VENERDÌ
DEL PROSSIMO.
Si sa per certissimo, che i due Poli della
Religione Cattolica sono l’Amor di Dio, e del Prossimo. Chi non travia da
questi due Tropici può dir di correre perfettamente tutta l’Ecclitica della
Legge.
Da questi due Punti fissi si deducano
paralelle le Linee della Perfettione, le quali vanno a terminarsi con quella
dell’Eternità interminabile. Tutte le altre, ch’escono fuori della Proportione
di esse, dal vero Centro obliquando, non sono capaci di rettitudine, onde
rimanendo interrotte, o stravolte si perdono erranti: appunto come Alfeo, che
si sotterra vagando senza legge di corso: Simbolo degli Amanti del Mondo, che
cercando per intorti, e limacciosi sentieri le vaganti Aretuse [332]
delle lubriche Contentezze.
Questa fruttuosa Dottrina si coglie
dall’Albero della Croce. Quando si trattò di riscattare l’Anime Schiave, di
tirar’al Cielo l’Anime schive, venne il Figliuol di Dio nella Pienezza del
Tempo, ma più dell’Amore, a correre con passi di Gigante la carriera della
Passione. Passò per tutti li segni del Zodiaco Mistico, come il Sole per quei
del Celeste. Entrò nel Segno di Vergine coll’Incarnarsi: Nel Segno di Pesci
nodrito dall’Astinenza: Nel Segno di Acquario, quando convertì l’acqua in Vino;
o pur quando pianse alla Morte di Lazaro. Nel Segno di Cancro, quando fu
bestemmiato dal retrogrado Hebreo: Nel Segno di Scorpione, quando fu baciato
dall’esecrabile Giuda: Nel Segno di Ariete, quando sull’Altar della Croce fu
Vittima bella come Innocente: nel Segno di Libra, quando sulla medesima Croce, Statera
facta Corporis sodisfece al rigore della Divina Giustitia: Nel Segno di
Gemini, quando fu alzato fra due Ladri confitto: Nel Segno di Capricorno
all’hor, che fiaccò l’orgoglio del Principe delle Tenebre: Nel Segno di Toro,
quando con tremendissimo grido, rimproverando, all’Huomo l’Ingratitudine sua, clamans
emisit Spiritum: Nel Segno di Sagittario, quando con una lancia, non so s’Io
la chiami cruda, o soave, unus Militum latus eius aperuit: Nel Segno di
Lione, [333] quando vibrando impassibile i suoi raggi più fulgidi
risuscitò dalla Tomba gloriosamente Immortale.
Tutte queste fatticose Carriere corse
l’Eterno Sole per la salute dell’Huomo. A cavar la Pecorella perduta dalle
zanne del Lupo Infernale, entrò il buon Pastore per le spine; passò per le
punte, sudò sangue, votò le Vene, stillò le lagrime, perdè la pelle, e per non
finir l’Amore finì la Vita.
Deh miralo fissamente, ch’Egli colla sua
mutolezza ti rimprovera la tua Ingratitudine; perché tu il pagasti di colpe, e
di nuovo colle colpe il piagasti, quanto a te, per cui di nuovo, se non
soverchiasse il Merito della sua Morte, tornerebbe al morire, per tornar’a
darti la Vita.
Ma non abbusò già FRANCESCO di un tanto Amore, che a lui servì sempre di
un Santo Esempio. Oh quanti rapì alle fauci di una Morte letale: oh quanti
sottrasse del Peccato agli artigli! Entrò con coraggio Vangelico nelle Corti, e
ne snidò col zelo di un Elia le Passioni. Chi non fu solito mai di
restar’abbagliato a’ fulgori dell’Oro, non hebbe mai paura de’ folgori della
Corona. Per guadagnar’i Regi all’Empireo intraprese Viaggi, ben’opposti al
Genio della cara sua solitudine: si mischiò nella folla del Mondo per cacciarne
i Giornalieri del Senso.
[334] L’Amor del suo Prossimo
fello scordar di sé stesso; e per ministrar col consiglio all’Anime il Cibo si
scordò di mangiare. Ma tanto poco era il di lui Nodrimento, che ben facile gli
occorrea lo scordarselo. Cavò dal capo degli ammorbati i Vermini velenosi; ma
più volte, e più da’ cuori de’ Delinquenti le Verminose Inclinationi.
Non fu canna vota per l’astinenza; ma
benché debole servì a molti cadenti di appoggio. Portò nella bocca il Mele per
la dolcezza delle parole faconde, ma non fucate; vi portò i Pungoli
nell’acutezza de’ suoi penetranti Ricordi: Così fu Ape, che andò a gli altri
più, che a sé medesimo mellificando. Il suo disegno fu sempre di preparare,
come Giovanni, al Signore una Plebe perfetta.
Anche una Maliarda accrebbe le conquiste
di lui, che seppe svellere le Anime dall’Abisso. Una Strega, di quelle, che nel
Reame di Napoli chiaman Magare, forse perché son Megere, e Furie non
favolose dell’Erebo, a’ Salmi di FRANCESCO divoti cadette i suoi Ensalmi
Sortilegi. Coronata d’Aspidi il cuore, se non il capo, li fe’ tutti scoppiar
colla Penitenza a cui l’indusse con Eloquenza Celeste il Santo, Prodigioso più
nel muovere il petto di una Donna insassito, che non fu in Paterno col fermar
le Rocche nell’Aria. Spettacolo degno del Paradiso, [335]
veder’un’Hecuba di costumi fetidi, cangiarsi tosto in un’Helena di Bellezza
interiore. Questa spietata Medea, che vantava di poter fermar nel Cielo la
Luna, e di sconvolgere l’ordine della Natura, divenne una Taide Penitente,
fissando gli occhi nel Sol’Eterno, che la fe’ lagrimare co’ raggi delle sue
ispirationi, traspirati per lo mezo di un Cristallo così puro, come FRANCESCO.
Disfè i suoi circoli l’Incantadrice profana, pensando al circolo dell’Eternità,
propostole da questo Santo Archimede, che l’abbagliò collo Specchio del
Crocifisso, e la gittò, prostrata, a’ suoi piedi, per chieder’a Dio perdono.
L’ottenne, perché fu Mediatore FRANCESCO, il quale tramutò in Agna colei, che
tante volte solea cangiarsi in Lupa. Sorda non più, non più sordida lasciò
l’Arte nera de’ suoi fumicosi Prestigi, mentre sentì le voci, de’ Divini
Precetti.
Di tal maniera FRANCESCO, a tutti
coll’Apostolo si fe’ tutto: e riputò quel tempo perduto, in cui non ampliò al
Crocifisso le Truppe, e non iscemò le Falangi all’Inferno. Deh come logorò le
ginocchia sul suolo, fatto immobile Statua nell’Oratione, per disimpetrir tanti
cuori nella colpa indurati. Scarnificò le sue spalle per provocar la
Misericordia con l’ossa nude ad assolvere i Rubelli del Cielo. Trafisse le sue
Viscere co’ Cilicij, [336] le sviscerò co’ sospiri, per impetrar la
Salvezza de’ Peccatori.
Ma tu, che fosti sempre tutto l’opposto, e
sempre festi al tuo Prossimo il Trabocchello per precipitarlo nel Baratro,
perché a tanto fuoco non ti arrossisci? Se sei stato un’Anima vaneggiante, deh
qual incendio non cagionasti nella Città, al brillare di tue pupille, che
scintillando accesero così vane; & a guisa di Lucciole andarono sempre
vagando per l’aria a farti correr dietro que’ tutti, che come fanciulli
insensati pendettero cogli sguardi dalle tue Mamme, le quali, come Lamia,
snudasti per allatar impudicamente tanti, che come fossero tuoi Cagnolini
dietro ti corsero.
Impura, che dirai tu, se quanto più bella
in viso, tanto più brutta in mente, anche nel Tempio profanato da’ tuoi sozzi
Amori, tingesti tanti col fumo de’ tuoi pazzi capricci? Et a’ piè della Vergine
vera Minerva, andasti girando il capo come Civetta, per uccellare que’ molti,
che ti ferono intorno con petulanza sacrilega, in faccia del Re de’ Reggi, il
corteggio? Ahi quanti smarrirono il vero Polo per seguir le tue Stelle,
Callisto oscena, che osasti condurre colle tue striscie impudiche, i vaporosi
affetti di tanti cuori a coprir irriverenti la faccia del Sol Divino?
Consimilmente ragiona (o Lettor mio)
[337] se festi il mestier di guadagnar seguaci al Demonio, che ha
tanti Procuradori, quanti son quelli, che spingono, o coll’Esempio scandaloso,
o con Consiglio perfido, o coll’Adulatione fallace l’Anime incaute a
prevaricare. Dunque non ti appagasti di perder la tua, senza multiplicarne il
Reato, col promover Complici de’ tuoi Delitti, dilatando non gli spatij della
Carità verso il Prossimo, ma del Peccato contra di Dio.
Gemi dunque in te stesso, o cuor deluso
dalle tue arti nefande, e non sia fugace il dolore come il diletto di veder
altri nella tua pania inveschiati. Ah, che ti penti, e menti, se non son fissi
i tuoi Pentimenti. Risarcisci dunque i passati Danni col procurar al tuo Prossimo
presentanei guadagni; e sei vuoi trovar le Gratie, che cerchi, cerca di trovar
l’Anime, c’hai perdute, e di ridurle insieme teco, escrimendo questi
tenerissimi.
AFFETTI AL CROCIFISSO.
Mio Dio, tanto Sangue, tante Pene, tante Piaghe? E
perché? E per chi? Per riscattare li vostri Schiavi: Et Io sono stato, così
sovente un laccio da imprigionar tanti miei Fratelli? Ah mio Pastore Amoroso,
voi vi feste scorticar per le vostre Pecore; & Io mi sono ingegnato di
metterle in bocca al Lupo? Alla vostra Greggia [338] doveva Io ridurre
le traviate; e pur le ho condotte al Macello? Questi vostri piedi piagati son
pur contrasegno, che voi camminaste sulle punte per rinvenirle. Et Io ancor non
apprendo da voi ad haver sete sopra la vostra Croce della Salute del mio
Prossimo? Mio amatissimo Redentore, infondetemi con una stilla del vostro
Sangue amoroso quella Carità, che tanto mi manca, & in voi fu cotanto
eccessiva. Deh fate, che amando Voi, ami ancora Chi voi amate: E poiché volete,
che ogn’un si salvi non permettete, che più mai per me pericoli alcuno, e che
col mio Esempio alcuno vi offenda. Concedetemi questo favore prima di ogni
altro; e poi, se così vi piace, se non è di pregiudicio alla mia Salvezza,
quello, che con tutte le mie viscere vi dimando.
SUPPLICA AL SANTO.
E voi, mio caro Beato, Pietà di quest’Anima, che
senza il vostro Merito di conseguirla diffida. Vorrei ben, che il dolore
d’haver’offeso in tante guise il mio Dio, e singolarmente per non haver’amato,
ma precipitato il mio Prossimo, andasse del paro colla confidenza, che ho nel
vostro potentissimo Patrocinio riposta. Pure non mi sdegnate, benché sia
bersaglio sol degno dello sdegno eterno, poiché così vi mostraste ardente nella
Carità [339] verso il Prossimo, come nella Carità verso Dio. O mio
gran Tutelare, son qui a’ vostri piedi, e mi pongo nelle vostre mani, accioché
in tutto mi soccorriate, pregandovi a consolarmi con quella efficacia, che fu
sempre propria del vostro aiuto.
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