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Francesco Fulvio Frugoni
I fasti del miracoloso S. Francesco di Paula

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  • I FASTI DEL MIRACOLOSO S. FRANCESCO DI PAULA; SPIEGATI NELLA DIVOTIONE DE' TREDICI VENERDÌ   PARTE PRIMA.
    • Obligationi divotamente professate al Santo da tutto il Christianesimo.   PROLUSIONE IX.
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Obligationi divotamente professate al

Santo da tutto il Christianesimo.

 

PROLUSIONE IX.

 

Bisognerebbe correre spatiosa la Terra, più che fermarsi su questa Relatione accorciata, affine di gustar nelle piene sorgenti delle notitie diffuse, più che ne' rivoletti mendici di queste linee fugaci, le profusissime Gratie, che isgorgarono sopra diverse Nationi da questo Fonte miracoloso.

L'Italia, che diè la Culla a FRANCESCO, non può mai nell'oblio sepellirne la rimembranza, poiché tutto dì vedendol [137] rinascere, ne' di lui Prodigij, immortalmente ravvivato l'adora.

La Spagna, che in Carne nol vide, lo riverisce Spirito valoroso a felicitarla bastevole qual'hor infelice l'implora. Più illuminata dal nostro Fosforo di Santità, che non è dall'Hespero suo luminoso, se riceve ogni anno l'Indie navigate dall'America dovitiante dalle Miniere del Paradiso, che le discoprì questo vero Colombo, trahe tutto giorno Tesori di Gratie Divine.

La Germania, la Moravia, la Boemia, la Fiandra, la Carintia, e la Stiria, non meno della Polonia, con altri freddi Paesi del Settentrione gelato, più si riscaldano a' raggi di questo Sole avvampante, di quello che la agghiacciano predominij dell'Orsa algente.

La Gallia, che die' a FRANCESCO la Tomba, come posseditrice della maggior parte di Esso in quel Deposito di Penitenza, può ben vantarsi, che non le sia funesto un Sepolcro, da cui, come dall'Arca del Testamento, le travasano tanti Beneficij Celesti.

Anche di là della Zona Torrida passò l'ardore di questo Luminare Benefico. Gemeva sotto flagel di ghiaccio, punita dal Cielo nel suo Territorio l'Havana, Città dell'Indie Occidentali nel 1628, e parea, che là, dove solevano lussureggiare Pomona, e Cerere, havessero ceduto [138] il Talamo in Campo a Tesifone, & a Megera. Si risolve per tanto quell'Adunanza di procacciarsi dalla Sorte uno Scudo Sovrano, che schermisca il Paese dalle frequenti, non men di frementi tempeste. Muove pietosa l'Urna le Schedolette confuse, impresse de' Santi Nomi di que' Venturosi Beati, che senza confusione schierandosi in Cielo vengono dall'Ecclesiastico Rito nel giro di un Anno solenneggiati. Ed ecco di neto fanciullo candida mano per l'Innocenza fiorita, se non se per la pelle adusta, estrarre IL GLORIOSO S. FRANCESCO DI PAULA a' 2 di Aprile. Ristanno quelle Turbe sospese, e perché tenebrose, non men ne' cuori, di quello, che sieno ne' volti, di così fulgido Sole non hanno sol che un barlume; onde credendosi più sorprese dal Caso, che favorite dalla Ventura, riggittano il Bullettino nel Bossolo, e dopo haver questo ben'isconvolto commettono un'altra fiata alla prova il successo, la Divotione alla Sorte. Esce di nuovo il Nome del Santo a ricondur seco più in fatto, che nello scritto l'Aprile; onde alla raddoppiata comparsa riconosciuto, rischiara, e felicita quell'offuscato, & infausto Clima. La Primavera in risulta vi si marita all'Autunno: Si dissolvono i nembi sdegnosi ad un'aria ridente: Le Grandini si disfanno in rugiade: I turbini si convertono in Zeffiri, & i diluvij dell'acque si cangiano [139] in Influssi di Gratie. Non più mugghiano le Nuvole gravide di Procelle in partorir'abbondante la Sterilezza: Non più fischian gli Euri frementi di rabbia a svegliar palpitoso il terrore: Non più stridono i gemiti de' guaiolanti Foresi in deplorare le loro Messi prima colpite, che colte. Le Vendemmie stillavano pianto, e non vino: Le Viti producevano spine a traffiggere l'animo, e non pampini a rallegrarlo. Trovandosi que' Popoli i loro poderi adhuggiati, senz'herba si riducevano al Verde, senza pascoli si vedevano in secco. Ad un tratto si varia la Scena, e dove strepitavano gli Aquiloni scherzano i Favonij; dove baccava il furore indomito si adagia Bacco sopito, dove la Bruma intempestiva cadeva spuntano i Fiori ameni, e le Biade s'indorano pretiose. Apprende il Cielo da FRANCESCO ad esser Sereno, l'Aere tranquillo, il Suolo ferace, placido il Mare, e dove pria di Pandora il Vaso versavasi straboccato, il corno di Amaltea si rovescia fecondo.

Entri qua hora a cantar le lodi del suo frequentissimo Benefattore la fida Sirena del famoso Sebeto, che co' fasti, degni della Grandezza Partenopea, accolse FRANCESCO nel numero de' sublimati suoi Protettori, o per dir meglio, fu dal medesimo accolta nel numero delle sue Città favorite.

Agghiaccia la Città di Nocera al mirar [140] l'aere inviperito dall'atro livore del Vesuvio vorace nel 1631, e mira col cenere in faccia scagliarsi da quell'Encelado, non più fulminato, ma fulminante, Trave rovente ad incenerirla; ma poi arde solo di giubilo, che colle sue fiaccole geniali protesta, poiché fu veduto ammorzar quel periglio ignito il Santo Vecchio, che tante volte quaggiù, con piè caduco, con man mortale, estinse i roghi, & accese i voti.

Grassava nell'ammorbata Città di Malaga nel 1637 il Contagio sì fiero, che già la Parca famelica havea con falce rotante alla Giustitia Divina un'Ecatombe di quindici mila Vite sagrificato: Ma comparendo con processional'Equipaggio la Statua del Santo dalla lagrimosa Divotione di quel Popolo semicadente portata intorno, ecco che l'Angelo Sterminatore rinfòdera la Spada dentro a tante viscere intrisa, e resta di quella Città FRANCESCO DI PAULA per sempre l'Angelo Tutelare.

Non debbo trascurar qui quanto fu da me inteso da Relatori non meno fidi, che gravi nella Regia Metropoli della Sardegna. Di Cagliari scrivo, dove germogliarono tante Palme innaffiate dal Sangue de' Martiri: dove rampollarono tanti Gigli assiepati dalle Spine de' Confessori. Emporio più ch'Esilio di Santità, a cui più Innocenti, che sbandeggiati, si ritirarono tanti Campioni di Christo, come [141] a Steccato delle loro Vittorie, & a Campidoglio de' lor Trionfi. Correvano già molti mesi, che quella fertilissima Regione solita per l'abbondanza, singolarmente delle Messi, ad emular l'Arabia Felice, stava per pareggiar la Difesa. Le Glebe senza humore insassite sotto la sferza cocente di una Canicula, fiammeggiante in Aquario, esprimevano la durezza de' Globi Etherei, che divampavano sterile il fuoco. I Cieli risplendevano con aureo lampo, e pur'erano divenuti di bronzo, ma solido ancor nell'Incendio. Quanto più sereni tanto più procellosi con Cataclismo di ardore assorbivano l'herbe adhuggiate, e con fendenti di fiamme uccidevano moribonde le biade. Brandiva il Pastorale di quella Maestosissima Chiesa Monsignor Macino, gran Regolare dell'Ordine, che per la sua tersa Eloquenza nella Corte del Rege Hibèro haveva acquistatosi il Sopranome di Pico de Plata, sicome il Mastro Santiago della medesima Religione, l'havea meritato per la sua pretiosa Facondia di Pico de Oro. Prelato Dotto all'egual di Pio, senz'altri fumi, che quelli del Timiama, senz'altra fame, che quella della salvezza delle sue Pecore, alle quali non pelava la lana, ma la donava, e non le smugneva, ma le nodriva. Haveva Egli imbanditi diversi pascoli di Penitenza alle sgomentate da' fischi dell'Ira [142] accesa, con cui rosseggiavano i folgori pronti nella destra divina; ma non si scorgeva ancora alcun segno di Pace, perché non v'era un nuvolo da imaginarvisi sopra possibile un'Iride di Clemenza. Piagnevano gli occhi molli, e se ne ridevano i Cieli asciutti: Pioveano a disgorgo le lagrime, e non grondavano le piogge salubri: Copriva mestissima Nube ad ogn'uno il viso, ma non ne compariva nell'aere pur una lieta per colorirvi sopra l'Arco baleno: Si vedeano bensì l'Arco, e 'l Baleno, ma separati, perché balenava il Sole fervente, e scoccava l'Arco di Dio sdegnoso Saette ignite. Magniavan que' Miseri più pene, che pane; e questo più di dolor, che di nodrimento, perché mentre lo consumavan sul desco in Casa, miravano con humido ciglio il Grano secco sul Campo. Venne il giorno prefisso, secondo il giro determinato, a portar la Statua del Nostro Santo processionalmente alla Cathedrale: Hor'Ecco che l'Alba, non dalle altre dissimile, comparisce coronata di fiamme, e non più, come già soleva, di Rose. Cresce il Meriggio senza un'ombra di compassione a sferzar co' raggi la terra, e la Fede si accende più che non fe' mai a gareggiar coll'ardor più, che prima intenso. Mentre tramonta il Sole spunta la Divotione delle Turbe anhelanti, colle faci alla mano colle palpèbre piovose, per provocar a pietà le [143] Stelle, corteggiando un altro, ma più bel Sole, nella Figura di FRANCESCO sorgente. Oh mirabil Peripezia! Appena dalla Chiesa de' Minimi passa portata per que' vicoli dalle preghiere sonori l'Imagine dell'Implorato, ch'Ella sembra un'Jade sorgente della pioggia foriera. Tanto seguì per appunto. Veloss'il Cielo ad un tratto, e col nascondersi mostrossi placato. Cominciò l'aria cogli spruzzoli inhumidita a scherzar piacevole pria, che la Statua acclamata fosse introdotta nel Duomo. Non così tosto fuvi adorata, che non più per ischerzo, ma con traboccanza inondante, versarono le Nubi l'acque salubri. A così lieto preludio volle quell'Arcivescovo, che rimanesse per alcuni giorni, esposta all'adoratione commune l'Effigie del Santo, cagione dell'universal Beneficio. Perseverò la pioggia coll'Oratione; ma già stanche di pregar le ginocchia, non però i Cieli di piovere, perché di soverchio haveano i prati bevuto, intimò il buon Pastore Macino la restitutione della Sagra Imagine al proprio Nicchio. E pur a tal funtione raddoppiossi il favore di un Astro così propitio, perché comparso appena di ritorno al suo centro cessarono l'acque, e ricominciaro gli applausi: Si dileguaro i vapori, ma non isvaporarono i Voti: rasserenossi l'Aere, e rinverdì la Campagna: Arrisero gli Elementi, e risero i Colli; e [144] se fu benefico il Cielo, fu FRANCESCO il Benefattore.

Negli horribili terremoti, che scossero l'Anno 1638 con terror così tetro le due Calavrie, & inghiottirono tante Cittadi, e Castella, fino al numero di cent'ottanta FRANCESCO si mostrò stabile in Cielo, sua Patria vera, pronto a protegger'in Terra la sua Patria nativa. Pareva all'hora riconfermata l'errante opinione Copernica, mentre la Terra medesima così sensibilmente movendosi, quasi che tornar volesse all'antico Chaos, sembrava immobile il Cielo alle querule strida di quelle Nationi agitate. Fremeva il suolo sconcosso, e gemeva il cuor palpitoso. Il Suolo apria mille bocche all'hora per divorare quel Popolo afflitto; e quel Popolo afflitto; scioglieva a migliaia le lingue per supplicar l'Altissimo irato. Le Case si cangiavano in Tombe; dentro alle quali giaceano gli habitanti prima sepolti, che spenti. L'horrore serpeggiava per tutto a lasciarvi colle sue Striscie il ribrezzo: Ogni Sibilo d'aura, era annuntio di morte: ogni movimento di Terreno era invito alla Sepoltura: ogni crollo recava cadute: ogni caduta esterminij. La Parca non più si serviva di falce a recider Vite, ma di trappole a coglierle, e tendendo le sue reti ne' Campi con funestissimo scempio disertava l'Humanità fuggitiva, che quanto più cercava il rifugio, tanto più incontrava [145] il pericolo: Tremavano i petti, che non havevano più fermezza, imitando i piè vaccillanti: Lagrimavano gli occhi, che non haveano più scopo, mentre languivano gli animi, che non havevano più Speranza. Più naufràgi si pativano in terra, che in mare, & era più sicurezza cercar il porto nelle tempeste, mentre mancava il fondo nelle Campagne. Hor'a primieri vacillamenti si vide in Paula la Statua marmorea del Santo collocata sopra la porta, che guarda il lido dell'onde, volgersi in dietro per contrasegno di Salvaguardia: siché mostrando FRANCESCO la faccia a' suoi Cittani, scacciò da essi il timore difendendogli ad huopo; e dando le spalle al mare accennò, che si opponeva, qual argine, a' gastighi del Cielo. Terminati quegli Esterminij si rimise all'ultima scossa la Statua nella sua positura di prima, in contrasegno, ch'era finito il cimento colla difesa. Rimase Paula illibata da' morsi del Terremoto, come pur seguì delle Terre Limitrofe, Foscaldo, Guardia, Cetràro, Bonofati, Malvìto, Fagnàno, S. Marco, Rota, Lattaricò, Montalto, Vacarizo, Belmonte, Longobardi, Lende, Santo Fili, Falconara, Amantèa, Fiume freddo, e Santo Locito, le quali tutte a schiere piagnenti, col cuor nelle bocche, e co' flagelli alla mano, ricorsero, e s'invotarono al gran Francesco loro efficace Conservatore.

[146] Corrasi tutto il Reame di Napoli, e quello della Sicilia, che ad ogni passo si rincorreran le vestigia fresche della calda Protettione del Santo.

In quasi tutte le Città dell'Italia riverito, a par di possente, FRANCESCO si fa conoscere, e nella Spagna non meno, che nella Francia, & in tutto l'Orbe Catholico, cinto di fulgidi raggi, e spandente Gratie ogni giorno a' divoti suoi, religiosamente si honora.

Iddio, che lo rese in vita cotanto amabile a' Pontefici, a' Regi, & a' Principi, molto più lo rende ad essi venerabile in Cielo. Le Maestà Cesaree, Cattoliche, Christianissime, e Polonesi: le Altezze Reali, e Serenissime della Terra a lui si curvano, singolarmente nel Dì festivo di esso come pur fanno moltissime Cittadi, & Adunanze Europee, che non si possono dir nascoste dal calore di questo Sole.

Chi brama più distinte le prove di quanto ho finito d'insinuar con questo superficiale trascorso, conti li numerosi Conventi, fondati all'Ordine de' Minimi da' Regi, e Principi, da Signori, e Divoti grandi, particolarmente nella Gallia, e se bene di minor numero, non perciò di minor fasto, nella Spagna, con generosa Magnificenza, in segno di grata protestatione al Santo, & a' loro Posteri di raccordo, d'un'Obligatione immortale.

Sarebbe assai lungo, onde riuscirebbe [147] importuno il racconto quando volessi far qui un honorato Cathalogo de' Magnanimi Fondatori, che con erger'in terra case, e Chiese a FRANCESCO, l'impegnarono a ricambiarneli con favori continuati, & ad esser lor Fabbriciero nel Cielo. La memoria di essi meglio leggerassi descritta nel Libro della Vita, che non verebbe impressa su queste Pagine, dov'Io col silentio li riverisco, perché non ho caratteri d'oro da stamparvi sopra la Gratitudine.

Non debbo però fra tanti, come singolare di Merito, tacer per marca di debito eterno la gran Dama, D. Olimpia Aldobrandina, Principessa di Rossano, affin d'ingemmar queste carte con un Nome così preclaro. Hor questa brava Amazone d'ogni Virtù, e così chiaro ornamento di nostro Secolo, havendo abbellita in Roma con una Fabrica sontuosa, al pari di Vaga, una Chiesa, a questo prodigioso Santo, suo Protettore, merita per questa, come per tante altre sue Geste Heroiche, di haver una Statua nel Campidoglio, & un Nicchio nel Paradiso.

Conchiuda la Fama con una delle sue Penne più candide, mentre non basta la mia, che non professa candor di Eloquenza, ma solo di Verità; in memoria sopra tutte le altre gloriosa di Madama Reale Christina di Francia, a cui replicati, e non mai stanchi, si debono, in questi fogli [148] sinceri, gli Homaggi. Fra le bell'opere della sua Pietà Trionfante, che, le tennero sempre aperta la mano, degna di strigner lo Scettro di tutto il Mondo, sì come lo strinse di tutt'i Cuori, si riporrà sempre dalle postere Etadi la Chiesa, che la gran Donna Reale ha fatto innalzar Superba in Torino a questo grand'Humile sublimato, colle annue Fondationi di Convento, e di Messa perpetua. Principessa Immortale, degna di essere, come di Meriti, di Anni Fenice, che fra tanti beneficati, mirò vivendo così di buon occhio i suoi Minimi, & honorolli morendo col ricordarsene negli Atti estremi della sua Volontà Generosa. Non più, che nelle lagrime si sommerge lo stile.

 




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