SESTO.
ALLA RIVERENZA
DEL SANTO
VERSO L’AUGUSTISSIMO
SAGRAMENTO EUCARISTICO.
Non può considerarsi perfettamente Christo
Sagramentato sopra l’Altare, senza raffigurarselo confitto sopra il Calvario.
Son relative l’Hostia, e la Croce: Amendue del paro adorabili, perché quella ce
l’esibisce, ogni giorno nel Sagrificio; e questa ce l’espose, una volta, Sagrificato.
Gli Accidenti venerabili del Pane, che
restano, sono i Chiodi Santissimi, che il configgono. Sol si tramezza il
divario, [349] che nella Croce apparì stirato coll’Humanità
sanguinosa; e nell’Hostia raccolto, col suo Corpo incruento, sotto un
Indivisibile si rannicchia. E coronato di Spine atroci, qui di Gigli candidi:
Là Spettacolo di derisione all’Hebreo blasfemo, qui Oggetto di Divotione al
Catolico riverente: Là veduto con dispregio, qui invisibile con maraviglia: Là
Pastor, che combatte contro a’ Lupi infernali, qui Agnello, che nodre l’Anime
Pie: Là dall’Empietà lacerato, qui dalla Fede creduto intero: Là fra due Ladri,
qui fra’ Chori de’ Serafini: Là colle labbra inzuppate nel fiele, qui d’ogni
dolcezza grondante: Là bevente il Calice della Passione; qui, che porge il
Calice della Gratia: Là colle mani trafitte da’ duri ferri, qui piene di
Giacinti, per versarli sopra i suoi Cari: Là co’ piedi forati da’ crudi
acciari, qui co’ passi svelti per accorrere in nostro aiuto: Là scopo di una
Lancia, che gli apre il Costato, qui di un affetto, che dolcemente glie lo
ferisce a farne prosorgere profluvij di Doni.
Deh chi potesse haver condecente il
fervore per appressar’ardente la bocca a quel Carbon Mistico, che purificò,
ancorché solo in figura, l’immonde Labbia di un Esaia, & infiammò cotanto
le viscere di FRANCESCO amorose!
Oh quali furono le Dispositioni di lui
[350] ad introdur nel suo Stomaco riverente una Forma così ineffabile!
Divampa fuoco da gli occhi, quando si appressa alla Mensa del Sole, che
l’accende Serafino Humanato che tutto divinizandosi nell’oggetto goduto, stende
l’ale del cuore per abbracciar’il suo Dio velato degli accidenti. Sotto di
questi considera meditando quella sostanza infinita, ancorché ristretta, &
immensa, benché indivisibile, la quale per tutta l’Eternità, con alimento
beatifico mantiene gl’Intelletti Beati. Mentre si ciba nel suo cibante si
cangia. Non sai discernere, s’egli più viva, che solo a’ sospiri. La
palpitatione del cuore lo fa parer più tosto moribondo, che vivo, dopo haver
mangiata la Vita. Nel breve Circolo di quell’Hostia raccogliendosi il di lui
Spirito abbandona il di lui corpo, che scade, in amoroso deliquio, e mentre
lascia, sul suolo trambasciata la salma, l’Alma sen vola al Cielo col suo
Signore, così avvolticchiata con lui, come un altro Giacobbe, che mai nol
lascia senza esserne benedetto; anzi perché sempre lo benedice nol lascia mai.
Vola sovente estatico sopra la terra,
perché il sollevano gli Angioli, come animata Pisside, in cui adorano il loro
Pane. Fu sempre solito FRANCESCO a riceverlo tutto tremante, per confermarne il
suo cuore tutto divoto.
[351] Impallorito in un sagro
ribrezzo, che lo sorprende, secondo lo stile de’ veri Amanti; mostra, che il
Sangue tutto gli è corso alle più intime fibre per soccorrerlo pronto ne’
vitalissimi svenimenti di lui, che muore havendo nel cuor la Vita. Con
dolcissima Sincope soavemente giacendo boccone sul pavimento, dopo haver messo
la bocca in Cielo, solleva al Cielo l’Anima sua sublimata, mentre abbandona il
suo Corpo sopra la terra, dall’Amore abbattuto, e prostrato dall’Humiltà.
In questo modo nodrito di quella Manna,
che gli è piovuta nello spinoso Diserto dell’incolta sua Carne, passa le intere
Quaresime senza gustar Cibo alcuno mortale, poiché gli serve di alimento il suo
Dio.
Con una corda annodata dal suo collo
pendente, trattò sempre di legarsi, in quell’Atto terribile al suo Bene
Sagramentato; e ricordandosi, che il suo Christo dalla Cena fu strascinato con
funeste Funi alla Croce, egli pure legato si presenta dalla Croce alla Cena,
per protestarsi volontario Schiavo di Dio, senza una minima libertà di
coscienza.
Ma tu, che tale il contempli: tu Anima,
quanto più dissoluta ne’ tuoi errori, tanto più dalle tue passioni legata,
perché non fremi con pio furore contra di te considerando la tua tepidezza al
confronto [352] di un contraposto sì ardente?
Ahi quante volte, e quante rinovasti in te
stessa l’antico Chaos rimescolando le tenebre colla luce sopra gli Abissi de’
tuoi peccati. Fosti una Talpa, & osasti cibarti di Cielo. Fra que’ Ligustri
Sagramentali Vipera livorosa ti ravvolgesti. Ardisti Nottola opaca di
sostener’i raggi di questo Sole. Entrasti Cornacchia nel Nilo delle Colombe.
Non havesti l’Habito Nuttiale della Virtù, e t’intrudesti alla Mensa del
Paradiso?
Oh Miserabilissim’huomo, dal tuo proprio
senso disumanato. Vivesti da Bruto, e poi pretendi di cibarti da Angelo. E
perché ti avanzi a baciar il Figliuol della Vergine, con que’ stessi labbri,
co’ quali baciasti la Figliuola di Venere? Sei Scarafaggio nero, & hai
ardire di metter la bocca impura sopra un Giglio sì candido? Sei un Corbo
satollo di carne, e pur t’aggiri alla Mensa dell’Aquile, dove si pasce lo
Spirito. Sei un Giuda, & osi baciar’il tuo Dio, non per amoreggiarlo, ma
per tradirlo. Sei un Verme di Morte, e metti il dente nell’Albero della Vita.
Sei un Mastino, & osi lacerar colla bocca immonda così pretiosa Murice. Sei
un Serpente, che strisci sempre sopra la terra, e presumi di entrarne con tante
scorze, senza deporle prima, nella caverna della Maceria. Sei un Ragno,
e t’inoltri a succhiar veleno dove [353] succhiano le Api il mele. Sei
un Lupo del Demonio, e ti fai pascolo dell’Agnello di Dio.
Ah cangia, cangia la spoglia peccaminosa,
di cui ti vesti, se voi gustar degnamente il cibo, di cui ti nutri. Deh non
mangiar più il tuo Giudicio, con mordere così sacrilegamente il tuo Giudice.
Preparati a riceverlo degno in forma di Pane vero, se non vuoi provarlo severo
in forma di Giove, non favoloso, quando verrà di fulmini armato ad incenerir
tutto il Mondo.
Deponi l’Huomo vecchio, per vestir l’Huomo
Dio. Siati Veste interiore la Gratia, per ben cibarti del Pan della Gloria.
Metti più studio in aggiustare le tue partite col Fisco Eterno, che in calcolar
il Bilancio de’ tuoi Negotij col Secol fallito. Tutt’i tuoi numeri diverran zeri
senza il tuo Dio: tutt’i tuoi zeri diverran numeri, se a quello ti unisci
communicandoti con Fede vera, con isperanza, viva, e con carità perfetta, come
faceva FRANCESCO.
Lascia, deh lascia il Mondo, o Anima così
vaneggiante, come delusa. Mira il tuo Sposo, che ti guata guardingo, respiciens
per fenestras delle Specie Sagramentali: prospiciens per cancellos
degli accidenti Eucaristici;
E per segno di sua gran Gelosia,
Ei v’è, ti vede, e par, che non vi sia.
[354] Non l’offendere dunque più
fornicando cum Amatoribus multis: coll’interesse, con l’odio, collo
sdegno, coll’orgoglio, col fasto, col senso, coll’appetito, coll’inganno; e con
tanti altri vitij, co’ quali ti strignesti nel separarti da lui, al quale
chiederai perdono lagrimosa, e contrita con questi divoti
AFFETTI AL CROCIFISSO.
Caro mio Redentore, dunque non vi bastò di haver
lavata nel vostro Sangue l’Anima mia sul Calvario, che voleste ancora
abbeverarla col medesimo nell’Altare. Non contento di esservi fatto configgere
sulla Croce, per amor mio, con quattro durissimi Chiodi, vi feste affigger
nell’Hostia per mia maggiore confusione, con quattro onnipotenti parole. Et Io
son quello, che con tanti miei Vitij vi ho crocifisso, e con tanti vostri
favori vi ho disprezzato. Per me voi vi feste Pane, & Io contra voi mi son
fatto Sasso. Voi sete il Verbo abbreviato nella Carne; & Io son il
Peccatore, che nella Carne mi dilatai. Voi più anche abbreviato nell’Hostia,
per poter capir tutto in questo mio cuore ingrato; & Io anche più fellone
ampliai le mie colpe co’ beneficij vostri; e se vi piagai sulla Croce una
volta, nell’Hostia molte vi lacerai. Pur non isdegnate ancor’hoggi di
[355] discendere nel mio petto a colmarlo delle vostre Misericordie,
& essendo questo un Inferno pieno di fiamme impure, e fumanti, voi vi
degnate di convertirlo in un Paradiso colla vostra Presenza adorata. Ma deh,
ch’Io non merito tanto. Non sia Paradiso no; Limbo sì per la sua tetrichezza,
& a voi tocca empirlo d’Innocenti pensieri.
SUPPLICA AL SANTO.
E voi, mio Miracoloso FRANCESCO, non ignorate, che
senza le vostre generose influenze non può l’aridità del mio Spirito produr una
Spiga, che sia degna della Messe del Paradiso. Ahi, che temo assai, senza la
vostra assistenza, che il Grano del Formento degli Eletti caduto nelle mie
Spine, seminato nelle mie pietre, non mi germogli alcun frutto, & in
quest’Anima mia cotanto terrena non renda solo, che paglia ad accenderle
intorno il Rogo sempiterno de’ Reprobi. Deh non mi abbandonate, voi, che con
tante lagrime inaffiaste questo Seme Divino, onde vi produsse così gran
raccolta di Gloria. Voi, che formaste sovente un’Iride, a’ riflessi di questo
Sole Sagramentato, rendetelo a me Pacifico. Non permettete, che banchettando Io
alla Mensa degli Angioli, perisca eternamente di fame, in mezzo a’ Demonij,
privo della Visione di [356] quel Dio, che sempre satia, e non mai
disvoglia i Beati, fra’ quali voi che il gustaste così amorosamente quaggiù
imbendato, & imbandito nel Sagramento, hora il godere svelato, e rivelato
nel Cielo. Impetrate dunque al mio cuore, che si disgeli ad un divoto fervore
verso un
Dio così amabile, che per esser tutto
sostanza si fe’ alimento; e che al
calore di questo purissimo
Sole si dilegui l’afflittione
intorno al
mio Spirito,
che
come nebbia oscura
l’ingombra.
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