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Francesco Fulvio Frugoni
I fasti del miracoloso S. Francesco di Paula

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  • I FASTI DEL MIRACOLOSO S. FRANCESCO DI PAULA,   SPIEGATI NELLA DIVOTIONE DE’ TREDICI VENERDÌ   PARTE SECONDA.
    • VENERDÌ UNDICESIMO   DEDICATO   ALLA MANSUETUDINE   DEL SANTO.
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VENERDÌ

UNDICESIMO

 

DEDICATO

 

ALLA MANSUETUDINE

 

DEL SANTO.

 

Deh quanto si rese ammirabile il nostro dolcissimo Salvatore ne’ suoi Costumi Vangelici, che ci persuase a seguire non solo colla Dottrina de’ suoi Consigli, ma molto più coll’Esempio delle sue Geste. Spiccò fra le altre, qual fulgidissima Stella del primierordine, quella inalterabile Mansuetudine, con cui, sempre humanissimo, diè singolarmente fra tante, una prova evidente della sua Divinissima Essenza.

Iddio sempre in sé stesso placido, non mai si turba, perché non è suggetto a tempeste quel Mare immenso, in cui spira l’Aura dello Spirito Santo; che perciò vi si godono sempre calme di latte. Né a quel Cielo Sovrano, che si aggira in sé medesimo con tanti Astri quanti Attributi, ascendono mai Vapori, che possano turbarne il sereno, & improcellarne l’aspetto.

[399] Discese perciò ad incarnarsi da quel suo Cielo il Verbo, sicut pluvia in vellus: che vuol dire come la Neve, di cui non può addursi a spiegar la Mansuetudine simbolo più soave, qual hora dolcemente albeggiando imbianca, cadendo senza strepito alcuno, la Terra.

Come della Mansuetudine tanto amico, venne il Diletto, quemadmodum Filius Unicornium, a posarsi mitissimo in grembo della Pulcella Davidica, che coronollo de’ suoi Castissimi Gigli, spiranti fragranza celibe di mansuetissimi Affetti.

Fra le fasce ristretto, spirò, bel Pianeta di Amor Eterno, da’ due lumi brillanti tranquilla Pace. Ogni suo Vagito fu Tromba del Paradiso, ma non di Guerra. Crebbe suggetto non sol alla Madre verace, ma anche al Padre presunto: E quello, ch’era il Fabbro dell’Universo, non isdegnò, che il reputasse l’Universo Figlio di un Fabbro, negletto, e povero.

Si famigliarizò coPublicani, mangiò coPeccatori, trattò co’ suoi Nemici sempre soave, sempre amoroso, sempre trattabile. Se dal suo Tempio discaccia i Profanatori di Esso, non istringe un fulmine, come potria, de’ più roventi, ad incenerirli; ma congegnando di funicelle intorte flagello lieve, più colla Maestà del sembiante, che colle sferzate del braccio li disperde abbagliati, più che percossi.

[400] Sceglie un Campo di Ulivi, tutto pacifico, per entrar in conflitto contro alle Colpe, che gli si schierano in faccia orgogliose a ferirlo, & a bersagliarlo. All’approcciar di quell’Ingratissimo Parricida, che ardisce di mettere la bocca d’Inferno, con empio bacio, nel Cielo, esibisce Gesù tutto placato, e sereno il Viso; e pur gli si affigge in Giuda un Orionetempestoso, che gli diluvia sopra un nembo di ferro. Chiama amico il Traditore per convincerlo con un termine così mite, per compungerlo con una parola così mansueta: Et abbatte in un deliquio di più dolcezza, che di terrore le Turbe armate con due pacifici motti, che sono moti di amor tranquillo ver’ chi l’assalisce con odio fiero.

Legato non si riscuote: flagellato non si lagna: Spinato non si duole: Strascinato non si risente: precipitato non si solleva: Conficcato non si lamenta: bestemmiato non si turba: amareggiato non s’inagrisce: Oh Stupidezza Divina! Oh Mansuetudine Empirea! Oh Soavità Impareggiabile!

Mite non men di Muto, non solo non tuona, il Verbo, ma non favella, quando un Popolo contumace pria colle lingua ingiuste, che cochiodi crudeli l’ha Crocifisso. Come un Agnello, non solo si lascia tondere, ma ancora scorticato si sente senza aprir la bocca ad un Ahi. È [401] coronato Re de’ Dolori, e pur non appar dolente; anzi gode, perché patisce, né si querela, perché trionfa.

Curva le spalle ad un Legno duro, e pur non apre le fauci ad un tenero ohimei sfiancato, ma non ritroso, cadente, ma non restìo: nella debolezza costante, negli scorni ridente, più dalla Modestia, che dal proprio Sangue vermiglio, irritato, ma non irato, è sempre il medesimo; & in tanta varietà di tormenti conserva illesa l’Egualità sublimissima della Mansuetudine imperturbata.

Tale fu la Temperie del nostro Divinissimo Amante da FRANCESCO esattamente imitata; e corrisposta con una dolcissima consonanza, per far’Echo, in tutto, al Crocifisso colla sua Vita tanto ammirabile in tutto.

Coll’Incanto delle armoniose parole unì gli Animi più discordi. Parea, che havesse in bocca favi di Mele, non solo come Prudente, ma come Mansueto. Non mai si vide turbato, perché non fu mai Superbo. Il Vento dell’Ambitione non l’alterò: Il Sangue non mai fugli acceso dall’Ira al cuore, perché la penitenza ogn’hora più raffreddollo alla passione del Senso, e più infiammato nell’Affetto di Dio.

Fu pecorella per esser’Eletto dalla Gratia: Fu Agnello per somigliarsi a Gesù: Fu Colombo, che non sentissi mai [402] fremere per lo sdegno, ma singhiozzante nell’Oratione. Hebbe un Genio di latte; e pur non lo gustò solo che Bambino; e benché solesse d’herbe amare spesso nodrirsi, favellò però sempre colla dolcezza sovra le labbra.

Un tal Carbonello se n’entra, acceso di ardir fumante, ad insultar a FRANCESCO nel Claustro con ingiuriosi attentati; ma non per tanto bastò a sconvolgere la tempra dell’Huomo Divino, che colla tenerezza delle risposte infranse le Bombardate dell’Insolente. Ma molto più sentissi questi ammollito, quando essendosi il Santo ricovrato nella sua povera Cella come Burchielletto, che quando insorge temporal procelloso, al Porto ritirarsi, udì melodiose le gare degli Angeli, accorsi, per intrecciar’alle Palme fiorite del gran Mansueto i loro Plettri sonori. Così attendendolo, che ne uscisse, prostrosegli a’ piedi, e con mille singulti detestò la forsennatezza del suo falso giudicio, legata dalle strette ritorte di un Pentimento verace.

Anche soffrì FRANCESCO, non mai degenere dalla sua placidezza, le procedure indiscrete di un tal Neofito, che nel Convento di Tours, per esser promosso indovutamente di salto alla Dignità di Superiore Locale, si diè ad istuzzicare la Mansuetudine del Santo, per levarla di [403] tuono, ma restò fulminato da un Ciel Sereno.

Ciò, che più concorre ad accrescer la maraviglia è il considerar FRANCESCO domante l’Infero colla Mansuetudine della Croce. Altri Ensalmi non adoperò mai per discacciar da’ Corpi invasati gli Spiriti infesti, che: Per Carità uscite! Partitevi per Carità! Così non valendo essi a resistere, né più potendo persistere, se ne partivano flagellati dalla Dolcezza, e fugati, non che confusi dalla Mansuetudine di FRANCESCO.

Il Demonio irritato dirocca dal sommo di una Montagna una grossa Pietra a sepellir l’Edificio del Claustro sorgente; e FRANCESCO vedendola precipitosa discendere, senza turbarsi punto, comandava quella l’Arresto nell’aria con queste parole dalla Mansuetudine articolate: Fermati Pietra Sorella per Carità! Qui colla Pietra mi fermo ancor Io sospeso; già, che come la Pietra sono cadente; e così stupito diviso. E come può dirsi mai Sorella di FRANCESCO una Pietra? Una Pietra dura oh come male ha un Fratel di tal Tenerezza! Forse perché la Pietra è Simbolo di Christo, di cui FRANCESCO per addottione è Fratello, di FRANCESCO è Suora; Ma basta, ch’Ella sia Creatura di Dio, perché FRANCESCO l’honori: basta, che FRANCESCO sia Servo di Dio, perché gli ubbidisca [404] la Pietra. Sorella Pietra sì, perché FRANCESCO pur è di pietra per la sua fermezza, per la sua Castità, per la sua Povertà, per la sua Vita così percossa, e non mai vacillante, per essere fondamento delle Virtù, Fondatore della Religione de’ Minimi tanto esaltata sotto di un Humile; ma di Pietra ancora per la sua Mansuetudine, mentre non si muove punto risentito alle ingiurie; apprendendo anche le Pietre a fermarsi dal petto di lui così mansueto.

Buon Dio che Placidezza! Hor come presumi tu di haverla propitia nel Santo, se non ti curasti mai d’imitarla, ruvido sempre di maniere orgogliose, & agresti verso il tuo Prossimo?

È una gran Virtà Morale l’Egualità del procedere in un Huomo, che di sua natura nunquam in eodem statu permanet. Il conservarsi Scoglio fra le Tempeste, è un Miracolo della Prudenza Politica, Monastica, & Economica. Non v’ha maggior contrasegno, che uno sappia imbrigliar le proprie Passioni del non turbarsi mai a qualsivoglia disconvoltura. È praticar un grand’Imperio della Ragione sul senso, & un tener suggetta la parte inferiore dell’Anima alla suprema. Colui può dirsi un Hercole di Virtù, che sa catenar un Cerbero come l’Irascibile, che latra con tante gole con quanti appetiti si muove.

[405] Ma rari son quelli, che siano Eminenti nel professare questa Mansuetudine eguale, questa Egualità Mansueta: Apparent rari nantes in gurgite vasto: Pochissimi son coloro, che galleggino nel Mare del Mondo senza esser sommersi dalle proprie tempeste, e da’ Venti, che lor si levano contro da’ tutti i lati. Se tal un se ne trova è una Fenice del suo Secolo; e tutti gli altri, che si turbano ad ogni fiato, son onde, ma senza sale, son piume, ma senza concetto, son nuvoli, ma senza humore, son Venturieri, ma senza guadagno, sono Campioni, ma senza alcuna Vittoria.

Senti la Dottrina Sana al paro di Santa dell’Eloquentissimo Ambrogio, nel Libro Quinto sopra il Vangelo dell’Apelle di Christo: Quum deposuero omne Peccatum, & eruero omnem malitiam, & Simplicitate contentus fuero inops Malorum, superest ut mores temperem; Quid enim mihi prodest carere sceleribus, nisi fuero mitis, atque Mansuetus. Vuol dir’il Sagro Facondo, che nulla ci giova lo spogliarci della Colpa, se non indossiamo quest’Habito di Mansuetudine, fatto alla Moda del Crocifisso, che dice: Discite a me quia mitis sum; & al Modo di FRANCESCO, che fu vivo Ritratto della Placidezza, & in conseguenza di Christo.

Ma si trovano alcuni, per non dir molti, che sempre minaci, e torvi, non sanno mirar diritto il Prossimo loro, e come tanti [406] Lioni giubbati degrignan le zanne per divorarlo. Sotto le arcate de’ loro sguardi severi fanno passar’ i loro Fratelli oltragiati. Sputano ampolle, perché ogni loro parola è piena di vento; e come gli Euri scatenati da Eolo sempre fremono irati, e sempre si adirano frementi. Non si sa come trattar con Essi, perché sempre maltrattano. Divorano il Povero colle occhiate, e stimano che la fierezza, onde son temibili, faccia stimar Huomini di Vaglianza, e di Credito, e pure sono abborriti, come Nembrotti, come Neroni, e come Vitelij, perché hanno sempre i nembi nel volto; senza candore nelle Attioni, e sono Buoi nel sapere, e Somieri nel calcitrare. Il primo carattere della Prudenza è l’Egualità nel procedere; & il primo contrasegno della Nobiltà è la Dolcezza de’ Costumi. Con queste due Propositioni ho detto quanto si può più dire contro a coloro, che qui di sopra ho descritti.

Conchiudo, che Iddio scacciò i Superbi e gli Alteri da’ Seggi sovrani, & sedere fecit mites pro eis, come ci avvisa lo Spirito Santo al quinto Capo dell’Ecclesiastico; e come ne adoriamo in FRANCESCO felicemente adempiuto il successo.

Ah, ch’i Mansueti, & i Miti sono coloro, a’ quali tocca (secondo il Testamento di Christo nelle Otto Beatitudini) il posseder la Terra promessa, di latte, e di mele stillante: Simboli amendue, non che nodrimenti [407] di una Mansuetudine mite, e di una Mitezza mansueta.

Finiamola, perché forse ti tedia il sentir più lungamente divisar di ciò, che tanto a Dio piace: Vuoi tu conseguire i Doni Celesti, senti, che il Savio ne’ suoi Proverbij per raccordo, che Dio Mansuetis dat Gratiam. Chiedila dunque; ma nella suppositione d’essere Mansueto nell’avvenire, ad imitatione di FRANCESCO, con somiglianti

 

AFFETTI AL CROCIFISSO.

 

Io tutt’Assentio, mio Dio, e voi tutto Nettare! Io tutto Fiele, e voi tutto Manna! Io tutto torbido, e voi tutto Sereno! Io Tempestoso, e voi placido! Io così risentito ad un guardo opposto: voi così sofferente ad una innondatione di obbrobrij! Oh Follie discrepanti di una Musica troppo discorde! Oh disconcerti di tuoni pur troppo dissoni! Ah mio caro Dio, non ho, non ho ancora assuefatto l’orecchio al dolcissimo suono della vostra armoniosa Passione. La battuta di tanti flagelli sul vostro dorso non ha potuto ancora abbattere l’alterigia degli arroganti pensieri sopra il mio volto. Tal mi dimostro di fuori, qual nell’interno, pieno di turbini, perché ad ogni vento mi muovo, ad ogn’incontro mi turbo. E non saprò dunque regolar mite le mie Passioni sopra il Registro soave [408] delle vostre Piaghe dolcissime? Deh comandate a’ Venti delle mie affettioni disordinate, che farete insorgere la tranquillità nel mio cuore così procelloso: Sì come vi priego, nell’avvenire le mie parole tutte melate, i miei tratti tutti pacifici, i miei trattati tutti pacieri, poiché per l’amarezza del mio procedere voi haveste il fiele sulle labbra. Concedetemi, che non mi adiri contra de’ miei Prossimi, ma de’ miei Vitij; e siatemi liberale, mio caro Dio, di quelle Gratie delle quali tanto necessitoso mi trovo.

 

SUPPLICA AL SANTO.

 

Basta sol, che il vogliate, o mio riverito FRANCESCO, per impetrarmi quanto, con viva Fede per vigore del vostro Merito, Io cerco al mio Dio. Al vostro, dirò meglio, da cui vi supplico colle viscere nella lingua da ottenermi una pace interiore, che mi traspiri dal volto mite, per mostrar al Mondo, ch’Io son Figliuolo rigenerato del Crocifisso. Deh non isdegnate questo mio Cuore, benché quasi sempre suggetto a sdegnarsi. Egli non si vuol più turbare nell’avenire, che contra me stesso, perché mi turbai sempre per lo passato contro al mio Prossimo. Ahi quanti, ne ho sconsolati colle torbide mie procedure! Ma tocca a voi raddolcire quell’acque amare, col legno di quella Croce, [409] che vi rese dolce ogni assentio. Deh voi, che foste Semplice, e placido come Colomba, non permettete, ch’io viva più nero, e crudele, come Cornacchia. Cangiatemi in Cigno, se son un Corbo, e fate, che de’ favori divini, come di rugiade sovrane felicemente pasciuto, habbia per nido Eterno il Costato del Crocifisso.

 

 




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