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Francesco Fulvio Frugoni
I fasti del miracoloso S. Francesco di Paula

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  • I FASTI DEL MIRACOLOSO S. FRANCESCO DI PAULA,   SPIEGATI NELLA DIVOTIONE DE’ TREDICI VENERDÌ   PARTE SECONDA.
    • VENERDÌ QUARTO   DEDICATO   ALL’AMOR DEL SANTO   VERSO LA SALUTE DEL PROSSIMO.
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VENERDÌ

QUARTO

 

DEDICATO

 

ALL’AMOR DEL SANTO

 

VERSO LA SALUTE

DEL PROSSIMO.

 

Si sa per certissimo, che i due Poli della Religione Cattolica sono l’Amor di Dio, e del Prossimo. Chi non travia da questi due Tropici può dir di correre perfettamente tutta l’Ecclitica della Legge.

Da questi due Punti fissi si deducano paralelle le Linee della Perfettione, le quali vanno a terminarsi con quella dell’Eternità interminabile. Tutte le altre, ch’escono fuori della Proportione di esse, dal vero Centro obliquando, non sono capaci di rettitudine, onde rimanendo interrotte, o stravolte si perdono erranti: appunto come Alfeo, che si sotterra vagando senza legge di corso: Simbolo degli Amanti del Mondo, che cercando per intorti, e limacciosi sentieri le vaganti Aretuse [332] delle lubriche Contentezze.

Questa fruttuosa Dottrina si coglie dall’Albero della Croce. Quando si trattò di riscattare l’Anime Schiave, di tirar’al Cielo l’Anime schive, venne il Figliuol di Dio nella Pienezza del Tempo, ma più dell’Amore, a correre con passi di Gigante la carriera della Passione. Passò per tutti li segni del Zodiaco Mistico, come il Sole per quei del Celeste. Entrò nel Segno di Vergine coll’Incarnarsi: Nel Segno di Pesci nodrito dall’Astinenza: Nel Segno di Acquario, quando convertì l’acqua in Vino; o pur quando pianse alla Morte di Lazaro. Nel Segno di Cancro, quando fu bestemmiato dal retrogrado Hebreo: Nel Segno di Scorpione, quando fu baciato dall’esecrabile Giuda: Nel Segno di Ariete, quando sull’Altar della Croce fu Vittima bella come Innocente: nel Segno di Libra, quando sulla medesima Croce, Statera facta Corporis sodisfece al rigore della Divina Giustitia: Nel Segno di Gemini, quando fu alzato fra due Ladri confitto: Nel Segno di Capricorno all’hor, che fiaccò l’orgoglio del Principe delle Tenebre: Nel Segno di Toro, quando con tremendissimo grido, rimproverando, all’Huomo l’Ingratitudine sua, clamans emisit Spiritum: Nel Segno di Sagittario, quando con una lancia, non so s’Io la chiami cruda, o soave, unus Militum latus eius aperuit: Nel Segno di Lione, [333] quando vibrando impassibile i suoi raggi più fulgidi risuscitò dalla Tomba gloriosamente Immortale.

Tutte queste fatticose Carriere corse l’Eterno Sole per la salute dell’Huomo. A cavar la Pecorella perduta dalle zanne del Lupo Infernale, entrò il buon Pastore per le spine; passò per le punte, sudò sangue, votò le Vene, stillò le lagrime, perdè la pelle, e per non finir l’Amore finì la Vita.

Deh miralo fissamente, ch’Egli colla sua mutolezza ti rimprovera la tua Ingratitudine; perché tu il pagasti di colpe, e di nuovo colle colpe il piagasti, quanto a te, per cui di nuovo, se non soverchiasse il Merito della sua Morte, tornerebbe al morire, per tornar’a darti la Vita.

Ma non abbusò già FRANCESCO  di un tanto Amore, che a lui servì sempre di un Santo Esempio. Oh quanti rapì alle fauci di una Morte letale: oh quanti sottrasse del Peccato agli artigli! Entrò con coraggio Vangelico nelle Corti, e ne snidò col zelo di un Elia le Passioni. Chi non fu solito mai di restarabbagliato a’ fulgori dell’Oro, non hebbe mai paura de’ folgori della Corona. Per guadagnar’i Regi all’Empireo intraprese Viaggi, ben’opposti al Genio della cara sua solitudine: si mischiò nella folla del Mondo per cacciarne i Giornalieri del Senso.

[334] L’Amor del suo Prossimo fello scordar di sé stesso; e per ministrar col consiglio all’Anime il Cibo si scordò di mangiare. Ma tanto poco era il di lui Nodrimento, che ben facile gli occorrea lo scordarselo. Cavò dal capo degli ammorbati i Vermini velenosi; ma più volte, e più da’ cuori de’ Delinquenti le Verminose Inclinationi.

Non fu canna vota per l’astinenza; ma benché debole servì a molti cadenti di appoggio. Portò nella bocca il Mele per la dolcezza delle parole faconde, ma non fucate; vi portò i Pungoli nell’acutezza de’ suoi penetranti Ricordi: Così fu Ape, che andò a gli altri più, che a sé medesimo mellificando. Il suo disegno fu sempre di preparare, come Giovanni, al Signore una Plebe perfetta.

Anche una Maliarda accrebbe le conquiste di lui, che seppe svellere le Anime dall’Abisso. Una Strega, di quelle, che nel Reame di Napoli chiaman Magare, forse perché son Megere, e Furie non favolose dell’Erebo, a’ Salmi di FRANCESCO divoti cadette i suoi Ensalmi Sortilegi. Coronata d’Aspidi il cuore, se non il capo, li fe’ tutti scoppiar colla Penitenza a cui l’indusse con Eloquenza Celeste il Santo, Prodigioso più nel muovere il petto di una Donna insassito, che non fu in Paterno col fermar le Rocche nell’Aria. Spettacolo degno del Paradiso, [335] veder’un’Hecuba di costumi fetidi, cangiarsi tosto in un’Helena di Bellezza interiore. Questa spietata Medea, che vantava di poter fermar nel Cielo la Luna, e di sconvolgere l’ordine della Natura, divenne una Taide Penitente, fissando gli occhi nel SolEterno, che la fe’ lagrimare coraggi delle sue ispirationi, traspirati per lo mezo di un Cristallo così puro, come FRANCESCO. Disfè i suoi circoli l’Incantadrice profana, pensando al circolo dell’Eternità, propostole da questo Santo Archimede, che l’abbagliò collo Specchio del Crocifisso, e la gittò, prostrata, a’ suoi piedi, per chieder’a Dio perdono. L’ottenne, perché fu Mediatore FRANCESCO, il quale tramutò in Agna colei, che tante volte solea cangiarsi in Lupa. Sorda non più, non più sordida lasciò l’Arte nera de’ suoi fumicosi Prestigi, mentre sentì le voci, de’ Divini Precetti.

Di tal maniera FRANCESCO, a tutti coll’Apostolo si fe’ tutto: e riputò quel tempo perduto, in cui non ampliò al Crocifisso le Truppe, e non iscemò le Falangi all’Inferno. Deh come logorò le ginocchia sul suolo, fatto immobile Statua nell’Oratione, per disimpetrir tanti cuori nella colpa indurati. Scarnificò le sue spalle per provocar la Misericordia con l’ossa nude ad assolvere i Rubelli del Cielo. Trafisse le sue Viscere coCilicij, [336] le sviscerò cosospiri, per impetrar la Salvezza de’ Peccatori.

Ma tu, che fosti sempre tutto l’opposto, e sempre festi al tuo Prossimo il Trabocchello per precipitarlo nel Baratro, perché a tanto fuoco non ti arrossisci? Se sei stato un’Anima vaneggiante, deh qual incendio non cagionasti nella Città, al brillare di tue pupille, che scintillando accesero così vane; & a guisa di Lucciole andarono sempre vagando per l’aria a farti correr dietro que’ tutti, che come fanciulli insensati pendettero cogli sguardi dalle tue Mamme, le quali, come Lamia, snudasti per allatar impudicamente tanti, che come fossero tuoi Cagnolini dietro ti corsero.

Impura, che dirai tu, se quanto più bella in viso, tanto più brutta in mente, anche nel Tempio profanato da’ tuoi sozzi Amori, tingesti tanti col fumo de’ tuoi pazzi capricci? Et a’ piè della Vergine vera Minerva, andasti girando il capo come Civetta, per uccellare que’ molti, che ti ferono intorno con petulanza sacrilega, in faccia del Re de’ Reggi, il corteggio? Ahi quanti smarrirono il vero Polo per seguir le tue Stelle, Callisto oscena, che osasti condurre colle tue striscie impudiche, i vaporosi affetti di tanti cuori a coprir irriverenti la faccia del Sol Divino?

Consimilmente ragiona (o Lettor mio) [337] se festi il mestier di guadagnar seguaci al Demonio, che ha tanti Procuradori, quanti son quelli, che spingono, o coll’Esempio scandaloso, o con Consiglio perfido, o coll’Adulatione fallace l’Anime incaute a prevaricare. Dunque non ti appagasti di perder la tua, senza multiplicarne il Reato, col promover Complici de’ tuoi Delitti, dilatando non gli spatij della Carità verso il Prossimo, ma del Peccato contra di Dio.

Gemi dunque in te stesso, o cuor deluso dalle tue arti nefande, e non sia fugace il dolore come il diletto di veder altri nella tua pania inveschiati. Ah, che ti penti, e menti, se non son fissi i tuoi Pentimenti. Risarcisci dunque i passati Danni col procurar al tuo Prossimo presentanei guadagni; e sei vuoi trovar le Gratie, che cerchi, cerca di trovar l’Anime, c’hai perdute, e di ridurle insieme teco, escrimendo questi tenerissimi.

 

AFFETTI AL CROCIFISSO.

 

Mio Dio, tanto Sangue, tante Pene, tante Piaghe? E perché? E per chi? Per riscattare li vostri Schiavi: Et Io sono stato, così sovente un laccio da imprigionar tanti miei Fratelli? Ah mio Pastore Amoroso, voi vi feste scorticar per le vostre Pecore; & Io mi sono ingegnato di metterle in bocca al Lupo? Alla vostra Greggia [338] doveva Io ridurre le traviate; e pur le ho condotte al Macello? Questi vostri piedi piagati son pur contrasegno, che voi camminaste sulle punte per rinvenirle. Et Io ancor non apprendo da voi ad haver sete sopra la vostra Croce della Salute del mio Prossimo? Mio amatissimo Redentore, infondetemi con una stilla del vostro Sangue amoroso quella Carità, che tanto mi manca, & in voi fu cotanto eccessiva. Deh fate, che amando Voi, ami ancora Chi voi amate: E poiché volete, che ogn’un si salvi non permettete, che più mai per me pericoli alcuno, e che col mio Esempio alcuno vi offenda. Concedetemi questo favore prima di ogni altro; e poi, se così vi piace, se non è di pregiudicio alla mia Salvezza, quello, che con tutte le mie viscere vi dimando.

 

SUPPLICA AL SANTO.

 

E voi, mio caro Beato, Pietà di quest’Anima, che senza il vostro Merito di conseguirla diffida. Vorrei ben, che il dolore d’haveroffeso in tante guise il mio Dio, e singolarmente per non haveramato, ma precipitato il mio Prossimo, andasse del paro colla confidenza, che ho nel vostro potentissimo Patrocinio riposta. Pure non mi sdegnate, benché sia bersaglio sol degno dello sdegno eterno, poiché così vi mostraste ardente nella Carità [339] verso il Prossimo, come nella Carità verso Dio. O mio gran Tutelare, son qui a’ vostri piedi, e mi pongo nelle vostre mani, accioché in tutto mi soccorriate, pregandovi a consolarmi con quella efficacia, che fu sempre propria del vostro aiuto.

 

 




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