Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText |
Francesco Fulvio Frugoni I fasti del miracoloso S. Francesco di Paula IntraText CT - Lettura del testo |
|
|
PROLUSIONE IV.
Habbiasi pure l'Inferno insidioso scatenate le Furie per agitare l'Huomo Peregrinante: Irato il Cielo frement'i Fulmini a bersagliarlo Colpevole; che a lui non mancano mille, e cento Propugnatori Celesti a difenderlo supplicati: cento, e mille impenetrabili Scudi a [26] proteggerlo pronti. Io non presumo già di traspiantare i Cieli sopra de' Fogli; ancorché Fogli sieno i Cieli che narrano le Glorie di Dio, col cantarne in Eterno le Beneficenze inneffabili. Goderò bensì, che vengano quelle Anime belle, tutte stellanti per le Virtù, e tutte per lo merito fulgide a stamparsi più sovra i cuori, che nelle pagine; e che sien meglio impressi dalla Divotione nel tuo Affetto, o Lettore, che dall'Eloquenza espress'in questo mio Libro, piccole bensì per la Mole; ma grande altrettanto per l'Argomento. Pur trasandar non ne debbo alcuno, come suol far tal'hora Chi di contar tutti gli Astri voglioso, in annoverarne i più singolari, abbagliato si arresta, se non si appaga. Stella della prima grandezza mi sfolgora al cuor divoto la grand'Heroina del Crocifisso MARIA MADDALENA, mare di contritione, ma, che dà lena con l'aura delle sue gratie spiranti più de' favonij favorevoli a' Peccatori abbandonati, che non si salvano, se non fanno un dolce naufragio, come fe' pur'ella, nelle loro lagrime amare. Questa è quella gran Donna forte, di cui andava facendo l'inchiesta il Savio ne' suoi Proverbij: Donna, che vinse il Sesso fragile coll'intrepidezza di un petto impetrito dal suo dolore, per imitar colla sua costanza la fermezza [27] di quella mistica Pietra, ch'ella fe' sfavillar, da suoi baci battuta; e fe' innondar cannali di gratia percotendola co i sospiri. Amorosa Pirausta, che raggirandosi intorno al Candelabro di quella luce, che illuminat omnem hominem, restò incenerita dalla Penitenza, poiché dall'Amore combusta. Aquila di grand'ale, di guardo perspicacissimo, che incavernandosi nelle grotte della Provenza fe' tante volte prova de' purgati suoi lumi col affissarli nel Sol Divino. Fenice, che sulla catasta delle sue colpe spargendo aromati, arse d'incendio beato ai riflessi del Sol'Eterno, portando la cenere nel macerato suo corpo, & il rogo nell'avvampante suo cuore. Serafino ardentissimo, che velò i piedi al suo Dio, assiso dell'Humanitade sul trono: che velò il capo al suo Nume, nel letto del sepolcro prosteso: che volò con le penne delle sue pene, e delle sue penitenze dove comprensione humana non giunge; poi che quel dilexit multum, prosperità di essa dal Verbo, rispetto cui ogni altra espressione non è più capace d'ingrandimento, canonizò l'amore di Madalena così celeste, che quando lasciò d'esser terreno più non ritenne nulla di terra. Felicissima Arciera, che colle punte di tanti strali dorati, quanti furono i suoi capelli ferì quel gran cuore, che fu l'Erario della Sapienza infinita, e lo scudo frapposto per ischermo dell'anime a rintuzzar [28] le saette della Giustitia sdegnata. Conchiglia monda, perché non più mondana che al cader dell'Empiree rugiade apprestò candidi, e pretiosi monili nelle sfilate sue lagrime alle piante ossecrate del Salvatore. Perla d'incomparabile prezzo, che si strusse nel pentimento all'amoreggiato suo Dio, per essere fatta degna di comparir sulla mensa intellettuale del Paradiso. Cristallo purgatissimo, che si andò congelando nella spelonca di Marsiglia al proseguito gocciare di quel gran pericranio, che si stillò tutto in acqua purissima col fomento di tanto fuoco, che divampava da un petto fedelissimo innamorato di quella bellezza immortale, a fronte di cui gli astri son neri nei, & agonizanti carboni. Hor se a questa gloriosissima Amazone si schierano ossequiose le Angeliche Gerarchie; e se Christo risorto le disse noli me tangere, nundum enim ascendi ad patrem meum, il che fu virtualmente un prometterle, che lassù le ripartirebbe senza risparmio quegli abbracciamenti vitali, co' quali lo stringono i Cherubini, che con le penne intrecciate gli forman Soglio: chi non farà sicuro ricorso ad una Intercessora così possente, che a' suoi divoti fedeli bellissima Aurora, sparge dall'Orizonte della Gloria nembi di Gigli Empirei, & influssi di doni temporali, e sovrani! Io posso attestar, bench'indegno, al paro d'ingrato a questa mia generosa [29] benefattrice, che debbo ad essa tutte le svisceratezze del mio debolissimo spirito tributarie, poiché ravvisandomi la generosa più d'ogni altro colpevole ha voluto far pompa della sua efficace intercessione in patrocinar la mia vita, che potrei chiamar'un'Iliade, quando havessi le virtù, sicome ho patito gl'infortunij d'Ulisse. Fui peregrino, già son diec'anni, a quell'antro beato, che Santa Bauma dal Provenzale si rappella, e mi sentij, colà giunto, scoppiar fra que' tuffi assodati questo mio cuore insassito. Mi grondarono a disgorgo dagli occhi le lagrime, poiché vidi là, che que' sassi per insegnarmi la penitenza, che dalla loro gran Romita haveano appresa, cogli stillicidi continui d'acque in diverse vene fervidamente mi provocavano a piagnere pullulanti. Passai alla Città di S. Massimino, dove nella Regia Chiesa coltivata con sommo decoro da un choro d'Angioli dell'augustissima, dottissima, e nobilissima Religione Domenicana, che imita Dio anche nell'abito candido interiormente, e coperto nell'esterno di tenebre, si conservano le Sacrosante, le ammirate, le adorate reliquie di Madalena, come frantumate portioni, ma sempre lucide, e sfolgoranti, di quel tersissimo Specchio di Penitenza. Belle rovine di quella machina di alabastro, che sotto la zona torrida dell'Amore celeste incarbonchiandosi potea [30] dire: nolite me considerare, quod fusem sum, quia decoloravit me Sol; poiché Madalena hebbe sempre a perpendicolo sopra il suo capo, come sul cuore il suo divinissimo Sole, in cui fissando ogn'hora gli sguardi, non è stupor s'ella haveva continuamente gli occhi suoi lagrimosi. Occhi tanto più fulgidi, quanto più ammorzati nel pianto; e di colomba, perché accompagnata da' gemiti, e di fenice, perché coronati da' raggi. Occhi guizzanti stelle nell'onde, astri sorgenti dal mare, asterismi di una bell'Orsa, che fissa in Cielo, e non mai tramontante, sempre aggirossi fedele al Polo. Adorai quel suo Capo Eccelso: Eccelso perché piegossi a' piedi, che calzati dal Sole calcano il fermamento per indorarlo: gran Capo, e Capo di buona Speranza a' peccatori agitati dalla marea della carne spumosa, nella fluttuatione della coscienza fremente, tra le seccagne della disperatione vorace. Capo in cui, come in fucina, ma senza fumo, e pur così di lagrime ridondante, si temprarono tanti folgori a fulminare i peccati; & in cui, come in fornace avvampante all'incendio di un petto bollente di sdegno sacro si stemprarono tanti affetti a smaltare la gratia, & a smaltire la colpa. La grande Simetria di quel volto, che imprime un pio ribrezzo nell'animo di chiunque il contempli, m'indusse a formar concetto, che Madalena di corporatura eccedente, [31] non a caso fosse così alta di statura, come di Spirito, per poter cogliere dall'albero della Croce tanti frutti di vita; e che il Calvario hebbe al paro del Termodonte le sue Amazoni, perché il Sesso femmineo vantar potesse ancora la sua Martesia nella Sorella di Marta. In quel vasto cranio meditai un Cielo stabile, non perché mancasse d'intelligenza, ma perché nell'intrepidezza fu senza trepidatione più fermo del Fermamento. Io vidi bene, che Madalena fu donna di così gran testa, che in essa portò tutto il Paradiso; e notai con le inumidite palpebre arsiccia bensì la fronte dal giro di tanti Soli, aduste le gote dal corso di tanti Secoli; ma in quella sola parte, su cui strisciarono con dolcissima rispinta le dita Onnipotenti del Salvatore, rampollar'ancora rosata, e fresca la carne, che forma una Galassia stellante in quell'Ecclitica luminosa, che premuta dal Sol del Sole ancora sfolgoreggianti spande i suoi lampi. Bacciai con ferventi, ma riverentissime labbra quel braccio robusto, che resse quelle Colonne vitali, sotto le quali, perché vi si curvano i Serafini, vi s'incurvò la Madalena, e mi avisai nel ravvisarlo così smisurato, che la grand'Heroina di Madalo (che di Madalo? Dell'Universo) era alla lettera quella Dama forte, che roboravit brachium suum; riflettendo pure, ch'ella così efficace sovviene a chiunque l'implora per haver le [32] braccia sì lunghe. Ammirai con riverentiale stupore ristretti dentro a cristallina custodia que' capelli felici, che per haver tocca la vera pietra filosofale, all'hor che tersero a Christo i piedi, ad onta del tempo, che inrugina, e consuma gli acciari, si conservano d'oro. Chioma, fulgida chioma, che merita d'esser inghirlandata degli Stelleggianti Piropi, che ingemmano il Serto favoloso di un'Arianna, poiché quella più assai splendente della chioma di Berenice sognata formò velo al Sole Divino, & in contrasegno di ciò ancora spruzza raggi pretiosi. Che ne dite infedeli? Che brontolate Hebrei? Che bestemmiate Heretici? Voi, voi qui tutti disfido: voi, che negate con esecrabile allucinamento, con istupidezza ostinata, con coruciosa protervia la verità della Cattolica Fede. Gite, e vedete! Ma non son degni que' vostri sacrilegi arcigli di curvarsi per maraviglia di verace stupore a' moli così sovrane, che quanto più fan piegar chi le adora, tanto più di rimbalzo il sollievano al Paradiso. Voi soli, voi Fedeli divoti accorrete. Voi peccatori contriti mettetevi all'ombra di Madalena; ché s'ella sta dicendo sub umbra illius, quem desideraveram sedi, scarsa d'ombra non è, per proteggere; se pur può dirsi; c'habbia alcun'ombra questa Stella divinizata, che consumò le tenebre tutte negl'influssi, splendidi all'egual di splendenti, de' lumi suoi. [33] Osservo ne' più sublimi poggi dell'Empireo festante un groppo di Stelle intralciate, un intreccio di una Costellatione benefica, una Congiuntione massima di tre Luminari sovracelesti, GIOACHIMO, ANNA, e GIUSEPPE, che formano una Triade Sacra di altissimo Merito, & un Trino aspetto così fausto al mondo, come fulgido al Paradiso. Gioachimo Padre di Maria: che vuol dir Santo Stelo della verga di Iesse. Anna Madre di Maria: che vuol dir conchiglia di quella mondissima perla, che fu l'Unione dell'humane perdute alle divine ristoradrici sostanze. Giuseppe Sposo di Maria: che vuol dir Giglio divelto dal tronco di Giacobbe ad esser'unito con celibe innesto alla Rosa di Gerico senza spine. Gioachimo Genitore di quella Vergine, che fu la Cinosura della Gratia comparsa a scacciar l'Arturo della colpa. Anna Genidrice di quella Vergine, che fu l'Aurora del Sol di Giustitia, e per conseguenza principio di quel giorno felice, che s'imporporò colle augustissime murici di quelle vene Sacrate, che profusero la luce della Misericordia tutta rugiadosa, e fiorita all'anime talpeggianti. Giuseppe Sposo di quella Vergine, che fu il trono d'avorio non mai macchiato, su cui si adagiò con soave riposo il mistico Salomone. Giuseppe Padre putativo di Dio: honor così alto, che in divinis è incommunicabile [34] il titolo personale di Genitore; e pur quaggiù, per quanto poté consentir l'esigenza del gran Mistero dell'Incarnatione ineffabile, fu communicato a Giuseppe: ché se l'Eterno Padre dice in quella immensa espressione con cui eternamente lo genera al suo infinito Unigenito sede a dextris meis, per esser'il Verbo tutta la virtù dell'inesplicabile Genitore: Giuseppe anche disse più volte a Christo, siediti, o Figlio, qui al mio lato destro come il mio Dio; che perciò cantò argutamente divoto un dolcissimo Cigno del Tago a Giuseppe rivolto:
Y estando a la mensa vuestra Pudisteis dezir al Hijo, Para darle de amor muestra Hijo sientate a mi diestra.
Di qual vaglia sien questi tre, le lodi de' quali sol ponno spiegarsi armoneggiando sulle cetere d'oro da Cherubini più melodiosi, che son le Sirene di quel gran mare di Luce, in cui s'immergono Gioachimo, Anna, e Giuseppe, lo dimostra il grado intimissimo della parentela, c'hanno con Christo, & in risulta quello della gloria, che li sublima per haver meritato così altamente; che perciò non mai può mancare la loro possente intercessione a chiunque ad essi affidato faccia ricorso. Ma dove lascio il gran BATTISTA, che Lucerna de' Santi dovea precorrerli [35] nella comparsa, come colui, che rischiarò il cammino del Sole, di cui fu il Paraninfo foriero? Giovanni, che nascendo voce fe', che ammutisse il suo Genitore per far paralello al Verbo; poiché se il Padre Divino lasciò di favellar ne' Profeti all'hor, che Incarnato nacque il suo Figlio nella pienezza de' tempi: tacque Zacaria all'hor, che fu concetto Giovanni, che fu l'Echo prenuntia dell'increata parola. Giovanni, che fu il Fosforo luminoso di quella luce, che non ha occaso; la tromba sonora di quel Duce, al cui cenno si schiera l'Empireo in guerra, & alla cui comparsa sconfitto l'Inferno sospira: l'Imbasciatore del Re de' Regi, che recò al mondo le fauste novelle dell'imminente redentione: il precursor dell'Agnello Divino, che spiegò il volo candido, come la Colomba dell'Arca, e portò in bocca il ramo d'ulivo delle solitudini del diserto per contrasegno, ch'era cessato il diluvio dell'ira celeste: il Giglio purissimo, che rampollò dalle spine di un ventre sterile a prevenir la Primavera della Gratia nascente nell'horto virgineo: il Doppier dello Spirito Santo, che sfavillò composto di cera Vergine a discacciar senz'alcuna fuligine di peccato le caligini della colpa: il Cathedratico della Penitenza, l'Horiuolo della Santità, lo Specchio della Pudicitia, l'Organo del Paradiso, l'Hercole dell'Astinenza, l'Achille de' [36] Martiri, l'Ermellino de' Celibi, la Colonna de' Patriarchi, l'Oracolo de' Profeti, il Rationale de' gran Sacerdoti, la Perla de' Vergini, la Fontana de' Cherubini, la Squilla degli Anacoreti, la Sferza degl'Incestuosi, il Diamante della Verità, la gloria della Chiesa, & il maggior di tutti gli huomini puri. Dunque chi a lui si volge con le pupille dell'anima confidente ne riporta senza ripulsa que' doni, che può dispensar'una destra, che additando in terra l'Agnel di Dio immacolato lo stringe glorioso nel Cielo. Ecco là sulle cime de' monti eterni come sfolgoranti prosorgono i Principi degli Apostoli PIETRO, e PAULO, il Castore, & il Polluce del Cielo Ecclesiastico: l'Atlante, e l'Hercole della Chiesa: i Poli della Cattolica Verità: i Tropici del Sol'eterno: i piedistalli della Christiana Religione, & il maggior addoppiato fasto della grandezza Romana. Ecco un GIOVANNI, che fu la pupilla di Christo, & il pupillo della Vergine, che vide nel cupo, & interminabile centro della Divinità così profondi misteri, & hebbe per Madre raccomandata sopra il Calvario la gran Regina, a cui non in vano si raccomandano i tribulati. Ecco un ANDREA crocifisso per amor di Giesù con tal tenerezza fervente, che fino all'ultimo suo deliquio amoreggiò con la Croce, che li fu in uno talamo, e sposa. Ecco [37] un BARTOLOMEO, che fe' vela della sua pelle verso la Florida sempiterna. Ecco un GIACOMO, che fu prontissimo a bere il calice amaro, ma molto più amato, e perciò dolcissimo della Passione, per abbeverarsi eternamente a quel fonte, che scaturisce ad insoavire l'anima deificata dal destro lato del Crocifisso. Ecco un altro GIACOMO, che ancora dall'Empireo contra gl'infedeli schiera le Stelle, e sul gran Corsiere dell'immortalità, colla spada alla mano dell'intercessione sbaraglia l'hoste nemica. Ecco un TOMASO Tesorier del costato del Salvatore, che non più palpitoso la mano il palpa, ma fortunato il disserra a farne scaturire tesori. Ecco un FILIPPO semplice perché divino, divino, perché semplice, ma collo Spirito dupplicato, che raddoppia le consolationi sovrane a chi supplichevole di sollecitarlo non lascia. Ecco un TADEO, che havendo Dio nell'anima più che nel nome, diè l'anima sua per Dio, in contrasegno, che a gara degli altri Apostoli così ben seppe amarlo, che si trasformò tutto in esso. Ecco un MATTEO, che godendo di haver lasciato per Christo così lucrosamente il telonio, Usuraio celeste con più fortuna, che non fu mondano, coll'haver trovato nell'Uno il cento, adesso conta il cento per uno. Ecco un SIMONE, che delitiando finite le pene, ancorato in una calma di Latte dopo [38] un naufragio di Sangue respira carico di trionfi, e sollevato da' suoi trofei. Ecco un MATTIA, che secondo l'opinione fondata dall'Alessandrino Clemente, fu il Zaccheo del Vangelo, asceso hora sull'albero della Vita vagheggiante il Redentore senza disturbo; e se quaggiù di Publicano divenne publicator del Vangelo, poiché li cadde addosso l'empirea sorte, come al contraposto di un Giuda fellone, hor lassù, con un raggio di luce non solo, ma con un pelago di splendore segnalato rifolgora. Ecco un BARNABA gran Trombettiero del Crocifisso non più sudante nell'Oriente, ma respirante nell'Orizonte. Ecco un LUCA più fortunato, & ingegnoso pittore colle pennellate degli sguardi intellettuali formar l'imagine di Dio vivo nell'anima sua senza scuri con le lacche oltracelesti dipinto in luminosissima somiglianza. Ecco MARCO alato Lione volante per gli spatij dell'Eternità interminabili, & in quel gran Zodiaco di lumi mostruosi per la santa bellezza, coll'haver'in sua casa il Sole, o pur perché in casa del Sol si trova risplendere per tutti i Secoli felicemente infiammato. Tutti questi grandi, ch'appiccioliti metto in prospetto co' tratti fugaci della mia penna stridente, son più che valevoli, o mio Fedele, a stender sicura tutela sopra il tuo essere bersagliato da malignosi disastri, perché [39] quelli son Astri, alla comparsa de' quali cessano le procelle più turbinose, e tramontano i più funesti Orioni. Hai tu bisogno d'intrepidi, che ti difendano? Eccoti pronti quanti Martiri tanti Marti, che si possono senza ingrandimento appellar Gradivi, perché graduati nella militia celeste sono gli officiali del Dio degli Eserciti, e degli Eserciti di Dio; e fra questi uno STEFANO dalle pietre ingemmato, che co' suoi sassi t'innalza un'argine contro ai torrenti torbidamente gonfiati dalle disgratie innondanti: Egli, che morendo aprì con le occhiate i Cieli a' suoi prieghi, molto meglio hor, che vive, potrà spalancarli co' suoi prieghi a' tuoi voti. E se annagrammatizato il nome coronato di STEFANO PROTOMARTIRE, senza licenza esprime SANTO MORTO FRA PIETRE, glorificata la di lui anima, senza l'ombra di un neo rappresenta un Santo vivo fra le delitie immortali, e più intrepido che mai fosse a far petto di scoglio per tuo riparo ai turbini delle sventure, altretanto pronto a pregar per gli amici tuoi, quanto fu facile ad orar per i suoi nemici. Ecco un IGNATIO, che formento di Christo fu macinato dalle mole de' Leoni per divenire pane fiorito nella mensa Celeste: come pane non mancherà di sfamare il tuo digiuno anelante; e di fortificare il tuo cuore debilitato. Eccoti un LORENZO, [40] che dalle sue ceneri rinacque bella Fenice di Gloria, e tramutati i carboni roventi in carbonchi gemmanti, se nella notte della sua morte non hebbe sol, che chiarezza, hora nell'auge della sua vita, in quel giorno che non ha sera, sopra un letto di rose empiree risplende di non ecclissabile fulgidezza fregiato. Eccoti un VINCENZO, che intinta nell'ostro del proprio sangue la Levitica Stola, vinse col cuor robusto, più che col nome guerriero l'Inferno tutto, che contra di lui cospirò nello spirito di un Tiranno perverso: hor laureato Campione nel Campidoglio del Paradiso forma col peso della sua Gloria delle palme, che in quella sovrana Iduma frondeggiano gli archi trionfali alle sue vittorie. Eccoti un SEBASTIANO, che dalle saette alato vola per gl'immensi spatij della Beatitudine gloriosa, e benché s'innalzi al Meriggio ardente del Sol Divino, non perciò spennato abbatte le piume, perché gli si radicarono nelle viscere cogli strali. Eccoti un TOMASO di Cantuaria, il cui petto incrollabile fu baloardo vivo dell'Immunità Ecclesiastica. Angelo dell'Anglia, ma di tal Patrocinio indegna, il di cui sangue celibe, come quello di un giusto Abele, mescolato a tanti purpurei rivoli di vene innocenti, ancora grida vendetta da quella terra, che all'hor cominciò a divenir infedele, e per conseguenza infelice, [41] che fu bagnato co' Sacri correnti diffusi dalle sacrileghe spade, e dagli acciari ciechi de' Regi tiranni, e de' Tiranni regnanti. Eccoti uno STANISLAO Paolo della Polonia, che smembrato dall'empietà di un Principe, coronata Megera, e Tesifone di una Reggia, in cui bastava esser'un Ermellino per venir lacerato da' cani seguaci di un Cerbero: hor nel Paradiso intero collo Spirito fiammeggiante converte le sue ferite in iscudi dispostissimo ad accorrere in tua difesa. Ti si esibiscono pronti non meno, tra i Santi Pontefici, quel gran SILVESTRO che infuse con l'acque battesimali nel gran Costantino cattolica la costanza della guerriera più valorosa. Quel grande GREGORIO, che s'hebbe vivente la Colomba divina all'orecchio, hor ha l'Aquile a' fianchi celesti per isbaragliar colla sua intercessioni tonante, non meno, che colla sua penna fulminea i Corbi infernali. Quel gran LEONE, che fu simile a quel di Marco per haver l'ale, & a quel di Sansone col mele in bocca. Quel NICOLÒ, che soccorse con aurea mano la Pudicitia pericolante, e con tante miracolose assistenze liberò dalle perdite i suoi Clienti divoti vigoroso Avvocato nel Paradiso. Quel grand'AGOSTINO, che fu il miracolo della Gratia, di cui fu il Dottore miracoloso: Mostro degl'Ingegni, & il più bello, che mai producesse [42] l'Africa portentosa: Mastro de' Saggi, & il più dotto, che mai premesse col peso delle ponderationi la catedra della Sapienza. Annibale delle Lettere sacre, Achille del Liceo cattolico, Hettore della Fede intrepido, che colla penna della sua spada su i campi de' fogli sconfisse i Manichei ribellanti, e coll'aceto acuto della sua Dottrina, preservadrice dall'hereticale contaggio, spezzò le rôcche alpine de' cuori ostinati, per ispianarsi la strada alle gloriose conquiste dell'anime. Quel gran GIROLAMO, che co' suoi penitenti ruggiti, Santo Leone, dalle grotte di Palestina fe' gelare gli Orsi Montani, e le Tigri spietate, che laceravano la veste inconsutile del Salvatore. Quel grand'AMBROSIO, che coll'eloquenza grondante di nettare nelle sue pagine, diffonde ancora le sue salubri rugiade nella sua dolce intercessione. Mira colle pupille costanti della consideratione divota quell'ANTONIO, robusto Alcide, benché ti sembri Vecchio sfiancato, poiché colla clava del suo bastone infranse il capo superbo al Lione rugghiante dell'Erebo, e colla face della sua Oratione rintuzzò le gole fumanti dell'Hidra infernale. Osserva il chiaro Romito di Tebe, PAULO, che fu il secondo Elia con un'anima tutta di fuoco sotto un corpo tutto di cenere, pasciuto da' corbi nell'ombre solitarie del'Eremo, & [43] hora satiato dalle Colombe nelle luminose campagne del Cielo. Accorri al gran Patriarca de' Patriarchi BENEDETTO, che si può dir l'Abramo de' Regolari, sotto il cui manto stellato si ricovrano tante Ecclesiastiche Gerarchie, che ben si può chiamar'anche l'Archangelo de' Chori Monastici, ne' quali sono tanti Angeli in carne, quanti Religiosi per l'intelligenza, e per lo candore s'illustrano. Implora il Solitario BRUNO, l'Arpocrate Sacro, il Tacito del Vangelo, che non favella, e pur è tutto pieno del Vero, e senza parole si può dir tutto fatti, co' suoi concentrati seguaci, che spirano un santo horrore, prima sepolti, che morti; anzi vivi perché sepolti. Invoca i NORBERTI, i ROMUALDI, i PIETRI NOLASCHI, i Beati FILIPPI, Servi di Maria, con cento, e mille altri Confessori, che furono in terra Generali di Militie sì prodi nelle opere come sacre nell'istituto, e non paventar, che ti abbandonino le assistenze sovrane. Non ponno mancarti mai tutelari dovunque ti aggiri, se pur al Ciel ti rivolti. Mi rifò da capo per rincorarti, rimostrandoti ancora, che in MARTINO hai un gran Marte, che s'ei quaggiù colla Spada pietosa divise la sua cappa al povero per coprir Christo nudo, lassù stende intero il suo manto per proteggere il Christiano spogliato. Nell'invitto ATTANAGIO, [44] che patì tanto per la Fede, & hor opera tanto per i Fedeli, havrai un asilo sicuro, se sei fido a quel Nume, che quegli, per haverlo sempre contro agli Ariani (Tifei orgogliosi, che alzarono montagne d'empietà contra il Cielo) difeso, hebbe sempre a lato indeficiente difenditore. Il Taumaturgo GREGORIO, che mosse, divino Anfione, co' suoi prieghi le rupi, fermerà colle medesime i monti, che già ti cadono in capo. Quel grande GRISOSTOMO, che sgorgò dalle labbra ingemmate torrenti d'oro, hor dalla provida mano diffonde fiumi pretiosi di gratie. Dal Nazianzeno GREGORIO, che con occhio di lince penetrò i secreti della più profonda Teologia, saran ben vedute nel più cupo del cuor'afflitto le altrui tenebrose miserie. Porta l'hilarità nel nome per rallegrarti, o mesto, il dottissimo S. HILARIO. Se ti mancano remi per giungere in porto sicuro, te gli esibisce col nome, ma più coll'intercessione il facondissimo S. REMIGIO. Non puoi sperar, che ventura buona dal Serafico BONAVENTURA, honor delle Porpore Claustrali, quelle, che fanno più resistenza alle palle vomitate dalla perfidia degli Heretici contro al petto, & al capo della Chiesa Cattolica. Non puoi trovar sol che dolcezza in BERNARDO, che colla spruzzata di latte virgineo, prudente Vangelico stillò il [45] mele più soave, che possano fabbricar le pecchie più ingegnose dell'Hibla Sacra; e dalla sua Chiara valle havendo sgorgati tanti splendori di Santità, e di facondia, hor da i colli del Paradiso divampa fulgidezze felici, siché può dirglisi in supplicarlo: illuminans tu mirabiliter a montibus, aeternis. Innalza lo sguardo della contemplatione a quel gran campo di gigli tutto stellante, tutto di stelle ingigliato. Vedi lassù quell'AGNESA, che se fu Agnella in terra, hor è Agnola in Cielo, sempre seguace di quell'Agno casto, a cui se fu vittima già svenata, hora si unisce sposa felice. Vedi CATARINA colle sue ruote, che premon gli Astri, come trionfa, e tien sotto il piè luminoso fiaccato il capo del pervicace Mezentio. Vedi CECILIA, che inghirlandata di ligustri celibi, con melodioso concerto spiega canora la voce sull'organo della Beatitudine nella Cappella Sovrana; a cui la mano inneffabile di tre dita indivise, benché distinte, dà la battuta, & havendo agli occhi dell'anima armoniosa un registro regio, intuona senza nota le note, che non hanno cadenza, o fuga, semicroma, o sospiro. Vedi LUCIA, che divenuta tutt'occhio s'imprime tutta in quel Sole, per lo cui raggio acciecossi al mondo fulgidissima sluminata, e quanto più cieca tanto più amante di quell'amore, che tutto [46] è lumi. Vedi AGATA, che colle poppe quaggiù recise fu la vera Amazone del Crocifisso per combattere francamente; hora lassù colle mamme turgide fa pompa di un petto, candido più del latte, e pieno di quel buon Dio, che tutto è lattea dolcezza a' suoi nodriti Beati. Vedi ROSALIA, che porta nel nome le rose, & i gigli nell'anima, formar da sé sola col diletto suo Christo candido come il Giglio, e rossegiante come la Rosa, una Primavera di Gloria. Vedi la fiorita Vergine DOROTEA, che colla sua rinomanza d'oro arricchisce di pregio le minere del Paradiso, e con man di calta coglie in que' giardini pensili fiori eterni. Vedi MONICA la gran Zenobia del Vedovatico Santo, che al bel meriggio della Carità havendo asciugate le lagrime, che furo le perle, onde fu impretiosito il Diamante di Agostino, divenuto al piagner della gran Madre, che regenerollo con gli occhi, di Dio amante, coll'aspetto sereno arride a chi mesto, ma confidato l'implora. Vedi FRANCESCA la gran Romana, che seppe cotanto agere, & pati fortia, così famigliare agli Angioli, che se gli hebbe compagni visibili in terra, hor gli ha corteggiatori ufficiosi nel Cielo. Honora le due ELISABETTE Reine, che permutate le Corone Regali nelle Spine del Crocifisso amato, regnano con più sicuro, e non efimero Impero sul trono [47] sublime della Beatitudine sfolgorante. Oh quanto beneficio ti disgorga, o mio Lettore, da' Chiostri, ne' quali tanti Soldati del Crocifisso fanno le imboscate all'Inferno colle Virtudi, & argine alle piene innondanti degl'Infortunij colle Preghiere. Uscì da questi quel Valoroso Campione DOMENICO, il Can Celeste della Cattolica Chiesa Custode, che co' suoi latrati terribili, e cogli assalti indefessi, perseguitò le Colpe mordenti, non men, che gli Heretici trafugati. Colla Stella della Fede in fronte, foriera del Sol Divino, fe' dileguar le vaporose tenebre delle Colpe, e colla fiaccola in bocca della Dottrina, prenuntia di quelle Notitie visive, che ci discoprono il Sommo Bene nella Patria Beante, dissipò le fuligini dell'Ignoranza caliginosa. Il di lui Santo Protratto, che in Soriano si adora, è un Aureo Vello di cui bene spesso fan la Conquista gli Argonauti Spirituali. A questo Grande del Paradiso ricorri pur o Fedele, né temer punto de' tuoi Nemici, ch'Egli col Valor de' suoi Meriti così numerosi, e col Seguito de' suoi Legionarij sì prodi, i quali sotto un Manto di tenebre (Sopravesta all'ombre Stigie temuta) chiudono un'Habito candido di luce, e di lana monda, mentre campeggiando fioriscono, e fiorendo campeggiano, ti renderà felicissimo Vincitore. [48] Ma non debbo già qui, per illustrar pienamente queste mie pagine, tacer di quel gran TOMASO d'Aquino, ch'io non discerno se porti più in testa, che in petto il Sole. Tomaso il Dottor degli Angeli, l'Angelo de' Dottori, lo scudo della Fede, la Torre di David, l'Organo della Teologia, il Salomone de' Claustri, il Martello degli Heretici, l'Ancora della nave di Pietro, la Custodia del Pane vivo, il Tabernacolo della Verità, l'Ape del Paradiso, lo Specchio della mondezza, l'Ermelino della Gratia, il Fonte della Scienza, il Nilo delle Dottrine, il Conciliatore de' Santi Padri, la Siepe della Vigna Evangelica, la Cetera della Virtù, la Tromba degl'intelletti, il Cherubino delle Scole, l'Apollo de' Letterati, il Faro luminoso nelle caligini degli errori, la Colonna di luce nel diserto delle difficultadi, l'anima de' Concilij canonici, la Bossola de' naviganti Scolastici, l'Hercole delle Lettere Sacre, l'Achile de' Dottori Cattolici, l'Alessandro degli Scrittori Teologi, il Dedalo de gl'ingegni Christiani, il Giasone de gli Argonauti Celesti, la Tramontana de gli Studiosi 'ngolfati, l'oro purgatissimo della Sapienza, il Colombo dell'Indie sovrane, l'Aquila delle penne più candide, la Fenice del Liceo più sublime, l'Intelligenza della Teologica Sfera, il Paride casto de' giudicij più saggi, il Toro Celeste contro all'Inferno [49] cozzante, il Saggittario divino bersagliatore del falso, il forte armato, che munisce l'atrio della Chiesa, il Cherubino acceso del Paradiso della Scrittura, il fidissimo Acate del Crocifisso, il difenditor degli Articoli della Fede co' suoi articoli miracolosi, che sono spade affilate sovra la mistica Pietra; e finalmente il Sole del Vero, che stendendo i raggi purgati delle splendenti sue linee sulla Galasia delle sue candide pagine, mette in fuga le tenebre opache dell'ignoranza, dilegua il ghiaccio dell'Heresia, dissipa i vapori erranti dell'opinioni erronee, ravviva gli Spiriti degli animi soporosi, e rischiara coll'indefesso fulgore dell'aureo suo lume tutto l'Emisfero Ecclesiastico. Scegliti dunque Tomaso per protettore: Egli è quel Sol, che refulsit in clypeos aureos, che sono i suoi libri, & i suoi meriti, co' quali si schermisce il Saggio dalle saette dell'Heretico empio, & il Divoto si premunisce contra i colpi delle sventure affilate sopra le cote delle colpe letali. Né debbo disgiunger qui dal Sole del gran Cielo Domenicano le Stelle, perché circa Solem Choreas ducunt. Stelle tutte d'influssi benefici rugiadose, di favorevoli aspetti espressive, di gloriosi raggi avvampanti. Un PIETRO MARTIRE, che imporporò col suo Sangue il manto alla Fede Reina, è Stella nel proprio caso costante, nel suo occaso sorgente. Pietro [50] Stellante di empirea luce nell'empireo Theatro: stillante di gocciole sanguinose nel suolo, che ancor grida vendetta al Cielo inzuppato dalle murici di questo candido Abele, massacrato da un Cane, non da un Caino. Un GIACINTO non mai giacente, ma sempre in continuo moto per ravvivar col suo lume puro Evangelica face il Mortale assopito nella tomba del vitio: Giacinto efficacissimo contra il contagioso malore del peccato pestifero: Giacinto, che per essere Spirito di Dio ferebatur super aquas; Giacinto, che galleggiando ne' fiumi fu Pietra d'Aquila; o pur Aquila di Pietra per essere senza senso; anzi Aquila di spirito, perché non hebbe di carne, che un'ombra, ond'è, che fu leggiero, ma non vano: leggiero, di corpo per le sue penitenze; non vano di mente per esser tutto pieno di Dio: Giacinto, che innestato nella Corona del Re de' Secoli, per tutti i Secoli sfolgoreggia, e col peso della sua gloria eterno fa curvar le Sfere alla terra benefiche, e le venefiche impressioni fa dileguare dal Christiano Clima, con la virtù dei suoi meriti, co' meriti della sua Virtù svaporare. A questi due grandi del Paradiso, che fra tanti altri sotto il vessillo Domenicano campeggiarono valorosi, & hora si accampano fortunati, accoppiar si debbono le due celesti Celibi CATARINA da Siena, e ROSA da Lima, che fra tante altre [51] il Giardino della Vergine, cioè la sempre florida Religione del gran Patriarca Domenico infiorano. Catarina Ritratto del Crocifisso, estratto della Gratia. Alba del Sol Divino, che diffuse il soave odore de' suoi ligustri, le rugiade grondanti delle sue lagrime, gli alberi candidi de' suoi affetti, le viole pallide delle sue penitenze. Catarina a cui non mancò il martirio nel digiuno, né la nodritura nel Sacramento; Che come Pecchia verginea si alimentò del fior'Eucharistico; che come mistico Giglio fu dalle Spine assiepata; che come vaporatione di mirra ascese a ricrear l'olfatto degli Angioli; che come Aquila bianca s'incavernò nelle piaghe del Redentore; che come fulgida Cinosura non mai tramonta ai Fedeli, che la rimirano fidi. Hor, che dirò di ROSA, il cui pregio tutto in due termini si racchiude con asserirla consimbolo a Catarina? Rosa, che nata nel Perù si può chiamar Rosa d'oro, e rampollata in Lima si può dalla Fama preconizare per somma. Rosa, c'hebbe la Verginità per istelo, per Alba la Vergine, per zeffiri gli Angioli, per odor la virtù, per rugiada la gratia, per Giardiniere Christo, per Ape lo Spirito Santo, per Vaso la Fede, per verde la Speranza, per humore la Carità: che se non, hebbe le Spine intorno delle colpe letali, hebbe le salubri del Crocifisso per cinto, che la [52] premunirono agli assalti degli Scarafaggi infernali. Rosa candida per la purità, purpurea per la passione, fragrante per la divotione, languente per l'amore, medicinale per le Virtudi, vivace per l'affetto, retta per l'osservanza, curva per i prieghi, concentrata per la contemplatione, svelata per la modestia, rugiadosa per le lagrime, doppia per lo spirito, semplice per l'innocenza, sollevata per gli estasi, spirante per i deliquij, mortificata per la penitenza, ridente per la Gloria. Rosa di un giorno, ma senza fine; di un Sole, ma senza sera; di un meriggio, ma senza caldo; di un'aura, ma senza vanità; di un'Aurora, ma senza nubi; di un giardino, ma senza fuchi; di una coltura, ma senza pompa; di una Primavera, ma senza turbini. Rosa Reina, c'hebbe l'ostro dal sangue del Salvatore, per trono il tronco della Croce, per corona quella del Crocifisso, per Regno la Verginità, per Corte il Chiostro, per Cortigiani gli Angeli, per Damigelle le Virtù, per Dama d'honore l'Oratione, e per Isposo il Giglio delle Convalli, & il Re de' fiori immortali. Rosa non caduca per la colpa, non fastosa per la bellezza, non pungente per l'invidia, non marcita per l'accidia, non tumida per la superbia, non fievole per la vanità, non frale per la tentazione, non efimera per l'incostanza, non abortiva per [53] l'inconsideratione, non isfiorita per la dissolutezza, non isvenuta per a lascivia, non isvanita per la vanagloria, non divelta per la presuntione, non secca per lo fomite, non impolverita per la morte. Rosa non tinta col sangue di Venere impuro, ma incandidita col latte della Vergine Celibe: più sublime di quelle, che nascono su l'alto Pangeo: più di quelle, che rampollano nel Milesio suolo fragrante: più di quelle di Cirene, e di Preneste odorosa. Rosa, che come quelle di Pesto nacque ne' frutti, e portò nella Primavera l'Autunno, e nell'Autunno la Primavera. Rosa a cui si addattano meglio con ispirituale allusione gli Elogi descrittivi di Anacreonte, per esser'ella con più ragione Rosa Eterna, honor decusque florum, ma di que' Fiori, che germogliano in Paradiso, coltivati dall'Agricoltore celeste, innaffiati colla gratia, e fregiati di gloria. Rosa cura, amorque Veris, perché tanto curata, e tanto diletta da Christo, che nelle sue piaghe spiegando la Primavera amorosa, amò Rosa perché impressa nel cuore delle di lui piaghe rosate. Rosa Caelitum voluptas, perché negli Horti pensili dell'Empireo si rallegrano i Beati al fioreggiar di un Fiore, che traspiantato dall'Indie terrene nelle celesti, coll'esprimere la Passione del Redentore più al vivo toglie alla Granatiglia miracolosa il pregio di singolare. Rosa flos, odorque Divum per [54] esser ella un fiore de' Santi, & una Santa de' fiori: Opus laborque vatum, perché gli argutissimi Orfei del Paradiso, gli Angioli canori della Tebe sovrana, gli Arioni melodiosi di que' gran mari di luce, che son solcati dagli Astri veloci, e da' Pianeti velieri, non cessano armoneggiando felicemente di celebrarne gli honori. Rosa medicina certa morbis, perché ricorrono gli egri ad impetrarne la sanità, i tribulati a conseguirne il ristoro, poiché defendit haec sepultos quelli, che vivono tumulati negl'infortunij, che come morti puzzano al Mondo per la povertà, od al Cielo per la colpa imputriditi nella tomba del vitio. Haec tempori resistit, perché l'età più vigorosa l'ha resa: Huius senecta suavem servat iuvente odorem, perché invecchiata rampollò più fresca, e conservò nel verno degli anni le delitie innocenti di una pargolezza fiorita. Oh come fulgida spunta ne' giardini sovrani del divino Alcinoo! Oh come vaga fioreggia sopra lo stelo stellante del Crocifisso! E ben fu a ragione, che se al tempo di Dorotea trasmise il Paradiso le sue Rose alla terra, hor con iscambievole dono restituisse la terra al Cielo le Rose. Che se il vecchio Mondo diede alla Gloria le sue Rosalie, doveva il nuovo delle sue Rose farla partecipe. O bellissima Rosa, che basta sola a recare la Primavera! O pretiosissima Rosa, che sola basta a dovitiare chi la possiede. Rosa [55] di Diamanti per la costanza, per la Verginità, per la Fede, per lo patire, per tanto lume, che la chiarifica, smaltata del sangue del Salvatore, & illustrata da una Lima, che per lo spatio di tanti lustri lustrolla a farne donativo reale all'Imperatore dell'Universo: Ben degna, che il gran Clemente Nono in tempo, che fea rinascer la Pace sopra la Senna, e sul Tago, la producesse Beata, perché la Rosa è Simbolo di Clemenza, e di Amore. Tu vedi un Povero Scalzo nel gran FRANCESCO di Assisi, e se pensi, ravvivandolo colle mani trafitte, e col petto cicatrizzato, ch'Ei non vaglia a giovarti, o non ti voglia soccorrere, sbagli a bandiera. Con quella Corda, che il cigne, ruvida zona di raccozzato Sacco, pien di Tesori, strigne la gola al Drago infernale, accioché non t'ingoi; e Serafino ardente, benché coperto di cenere, può liberarti dagl'incendij dimestici, e da' ghiacci letali. Deh come colle innumerabili Truppe de' suoi Bellicosi Seguaci, non men, che colle numerosissime Schiere de' suoi Affetti Pietosi, basta, quando tu ti ricovri al di lui Costato, a conquidere tutti gli Eserciti delle Colpe, & a ripulsare tutti gli approci delle sciagure. Figlio specialissimo di Padre sì degno è il prodigiosissimo ANTONIO DA PADOVA, che nato di là dall'Herculee Colonne, passando per arricchire l'Italia [56] colla pretiosa sua Salma, lo Stretto d'Abila, e di Calpe, vi portò seco il Non plus ultra delle Maraviglie Vangeliche. Arca in vero del Testamento nuovo, & Eterno, ch'emulando quella dell'antico Testamento adempiuto, e consumato, dovunque vien riverita, & accolta fa innondare a disgorgo le Sovrane Beneficenze. ANTONIO sì, che non per altro Simbolo, nelle Ceneri del suo Corpo, Giglio purissimo da Casto Amore combusto, conservò la sua Lingua intera, e qual fiamma purpurea, vivace, che per impiegare la sua possente Intercessione a nostro beneficio, e difesa. Antonio, che strignendosi al petto Gesù bambino, fu quel Gigante di merito, che giunse col cuore là dove arrivano appena l'Aquile dell'Empireo, che a' piè di Gesù pargoletto stesero l'ale prostrate. Egli formò delle braccia culla a quel Dio, a cui le sfere son fasce anguste, e resse col petto retto quel Grande sub quo curvantur, qui portant orbem. Quindi stupor non è, s'egli hebbe poi tanta lena, che mosse il Mondo a sua voglia, e maneggiò gli elementi con la sua vaglia. Inviscerandosi con quel Verbo, il cui dire è fare, la cui parola è Onnipotenza, hebbe Antonio tanto potere, che rapì alla morte le vite, al Demonio l'anime, perché non mai parlò, che non operasse, né mai operò, che non operasse prodigij. Prodigij di gran Dottrina, di cui fu Mastro, [57] portenti di gran Santità, di cui fu Mostro: Gran Taumaturgo del Tago, il quale dove si sepellisce, indorò la culla ad Antonio: gran Taumaturgo dell'Eridano, che dove Antonio ha la tomba, piega riverente per adorarlo humiliato le corna d'oro. Io fui nella famosa Città, che vanta le fondamenta da Antenore, ma la sua fermezza da Antonio, & ivi adorai quell'Urna beata, in cui si chiudono degli sfortunati le sorti; e nel sepolcro di Antonio, non so dir, se osservassi, o sepolta la morte, o risorgente la vita. Succhiai da quella pietra, in cui si adorano chiuse l'ossa venerabili del Santissimo Heroe, succhiai colle labbra ad un riverential ribrezzo tremanti, e palpitose al sintomico abbronzamento d'una Terzana addoppiata, la mia rinvigorita salute, sentendomi intepidire le vene aduste all'hor, che divampommi l'anima accesa nella lingua oratrice, con la quale sclamai nel tenore delle mie flebili note O sasso amato, & honorato tanto, Che versi la pietà, pietra del Santo! Così sfavillando questa da' miei baci percossa, m'accorsi all'hora, che l'anima mia era tutta di acciaro, arruginita dalle sue colpe; onde considerai la bontà di Antonio, che non abborriva il mio cuore, di quel sasso più duro, se questo formava l'Echo salubre a' miei prieghi. Sentij da que' fori esalar le fragranze di quel candido [58] Giglio, le quali m'istupidirono il senso, & in quel sasso, dove le calamitadi fanno naufragio, e periscono assorbiti i pericoli, trovai delle mie passioni la calma, nelle mie tempeste il porto. Considerai, che quel mistico Giacobbe, colmo di benedittioni celesti, e quella Tomba vitale, esuberante di rugiade gratiose, feriano olezzando il fiato de' miei delitti, ch'evaporavano co' miei sospiri, e colle mie lagrime si struggevano. Spezzai contrito il mio cuore su quell'avello, che perciò franse un macigno l'altro, e su quella ferma pietra, la quale forma il piedistallo ad una colonna di alabastro, così sublime, ch'ivi regge in terra il Paradiso curvato a beneficio del Mondo Cattolico, stabilij solla mia salvezza già dirupata, nonché vacillante, il proponimento d'essere sempre più divoto di Antonio, mio singolarissimo tutelare. Serviti dunque, o Lettore, di questo avviso per istruttione della tua ricorrenza ad una fontana di miracoli tanto innesausti. Vorrei qui hora haver Geografica Penna, ma che mi servisse di carta il Cielo, per delineare quel robustissimo Atlante della Fede Cattolica, il gran XAVERIO Apostolo dell'Indie Orientali, tanto tempo perdute, su quelle sue infaticabili spalle, che furono tutte petto, il Mondo trovato. Che dissi spalle? Sbagliai. Portollo in testa, se pure non fu [59] nel cuore: Vero Colombo, che in competenza più felice di quel famoso Ligustizo, recò a' que' Popoli tetri l'ulivo colla Pace Vangelica, più che altro non trasse della conquiste degli Occidentali l'Alloro, e l'oro col Ferro Martiale. Invittissimo Alfiere di quella gran Compagnia di GESÙ, che tutto giorno, e colle Lettere l'Ignoranza, e colla Santità sconfigge l'Inferno. Felici que' tutti, che di Campion così bravo ricovransi all'ombra tanto luminosa, e sicura. Oh quanti, oh quali mi si oggettano in questo procinto all'imaginatione divotamente curvata, che Vittoriosi all'egual d'Invitti, col solo cenno di un guardo sono valevoli a sbarragliar chi ci assedia col solo intento di perderci? Mi si presenta, Honor del Piceno, lo stellato NICOLA, che miracolosamente, a somiglianza del Salvatore, tante Turbe dall'afflittione più, che dalla fame, turbate, con piccoli, e pochi Pani ravviva, accioché non isvengano nel cammino della Salute. Non fu così mai fiammeggiante la Sacra Porpora, che quando fu veduta coprir'un Mongibello di Zelo Empireo sul dorso, tanto più Eminente, quanto più humile del Santo Pastore CARLO, il Fasto più Insigne de' Nobilissimi Borromei, e della Fedelissima, e Gloriosa Città di Milano. Dirollo Massimo, perché Carlo de' [60] Magni più grande non hebbe mai altra Massima, che d'ingrandirsi nel Cielo, coll'appicciolirsi nel Mondo. Co' fregi innumerabili delle sue Virtudi Esemplari, accrebbe all'Insubra Mitra gli ultimi pregi; e col capo in terra sempre piegato, col tergo sempre piagato se portò all'Ovile tante Pecorelle smarrite, non isdegna hora di guardarle da' Colli Eccelsi del Cielo in queste Valli di Miseria raminghe, affin di renderle, colla sua Protettione, sicure da' Lupi 'nfernali. Né debbo da Esso disgiugnere il di lui coetaneo FILIPPO, Giglio fragrantissimo di Candore Celeste, e Celibe, che spuntando nella Bella, non men di Nobile Città de' Fiori (con Politica sempre sana, governata da Medici Augusti, e Sommi di sapere, come di polso) hebbe un'Indole così pura, che gli putiva da lungi tutto ciò, che non olezzasse di Casto: Huomo Divino, perché similissimo a Dio Humanato, Candidissimo di Costumi, come Nero di Nome, e perciò accolto fra i Candidati più celebri dell'Empireo. Ma si spiuma, & abbronza la Penna in aggirarsi all'acceso lume, con cui divampa, ma senza fummo, benché Ahumada, la gran TERESA di GESÙ, Teresa, Aquila dell'Avila cavernosa, dirò meglio Colomba dello Spirito Santo, Fiamma del Paradiso, e Fama del Crocifisso. Hebbe la Generosa Viragine per Cuore un [61] Cilindro, perché fatto a punte, in cui si unirono tutte le linee delle perfettioni mistiche. Hebbe per Petto uno Scudo, in cui rintuzzarono tutte i loro Strali le Avversioni. Hebbe per Anima una Fenice, che rinascendo dalle ceneri della Penitenza, volò con penne dorate nell'Arabia Felice de' Santi. Hebbe per suoi Pensieri tante Pirauste, che si aggirarono sempre all'Eterno Lume. Hebbe una Mente si fulgida, che di Discepola si fe' Compagna de' Cherubini. Hebbe un Intelletto così veloce, che assottigliato lo sguardo, volò colle più sublimi Aquile all'Empireo. Hebbe una Volontà così retta, che venne diretta sempre, come Sfera di tante Stelle, di quanti Affetti, dalle Intelligenze Sovrane. Hebbe una Memoria così feconda, che pullulò co' Fiori del Celibato i frutti del Merito. Hebbe una Fede così costante nelle Tempeste del Mondo, che mai non perdette di vista il Polo del Cielo. Hebbe una Speranza sì verde, che mai seccossi fra gli ardori de' desiderij, & alle combustioni infernali. Hebbe una Carità così fervida, che non mai agghiacciò fra le Nevi, & arse meglio fra le Spine de' Patimenti, formando Ella del suo purissimo Corpo, non che un Tempio divoto, un Roveto avvampante al suo Dio. Hebbe una Giustitia cotanto esatta, che camminò sempre sopra l'Ecclittica della Legge Divina. Hebbe una Prudenza così occhiuta, [62] che non lasciò mai abbagliarsi dai trasparenti bagliori del Senso, né smarrì mai la strada in mezo a' dirupi delle insidie caliginose. Hebbe una Fortezza così virile, che fu l'ammiratione del proprio Sesso, & a sembianza di scoglio immoto infranse l'onde procellosissime delle Persecutioni più amare. Hebbe una Temperanza così soave, che raddolcì l'asprezza dell'Astinenza col desiderio di maggior'austerezza, e mitigò colle pene i dolori, che furono gli alimenti della sua vita, e gli Elementi de' suoi respiri. Hebbe una Pacienza così indefessa, che stancò colla Sofferenza i Travagli, stuzzicò ne' sfinimenti gli affanni, svegliò col divisarli i tormenti, sfidò con amarli i disprezzi, avvivò col nodrirla la Morte, estinse con mortificarla la Vita. Visse morendo, e morì vivendo: morì vivendo, perché non viveva. Non viveva, perché morta al Mondo, non moriva, perché viva a Dio: Viva a Dio perché morta al Mondo: morta al Mondo, perché viva a Dio. A Dio viva, perché di Dio amante: al Mondo morta, perché dal Mondo odiata. Odiata dal Mondo, perché Amante di Dio: Amante di Dio, perché odiata dal Mondo. Dal Mondo odiata, perché monda, e monda per esser di Dio Amante. Di Dio Amante, perché Serafica, Serafica, perché tutta fuoco di Eterno Amore. Oh Prodigio [63] di Santità! Oh grand'Amazone del Celibato! Oh gran Vergine del Carmelo! Non so, non so, s'Ella più vivesse, o morisse: s'ella più fra le Spine morisse, o fra i Gigli vivesse. Crocifissa col suo Redentore, se non hebbe le mani trafitte, hebbe il Cuore ferito, e colla Cetra alla mano di quella Croce, sulla quale cantò, fatto Musico il Verbo, in tuono di Passione sopra le note delle sue Piaghe, alla battuta della Giustitia Sovrana, l'Altissimo Mistero dell'Humanità riscattata, Ella se ne sta hora cantando le Misericordie del Signore in eterno; Né può temere, che le s'infievolisca la voce, perché sempre fu tutta petto; ed hora si trova più, che mai stretta al suo Divinissimo Sposo, che fu sempre per lei tutto cuore, e tutto le si è donato, perché fu sempre Teresa per lui tutta affetto; ond'è che come sua tanto favorita, può ben obbligarlo ad esserci in ogni nostra estremità favorevole. Non parlerò qui se non di passaggio, né scriverò se non di volata, del gran Pelicano di Carità, TOMASO di Villanova, che tanti Pulcini famelici, passaggieri, e spiumati accolse sotto le sue ale pietose; e perciò sempre aperte a nodrirgli sviscerato dalla Clemenza; Et hora colle pupille elevate non si astien dal mirare i Pupilli oppressi, ancorché sia tutto intento a bevere i sorsi luminosi di Gloria, che scaturiscono dal Fonte inesausto di [64] Luce. Figlio ben degno di quel Divino AGOSTINO, che dispensò tanto Pane di sustantiosa Dottrina ad innumerabili Pargoli Cathecumen, e nelle sue Pagine, che mai non saran depennate dall'Odio livido dell'Hereticale Perfidia: e ne' suoi seguaci, che cinti i lombi di pelle dura, portano nelle mani Lucerne ardenti di Merito Eterno, ancora in terra insegna, e risplende. Hor di Tomaso, che fu di così gran Padre il Cadetto, come di un Generoso Tesoriero della Benefica Providenza, non disperare, o Afflitto gli aiuti; poiché, se l'altro Tomaso chiuse incredulo con un dito il Costato del Salvatore, questi liberalissimo col pugno avvezzo a sparger, non men le gratie, che gli ori, prontamente il disserra. Non debbesi trascurare, perché tanto pensiero ha de' suoi Divoti, il Famosissimo GAETANO TIENE, Fasto immortale della Nobilissima, & Eloquentissima Religione Teatina, così regolata nell'Osservanza de' Consigli Vangelici, come Regolare nel Titolo, ch'ella porta più nel cuore, che in fronte. Hor questo Alessandro di Santità da sé solo basta a recidere qual si sia Nodo Gordio, che ti si avvolga, o Mortale, d'intorno al cuore. E tu FRANCESCO, che col tuo SALE, colto nell'Empiree Miniere, e da te portato più che nel Nome, nella tua lingua, e nella tua penna, preservasti tante [65] Anime dall'incarognir nelle Tombe de' Corpi: Alcide indefesso, che di così dure, come durate fatiche, arricchisti la gran Virtù della Sofferenza, e colla Clava della Dottrina Cattolica, l'insuperabile controversista, fiaccasti 'l capo orgoglioso a quel rugghiante Lione, che coll'insidioso suo circuire tenta tutt'hora di divorarci: E col Fuoco vivo del tuo Apostolico Zelo estinguesti più Capi alteri all'Hidra ripullulante del velenoso Lago Lemano, troppo inimitabile ti sei descritto nelle tue Opere, come imitabile ti rendesti nelli tuoi Fatti. Ah, che a te solo basta rivogliersi, accioché ti dimostri un Hercole ancora dal Paradiso in abbattere l'Inimico Trifauce, in prostrar l'Anteo della Colpa, & in fugar le Stinfalidi delle Sventure. Di questi fra gli altri molti Heroici Santi, e come il Merito Eccelso, la Protettione efficace; quindi è, che non bastando ad encomiargli slombata succinta, e fugace Eloquenza, come la mia, nel riverente silentio, colla penna abbattuta, riconcentrato gli adoro.
[66] |
Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText |
Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC IntraText® (V89) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2007. Content in this page is licensed under a Creative Commons License |