DEL SANTO.
L’alessifarmaco contra la Libidine, che tanto
predominio ha nel Mondo, è il Crocifisso, che tanto patì per l’Impuro. A
quest’Hidra di tanti capi, che si accovaccia nella palude del Senso, si oppose
l’Hercol Divino colla Face di quel Fuoco, che portò dal Cielo in Terra, per
accender l’Anime di Amor Celeste, e per estirpar da’ cuori l’Amor Terreno.
Il veder questo ben Fior Verginale fitto
sopra di un Tronco genera nel Lascivo un ribrezzo di sentirti piantato nel
fango. Egli è un Agno casto, che non si può sentire d’intorno i Lupi carnali.
Egli è un Giglio candido, che alligna fra le siepi spinose del Celibato. Egli è
un puro Ermellino, che abborrisce le sordidezze dell’Appetito. Egli è
un’Aquila, che sdegnando di volar fra’ vapori della Carne s’inalza sopra la
Regione più purgata dell’Animo.
[376] La Pudicitia, che traspirar
ci debbe dagli occhi, non ha le Spetie intentionali più intere, che dalle
membra augustissime del Salvatore lacerate sotto le Sferze. Patì nel suo
rossore la nostra impudenza: Sopportò ne’ Chiodi le trafitture delle nostre
Impudicitie: Corresse nella sua Nudezza la nostra Oscenità. Nelle sue Spine
soffrì le punture delle nostre Rose: Hebbe le labbra ammareggiate dal fiele per
quelle bocche sboccate, che ne’ favi della dolcezza fugace lasciano impressi i
pungoli della Morte letale.
Ah Dio, e quanti pochi, hoggidì, si
avanzano nella Carriera del Crocifisso, perché non vogliono crocifigger le lor
passioni, & inveschiano l’ale dell’Anima nelle panie della Sensualità.
Non così fe’ FRANCESCO. Egli corse al
Palio della Gloria sul Sentier della Gratia, senza sdrucciolar mai nelle
Pozanghere degli Appetiti, né infangar mai gli Affetti, che sono i piedi
dell’Anima nelle lordure del Senso.
Fu Egli di tal Continenza, che (come si ha
dal di lui Processo) non di Carne, ma di Spirito parea formato. E pur’era
formato di Carne, e di Spirito; ma di Spirito niente Carnale, di Carne tutta
Celeste. Di Carne tutta attaccata allo Spirito, di Spirito niente attaccato
alla Carne.
Ma che dissi Carne in FRANCESCO,
[377] se non mai volle assaggiarla in cibo, per separarla affatto
dalle Ossa spolpate coll’Astinenza! Scheletro vivente più per miracolo, che per
altro respirante, pareva una bella Larva di Penitenza, un chiaro Spettro di
Candidezza.
Il di lui Corpo fu sempre un Giglio in
mezzo alle Spine. Parea di neve; ma non istruggevasi sol, che a’ raggi del Sol
Eterno. Le sue Piaghe fresche, come le Rose di rugiadoso mattino, onde
l’infioravano ogni notte i flagelli, spiravano con fragranza soave purezza
interna. Era un Angelo di costumi, e l’offendeva il fieto de’ Vitij.
Le Intelligenze incorporee con lui
famigliarizzaro come consimbole, e gl’intrecciaro più volte ghirlande floride
al crine, perché gli pullulavano sempre più vivaci i Ligustri dal cuore.
Estinse, Giovinetto Romito, nel Torrente
semigelato i bollori del fomite gorgoglianti. Attuffò per gran tempo nel
freddor di quell’Acque il suo Corpo, per accendere maggiormente con
Antiperistasi gloriosa l’ardor dello Spirito. Uscì dall’onde, come l’Aurora,
albeggiante, coronato di Caste Calte; e come il Sole splendente, all’hor, che
rinasce senza vapori. Se i terreni son generati dall’acque, i sensuali
dall’acque furono estinti. Lo Spirito del Signore, che nell’Esordio
dell’Universo solea galleggiar sopra l’acque, [378] all’hor, che FRANCESCO,
si gittò in esse, vi si sommerse; Anzi vi fu dal Signore sommerso FRANCESCO, il
quale per conservar la sua purità non potea trovar miglior centro; e per
agghiacciar affatto agli ardori della Concupiscenza, non dovea cercar posto
migliore.
Con austerissime Penitenze repilogando
nella sua Grotta una Nitria fe’ svanir da’ suoi pensieri le Fantasme, non men,
che dagli occhi i Prestigi di una Bellezza Chimerica, presentatagli dal
Demonio, ma ben facile ad isfumar dileguata, se la reale è così suggetta ad
andar in fumo disfatta.
Portò, da quel procinto, in avvenire
precinto il Cingolo strettissimo della Castità, con tanti nodi, quanti
proponimenti di consagrar tutta la sua Vita Celibe a Dio. Sotto zona così
temperata le Stelle delle di lui Virtù luminose si mossero velocissime verso il
Polo dell’Anima; e con influssi purissimi inaffiarono quella mente, la quale a
guisa di Conchiglia ferace, non mai ricettava in sé una Stilla di Celeste
rugiada, che non la convertisse in una Perla di divino candore.
Morì come Cigno, perché visse come
Colombo: carico d’anni, ma più di Gigli. Le sue sferze gli si convertirono in
palme, verginali per la Castità Trionfante. Fu Martire, perché fu Vergine: fu
Vergine, perché fu Martire. Fu Martire, [379] perché confisse la sua
Carne colle sue Concupiscenze: fu Vergine perché trafisse il suo Spirito co’
suoi Tormenti. Tormenti, ma dolci, perché pativa per Dio, a cui patendo si
conservava illibatamente fiorito.
O gran FRANCESCO, o grande! Gloria del
Celibato, Splendor della Purità, Riflesso di Dio Unitrino, Honor della
Pudicitia, Coronna della Castità, Colonna dell’Innocenza, Base del Merito,
Tempio della Gratia, Stella di Verginità, Sol di candidezza, Angelo humanato,
Huomo Angelico, ah che la mia Penna non ha il candor dello Stile, come del
vero, per celebrar degnamente una minima parte de’ tuoi Castissimi Affetti; e
si arrossisce il mio Inchiostro in vergar queste Carte con l’ombre oscure,
quando tu le fai tanto splendere co’ Fasti tuoi luminosi.
A te hora mi volgo, o Mortale, che ti
presenti a FRANCESCO in questo giorno, e per lo Merito senza neo della di lui
purissima Castità pretendi d’impetrar fausto alla tua Richiesta il Rescritto.
Ma pensa un poco alla tua Vita così spensierata, e perciò incorsa, cotante
volte, negl’impudici pensieri di un’Anima così libera, perché così nella Carne
ravviluppata.
Che verecondia professasti tu mai? Sempre
negli affetti del Sangue ti ravvolgesti, [380] e non mai ti
arrossisti. Fosti un Prodigo scialaqquator della Gratia, che dissipasti la
Sostanza dell’Anima tua lussureggiando nella Regione del Senso, così lontana da
quella della Ragione; e ridotto a guardare la Greggia immonda de’ tuoi Appetiti
lascivi, disiasti di satollarti di quelle Ghiande, che avvanzano a tanti Porci,
fatto Porcaio, e Porcile. Hor ritorna al tuo Padre Sovrano, che ti prepara la
Stola dell’Innocenza perduta, e ti fa imbandire un pinguissimo Vitellino,
nell’augustissimo Corpo del suo Unigenito Sagramentato. Prima però t’hanno da
far la Strada i Sospiri di un Penitente Cordoglio, e non hai da dire il vadam
ad Patrem meum, senza il peccavi in Caelum. A lavare tanta Laidezza
oh quante lagrime si richiedono! Ma il Fonte del tuo cuor si è seccato alle
adustioni focose della tua sfrenata Concupiscenza. Deh come piagneran gli occhi
tuoi, se come Farfalle vaganti si aggirarono sempre a que’ lumi, che fumeggiano
più, che non isplendono, per abbronzarti l’ale, e per annerirti lo Spirito.
Misero di te, torci un poco addietro lo
sguardo della riflessione, & osserva se di tanti piaceri passati sia
rimasto il pentirti, o solamente il dishonore, e la perdita della Salute, delle
Facultà; e voglia il Cielo, che non sia dell’Anima ancora. Che frutto havesti,
se non vergogna, di que’ [381] traffici osceni, che proseguisti col
Mondo? Di tante Rose fetenti, & imputridite da te raccolte, altro non ti
restò, che le Spine ad accenderti l’eterno incendio, a trafiggerti il cuore
impuro.
Ben chiamò Tertulliano i diletti profani: Libidinum
evaporata momenta. Ahi momenti, che ti ferono perder l’Eternità della
Gloria! Ahi vapori, che ti coprirono la faccia del Sol Divino! Momenti, che ti
saran sempre tanti chiodi acutissimi per configgerti sulla Ruota della
Giustitia finale. Vapori da’ quali non ti pioverà mai altro, che grandine, e fuoco.
Noè dopo il diluvio, in cui fu annegata
quasi, che tutta la Carne, e quella tutta, che corruperat viam suam, per
placar’affatto il Signore, e rendergli le gratie dovute di haverlo salvato, fe’
sagrificio de volucribus, & pecoribus mundis; & il Testo sacro
soggiugne, che odoratus est Dominus odorem suavitatis. Hor tanto appunto
da far hai tu. Dopo di esser campato da un diluvio di Carne, lascia le Carogne
a’ Corbi, e presenta al tuo Dio la Mondezza de’ tuoi affetti volanti al Cielo,
& ubbidienti per accompagnar sull’Altare la Vittima, che fai offerire per
te dell’Agnello Divino, dalle tue impudicitie svenato.
Prorompi in gemiti di Colomba, se vuoi che
FRANCESCO ti senta. Trasformati [382] colla Penitenza in un Agnellino,
se brami ch’Egli ti faccia risorgere dalla Fornace della tua ardente
Concupiscenza. Inchinati a lui per sollevarti dalle tue Miserie fra le quali ha
da essere, come la maggiore, anche la più sensibile, l’havere in tante guise
offeso il tuo Dio. Chiedi, chiedi a FRANCESCO, ch’Egli t’ispiri una portione di
quel mondissimo Genio, c’hebbe di non offenderlo mai: Dimandali com’Ei fe’ a
cogliere tanti Gigli, ad affasciar tante Palme in un Campo, che non produce,
per ordinario, sol, che Napelli, & Ortiche.
Pregalo, che ti sia Secondo, se vuoi
batterti in Duello colla Carne, e col Senso; né dubitar di non riportarne
gloriosa Vittoria. Non ti stancare di supplicarlo, ma con labbra pure, se
desideri ch’egli ti ascolti, e porga, a tuo nome le tue Richieste ne’ seguenti
AFFETTI AL CROCIFISSO.
Troppo presumo, troppo, o mio Castissimo Amante,
quando pretendo, che facciate degna de’ vostri Doni quest’Anima mia così
ribelle alle vostre Leggi, e tanto macchiata dalle sue sordidezze. Non ho cosa
in me, che vi piaccia, e pur ardisco di supplicare, che la vostra Bontà mi
esaudisca. Se fossero sempre stati i miei pazzi pensieri candidi come i vostri
[383] saggi Precetti, potrei sperar, che le vostre Gratie abbondassero
sopra i miei Voti; Ma voi abborrite di modo l’impurità, che (per testimonio del
vostro Apostolo) vi sete fatto più sublime di tutt’i Cieli, che non son mondi
nel vostro cospetto, poiché vi peccarono gli Angioli Apostati. Che farò dunque,
o mio Dio, se così mi trovo da voi colla mia impudicitia lontano? Attenderò a
penar nelle mie Miserie, o pur aspetterò a respirare nelle vostre Misericordie?
Ah viva in me il Crocifisso: e muora in me quell’Impuro Affetto, che a
vagheggiar le Piaghe del mio Caro Svenato, per succhiarne la Purità co’ vostri
sguardi divoti. Le vostre Piaghe sì, che debbono esser, o Dio, i Poli della mia
Fede, e le Fontane dell’Anima mia, che ad esse può solo refrigerar la sua sete,
senza bever più le scolature immonde di quelle terrene Cloache, nelle quali sì
lungamente mi ravvoltai.
SUPPLICA AL SANTO.
E voi fragrantissimo Giglio di Purezza Celeste, e
Celibe, FRANCESCO, Fiore de’ Vergini, che coronaste sempre co’ vostri floridi
Affetti l’Agnello di Dio, non permettete, deh, ch’egli mi si converta in Lione,
aizzato dalla mia Sensualità, per lacerare questo mio Spirito, tanto Carnale,
[384] così corrotto da’ miei Appetiti, tanto sfrenati. Deh
frapponetevi, o mio gran Protettore, perché il mio Giudice, alla fragranza di
tanti vostri Meriti, non senta il fieto di tanti miei Vitij, onde mi punisca
con perpetuo supplicio, sì come io l’offesi con immondezza continua. Se non mi
soccorre la vostra Intercessione così scarseggia la mia Giustitia, che mi
sentirò prima sommerso, che salvo. Deh siatemi voi Avvocato per le mie Colpe,
per essermi poi Sollevamento alle mie oppressioni. Voi, che tante volte
ammorzaste co’ piè nudi il fuoco avvampante, metteteli su questo mio cuore, per
estinguervi tante fiamme cocenti. Ah mio Candidissimo FRANCESCO, sarò un
Ermellino, se voi m’impetrate un riflesso di quella Purità, che vi adorna, e fu
sempre l’abbiglio vostro interiore. Fate, ch’Io viva non più macchiato come
Pantera, ghiotto della Carne, ma purificato come Colomba, invogliato dalla
Bellezza del Crocifisso. Ottenetemi l’Interezza de’ miei Sentimenti, & i
Sentimenti della vostra Interezza, ch’Io non dubito poi di non conseguire col
vostro mezo l’intento d’ogni mio Desiderio.
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