Rito
di praticare la Divotione de' Tredici
Venerdì ad honore del Santo.
PROLUSIONE XIII
È traditione antica, registrata nel Convento de' Minimi di Tolosa (come
attesta il Benedetto Padre Bonaventura di Martina Minimo, che nella Città di
Roma pochi anni sono morì con tanto odore, & applauso della sua purissima,
& austerissima Vita, di cui l'Operetta degli Opusculi di S. FRANCESCO DI
PAULA, e non del P. a Seclis Minorita, benché in fronte ne porti il Nome) che
il Santo [256] costumasse di consigliar molti a lui ricorrenti nelle
afflitioni, onde si sentivano oppressi, il pretioso rimedio della Divotione de'
Tredeci Venerdì colle seguenti sue formali parole.
Per Tredeci Seste serie confessate le
vostre Colpe, e ristoratevi col Sagrosanto Eucaristico Sagramento ad una Messa,
che procurerete di far celebrare, per domandar' al Signore il Sollevamento
dalla necessità, che vi opprime. In quel mentre reciterete, per Tredici volte
l'Oratione Domenicale, e la Salutatione Angelica ad honore, & in riverenza
di Gesù Christo Crocifisso, e de' Dodici Apostoli. Apporrete altresì due
bianche Candele di cera alla Messa, che si dirà, secodo il vostro intento, in
contrasegno delle due Virtudi, Fede, e Speranza: La Terza Candela accesa voi
terrete alla mano, nel tempo, in cui direste le sudette Orationi; e si reciterà
la Messa, in protestatione della Carità, con cui dovete amar Dio, e dimandargli
le Gratie; perché così vi concederà il fine de' vostri giusti Disij.
Questa è la Formola prescritta dal Santo, per condurci in questo Divoto
Esercitio, da me letteralmente portata; in maggior'espressione, di cui
aggiugnerò le Osservationi infrascritte.
La prima, e più certa Dispositione, per obligare
il Santo ad impetrarci 'l favor Divino, è presentarsi col fine primario di
chieder le cose Eterne pria delle temporali; [257] e molto più quelle
di queste. Al Re de' Galli, che una volta gli disse: Mio buon Padre vi
raccomanno il Regno, e l'Anima mia, da sagro furore pacificamente irritato,
rispose così FRANCESCO: Erraste, o Sire: Prima l'Anima, e poi 'l Regno.
Dimanda dunque, prima di tutto la salute
dell'Anima, che tutto il resto, quando non discordi da quella, ti verrà
conceduto. Questa è la Dottrina della stessa Verità; onde non si ha da mettere
in controversia, ma in pratica. Quaerite primum Regnum Dei; & hac omnia
adijcijntur vobis: Ma Chi cerca il Regno di Dio, non ha da pretendere, che
il Mondo più regni in lui.
Christo, che fu il Mastro, e l'Esempio di questa
Massime, si voltò una volta, con un dolce rimprovero a' suoi Discepoli, e disse
ad essi: Fino a quest'hora non mi havete mai chieduta cosa alcuna in mio
Nome: E pur si ha dal Sagro Vangelo, che gli havean dimandato di far piover
dal Cielo il fuoco su i Pervicaci: di scacciar con inutil congedo la Sirofenissa
gridante: di seder a' fianchi di Esso nel di lui Regno; Ma ciò non era chiedere
in nome di Christo. Intendevano di farsi tenere per Valentoni, o di liberarsi
dall'importunità di una Supplichevole; o di haver posto migliore degli altri,
per farsi stimare di credito: Tutti motivi d'Interesse Mondano.
[258] Tu vai a pregar FRANCESCO, che da
Dio t'interceda la Prole; ma con qual fine? Per istabilirti un Herede, o per
impegnar'il tuo Sposo a pregiarti come fruttifera, o per haver, chi sostenga
cadente la tua Vecchiaia, o per geniale istinto di propagar sé stesso, che la
Natura innestò nell'Huomo. Non cerchi no, di haver Figli per multiplicar Servi
al Cielo, per educarli nel Santo Timor dell'Altissimo, per arricchirli di
Virtù, ma di Hazenda.
Tu dimandi a FRANCESCO la Sanità del tuo Corpo
infermo, ma non la salute dell'Anima febricosa: Hai nelle vene il Sangue, che
bolle acceso dall'intemperie delle qualitadi sconvolte, prieghi, che ti sia
refrigerato l'ardore, e trovandoti abbrustolito in un letto, cerchi che
FRANCESCO, il quale fu un altro Lazaro in terra, & hora si adagia nel sen
del mistico Abramo, venga a recarti qualche rimedio; ma con qual Disegno? Per
liberarti dal pericolo della Vita, dal soffrimento del dolore, dalla noia del
dispiacere, che hai di sentirti mortale. E quando havrai ottenuta la Sanità,
che farai? Tornerai all'usato stile di prima; e se ben prometti di cangiar
costumi, quando haverai ricuperate le forze, te ne varrai ad offendere il
Cielo. Ripiglierai gli amori, le usure, il Giuoco, l'odio, l'ambitione; e come
Volpe, c'habbia perduto il pelo, quando ti sien caduti co' capelli dal capo,
[259] per cagion della Malattia, i Vitij dal cuore per paura del
gastigo tornerai a rimettergli, e quanti peli ti spunteranno dalla colottola,
tanti peccati ti sorgeranno dalla volontà.
Fatta proportionevolmente questa Induttione in
ogni altro genere di Ricorrenti al Santo, si ha da dedurne questa Propositione
infallibile: Che chiunque non intende intrinsecamente di lasciar il peccato,
non ha da intraprendere questa salutare Divotione. La colpa è diametralmente
opposta alla Gratia; e sicome questa è la Fontana di tutt'i beni, così quella è
la sorgente di tutt'i mali. Per ischermirsi da questi bisogna servirsi di
quella come di Scudo: Non si accordano mai la Ribellione al suo Principe, &
il favore di esso: Et il voler unire due così discrepanti estremi, come il
Mondo, e 'l Paradiso, è un far nel suo concetto Chimerico enti di ragione,
tanto più irragionevoli nel Discorso, quanto più impraticabili nell'effetto.
Si trovano cert'uni così ridicoli, che pretendono
col zoppicar da due lati, camminar per due calli. Tengono un piè su quello
dello Spirito, e l'altro su quello del Secolo; e perciò non vanno diritti né
sul l'un, né su l'altro: Danno a Dio cert'hore, che si riservano per astutia, e
tutte l'altre al Demonio, a cui servono per interesse.
[260] Bevono ad occhi stretti li sudori
del Prossimo, succhiano il Sangue de' Poveri, spogliano i Pupilli
dell'Heredità, si usurpano i Poderi delle Vedove, fanno stentar a chi li serve
più, che la fatica, la paga: Sono Uccelli di Rapina voraci, che in quattro
beccate portano via le interiora alla presa: Son'Arpie fine, se non di Fineo,
perché non v'ha finezza, che non sappiano per ghermire. Son Volponi, che stanno
in aguato, sotto manto di Pecore, e non v'è Gallina, a cui non levin le piume,
Pulcino che non ispennacchiano, quando lor non vien fatto di tranghiottirseli
interi. Sono Gramigne, che serpeggiando si attaccano, e dovunque arrivano fan diserto.
Son'ellere tutte braccia, che svellono, non che le Piante dal Suolo, le Case
dal fondamento. Son Darij, che pigliano; onde possono chiamarsi Longimani, per
haver così lunghe le mani, che arrivano nella Borsa del Prossimo; e nelle
Viscere dell'operaio; E poi pretendono di cancellar tutte queste note con certe
loro estrinseche Ciurmerie, & se affettate dimostrationi di una Pietà
inorpellata, che come l'Oro canterino fa strepito, e non ha prezzo; e depennar
tutte queste Partite (Huomini ancora tristiquando fan bene, ma falso) con le
Limosine, che son più forse mendicate da Essi, che da chi le riceve da loro; e
mendicanti 'l credito, più che fruttuose di Merito, perché [261] le
fanno in publico a suon di Tromba, come de' Beni di rappresaglia, messi
all'Incanto.
Colui, che rubava i Buoi, e ne offeriva poi a
Giove le Corna, non so, se per placarlo, o per ischernirlo, fu riprovato, come
temerario Sacrilego, e provato un solennissimo ladro, provocò lo sdegno del
Cielo anche più stuzzicato dall'Impudenza. Fu, questa, Favola sì; ma vera
altretanto nel mitologico suo midollo, quanto finta nella sua superficiale
corteccia, & ha tanti Esempli patetici, quanti coloro, che svaligiano il
Prossimo, che non trattano, solo che di frodi, che girano intorno, come il
Demonio per divorare chi inciampa in Essi; che non cercano altro profitto, che
il temporale; che per lasciar'agiati gli Heredi incommodan tutti, che non fan
conto se non di sussistere sulle rovine degli altri; che come Diagora non
riconoscono Dio, se non quando ne han di bisogno, che professori nell'apparenza
della semplicità stimano più d'una Doppia, che l'Anima, benché l'Anima loro sia
Doppia.
Povere Creature affascinate dall'Interesse
assassinate dalla cupidigia, scorticate dall'Avaritia, gonfie dall'Ambitione,
ammaliate dall'Invidia, impolmonite nell'Accidia, marcite nel regalo, infangate
nel guadagno, immerse nelle delitie, non vi accostate a Dio, perché tanto gli
[262] siete opposte: non pregate per cerimonia, perch'Egli non
esaudisce i Peccatori, e non riparte le sue gratie a coloro, che poi se ne
servono per offenderlo. Peggio per Essi quando son prosperati; & è questo
un Mistero ben cupo della Prescienza Divina, che ne' suoi gorghi profondi
assorbisce gl'Intelletti, anche più velieri, de' Serafini. Tanto importa la
Serie della Riprovatione sovrana, & è un tratto singolare della Giustitia
suprema; e della Misericordia infinita, premiar'in questa Vita qualche buona
Operuccia, che ferono i Reprobi, e punirgli anche meno de' loro demeriti nell'altra
con eterno gastigo per la loro Impenitenza finale.
Ma trattienti mia Penna, né t'ingolfare ne' grandi
Abissi degl'imperscrutabili Decreti del Cielo, e torna a rader il Suolo, per
incontrarvi tanti, che sono attaccati alla Terra, e poi presumono, quando si
trovano in pene d'inalzar le mani con gli occhi a' Santi ad implorarli benevoli
in loro aiuto. Il conto non va, bene, perché que' grandi Limosinieri di Dio non
ispandon Tesori a voto, e per arricchirne i nemici loro, che ad essi sono
cotanto di costumi contrari.
Come può mai essere, che alcuni Epicurizanti
habbiano tanta fronte di presentarsi agli Altari, se tutti ventre sono Vittime
per l'Infermo, impinguate dalla crapula, & abbalordite dalla Gastrimargia.
[263] Che spirito ponno mai havere que' Sibariti Gnatoni, che sempre
si ravvolgono fra la Carne: che più pensiero, e diligenza consumano per la
Mensa del Corpo, che per quella dell'Anima: che svegliano gli Elementi per
ispogliarli: che si accendono d'ira, quando la Bevanda non è gelata, e gelano
di sdegno, quando i piatti non sono caldi, fumando più della loro Cucina, nella
quale si fa l'Ecatombe delle Salvaggine alla Gola, e con Macello continuo si
svenano tanti Animali a nodrir lautamente questi Epuloni. E poi pretenderanno
di passar'in credito di huomini Spirituali colla mera apparenza di una Pietà
senza fondo, se sopra le loro porte crudeli lasciarono affamare i Poverelli
giacenti, ed interizzir i nudi piagati, se pur non li ferono scacciar prima da
tanti Cani, quanti sono i loro Servi indiscreti, la natura de' quali, è di
lacerare, prima d'ogni altro, i loro Padroni.
Secondariamente, se vuoi, che il Santo con occhio
sereno risguardi 'l tuo lagrimoso, hai da presentarti a lui così puro, accioché
i raggi di questo Sole possano entrar, come per un Christallo, a scacciar le
tenebre dal tuo Cuore offuscato. Egli è un Agnello, che pasce fra' gigli un
Ermellino, capital nemico delle lordure; un Cigno, immortal amico della
candidezza; un Angelo, a cui dispiace il fieto del Senso; [264] un'Aquila,
che sdegna di volar fra' vapori, una Fenice, che nell'odor si ricrea.
Vivendo in Terra, fu così amico della mondezza,
che sì come, non hebbe mai, benché caminasse fra fanghi e spine, i piedi
laceri, o lordi, così non hebbe mai gli affetti infranti, o macchiati. Il di
lui Genio fu tutto innamorato della Purità, perché tutto innamorato di Dio.
Santità fu la sua così vera, che fu, secondo la diffinitione della Scuola
Teologa, ab omni prorsus labe incoinquinata Munditia. Tal dichiarolla
co' Rescritti Celesti lo Spirito Santo, e per bocca del suo vivo Oracolo nel
Vaticano, all'hora, che s'unirono le pompe di tutta la Terra ad esaltar'i Fasti
di FRANCESCO nel Cielo. La Magnificenza del Re de' Galli, impennò l'ale
dell'Aquile per sublimar'i Trofei di FRANCESCO a volo. Volò la Colomba dal
Cielo a portar sull'Imagine Sagra di FRANCESCO l'Aureola: Volarono le Colombe
dal Suolo, per portar a FRANCESCO le Suppliche. Sprigionate le Tortorelle
pudiche furono Simboli di quell'Anima Casta, che uscita dalla gabbia della sua
Carne smunta, & arsiccia, sormontò festiva le Stelle a far sentir la sua
Voce nella Primavera del Paradiso. L'Apparato fu così sontuoso, come la Festa
Solenne. Gli Arazzi intessuti d'oro, di disegno isquisito, e meglio espressivi,
[265] che se fossero pennelleggiati da gli Apelli, o da i Buonaroti,
dono della Francia Munifica, ancora si ammirano, come i più singolari di quel
Guardaroba, così sontuoso ne' Mobili, come Sagro ne' Riti.
Tornando all'Assunto, ma non senza ragione
intermesso: a proposito della Genial Purità di FRANCESCO, maraviglioso fu il
Caso, Anni sono, succeduto in Napoli, e riferito da Giano Nicio Eritreo.
Celebravasi la Festa del Santo, nel Principalissimo Convento di S. Luigi di
Napoli, Seminario di Letterati, Emporio delle Virtù, e Splendore dell'Habito
Minimo, da cui come da un Nido delle Sirene uscirono tante bocche Eloquenti.
Esposto, secondo il solito, a' baci divoti del Popolo pio, e della Nobiltà
fedelissima si venerava un Dente di questo Parco: Dente, che se non servì quasi
mai a FRANCESCO Mortale, gli servì tanto più di poi che revisse, perché morse
tante volte i Demonij, facendogli fuggire al solo contatto da gl'invasati.
Forse questo è quel Dente, ch'ei si diverse al partire verso la Francia, per
lasciar'alla sua Buona Sorella, che ne 'l richiedè, qualche memoria di sé
medesimo. Memoria, che rodeva sempre i cuor'all'afflitta per la lontananza
dell'Amato Fratello, il quale, col lasciarle un Dente, le lasciò anche da
masticare ne' Salutari raccordi [266] quel Cibo, che alimenta l'Anime
Sante. Hor nella folla del numeroso concorso presentossi, fra gli altri, una di
quelle Femmine, che servono di trabocchelli al Demonio, di quelle, che sono
Navi, e Naufragi in terra, di quelle, che dal Latino son dette Scorta, perché
sono scorta all'inciampo, e guidano al precipicio chiunque la seguita; Ma nel
figger le labbra (oh gran Prodigio!) nell'Osso puro, con sensibile crepito a'
Circostanti, questo si ruppe stridendo, & ancora ne appariscono
quadripartite le fenditure da un filo d'oro ristrette. Mi fermo qui, ch'Io non
debbo passarmela così a Dente secco, senza gustar la dolcezza di quello
vaghissimo, e tanto istruttivo Miracolo. Oh come FRANCESCO si mostrò in questo
fatto della Carne immortal Nemico! Non la volle morta sul Dente vivo: non la
volle viva sul dente morto. Se già fu Fabola, che da' denti della Serpe uccisa
da Cadmo nascessero gli Huomini armati, dal dente di FRANCESCO le Serpi furono
estinte. Le labbra di quella Impudica, ch'erano solite a stillar mele, non si
dovevano unir'ad un dente, che fu solito ad abborrir la dolcezza amareggiato
dalla Penitenza. Il bacio di quella Vipera velenosa, nascosto sotto i fiori
adulteri d'un Viso osceno, fu rintuzzato da quell'Aurora Virtuosa, che se ben
senza humore vivifico discacciava i Serpenti [267] letali. Il Bacio
impuro fu chiamato da Eusebio Emisseno Morsus Diaboli; come dunque potea
soffrirlo il dente di quella bocca, avvezza ad essere colle piaghe del
Crocifisso baciata da Dio? Spettacolo fu FRANCESCO, quando visse nel Mondo, di
austerità, che perciò ancora morto non potè sopportar la mollezza di un labbro.
Alle Rose di questo, sfiorate dalla Lascivia, non si affacevano le Spine di
quello, che sempre s'unirono a' Gigli del Celibato, fioreggiante nel suo Candore.
Potea ben dirsi, in quell'Atto, che de' Beati ancora stridano i denti ad una
bocca d'Inferno vicini. Si risentì di quell'Osso pudico al sentirsi violare da
un morso laido; e con notabile scoppio fe' risonar le Glorie della sua
Verginale mondezza. Per conservarsi intero si ruppe in pezzi, e per discacciar
da sé lungi il Nemico Sacrilego si fe' una palla, che nel colpire quadripartita
si franse a quadruplicare il suo colpo. Hor Io vo' credere, che si trovassero
già Soldati cotanto bravi, che mancando loro la Munitione in tasca si valesser
de' denti, come di palle, svellendoli dalle mascelle, a bersagliar l'Hoste
avversa, poiché miro FRANCESCO servirsi di uno de' suoi per abbattere tanti
Demonij, quanti Peccati dentro a quella Rocca d'Impudicitia. Spezzò, col
rompersi il dente, quel cuor sì duro, nelle tenerezze impetrito, che non havean
potuto [268] mai frangere tante lingue, alle martellate della
Sinderesi ogn'hor più fermo; e pur una volta colla Contritione andò in polvere
mortificato, solo perché FRANCESCO col suo Dente miracoloso gl'impresse il
rimorso. Non voglio assicurar, che sia vero col sangue dell'Hirco spezzarsi il
Diamante; ma trovo ben evidente, che hora si spezzi col dente di un Agno. Agno
FRANCESCO, che ancora paventa le Lupe, perché freme co' denti, quando si
appressano; Ma non le paventa, poiché le vince, e già, che non più colla lingua
le può correggere, col dente, che parla più della lingua, le persuade a lasciar
la colpa, & a cangiarsi, col di lui esempio, in Agnelle.
Senza più andar frizzando colla Penna sul Fatto,
basti questo per prova autentica, fra tante, che potrei addur dalla di lui
Vita, quanto sia FRANCESCO amator della candidezza, e contrario all'oscenità;
& in consequenza, quanto purificarsi debbano prima que' tutti, che per
Avvocato l'implorano, e bramano d'intraprendere il fruttuoso esercitio di
questa Santa Divotione.
Ciascuno de' Tredici Venerdì ti condurrà in una
Pratica, così utile, per renderla tale, colla Meditatio di una delle Virtù del
Santo, le quali l'uniformarono al Crocifisso. Procurerai dunque, non solo di
contemplarla, in tutta la Settimana, [269] ma di seguirla al
possibile, formando di esse, come di Semplici, un pretiosissimo Unguento alle
Cicatrici dell'Animo inulcerato. T'imaginerai perciò, in presentarti all'Altare
dove s'adora di FRANCESCO l'Imagine, ch'Egli parli insensibilmente a' Supplici
suoi Divoti col detto dell'Apostolo: Siate di me Imitadori, come Io di
Christo.
Oh quanto è facile questa Dottrina a Chi si
governa colla Politica del Paradiso, e non con quella di Satanasso! I Santi
furono di Carne come noi, portarono ne' loro Corpi, Vasi di Creta: Hebbero ne'
loro lombi la Legge della Concupiscenza, contradicente a quella della Gratia:
Strascinarono attaccato alla Cintola il Cane del Fomite: Si trovarono (per
servirmi de' termini espressivi Francesi) dans le grand Monde; e pure
conservarono illeso lo Spirito, la Coscienza retta, gli affetti puri, il senso
suggetto, la volontà ubbidiente, la ragione predominante, il candor illeso, il
corpo domato, e l'Anima bella, per conformarsi alle Massime della Perfettione,
da Essi con proseguito Studio tracciate.
Entri dunque ogn'uno in sé stesso, prima di
entrare in questa Divotissima pratica, & esaminando con esattezza le sue
Attioni, procuri di correggerle se sono ree, di migliorarle se sono rette.
Se sei un Principe, non t'introdur con
[270] fasto dinanzi a FRANCESCO, perché i gran Monarchi della Terra
s'humiliarono a lui, ancorché Mortale. Iddio magnificollo nel cospetto de'
Regi, mentre i Regi s'impiccolirono al di lui cospetto. Oh quante volte si vide
FRANCESCO prostrato a' piedi 'l Re supplicante de' Galli singhiozzar, qual
Colombo, gemendo sulle sue Colpe, che gli cavò FRANCESCO dagli occhi in tante
lagrime, con amaro profluvio stillanti. Imitando, questo gran ritratto del
Crocifisso, intreccia alla tua Corona le spine, sposa il tuo Scettro alla
Croce, raffina la tua Porpora nel Sangue di Christo confitto, sia la tua Reggia
non come quella di Herode, ma degli Henrichi, de' Lodovichi, degli Stefani
Santi. Un Sovrano, che non ha sopra di sé altri, che Dio, a Dio perciò debbe
sommettersi grato, e non offenderlo più degli altri, perché più degli altri
l'Altissimo lo fe' Grande. Sia la tua Ragion di Stato il Vangelo, il tuo Tacito
il Crocifisso, che più favella colla bocca socchiusa, e colle Sanguinose sue
Piaghe, di quello che parlino i più facondi per istruirti nel Principato. I
tuoi Cortigiani siano somiglianti agli Apostoli nel haver lasciate le reti. I
tuoi sentimenti siano di Vita Eterna, e tutte le tue Geste dirette a regnare
nel Paradiso più che sul Trono, che calchi, il quale se appoggierai alla Croce,
non temer, che vacilli mai. La [271] Religione da quella Base, su cui
tu fondi ogni tuo Pensiero: Senza questa i Reami rovinano, gli Scettri si
seccano, le Corone si piegano, gli Ostri si scoloriscono, e gli Stati stato non
hanno. Più si ricerca a fare che un Re sia Retto, che Reo; Ma felici que'
Principi, che sono prima Re di loro medesimi, che de' loro Sudditi, che sanno
regger le loro passioni, più che i loro Popoli, che sublimano le Virtudi, e
deprimono i vitij, che temuti da tutti, e da tutti amati, più di tutti temono,
e più di tutti amano Dio. Intendete, o Regi, intendete! Iddio vi pose la Corona
sul capo, dunque non bisogna mettersi Dio sotto i piedi. Iddio vi scelse
preferiti dalla Sua Gratia ad infiniti Huomini, come voi Mortali; dunque
bisogna preferirlo a tutti, & essere fra tutti, perché più beneficati ancor
più perfetti. Il Principato del Verbo, non fu [secondo il Profeta] sul capo,
nelle mani, o ne' lombi, ma sopra l'homero, in segno ch'Egli incarnandosi, non
doveva ostentar, con fastosa Superbia, il Diadema Reale, con assoluta potenza
d'autorevol comando: con dissoluta libertà le inclinationi disciolte quando
fosse stato capace di tutto questo; ma portar i suoi Sudditi sulle spalle al
Cielo, & alla Croce curvato il dorso, insegnar l'Humiltà, la Mansuetudine,
e l'affettione verso de' Popoli. Viva la memoria del Pio Goffredo, che non
volse entrar'in [272] Gerusalemme da lui conquistata, che col Capo
cinto di spine, assomigliandosi al Re de' Regi con quest'Atto così esemplare, e
degno per questo Fatto, più heroico della sua Vittoria, di haver le Trombe
dell'Empireo in concerto a lodarlo tanto più alto, quanto più abietto dinanzi a
Dio, alla cui presenza depongono le Corone i Monarchi, perché quegli è Signore
dell'Universo.
Se sei un Cavaliere, che ricorri al Santo
considera, ch'Egli non è punto amico del fumo. La tua Nascita, benché
dall'altre volgari distinta, non ti distingue però nella tua Morte dagli altri.
Il morire è commune a tutti; e Chi fu impastato di terra si ha necessariamente
da risolver' in polvere. Fuggi, se puoi, dal taglio di quella falce, che con
giro rotondo miete senza divario. Gigli, e Ginestre. La tua Genealogia,
ch'altro non ha forse di vero, che l'aria, con cui ti gonfia, è un grand'Albero
frondoso di foglie, che ti fan ombra, perché sotto di esso adagiato tu vada
facendo ogni giorno Sogni; ma mira un poco ogni Frutto di esso, che lo troverai
pieno di cenere appunto come i Pomi di Sodoma. De' tuoi Antenati, che havevan
tanto del Grande, non hai hereditato sol, che la Vanità, che ti empie di un
nulla. La Discendenza, che professi, per non dir che millanti, da Essi, nel
solo nome porta discapito: Se li pareggi ne' vitij [273] non sei, come
furono quelli, che per l'Infamia famoso, e fumoso per l'ambitione. La sola
Virtù è la Nobiltà più verace, il solo timor di Dio è contrasegno d'esser ben
nato. Vuol raccontare la Sagra Genesi, la Genitura di Noè Patriarca, e comincia
a dire: Hae sunt Generationes Noe. Hor a noi! Intendiamo chi fu suo
Padre, come si nomasse il di lui Avolo, qual fosse il Ceppo de' suo' Maggiori?
Ecco la narratica, che fa succedere misteriosa: Noe Vir Iustus, atque
Perfectus cum Deo ambulavit. La Giustitia è quella, che nobilita più del
Sangue: L'esser Perfetto è molto più, che l'esser Nobile; & è quello un
gran Cavaliere, che veramente è amico di Dio. Ma per esser'amico di Dio bisogna
far tutto ciò, ch'Ei comanda, & amarlo con tutto il tuo cuore, con tutta la
tua mente, e con tutta l'anima tua. Hor come potrai tu dire di amarlo, che fai
tante parti del tuo cuore diviso in tanti (già, che sei un huomo di gran cuore,
come professi, benché vaneggiando) e la minore ne doni a Dio? Come l'amerai con
tutta la tua mente, se non hai altro nella tua mente, che il mentire, per
ingannare il tuo Prossimo; l'insuperbirti, per deprimerlo; l'avanzarti, per
lasciarlo addietro, & il sublimarti, per conculcarlo? E pur nel tuo
Prossimo vilippeso Iddio offeso si chiama. Deh come puoi amar Dio che non vedi,
se non ami il [274] tuo Fratello, che vedi? Il vedi, e lo sprezzi,
perché non risplende per la nascita, & è sozzo per la Povertà. Egli però, è
di carne impastato come tu sei; & è ben facile, che sia miglior di te senza
tanti titoli, più chiaro al Cielo, più caro a Dio senza tante sfumature. Come,
per ultimo, potrai amar il tuo Creatore con tutta l'anima tua, se questa
serpeggia con l'odio, s'infanga colla Lascivia, s'intralcia coll'Interesse, si
accende coll'Ira, s'avvelena coll'Invidia, si allorda con la Crapula, e
s'impegola colla colpa? Buon per te, se divieni così Nobile di costumi, come
presumi di esserlo per gli Natali. Con questa sola condittione puoi accostarti
a porger Suppliche a Dio, & a farla prontamente spedire col Mezo
efficacissimo di FRANCESCO.
Se sei una Dama vana perché l'importuni, essendo
una Dama, che fuggi gli strali di quell'Amore Divino, che tante volte ti ha
ferita, e non mai ti ha traffita? Deh specchiati un poco nel Crocifisso, già,
che sei tanto vaga dello Specchio, e mira quanto ti ha diformata la tua
Bellezza, questi tuoi occhi così brillanti, non per altro sono Stelle vivaci,
che per recar ad altri la notte quando sfavillano. Questa tua fronte di
Alabastro, oh quanti pensieri ha col suo candore anneriti! Queste tue Chiome
d'oro, perché a peso d'or le comprasti, ahi quanti ferono impoverire,
[275] per tributarti co' loro affetti, i loro regali! Legarono tante
Anime all'Inferno, come lacci del Demonio, qual hora tu pretendesti di apparire
con quelle un Angelo. Ondeggianti cagionarono le tempeste, intrecciate portàro
gl'intrighi, prosciolte indussero alle prigionie, codate minacciarono le
rovine. Fosti Cometa che ti tirasti dietro tanti vapori quanti desiri. Fosti
Orione, che spuntasti sempre ad improcellar le Coscienze. Fosti Civetta, che
havesti intorno mille Uccellacci. Fosti Aquila, che di cuori non mai satolla,
tanti ne ghermisti, quanti di amar ne fingesti. Fosti Lionza, che tante viscere
lacerasti, quanti colle tue arti, se non cogli artigli, petti assalisti. Fosti
Lupa, che della Carne ghiotta, festi altretante prede lasciva, quanti passi
vagante. Alle tue labbra di rose furono intorno tante spine, quante parole,
colle quali pungesti tanti Mosconi, quanti Amatori. La tua Vanità ti empiè la
testa di vento; la tua Ambitione ti colmò il capo di fumo; la tua Sensualità ri
radunò nel cuore tanti carboni accesi, quanti pensieri avvampanti. Fosti
un'Helena, che cagionasti gl'Incendij. Fosti un'Europa, che ti lasciasti rapir
da' Tori. Fosti un'Isabella, che sempre havesti appresso il Zerbino. Fosti
un'Angelica sempre col tuo Medoro. Fosti una Venere, a cui, se mancò un Adone,
non mancò un Marte. Fosti [276] una Semiramide, che fe' la Città,
Babilonia. Nel Tempio ti festi idolatrare da' tuoi seguaci, & incensare da'
cuori impuri. Ardisti, di presentarti a Dio, quando ardesti in rogo di fiamme
illecite, & in faccia del Sol'Eterno, fra gli odorosi profumi, sulla
catasta delle tue Colpe, ti riputasti di Bellezza Fenice, e non fosti, che un
Verme di sordidezza ravvolto nelle tue ceneri, e serpeggiante sopra la Terra.
Impolverata i capelli, ti gittasti la polve negli occhi più, che sul crine,
poiché non vedesti i tuoi precipitij; e coperta di seta, & adorna di Gemme,
fosti tanto più nuda, e povera nell'interno, quanto meglio apparisti
nell'esteriore addobata. Oh te felice, se tanto studio havesse consumato il tuo
Genio in abbellire l'anima tua quanto tempo perdesti in coltivare il tuo corpo!
Hor, che cominciasi ad infienare, dov'è il frutto, dove, di tanti fiori? Ti
penti di haver peccato; ma più forse ti affliggi di non poter più peccare.
Consideri, che tutta tua Vita passò come un'ombra, & hor'apri gli occhi al
Cielo, giaché comincia a non più mirarti la Terra. Sospiri curva agli altari,
non so se più dalla debolezza degli anni, o per la Divotione degli affetti.
Vedi sfiorita la tua Giovinezza, e non piagni le colpe passate, ma le sciagure
imminenti. Se ti fosse data balìa di chiedere, o di esser rinovata d'età, o
d'esser'assoluta dal reato [277] de' tuoi Delitti, non metto in
dubbio, che accetteresti più che il secondo, il primo. Questi tuoi ricorsi a
Dio son più, perché ti conservi la Vita, che per impetrarne la Gratia. Hor, che
comincia ad albeggiar il tuo pelo, vorresti poter'imbianchire il tuo cuore; ma
se per tanti anni vi fe' fuoco l'Amor Profano, altro vi vuol, che una man di
latte per abolire tanta caligine. Quante son le tue macchie, tante han da
essere le tue lagrime; e quante acque stillasti per mantener succoso il tuo
bello, tante dei lambiccarne per incandidir'il tuo Spirito denigrate. Così
potrai comparire ad obbligar FRANCESCO, che Protettore ti sia; non havendo Egli
Merito, per Chi non ha dolor, ma perfetto, di haver'offeso quel Dio, che fu da
lui tanto, con ogni mondezza servito.
Se sei un Prelato, ma non qual dovresti essere,
che fai al Santo ricorso, rifletti nelle tue circostanze, & osserva te
stesso torcendo gli occhi alle procedute della tua Vita passata. Mira se fosti
chiamato all'Honor della Prelatura, come un Aronne, o pur se vi fosti balzato,
come un Simone, volando al tuo Precipitio. Se fosti promosso dal Merito, o dal
Favore. Se per haver corteggiato il tuo Principe, o per haver servito il tuo
Dio. Se i tuoi Talenti dell'Arca, o pur quelli dell'Animo ti comprarono la
Dignità. Se per la [278] Porta entrasti nell'Ovìle, o per la Finestra.
Se scorticasti le tue Pecorelle, o pur le vestisti. Se pascesti te stesso più
della Greggia. Se fosti della Corte della Terra più, che del Cielo. Se ti
attaccasti all'Interesse più, che al dovere. Se servisti alle Dame più, che
agli Altari. Se promovesti a' Beneficij li tuoi dipendenti più, che gli altrui
Meriti. Se i tuoi Dimestici furono Colombi, o Grifi. Se la tua Mensa fu Parca,
per abbondar maggiormente di pane a' Poverelli, o per ucciderli colla fame,
come con falce nel discacciarli dalla tua porta, mentre i Parasiti, gli
Adulatori, & i Turcimanni tuoi hebbero sempre per quella franco l'ingresso.
Se studiasti più nel Libro de' Conti, che de' Vangeli. Se per lasciare ricchi i
Nipoti, impoveristi i Pupili. Se fu in te la Sagra fame dell'Oro più che non fu
la sete della salute del Prossimo. Se intrecciasti il Mirto alla Mitra, e
l'Ellera al Pastorale. Se in vece di perseguitare il Peccato per estirparlo,
perseguitasti il Denaro per possederlo. Se la tua Cancelliera fu l'Avaritia, e
non l'Equità. Se la tua Famiglia fu sordida, e non Innocente. Se le tue Visite
durono Caccie di Monete, e non d'Anime. Se li tuoi Scudi furono della Scrittura
Doppia, e non della Semplice. Se trattasti di accumulare più contanti
nell'Arca, che Anime al Paradiso. Non più; che basta la tua Coscienza più, che
[279] la mia Penna a traffiggerti per farti ravvedere, e tornar'in
dietro, prima di produrti a chieder a Dio le Gratie per l'interpositione del
nostro Santo.
Se sei Ecclesiastico indegno del Grado dignissimo,
esaminando i tuoi falli commessi, prima di esibirti a FRANCESCO, procura di
corregerli con emenda opportuna, per non incontrare una giusta ripulsa. La tua
Ignoranza nodrita dal regalo, la tua Vita passata fra le delitie, la tua
rilassatione ampliata dalle commodità, tutt'altro, che Gratie debbono chiedere
a Dio, se non procuri di essere qual'esser dovresti. Fosti Scandalo vivo col
mal'Esempio: fosti Pecoron morto col mal'odore. Osasti mescere diferenze così
contrarie come il Ministero di sagro, e la Profession di Profano. Scialacquator
del Sangue Divino, bevesti la morte al Calice della Vita, mangiasti le tenebre
alla Mensa del Sole. Nodrito dell'Agnello Eucaristico divenisti ogn'hor più
Lupo famelico; e del Pane degli Angioli pascendoti, come un Cane, latrasti più,
che non pregasti, nel recitar indevoto la Santa Messa; & in offerire quel
Sagrificio incruento, non ti mondasti in quel Sangue purissimo, che lava tutte
le macchie, e leva tutti li nei dell'Anima, che dalla Gratia è condotta ad un
bagno sì salutare; ma t'intridesti colla stessa purità, ti oscurasti colla
luce, ti avvelenasti [280] coll'antidoto, ti ammalasti colla salute,
ti feristi col balsimo, ti danneggiasti col rimedio, e ti uccidesti colla Vita.
Se sei un Regolare solo di Nome, fa un circolo della tua riflessione, col
ritornare in te stesso, e vederai, che nel Chiostro non sei più, che un numero,
un Zero. Et a che unisti, o inutile Giornaliere? Perché stai qui tutto dì
otioso, e non fatichi nella Vigna Vangelica? Lasciasti il Secolo, o pur lo
portasti teco? Sei un Vomito del Mondo, che come inutile rifiutotti; & a
guisa di corpo morto, fosti gettato su queste rive per ammorbarle, ne' tuoi
costumi fetente. Ti strinse un cingolo i lombi all'hor, che doveva una corda
strignerti il collo, perché mentisti quando giurasti al Signore d'essergli
fido, poiché tante volte l'offendesti, quante il tradisti. Il Tradisti perché
gli promettesti la Povertà volontaria; ma dopo di haverla lasciata nel Secolo,
da cui ti discacciò la necessità, unisti a Saccheggiar'un Commune intero, &
ad usurparti ciò, che non è tuo, mietendo ciò, che non seminasti, e
raccogliendo ciò, che coltivar non sapesti. Sei un gran Bue, e pur ti mostri
tanto nemico del faticare, che non puoi sopportar'il gioco, e strascinando
l'Aratro, non sai tirare solco diritto. Meglio dirotti un Somiere, già che vai:
sempre colla carica, più delle tue colpe; che de' tuoi Governi, ne' quali
[281] t'intrudi, colla Politica del Demonio, che non reca solo, che
fumo. Perché non sai esser Pecora nell'Innocenza, procuri d'esser Pastore
coll'Ambitione; e perché sei vano, e fumante galleggi, & ascendi.
T'inorgogli fastoso, e non ricordandoti de' tuoi Principij, che furono così
bassi, benché originati dalla Montagna, appunto come disceso da un Monte hai
sempre in testa il fine di sovrastare. Oh te Beato, se non cercasti altra
Eminenza, che sul Calvario, e se havesse il tuo Spirito appreso ad abbassar il
capo dal Crocifisso, il quale fatto ubbidiente fino alla Morte, altra Prelatura
non volle, che su la Croce. Il tradisti ancora perché promettersti di
assiepar'il tuo Celibato di spine, ma cercasti di sepellir'il tuo cuore nelle
Rose di Eliogabalo. Il tradisti pure, perché gli voltasti il tergo, e ti festi
veder nel Mondo vagante, & attuffatto fino alla Gola negl'Interessi
Secolareschi, e per essere Libertino, temesti forse, che i Chiostri ti
cadessero in testa, perché così di rado vi dimorasti. Non havendo di Religioso,
che l'Habito, havesti tutti gli Habiti di un Mondano, & insoportabile per
la tua rustichezza nativa, non mai ti rallegrasti nel Signore, perché cercasti
di offenderlo, quando dovevi servirlo, e fuggisti dal suo Costato per incavernarti
ne' ridotti de' Peccatori a darti buon tempo; ma non ti avvedesti, che quegli
stessi, [282] i quali ti furono compagni nel gongolare, ancorché della
tua farina, si scandelazzarono della tua sbrigliatezza. O pazzo in effetto, che
qual Luna in quintadecima tosto ti muti, perché non mai sai star fermo; ma vai
sempre in peggio: dov'è la tua Religione, se quasi mai non la vedi? Dov'è la
tua Modestia, se così sfrontato dimostri la tua Impudenza? Dov'è la tua Carità,
se non ami sol, che te stesso, non cerchi sol, che il tuo Commodo, non procuri
sol che 'l tuo Interesse? Dov'è il suo Studio, se altro Studio non fai, che di
mantenerti contento, & altra applicatione con hai, che alla Vanità? Dov'è
la tua Astinenza, se t'immergi nel cibo a guisa di Bruto, e ti sommergi nel
Vino come un Sileno? Dov'è il tuo Silentio, se come le Vespe ronzando t'aggiri
ogn'hora, e come i torrenti sassosi non sai camminar senza mormorio? Dov'è la
tua Humiltà, se non havendo alcun Merito, cerchi con tutte l'Arti di haver ogn'un
Suddito, e non essendo, che spuma sempre sovrasti? Dov'è la tua Oratione, se
altro non mediti, che il mantenerti in posto, altro non rumini, che di tenerti
in piedi, altro non pensi, che di goder il presente, e di aspirar al futuro
Dominio; & in vece di procurare d'esser sinceramente perfetto, sempre con
inganno procuri d'esser Prefetto? Dov'è la tua Ingenuità, se ti rode l'Invidia
dell'altrui Virtù, e [283] come Nottola fosca guaisci, perché non puoi
soffrir gli splendori dell'altrui Merito? Dov'è la tua Semplicità, se vai
sempre colla maschera, doppio nel cuore, doppio di volto, Scorzone di molte
scaglie, Anfesibena di due teste, Camaleonte di più colori, Serpente di
numerosi raggiri. Dov'è la ritiratezza, se Vagabondo trascorri, errante di piè,
come d'intentione, e per esser'Individuo Vago, sei così bruto, che chiunque ti
mira, si stomaca. O Mostro degenerante dalla tua Specie, deh mira come mal
comparissi così diverso da tanti, che la decorano. Fissa l'Attentione in tanti
ottimi Religiosi, che spirano Maestà nell'esser Humili, la Purità ne' costumi,
la Santità nelle Opere, & il Sapere nelle Fatiche. Non Simulati, non
Hippocriti, non fumosi, non tramanti; ma schietti, sinceri, luminosi, e retti,
e pur non bastano co' loro chiari riflessi ad imprimerti nel viso il rossore. E
perché dunque se' tu Napello fra l'Antore? Perché sei Feccia fra tanti rivoli
così purgati? Perché sei Lucciola vagante fra tanti Astri fissi? Perché sei
Vapor impuro fra tante stelle preclare? Perché sei Avvoltoio fra tanti Cigni?
Perché sei Fuco fra tante Pecchie? Perché sei Giuda fra tanti Apostoli? Se
indossi un Habito Nero, perché non lo stelleggi di lumi esemplari ad emulatione
de' tuoi [284] Fratelli? Se il porti candido, e perché ti vesti dentro
di tenebre, tralignando da tanti, che professano interiore, nel Claustro, più
ch'esterna la Candidezza? Se vai coperto di cenere, perché non covi nel petto
quel fuoco sagro, con cui ardono tante Fenici di Penitenza? Se la tua Tonaca è
di color di terra, perché non ti sepellisci dentro, morto al Mondo il Spirito,
e mortificate al Senso le tue Passioni? Ah che non imiti punto l'esemplare del
tuo Istituto, e per conseguenza l'Istituto del tuo Esemplare. Quando tale tu
sij non ricorrere a' Santi, perché questi non esaudiscono Chi non vuol
camminare a pregarli sopra le loro Vestigia. Quelle di FRANCESCO furono tutte
diverse dalle pedate, che tu stampi, come tutta diversa è la strada, su cui
t'inoltri.
Se sei un Cortigiano, che a lui t'inchini per
ottenerne l'assistenza opportuna, entra ben nel tuo cuore col tuo pensiero, e
quivi discorri sulla tua Vita passata. Errai, che non hai cuore, perché se
n'andò tutto in fumo, e non havesti mai Vita perché sempre moristi nella
Speranza. Ma se tu non sei nella Corte come un Issione sopra la ruota, figgi
pur il tuo Genio nel Paradiso, che vi troverai FRANCESCO pronto a soccorrerti.
Egli, che bazzicò, ma senza cader, nelle Corti, sa che pochi san bazzicarvi
senza cadere. L'esser [285] un Huomo di Desiderij Celesti come Daniele
in mezo a' Lioni giubbati, che degrignano i Denti per divorarne l'Innocenza, e
per lacerar il Merito agguzzando le Unghie, è spettacolo da provocar i Beati a
dar aiuto, e da mover Dio a mandar gli Angioli per provederti di quel Pane di
Consolatione, che conferma il cuore dell'Huomo. La Corte è un Mare, dove
un'onda procura di disfar l'altra, e di spignerla a consumarsi sopra la Sabbia:
Dove sono insidiosi gli Scogli, e sempre tese le reti: Dove la spuma galleggia,
e si affonda l'oro: Dove, chi è voto, sovrasta, e chi è pieno, è sommerso: Dove
son Orche voraci, Tritoni accigliati, Glauchi tempestosi, Balene ingorde,
Sirene infide, Venti scatenati, Alghe infruttuose, Flutti superbi, Acque amare,
Calme fallaci, Zeffiri brievi, Corsari scaltri, Aquiloni torbidi, Nebbie
oscure, Nubi fulminee, Flussi frequenti, Maree incostanti, Seccagne nascoste,
Fondi profondi, Pescadori notturni, Vele gonfie, Tridentati Nettuni, Cani
dentati, Galatee vane, Delfini storti, Conchiglie sceme, Granchi retrogradi,
Cappe tonde, Porpori tenaci, Echini spinosi, Anguille guizzanti, Torpedini
oscure, Tonni balordi, Naufragi Certi, e Porti pericolosi. Parlo della Corte,
che non è Santa, che non ha per Carta il Vangelo, che non ha per Tramontana la
Gratia, che non ha per lido la Religione, che [286] non ha per aura lo
Spirito Santo, che non ha per continente la Continenza, che non ha la Fede per
moto, che non ha il Cielo per meta. Se tu ti trovi in questo gran Mare
ingolfatto, rivolgiti a FRANCESCO Stella Polare con tutto l'affetto compunto, o
non dubitar, ch'Egli non si salvi, se sei agitato, e quasi absorto dalle
tempeste, che t'improcellano l'Animo. Ma bisogna, che in questa Corte tu sij
Crocifisso con Christo, o che tu n'eschi come Pietro a piagnere d'haver tante
volte negato il tuo Dio, quante più, che a lui, hai servito al tuo Principe,
così da quello diverso. Deh quante Veglie patisti, quante Voglie havesti senza
alcun frutto? Oh te fortunato, se così bene havessi servito al Cielo, e se il
tuo Martirio di tanti anni, ti havesse prodotta un'Aureola in Cielo, mentre
quaggiù ti ha lasciate le Palme nude, e secchi gli Allori. Buon per te, se
fossi stato Cortigiano del Paradiso, & havessi dato il tuo Spirito
ossequioso, la tua Servitù stentata, i tuoi giorni svaniti al gran Principe
dell'Empireo, che per un sospiro ti dà un Regno, per una lagrima di dolore, ti
rende un fiume di contentezza, per un atto di Amore ti dà un possesso di
Gloria. Ancora ti trovi in tempo; ma non perderlo più, e già che FRANCESCO
seppe mortale ben dar consiglio a' tuoi pari, tanto meglio potrà di lassù darti
aiuto, & inspirarti [287] il respiro, perché tu eschi delle
angustie, e porgerti il filo, accioché non ti perdi nel Laberinto, in cui ti
trovi ravviluppato.
Se sei un Mercatante, ma criminoso, considera, che
tante volte hai fallito con Dio, quanti traffichi hai havuto col Mondo. Rivolgi
le tue Partite, e vedi, se sono più i Debiti, c'hai contrati, che i Crediti
c'hai descritti. I tuoi guadagni ti ferono perdere; le tue Contrattationi ti
resero intrattabile, le tue Merci ti caricarono più la Coscienza, che il
Fondaco, le tue Monete ti comprarono la Dannatione, le tue Fiere ti ferono
divenir una Fiera co' Poverelli, i tuoi Conti ti ridussero a non far conto
dell'Eternità, i tuoi Cambi ti cambiarono in huomo animale, che non capisce il
Negotio, che più importa, le tue Usure ti ferono per la temporanea Sorte
smarrir l'eterna, i tuoi Monopolij ti cospirarono contro, più che tu non festi
co' tuoi adherenti contra il ben publico, i tuoi numeri si convertirono in
Zeri, perché sommando bene dopo havere perduto il Cielo dedurrai un Nulla.
Dunque fa il conto meglio, & intendi quella gran Massima del Crocifisso. Quod
prodest Homini si universum Mundum lucretur, animae verò suae detrimentum
patiatur? Acquistar' tutto il Mondo, e far gitto dell'Anima, oh che
delirio! Ben pur, se puoi loto il Rio della Plata, che sempre sarai
[288] tormentato dalla Sete dell'Avaritia; ma quel, ch'è peggio dalla
Fame di un Dio, che doveva esserti l'alimento più sustantioso nell'altra Vita.
Nell'altra Vita, oh Cielo! Ma se tu non la credi, e tutto il tuo pensiero si
fonda in questa, che mentre ti piace fugge, e mentre ti arricchisce ti spoglia.
Ti spoglia della Gratia, Tesoro così pretioso; e pur da te sì negletto. O
delirio! O Scempiezza! O milensagine! Deh cangia di partito, e non volere, per
lasciar'agiati gli Heredi, incommodart'in eterno. Dimanda a FRANCESCO la tua
Salute, che questo è l'affare, che più ha da premere a chi è creato per la
Gloria, e non per la Terra. Per la Terra, che tanto t'impania col suo fango;
che alla fin non è l'oro, sì come ne porta il colore, che fango sodo; ma non
perciò atto a farvi su fondamento, perché quanto più sopra il pensier vi fermi,
tanto più presto ti manca.
Se sei un Soldato, oh come bisogna qui abbatter
l'armi per presentarti a FRANCESCO tutto pacifico, e mite. Non è amato da un
Humile Chi porta il cimiero. La tua Spada ha la Croce affissa nell'elza; ma non
so, se tu v'habbi mai creduto. Non ti ricordasti di Dio, se non quando
spergiuro ne giurasti il Nome adorato. Il Nome Santo; e terribile, a cui si
curvano tutte le ginocchia Celesti, Terrestri & Infernali; se pur tu non
tremasti quando [289] nel pronunciarlo fremesti. Il rinegasti i
rinegasti più volte, e 'l facesti un fulmine de' tuoi sdegni, quando meritasti,
che si convertisse in folgore a punire le tue bestemmie. Ah Dio volesse, che tu
potessi spargere tante lagrime quanto sangue spandesti. Huomo avvezzo a star
sotto la corazza non ne contrahesti altro, che durezza. Il tuo brando fu terso,
e la tua coscienza fu ruginosa. Havesti il capo carico di chimere più, che di
piume, e 'l cuor più di piombo crudo che le tue palle crudeli. La tua bocca
vomitò più polvere, che quella della tua Pistòla, e la tua lingua, che quella
del tuo Archibugio. Deh se tal valore havessi mai tu a dar la scalata al
Paradiso, quale l'havesti a correre primo di tutti alla breccia di un Muro. Per
un poco di Gloria terrena fosti tutto braccia, e per un Immenso di Gloria
eterna fosti tutto Polmone. Le Trombe Martiali t'incoraggiarono alla Battaglia
contra il Nemico, e le Vangeliche ti assopirono verso il Demonio. Gli Allori
del Mondo, i quali non fruttano solo, che Bacche amare, ti ferono passar per
mille pericoli, e quelli del Cielo, che son feraci di frutti dolci, non
bastarono a farti soffrir una Penitenza. Versasti il Sangue per amor del tuo
Principe a gorghi, e non sai stillar a gocciole il pianto per amor del tuo Dio.
Non ti pesò l'Usbergo, e ti pesò il Vangelo. Sapesti frenar'un Corsiero
sboccato, [290] e non il tuo calcitroso Appetito. Non cadesti
agl'incontri delle lancie, e ti atterrasti ai colpi delle colpe. Fosti un Marte
in Battaglia, & un Adone in Città: Come Adone ti lasciasti sbranar dal
Cinghiale del Fomite: come Marte ti lasciasti cogliere dalla Rete del Vitio.
Soffristi intrepido le ferite del petto, ma non sopportasti insensato le
sferzate della Sinderesi. Riputasti Infamia il non batterti in Duello col tuo
Nemico, e ricusasti codardo di battere al pentimento il Demonio. Duro più dell'acciaio
fosti alle percosse de' Divini gastighi, e trahendo col brando scintille
dall'Elmo del tuo Contrario, non sapesti mai trarre col pentimento una favilla
dalla selce della tua ostinatione. Campeggiasti, vincesti, trionfasti; ma non a
Dio. Oh te glorioso, se havessi espugnato quel Forte, che tanto in te resiste
alla Gratia? Hor cerca di ritirarti a quartiere, perché si avvicina il tempo
hormai di essere riformato. Sciogli il Cingolo della Militia terrena, per
cignerti quello della Legge Celeste. Il Paradiso per assalto si prende; &
il Tempio è la parte più facile per l'Intrapresa. Sia la tua Scala la Croce,
quella che ti presenta FRANCESCO; e non dubitar di un successo fausto, perché
se un ladro all'ultimo de' suoi respiri scalò l'Empireo, ben anche potria
seguire, che vi giugnesse a forza di Penitenza un Soldato.
[291] Se sei un Giudice ingiusto, oh qual
t'attende il Tribunale della Giustitia Sovrana. Violando le Leggi di questa
torcesti la Verità col Diritto, che ti servirà, se non cangi sentiere, per
andartene diritto all'Inferno. I tuoi Codici, furono gli strumenti (per
servirmi del terminiglio Spannuolo) della tua Codizia. Mugnesti i
Clientoli fin a cavarne l'ultimo Sangue, e gli lasciati esausti, perché li
riducesti all'ultimo fiato. Hai tranghiottiti più Pupilli, che non hai vergati
Paragrafi; e fosti l'Herode di tanti Innocenti, quanti furono quelli, che
uccidesti colla punta della tua Penna crudele. I tuoi Libri ti somigliarono,
con esser Corpi senz'Anima, solo da te dissimili perché legati, e tu dissoluto.
Le tue Sentenze furono cieche, e sorde. Cieche perché non videro la Bella
Astrea: Sorde perché non sentirono la Giustitia gemente. Fissasti l'occhio più
che nel Cielo, nell'oro: Apristi l'orecchio più all'Interesse, che alla
Religione. Hai più peccati nella Coscienza da digerire, che Digesti nel tuo
Studio da masticare. Hai più note nell'animo da cancellare, che postille ne'
Decretali da leggere. Hai più Liti da sciorre con Dio, che non ne intrigasti
nel Mondo. Mira un poco le pandette dell'Anima tua, che vederai quante
Decisioni contra te se ne cavano, e da quanti Articoli sei proscritto, Huomo
dishumano, che scorticasti tanti, quanti a torto dannasti, [292] e
perciò così doppio, e di tante scorze, perché ti sei foderato con tante pelli.
Ma già la Ruota del giro eterno per gastigarti ti attende. Se fosti un
Radamanto feroce, sarai un Issione dolente. Già ti prepara il Giudice
inappellabile la tortura, per farti confessar tanti torti, che alle sue Leggi
tu festi, e per condannarti al Patibolo attroce di una Morte Immortale.
Rifletti, se ti sta meglio confessar torturato dal tuo Pentimento, o dal tuo
Delitto: Se ti torna più a conto pendere dalla Croce con Christo, o da una
Ficaia con Giuda. Da una Ficaia, che maledetta dal Salvatore doveva servir di
Forca, per non haver alcun frutto, ad un Ladro, Fellone, che con far condannar
l'Innocenza, morì nell'Impenitenza dannato. Horsù non più, ch'Io vuo' dar
isfogo dopo la mia Suasoria al tuo pianto. Parmi di vederti già humide le
palpebre, perché figgi una volta gli occhi nel Sol di Giustitia. A sospirar ti
lascio, & a risarcir l'altrui danno coll'Equità, a lavar colle lagrime le
tue sozzure. Se vuoi vincer questa gran Lite, che ti muove la tua Coscienza,
prendi FRANCESCO per Avvocato, che sarai appellando dalla Giustitia, alla
Misericordia Divina, col di lui mezzo assoluto.
Così far debbono, tanti, e tanti altri, ch'Io qui
non adduco con questi, più, che a corregere ad istruire. Da ciò, che scrivo
[293] qui di sopra, ogn'uno secondo il suo Stato, potrà emendar'il suo
fallo, e formarsi a suo talento le pratiche, per prepararsi al Divoto Esercitio
de' Tredici Venerdì, ad impetrare dal Santo, prima d'ogn'altro dono, la
salvezza dell'Anima.
A questo intento ha da precedere una stringatissima
Confessione: Non già di quelle, che si fanno per vezzo, e senza il ramarico,
con cui si debbono, come col Sale, condire, per renderle incorrotibili. Bisogna
entrare nel Confessionario, come nell'Arca, & uscirne Colombo, e non Corbo.
Colombo, che gema, e non Corbo, che gracchi.
In proposito del Corbo, Simbolo in tutto del
Peccatore, singolarmente recidivo, fu osservato dal Caietano, tirandone la
Notitia del Testo Hebreo, che dopo cessato il Diluvio trasmesso a riconoscer
l'aria da Noè, exivit eundo, & redeundo. Cominciò a svolacciare,
quel Neron de' Pennuti, e riconoscendo la Campagna ancora innondata tutta di
cadaveri galleggianti, non trovando alcun ramo da far calata, s'intimorì, e
fatte alcune spire nell'aere, tornossene all'Arca, ma dalle Carogne col puzzore
allettato riprese il volo, e cominciò a posarsi sovra un Carname, & a
trinchiarlo alla sua famelica voracità con quattro beccate; ma rimirando
intorno, e non iscorgendo alcuna sicurezza per lui da posarsi in asciutto il
[294] piede s'intimorì di nuovo, & all'arca la seconda volta si
rese; Ma ghiottò della Civaia, andò, e tornò tante volte tra la brama, e 'l
timor'indeciso; che alla fin fine se ne restò sopra le Carogne. Hor tanto fa
colui, che per timor si confessa; Va, e viene; si pente, e riede al peccato, e
più la carne all'ultimo, che la paura del gastigo l'arresta.
Chi volta le spalle alla Pentapoli della Colpa,
stia in cervello, e non vi torca più il guardo. La Moglie di Lot, fu convertita
in Statua di Sale, perché diede un'occhiata contra il divieto divino a quel
Luogo, dove lasciava il cuore. Con quel Sale volle Iddio condir la milensagine
di coloro, che pensano di esser tosto, che sono assoluti dal Confessore rinati,
quasi modo geniti Infantes. È vero, che tutto può la Gratia; ma se poi
si riede a morire, che farà? Un'altra volta tornar'a vivere confessandosi.
Indi, che ne avverrà? Far di nuovo un passo alla morte. Ahi quante son poche le
Confessioni, che sieno perfette; e principalmente per una tal insensibile
Indeliberatione di più non peccare.
Non parlo qui dell'Atto di Contritione. È costato
la Vita a Dio per meritarci il farlo, & il farlo bene, e con tutta
l'energia dello Sforzo più intrinseco. Oh Sommo amabilissimo Amore, così vi
sapessi amare, come vi ho saputo offendere: [295] Così sapessi
dolermi di havermi offeso, come so conoscervi di non havervi amato. Se non vi
fosse né Paradiso, né Inferno pur Voi, o Bontà infinita, sareste amabile senza
eguale, perché siete il mio Dio. Voi mi creaste di un nulla, & io per un
nulla vi offesi. Hora vorrei pentirmi; ma non so come, perché il Peccato ancora
mi tiranneggia. Protesto però, che se potessi col morir non haver peccato,
morrei volentieri; E se peccando dovessi salvarmi, e non peccando perdermi
eternamente, vorrei più presto perdermi, che salvarmi, per non offendervi.
Con somiglievoli affetti ti disporrai a formar un
atto di Contritione, che tanto più fie perfetto, quanto più svelto intimamente
dall'imo delle tue viscere, e dal più profondo dell'Anima tua. Indi, tu
preparerai a quel Sagro Convito, che in un boccone esibisce imbandito, benché
velato, quanto si mangia per tutta l'Eternità nella Gloria.
Iddio non sol si compiacque di appicciolirsi
nell'Incarnatione, ma volle ridursi ad un minimo Indivisibile, perché nel tuo
cuor'indiviso tu l'accogliessi. Di Creatore si fe' Redentore, di Redentore
Alimento di Pastore divenne Agnello, di Agnello si cangia in Pane. Oh che Pane
di Vita a Chi degnamente se ne nodrisce! Oh che Pane di Morte a Chi
sacrilegamente se ne fa Cibo! Cibo d'ogni sapore, disceso dal Cielo, come la
Manna, in cui [296] si gusta in epilogo tutta quella Dolcezza, che
nella Beatitudine coll'Intelletto chiarificato si gode. Pegno della futura
Gloria, che tanto vale, quanto la Gloria medesima. Questo è il Favo, che in
quattro parole distillò dalle labbra dello Sposo dell'Anima. Questa è la
Mammella, onde succhiano latte i Regi. Questo è il Fonte, a cui bevono per
refrigerarsi gli assetati del Paradiso.
Prima di attuffar il tuo Spirito in quell'acque
della Gratia, che ne dirivano, considera, che sono queste, come quelle del
Nilo, che correvano torbide, e sanguinose all'Egittio, limpide, e salubri
all'Hebreo. Se sei uno Scarafone non riposare su questa Rosa, dal cui candore
puoi ben comprendere, che per libarla dei haver la purezza di un'Ape Verginale,
che ne succhia il mele, quando il Ragno ne trahe il Veleno. Il Sol Divino si
veste dell'Alba monda negli Accidenti, a dinotare quanto delle tenebre sia
Nemico. Se sei una Nottola non ti appressare, che ti trafiggerà quella Luce,
che alletta le Aquile. Un Cibo è questo, che si converte in Medicina a Chi si
trova ben preparato, & in Morte a chi è pieno di humor peccante.
La Messa, che tu farai celebrare, secondo la
Formola premessa, ogni Venerdì, sarà del Santo quando non sia il Giorno
legitimamente impedito; ma quando non [297] possa, secondo il rito
ecclesiastico, esser tale, colla Colletta sempre di S. FRANCESCO, verrà,
secondo la tua intentione, applicata.
Se non haverai modo, di farla dire, la sentirai
con divotissimo affetto, sacrificando il tuo Cuore svenato dal Pentimento a'
piè del Crocifisso sopra l'Altare, e per esser gradito offerirai all'Eterno
Padre, col Sacerdote la Vittima del suo Diletto Unigenito.
Quando ti trovi dalla necessità costretto a non
poter presentare le tre Candele, ciò non ti affligga. Basta, che ardano i tuoi
candidi Affetti in faccia del Santo. È questa una Cerimonia estrinseca,
connotativa de' Lumi interni di Fede, Speranza, e Carità. Se questi
fiammeggiano nel tuo Spirito, importa poco, che non possano splendere nel loro
Simbolo. Accendi pur tu le tre Potenze dell'Anima tua con queste tre Virtù:
l'Intelletto colla Fede, la Memoria colla Speranza, la Volontà colla Caritade,
che non ti mancheran Luminari, per farti ben veder da FRANCESCO, gran
Professore di queste tre Virtuosissime Prerogative, quando fu Mortale, &
hora, che Vive in Eterno, dalla Carità tutto acceso.
Se ti costrignesse l'urgenza ad interporre uno, o
due Venerdì, de' Tredici prefissi, non accade ripigliarli da capo, ma dei
proseguirgli: il che non par convenire in [298] evento, che per
incuria disaccurata, o con interstitio troppo sensibile, venissero separati;
onde giudico per tratto più decente, e sicuro, in tal suppositione
ricominciarli.
Colle sovrascritte Circostanze dimanderai al
Santo, che si compiacia d'esserti intercessore all'Altissimo della Gratia, che
chiederai con ogni Humiltà; non secondo il tuo senso, ma nel Nome di Gesù
Crocifisso, e per lo Merito di FRANCESCO, E quando tu non l'ottenghi, tieni per
infallibile; che la negativa, più che il Dono conferisca tuoi interessi, non
solo eterni, ma etiandio temporali.
Non ti raccordo qui la Gratitudine del Santo per
essere così nota, che se ne potria far crescere un grosso Volume. Leggi la di
lui Vita, e troverai, che ad imitatione del Rimuneratore Sovrano, ha dato
sempre cento per uno, facendo Usura pijssima de' Prieghi, che gli si porgono, e
de' Benefici, che alla sua Religione si fanno. Si sa in molti Luoghi (& Io
potrei giuridicamente attestarlo) che molti Divoti di FRANCESCO lasciarono
Herede il di lui Ordine delle loro Facoltà, o gli disposero, negli atti
dell'ultima Volontà rivelanti Legati, quando fosser mancate le loro Linee: e
che i Figliuoli di Essi evidentemente, e per molti anni essendo vivuti sterili,
e cagionevoli de' corpi loro, hebbero ricorrendo a FRANCESCO, [299]
con divoto stupor di ogn'uno, felice Prole. In contrasegno, che il Santo ancora
nel Paradiso amator dell'Humiltà Povera ne' suoi Minimi, non gusta di mirarli,
che colle ricchezze spirituali ingranditi; o pure perché corrisponde, senza
interesse, come Beato amorevolissimo, a Chiunque confida in lui, ancorché ne
risultino pregiudicij notabili a' suoi Monasteri.
Per ultimo ti ammonisco a non ti tenere per
riggittato, quando tantosto non conseguisci dall'esercitio di questa gran
Divotione l'intento. Non ti stancare, ma riprendi l'istanza; e come la Cananea
opportunamente importuna. So Io, che molti, replicando più volte questa
fruttuosissima Pratica, come Caccia Spirituale, arrivarono alla fine la Preda,
e con una Santa, e pertinace ostinatione espugnarono il Cielo, le cui Porte ad
un sol picchio, non vengono mai aperte. Iddio gode di essere ossecrato, e vuol,
che crescano i Doni alla misura de' Voti; Et il
Crocifisso, Mistica Pietra, colle
goccie continuate del pianto
cavandosi apre a disgorgo la
Vena delle sue ineffabili
Misericordie.
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