DEL SANTO.
Deh quanto si rese ammirabile il nostro dolcissimo
Salvatore ne’ suoi Costumi Vangelici, che ci persuase a seguire non solo colla
Dottrina de’ suoi Consigli, ma molto più coll’Esempio delle sue Geste. Spiccò
fra le altre, qual fulgidissima Stella del primier’ordine, quella inalterabile
Mansuetudine, con cui, sempre humanissimo, diè singolarmente fra tante, una
prova evidente della sua Divinissima Essenza.
Iddio sempre in sé stesso placido, non mai
si turba, perché non è suggetto a tempeste quel Mare immenso, in cui spira
l’Aura dello Spirito Santo; che perciò vi si godono sempre calme di latte. Né a
quel Cielo Sovrano, che si aggira in sé medesimo con tanti Astri quanti
Attributi, ascendono mai Vapori, che possano turbarne il sereno, &
improcellarne l’aspetto.
[399] Discese
perciò ad incarnarsi da quel suo Cielo il Verbo, sicut pluvia in vellus:
che vuol dire come la Neve, di cui non può addursi a spiegar la Mansuetudine
simbolo più soave, qual hora dolcemente albeggiando imbianca, cadendo senza
strepito alcuno, la Terra.
Come della Mansuetudine
tanto amico, venne il Diletto, quemadmodum Filius Unicornium, a posarsi
mitissimo in grembo della Pulcella Davidica, che coronollo de’ suoi Castissimi
Gigli, spiranti fragranza celibe di mansuetissimi Affetti.
Fra le fasce ristretto,
spirò, bel Pianeta di Amor Eterno, da’ due lumi brillanti tranquilla Pace. Ogni
suo Vagito fu Tromba del Paradiso, ma non di Guerra. Crebbe suggetto non sol
alla Madre verace, ma anche al Padre presunto: E quello, ch’era il Fabbro dell’Universo,
non isdegnò, che il reputasse l’Universo Figlio di un Fabbro, negletto, e
povero.
Si famigliarizò co’
Publicani, mangiò co’ Peccatori, trattò co’ suoi Nemici sempre soave, sempre
amoroso, sempre trattabile. Se dal suo Tempio discaccia i Profanatori di Esso,
non istringe un fulmine, come potria, de’ più roventi, ad incenerirli; ma
congegnando di funicelle intorte flagello lieve, più colla Maestà del
sembiante, che colle sferzate del braccio li disperde abbagliati, più che
percossi.
[400] Sceglie un
Campo di Ulivi, tutto pacifico, per entrar in conflitto contro alle Colpe, che
gli si schierano in faccia orgogliose a ferirlo, & a bersagliarlo.
All’approcciar di quell’Ingratissimo Parricida, che ardisce di mettere la bocca
d’Inferno, con empio bacio, nel Cielo, esibisce Gesù tutto placato, e sereno il
Viso; e pur gli si affigge in Giuda un Orione sì tempestoso, che gli diluvia
sopra un nembo di ferro. Chiama amico il Traditore per convincerlo con un
termine così mite, per compungerlo con una parola così mansueta: Et abbatte in
un deliquio di più dolcezza, che di terrore le Turbe armate con due pacifici
motti, che sono moti di amor tranquillo ver’ chi l’assalisce con odio fiero.
Legato non si riscuote:
flagellato non si lagna: Spinato non si duole: Strascinato non si risente:
precipitato non si solleva: Conficcato non si lamenta: bestemmiato non si
turba: amareggiato non s’inagrisce: Oh Stupidezza Divina! Oh Mansuetudine
Empirea! Oh Soavità Impareggiabile!
Mite non men di Muto, non
solo non tuona, il Verbo, ma non favella, quando un Popolo contumace pria colle
lingua ingiuste, che co’ chiodi crudeli l’ha Crocifisso. Come un Agnello, non
solo si lascia tondere, ma ancora scorticato si sente senza aprir la bocca ad
un Ahi. È [401] coronato Re de’ Dolori, e pur non appar
dolente; anzi gode, perché patisce, né si querela, perché trionfa.
Curva le spalle ad un Legno
duro, e pur non apre le fauci ad un tenero ohimei sfiancato, ma non ritroso,
cadente, ma non restìo: nella debolezza costante, negli scorni ridente, più
dalla Modestia, che dal proprio Sangue vermiglio, irritato, ma non irato, è
sempre il medesimo; & in tanta varietà di tormenti conserva illesa
l’Egualità sublimissima della Mansuetudine imperturbata.
Tale fu la Temperie del
nostro Divinissimo Amante da FRANCESCO esattamente imitata; e corrisposta con
una dolcissima consonanza, per far’Echo, in tutto, al Crocifisso colla sua Vita
tanto ammirabile in tutto.
Coll’Incanto delle
armoniose parole unì gli Animi più discordi. Parea, che havesse in bocca favi
di Mele, non solo come Prudente, ma come Mansueto. Non mai si vide turbato,
perché non fu mai Superbo. Il Vento dell’Ambitione non l’alterò: Il Sangue non
mai fugli acceso dall’Ira al cuore, perché la penitenza ogn’hora più
raffreddollo alla passione del Senso, e più infiammato nell’Affetto di Dio.
Fu pecorella per
esser’Eletto dalla Gratia: Fu Agnello per somigliarsi a Gesù: Fu Colombo, che
non sentissi mai [402] fremere per lo sdegno, ma singhiozzante
nell’Oratione. Hebbe un Genio di latte; e pur non lo gustò solo che Bambino; e
benché solesse d’herbe amare spesso nodrirsi, favellò però sempre colla
dolcezza sovra le labbra.
Un tal Carbonello se
n’entra, acceso di ardir fumante, ad insultar a FRANCESCO nel Claustro con
ingiuriosi attentati; ma non per tanto bastò a sconvolgere la tempra dell’Huomo
Divino, che colla tenerezza delle risposte infranse le Bombardate
dell’Insolente. Ma molto più sentissi questi ammollito, quando essendosi il
Santo ricovrato nella sua povera Cella come Burchielletto, che quando insorge
temporal procelloso, al Porto ritirarsi, udì melodiose le gare degli Angeli,
accorsi, per intrecciar’alle Palme fiorite del gran Mansueto i loro Plettri
sonori. Così attendendolo, che ne uscisse, prostrosegli a’ piedi, e con mille
singulti detestò la forsennatezza del suo falso giudicio, legata dalle strette
ritorte di un Pentimento verace.
Anche soffrì FRANCESCO, non
mai degenere dalla sua placidezza, le procedure indiscrete di un tal Neofito,
che nel Convento di Tours, per esser promosso indovutamente di salto alla
Dignità di Superiore Locale, si diè ad istuzzicare la Mansuetudine del Santo,
per levarla di [403] tuono, ma restò fulminato da un Ciel Sereno.
Ciò, che più concorre ad
accrescer la maraviglia è il considerar FRANCESCO domante l’Infero colla
Mansuetudine della Croce. Altri Ensalmi non adoperò mai per discacciar da’
Corpi invasati gli Spiriti infesti, che: Per Carità uscite! Partitevi per
Carità! Così non valendo essi a resistere, né più potendo persistere, se ne
partivano flagellati dalla Dolcezza, e fugati, non che confusi dalla
Mansuetudine di FRANCESCO.
Il Demonio irritato dirocca
dal sommo di una Montagna una grossa Pietra a sepellir l’Edificio del Claustro
sorgente; e FRANCESCO vedendola precipitosa discendere, senza turbarsi punto,
comandava quella l’Arresto nell’aria con queste parole dalla Mansuetudine
articolate: Fermati Pietra Sorella per Carità! Qui colla Pietra mi fermo
ancor Io sospeso; già, che come la Pietra sono cadente; e così stupito diviso. E
come può dirsi mai Sorella di FRANCESCO una Pietra? Una Pietra dura oh come
male ha un Fratel di tal Tenerezza! Forse perché la Pietra è Simbolo di
Christo, di cui FRANCESCO per addottione è Fratello, di FRANCESCO è Suora; Ma
basta, ch’Ella sia Creatura di Dio, perché FRANCESCO l’honori: basta, che
FRANCESCO sia Servo di Dio, perché gli ubbidisca [404] la Pietra.
Sorella Pietra sì, perché FRANCESCO pur è di pietra per la sua fermezza, per la
sua Castità, per la sua Povertà, per la sua Vita così percossa, e non mai
vacillante, per essere fondamento delle Virtù, Fondatore della Religione de’
Minimi tanto esaltata sotto di un Humile; ma di Pietra ancora per la sua
Mansuetudine, mentre non si muove punto risentito alle ingiurie; apprendendo
anche le Pietre a fermarsi dal petto di lui così mansueto.
Buon Dio che Placidezza!
Hor come presumi tu di haverla propitia nel Santo, se non ti curasti mai
d’imitarla, ruvido sempre di maniere orgogliose, & agresti verso il tuo
Prossimo?
È una gran Virtà Morale l’Egualità
del procedere in un Huomo, che di sua natura nunquam in eodem statu permanet.
Il conservarsi Scoglio fra le Tempeste, è un Miracolo della Prudenza Politica,
Monastica, & Economica. Non v’ha maggior contrasegno, che uno sappia
imbrigliar le proprie Passioni del non turbarsi mai a qualsivoglia
disconvoltura. È praticar un grand’Imperio della Ragione sul senso, & un
tener suggetta la parte inferiore dell’Anima alla suprema. Colui può dirsi un
Hercole di Virtù, che sa catenar un Cerbero come l’Irascibile, che latra con
tante gole con quanti appetiti si muove.
[405] Ma rari son
quelli, che siano Eminenti nel professare questa Mansuetudine eguale, questa
Egualità Mansueta: Apparent rari nantes in gurgite vasto: Pochissimi son
coloro, che galleggino nel Mare del Mondo senza esser sommersi dalle proprie
tempeste, e da’ Venti, che lor si levano contro da’ tutti i lati. Se tal un se
ne trova è una Fenice del suo Secolo; e tutti gli altri, che si turbano ad ogni
fiato, son onde, ma senza sale, son piume, ma senza concetto, son nuvoli, ma
senza humore, son Venturieri, ma senza guadagno, sono Campioni, ma senza alcuna
Vittoria.
Senti la Dottrina Sana al
paro di Santa dell’Eloquentissimo Ambrogio, nel Libro Quinto sopra il Vangelo
dell’Apelle di Christo: Quum deposuero omne Peccatum, & eruero omnem
malitiam, & Simplicitate contentus fuero inops Malorum, superest ut mores
temperem; Quid enim mihi prodest carere sceleribus, nisi fuero mitis, atque
Mansuetus. Vuol dir’il Sagro Facondo, che nulla ci giova lo spogliarci
della Colpa, se non indossiamo quest’Habito di Mansuetudine, fatto alla Moda
del Crocifisso, che dice: Discite a me quia mitis sum; & al Modo di
FRANCESCO, che fu vivo Ritratto della Placidezza, & in conseguenza di
Christo.
Ma si trovano alcuni, per
non dir molti, che sempre minaci, e torvi, non sanno mirar diritto il Prossimo
loro, e come tanti [406] Lioni giubbati degrignan le zanne per
divorarlo. Sotto le arcate de’ loro sguardi severi fanno passar’ i loro
Fratelli oltragiati. Sputano ampolle, perché ogni loro parola è piena di vento;
e come gli Euri scatenati da Eolo sempre fremono irati, e sempre si adirano
frementi. Non si sa come trattar con Essi, perché sempre maltrattano. Divorano
il Povero colle occhiate, e stimano che la fierezza, onde son temibili, faccia
stimar Huomini di Vaglianza, e di Credito, e pure sono abborriti, come
Nembrotti, come Neroni, e come Vitelij, perché hanno sempre i nembi nel volto;
senza candore nelle Attioni, e sono Buoi nel sapere, e Somieri nel calcitrare. Il
primo carattere della Prudenza è l’Egualità nel procedere; & il primo
contrasegno della Nobiltà è la Dolcezza de’ Costumi. Con queste due
Propositioni ho detto quanto si può più dire contro a coloro, che qui di sopra
ho descritti.
Conchiudo, che Iddio scacciò
i Superbi e gli Alteri da’ Seggi sovrani, & sedere fecit mites pro eis,
come ci avvisa lo Spirito Santo al quinto Capo dell’Ecclesiastico; e come ne
adoriamo in FRANCESCO felicemente adempiuto il successo.
Ah, ch’i Mansueti, & i
Miti sono coloro, a’ quali tocca (secondo il Testamento di Christo nelle Otto
Beatitudini) il posseder la Terra promessa, di latte, e di mele stillante:
Simboli amendue, non che nodrimenti [407] di una Mansuetudine mite, e
di una Mitezza mansueta.
Finiamola, perché forse ti
tedia il sentir più lungamente divisar di ciò, che tanto a Dio piace: Vuoi tu
conseguire i Doni Celesti, senti, che il Savio ne’ suoi Proverbij dà per
raccordo, che Dio Mansuetis dat Gratiam. Chiedila dunque; ma nella
suppositione d’essere Mansueto nell’avvenire, ad imitatione di FRANCESCO, con
somiglianti
AFFETTI AL CROCIFISSO.
Io tutt’Assentio, mio Dio, e voi tutto
Nettare! Io tutto Fiele, e voi tutto Manna! Io tutto torbido, e voi tutto
Sereno! Io Tempestoso, e voi placido! Io così risentito ad un guardo opposto:
voi così sofferente ad una innondatione di obbrobrij! Oh Follie discrepanti di
una Musica troppo discorde! Oh disconcerti di tuoni pur troppo dissoni! Ah mio
caro Dio, non ho, non ho ancora assuefatto l’orecchio al dolcissimo suono della
vostra armoniosa Passione. La battuta di tanti flagelli sul vostro dorso non ha
potuto ancora abbattere l’alterigia degli arroganti pensieri sopra il mio
volto. Tal mi dimostro di fuori, qual nell’interno, pieno di turbini, perché ad
ogni vento mi muovo, ad ogn’incontro mi turbo. E non saprò dunque regolar mite
le mie Passioni sopra il Registro soave [408] delle vostre Piaghe
dolcissime? Deh comandate a’ Venti delle mie affettioni disordinate, che farete
insorgere la tranquillità nel mio cuore così procelloso: Sì come vi priego,
nell’avvenire le mie parole tutte melate, i miei tratti tutti pacifici, i miei
trattati tutti pacieri, poiché per l’amarezza del mio procedere voi haveste il
fiele sulle labbra. Concedetemi, che non mi adiri contra de’ miei Prossimi, ma
de’ miei Vitij; e siatemi liberale, mio caro Dio, di quelle Gratie delle quali
tanto necessitoso mi trovo.
SUPPLICA AL SANTO.
Basta sol, che il vogliate, o mio riverito
FRANCESCO, per impetrarmi quanto, con viva Fede per vigore del vostro Merito,
Io cerco al mio Dio. Al vostro, dirò meglio, da cui vi supplico colle viscere
nella lingua da ottenermi una pace interiore, che mi traspiri dal volto mite,
per mostrar al Mondo, ch’Io son Figliuolo rigenerato del Crocifisso. Deh non
isdegnate questo mio Cuore, benché quasi sempre suggetto a sdegnarsi. Egli non
si vuol più turbare nell’avenire, che contra me stesso, perché mi turbai sempre
per lo passato contro al mio Prossimo. Ahi quanti, ne ho sconsolati colle
torbide mie procedure! Ma tocca a voi raddolcire quell’acque amare, col legno
di quella Croce, [409] che vi rese dolce ogni assentio. Deh voi, che
foste Semplice, e placido come Colomba, non permettete, ch’io viva più nero, e
crudele, come Cornacchia. Cangiatemi in Cigno, se son un Corbo, e fate, che de’
favori divini, come di rugiade sovrane felicemente pasciuto, habbia per nido
Eterno il Costato del Crocifisso.
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