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Francesco Fulvio Frugoni
I fasti del miracoloso S. Francesco di Paula

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  • I FASTI DEL MIRACOLOSO S. FRANCESCO DI PAULA,   SPIEGATI NELLA DIVOTIONE DE’ TREDICI VENERDÌ   PARTE SECONDA.
    • VENERDÌ PRIMO   DEDICATO   ALL’HUMILTÀ DEL SANTO.
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I FASTI

DEL MIRACOLOSO

S. FRANCESCO

DI PAULA,

 

SPIEGATI

NELLA DIVOTIONE

DE’ TREDICI

VENERDÌ

 

PARTE SECONDA.

 

[304]

 

 

[305]

 

*  *  *  *  *  *

 

VENERDÌ

PRIMO

 

DEDICATO

 

ALL’HUMILTÀ

DEL SANTO.

 

Che il Fondamento d’ogni Virtù Cattolica sia l’Humiltà interiore è Propositione per sé nota, e d’una Eterna Verità, poiché questa, non solo canonizolla colla sua bocca, ma qualificolla ancora col proprio Esempio.

Anima trausatamente Superba arresta perciò li tuoi passi orgogliosi, & erranti a’ piè di Gesù confitto; e con que’ Chiodi, che gli squarcian le fibre fissa una volta la Ruota della tua Vita Chimerica, & incostante.

Eccoti il vero Dio della Gloria, a cui formano fulgido Trono i Cherubini avvampanti sovra le Stelle, nel Calvario abbassato sopra una Croce in mezzo a due Ladri.

[306] La Natura freme crucciata a così discrepante divario. Il Cielo, per non vederlo, chiude i suoi Lumi con tenebroso deliquio. La Terra nol sopportando trema sconcossa; e poiché così abietto sentono gli Elementi confusi il lor Creatore Sovrano, tutti si prostrano addolorati, & alla di lui humiliatione stupiti, par, che intendano di far ritorno a quel Nulla di dove uscirono.

Oh stupore! Si curva l’Empireo a Spettacolo così mesto, e piangono amaramente gli Angioli della Pace: Pur’ancora Guerriero l’Huomo Fastoso alza superba la cervice per far di sé Contraposto al suo Dio, che china il capo sopra di un Tronco.

Ah Superbia ventosa, che generata dagli horridi Monti dell’Aquilone sommergesti prima tanti Spiriti veleggianti in un mar di Gloria; indi sbatutta agli Scogli dell’Herebo ardente propagasti fra quelle vampe oscure i tuoi fumi per sollevarti sopra la Terra ad annerir tante Anime, Misera di te, che sempre addosso tirandot’i fulmini, nelle tue ceneri ti sepellisci.

Huomo Mortale ascolta. Tu sei di polve impastato, e pur’ardisci come se fossi di cedro, stender’altero le voglie a minacciar quelle Stelle, che torve ti mirano nel tuo fango ravvolto, ergere contro al Cielo, qual Hidra, tante creste, quanti pensieri.

[307] Tutto, tutto il contrario se’ di FRANCESCO, che apprese dal suo gran Mastro ad esser Humile, e mite di cuore. Da un Originale, così esemplare, cercò di tirar le linee di tutte le sue Virtù, e principalmente di questa, che come già fe’ di Christo, tanto esaltollo.

Una sovranaturale Filosofia ce l’addita Minimum quod non. Di lui non potè mai rinvenirsi un Minore in terra, e di lui ben pochi Maggiori si ponno trovar’in Cielo. Egli si fe’ un zero per unirsi a quella Unità, che tanto multiplica Chiunque ad essa si accosta. Si annichilò con tutti, per essere tutto col Tutto. Si prostergò per venir messo nelle prime fila di que’ Venturieri Beati, che formano il Corpo al Dio degli Eserciti.

Col Magnetismo dell’Humiltà attrasse le Benedittioni del Cielo, gli Applausi dal Mondo. Perché fuggì sempre come punture di Cantaridi, come Canti di Sirene, le acclamationi de’ Popoli, meritò di godere, raddolcimento del tedio humano, le Canzoni degli Angeli, che tante fiate gli ferono un Paradisetto nella di lui povera Cella Melodiosi.

Attribuì li moltissimi, e così mirabili, suoi Miracoli, hor’alle naturali Cagioni hor’alla Providenza Celeste; e non alla sua Intercessione. Fortunato, che con Chimica, Saggia al pari di Santa, seppe far Oro del Piombo, disprezzando l’humana [308] Gloria, e pretendendo di smaltir per Piombo l’Oro della sua Carità, ché dilettossi sempre di smaltare coll’Humiltà delle sue parole.

Nelle Facende Dimestiche, accorse sempre alle più Servili, e pur’era il Padre Venerabile della Famiglia. Andò cercando sovente, come Diogene solea fare colla Lucerna, colla Lampada ardente della sua Carità, non un Huomo, ma un Bruto, che il maltrattasse, affine di convertirlo col suo mistissimo Tratto in un Angelo: sì come succedè molte volte. Chinò la testa tal’hora alla petulante baldanza di un Paltoniere, Colui che vide prostrarsi a’ suoi piedi supplichevoli i Regi, e riverenti ad ossequiarlo i Principi Grandi.

Ricusando il Carattere Sacerdotale, rimase caratterizzato dall’Humiltà sua profonda, non meno che consagrato dalla Santità sua sublime; Quindi si rese così singolare, che sì come non si trovò nel di lui concetto alcuno ad Esso inferiore, così non vi fu mai alcuno del suo Secolo, che lo sorpassasse nel Merito.

Portò sovente colle palme illese il fuoco avvampante, perché non hebbe mai nel capo orgoglioso il fumo superbo. Non mai fu veduto gonfiarsi a tant’aura di stima, con cui riverillo attonito il Mondo. I suoi passi eran di Agnello, la sua Voce di Tortora, la sua Semplicità di Colomba, il suo Candor di Ermellino, la sua [309] abiettione di Pecora.

Tante Virtù gl’infiorarono il cuore, quante furono le Calte le quali, più d’una volta visibilmente, gl’incerchiarono il Capo. La Castità le havea colte, se l’Astinenza le havea innaffiate: le congegnò l’Humiltà, se l’Innocenza le haveva prodotte.

Fu Massimo, perché Minimo, e perciò istituì, che i suoi Seguaci si appellassero Minimi, perché fossero Massimi. Massimi nella Virtù, se Minimi nel Titolo. Quindi proscrisse da Essi la Superbia, che di tutti gli altri Vitij è la Madre, perché va sempre gravida, e tronfa. Non volle per questo i suoi Religiosi Pettoruti, né capitosti; e solo bramò, che havessero gran Petto contra i Demonij, gran Capo contra gli Heretici. Vietò ad essi il chiamarsi Mastri, perché bramò, che fossero veri Discepoli della Sapienza, la cui cathedra fu la Croce, & in conseguenza l’humiltà. Così molti, e molti procurarono di seguitar le vestigia del loro gran Fondatore, potendo vantarsi la Religiosissima Religione de’ Minimi d’essere annoverata fra le Grandi, per l’Osservanza, per la Pietà, per la Dottrina; e fra le Grandi singolarissima per l’austerrima Penitenza di una perpetua Vita Quaresimale. Vita di cui non può essere, nella Chiesa di Dio, altra più spinosa, poiché si alimenta sempre di Pesci. Vita di cui non debbe dirsi alcun’altra [310] più Spirituale, perché non si alimenta di Carne, Ella è perciò Vita, che non vive sol, che di una Morte continua. Privandosi di quante Delitie creò l’Autore della Natura può acquistarne, quanta ne riparte il medesimo, come Autor della Gratia. Per alimentar l’Humiltà non vi voleano che i Cibi vili, che l’Herbe serpeggianti, che i Pesci sciolti a star nel fondo.

Io mi dispenso più dal far’un Elogio alla Religione Principalissima de’ Minimi, per non far’un altro Volume. Tutta la Chiesa Cattolica sarà mallevadora del mio debito; e dove mancherò colla Penna, supplirò colla Divotione. Non voglio esser tacciato di Partiale; ma non debbo come Mutolo esser taciuto. Parlo coll’Opere più che co’ detti; e son pronto a scriver col Sangue, più, che coll’Inchiostro per colorire gli Elogi della mia Madre, di cui potrei, come di una Vezzosa Rachele, essere il Beniamino, perché il più Minimo (mi consenta l’error la Grammatica) se le mie colpe non mi rendessero il più abborribile, perché il più tristo. Deh piacesse al Cielo, che potessi svenar’il mio cuore, come il mio Ingegno, per imporporarla col sangue, come la chiarificò coll’Inchiostro. Mi pregierei di poter’intrecciar la mia Penna alle Palme di tanti Martiri, che l’illustrarono nel Settentrione, nell’Iberia, nella Gallia, [311] e di piegar il collo alla spada di un Carnefice, poiché così mal volontieri m’incurvo al commando di un Superiore. Così sarei miglior Vittima, che buon Sacerdote, e professerei colla prova quell’humiltà, che non so provare, come tanto imperfetto, coll’esercitio. In questa guisa haverei qualche tratto del mio Fondatore Augustissimo, di cui non ho mai procurato di osservarne la Regola. In faccia di tutto il Mondo accuso i miei falli, assai maggiori di quello, che vagliano ad ingrandirli i miei Scritti. Protesto perciò, che son il maggior colpevole di tutt’i Minimi, perché di tutt’i Minimi sono il più obligato a Dio.

Tornando a noi, per iscordarmi di me, che son così degno di oblivione: Eccoti nel mio gran Padre un Ritratto del Crocifisso; già che in me, che ne son Figlio cotanto indegno non puoi considerar, che il Ritratto di un Giuda, per haver Io tante volte tradito il mio Redentore, quante ho peccato. Deh riguarda, se vuoi assomigliarti all’Esemplare, la Coppia. FRANCESCO è l’Imagine viva di Christo Morto. Tale la pennelleggiò l’humiltà, ch’egli professò dalla Culla alla Tomba, non con un brieve passo, ma strascinandosi sempre, per novant’un anno, sopra la terra come un Serpente abiettissimo, e pure fu sempre un’Aquila sorvolante.

[312] Entra dunque in te stesso coll’uscir dall’Ambitione. Abbassati se vuoi inalzarti, mettiti sul piano se brami di fuggir le cadute. Considera, che di rado, o non mai fe’ naufragio il Navile, che spiegò poca vela, e senza ingolfarsi nell’alto Mare, andò radendo la bassa sponda del Lido.

Se vuoi esser Vaso di Elettione, procura di renderti più profondo, per essere più capace delle Gratie Divine. Imita il Sole, che quanto più monta sopra il Zodiaco, meno veloce si raggira nel moto; Così tu sopra il convesso degli Honori, e nell’Eminenza della Sorte, frena que’ movimenti orgogliosi, che ti fanno precipitare all’Occaso.

Deh s’imprima nel tuo Spirito risvegliato questa infallibile Massima: Che quel Sovrano, da cui furo scimierat’i Superbi, e schimerati gli Ambitiosi, piantò fissamente gli occhi della sua Prescienza sovra gli Humili, & abbassati, a’ quali distribuì, nell’esaltarli, le Sedi Empiree, dopo di haverne con irreparabil rimbalzo depost’i Possenti.

Presentandoti dunque, con queste dispositioni, al Trono di Dio, (e tanto più presentatovi da FRANCESCO,) non potrai temere, che quello non ti esaudisca; e sul tuo Niente non fabbrichi il tutto, che brami. Confessati cenere, con Abramo; se vuoi, che di te si formi un [313] Cristallo, in cui brillino i raggi delle Gratie Divine diretti; e con tal Salvaguardia non paventar’i fulmini, che son vibrati dagli Altari contra gli Alteri, prostrandoti a’ piedi di essi tutto cuor; e non tutto capo, ti si cangeranno le saette in rugiade, & i gastighi in consolationi.

Così preparandoti a ricevere quel favore, che tanto brami, dopo di esserti stemperato in sospiri al calor del Sole Sagramentato, corona la tua Pietà co’ seguenti

 

AFFETTI AL CROCIFISSO.

 

Mio buon Dio! Eccovi qui un’Anima disanimata, perché senza Spirito, la quale al vostro cospetto non è solo, che un’Ombra; e senza voi non è solo, che un Nulla. Voi scendeste dal Ciel’in Terra per me, & io presumo d’inalzarmi dalla Terra al Cielo contra di voi! Voi sopra di una Croce per discendere in una Tomba; & Io fra le nuvole delle mie Chimere, per precipitar nelle mie rovine! Voi nella forma di un Servo; & io in figura di un Dominante! Voi fatto a sembianza degli Huomini bassi, e mendichi; & Io a somiglianza degli Angioli Apostati, temerari, e fumosi! Voi trovato in habito d’huomo  nudo; & Io coll’habitudine di una Fiera Superba! No, no, mio Dio: Questo Contraposto non quadra a voi, [314] perché sete il Padrone: non quadra a me, perché son lo Schiavo. Io non merito d’esser’humiliato, per imitarvi; perché trovandomi senza voi, mi trovo privo di una Virtù così alta, come l’Humiltà; Pur la sospiro per arrivare dove voi siete, voi che diceste di non trovarvi, che fra gli humili vostri Servi. Abbassate dunque questo mio cuor’arrogante per sublimarlo; e se conoscete, che la Gratia, di cui vi supplico, contribuisca alla vostra Gloria, deh concedetela, non al mio Merito, ma ben sì a quella grande Humiltà, con cui tanto vi piacque il vostro fedelissimo Amante FRANCESCO.

 

SUPPLICA AL SANTO.

 

 E voi mio gran Minimo (vi chiamo con questo Nome, per esser quello, che più vi piace) deh non ricusate d’impetrarmi tal Gratia, in Virtù di quella Santa Abiettione, che tanto vi fe’ simile al Crocifisso, e così grato a Dio. Abbassate lo sguardo da’ culmini delle Stelle a me, che mi trovo nel profondo delle angustie, perché troppo ho voluto dilabar le mie pretensioni. L’Anima mia tutta fuma, ma senza odore, non può ascender’a Dio senza voi, che sempre vi alzaste coll’abbassarvi. È sterile di Merito la mia Fede, senza la vostra, che fe’ fruttar la terra in Decembre: È tarda nel movimento [315] senza voi, che feste caminar le Montagne, sdegnando come tanto partiale dell’Humiltà di vedervi l’Eminenza su gli occhi: È pesante senza il vostro aiuto, che fe’ galleggiar sul mare i vostri Compagni. Deh siatemi Padrino, e Padre. Annoveratemi fra gl’inumerabili, che soccorreste; E se resiste il Signore a’ miei Voti, come di una Mente Superba, supplite voi colle vostre Suppliche, o mio caro Implorato, avanzandomi col merito di quelle Humiliationi, che tanto vi sulimarono, di que’ disprezzi, che così vi accreditaro con Dio. Tanto confido in voi, quanto da voi spero, mentre nelle mani vi pongo con questo mio cuor, ogni mio interesse.

 

*

 

[316]




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