altare del Santo convertito in Cuna di Vita ad un Bambino estinto,
che a rivaggir ritornando, aprì di nuovo la bocca socchiusa a celebrar
perfettamente, nel suo balbettar elegante il poter di FRANCESCO, che ben potea,
sciolto lo scilinguagnolo, chiamar Padre, poiché FRANCESCO gli die' la Vita.
[247] Per terminarla: Io posso attestare,
per quanto val la mia Fede, che molti Divoti del Santo, ne' Venerdì
particolarmente, raccolsero i frutti delle loro Speranze, e che nel giorno di
Passione si sentirono l'Anime loro colme di Gioia col prospero incontro di
successi felici.
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