Quella notte il
bambino non voleva addormentarsi. La madre l'aveva cullato per un pezzo fra le
braccia cantandogli con monotona cadenza la ninna nanna di Gesù Bambino, seduta
con la spalle al focolare, perchè gli occhi del figliuoletto non fossero feriti
dalla rossa fiammella dei tizzi accesi e dal tremolio della lucerna appesa alla
sporgenza della cappa.
Poi, quando il
bambino smise di poppare e parve addormentato, ella ricompose lo sparato del
corpetto, si alzò pianino, e sempre canticchiando sottovoce la ninna ninna e
battendo con le dita su le spalle del bambino, si avviò verso la stanzuccia
attigua a quella del focolare. Ivi era un letto di cui ella destramente, senza
deporre il bambino, riversò le coltri, vi adagiò il figliuolo, lo coprì e
canticchiando sempre, stette sospesa su lui: poscia giudicandolo addormentato
dal respiro dolce ed eguale, tornò nell'altra stanza, sedè sulla scranna presso
al focolare e trasse dalla tasca una coroncina:
— È tardi —
pensava. — Pietro non verrà per questa sera. Salvochè non gli sia capitato
qualche guaio... Se la Madonna del Carmine me lo farà rivedere, domani dobbiamo
venirci... ha da pensare sul serio a suo figlio.
E intanto faceva
scorrere tra le dita i paternostri della corona. Poi si diè a biascicare il
rosario, con uno strascico di parole latine e un frequente chinar del capo.
Però il suo pensiero era altrove; mentre le labbra mormoravano macchinalmente
le avemmarie ed i gloriapatri, lo sguardo era fisso sulla porta di strada e le
orecchie eran tese agli indistinti rumori della notte. Ogni qual volta il vento
scoteva la porta, ella trasaliva interrompendo a mezzo il rosario.
Un grosso gatto,
che tutta la sera aveva fatto le fusa raggomitolato sulla cenere calda del
focolare, si stirò contorcendosi e sbadigliando: poi aprì gli occhi gialli e
smorti, di un balzo fu sul grembo della giovane donna e si diè a fregar la
faccia alla faccia di lei.
— Quieto, muscione,
quieto, non ho voglia di giuocar con te, stasera.
In quella, fu
bussato alla porta di strada: la donna saltò in piedi, corse all'uscio e
accostò la bocca al foro della toppa.
— Sei tu, Pietro?
— domandò con voce soffocata.
— Apri, Filomena,
sono io — rispose una voce sommessa.
— Che sei tu? —
domandò Filomena trepidante.
— Maria.
Filomena die' un
grido e impallidì mormorando:
— Apri — continuò
la voce — son livida dal freddo.
Tremante,
smarrita, Filomena aprì la porta.
— Non mi
aspettavi, non è vero? — disse Maria entrando.
L'altra non
rispose; rimase ritta in piedi presso l'uscio, come irrisoluta.
Maria andò a
sedere sullo sgabello del focolare. Alzò sulle ginocchia il lembo anteriore
della gonna, stese le gambe al fuoco e si curvò sopra esso fregandosi, per
riscaldarsi, le mani. Poi rivoltasi alla Filomena tuttora immobile sull'uscio:
— Chiudi la
porta, chè fa un freddo da cani. Sei rimasta lì come una statua.
Filomena schiuse
la porta e andò a sedere presso al camino.
Maria era una donna
in su i 25 anni, piccola, ma robusta, col seno e le spalle ampie e coi fianchi
ossuti e forti. La testa, dal naso un po' camuso e dalle labbra grosse, aveva
una leggera tinta olivastra; gli occhi grigi e infossati giravano inquieti
nell'orbita. I capelli neri, arruffati, le cadevano, mal trattenuti da una
cordicella, sulla fronte e sulle spalle. Era coperta di una veste grigia e
lacera; fra gli strappi biancheggiavano i lembi della camicia ed i ghironi a
brandelli penzolavano. Di certo quella donna avea dovuto correr molto tra le
spine e le felci. Avea le gambe e i piedi nudi, infangati fino alle ginocchia:
le braccia muscolose mostravano qua e là fra gli strappi delle maniche strisce
di sangue e lividure.
La Filomena
invece era alta e flessuosa; avea lo sguardo dolce e un non so che di delicato
nella persona, quantunque il seno di giovane madre le si rigonfiasse sotto il
corpetto di castoro che si allacciava fra le trine bianche al collo circondato
da una collana di corallo. La gonna rossa e stretta al corpo lasciava
indovinare le forme bellissime da le curve molli e pastose. Più che bella, era
leggiadra, e doveva anche essere mite come lo sguardo carezzevole degli occhi
grandi e neri. Quelle due donne, eran sorelle: l'istesso grembo aveva generato
il timido agnello e il lupo feroce.
— E non mi dici
nulla? — domandò Maria alzando gli occhi e guardando fiso la sorella.
— Ma... io
ti credevo in carcere...
— E speravi che
ci dovessi morire, non è vero?
— No, ma...
— Ma credevi che
non ne uscissi per un pezzo. Invero, due anni son pochi. Ci sarei rimasta chi
sa quanto, se non avessero avuto la dabbenaggine di mandarmi fra due
carabinieri e legata come un Gesù Cristo, bene inteso, ad Aprigliano, perchè il
pretore aveva bisogno di me per un processo. Mi chiusero in una celletta ed il
guardiano andò a dormire. Nel carcere c'era una grata di legno, alta dalla via
men di un pino di 5 anni; vidi che scrollandola cedeva. Aspettai che fosse
notte, ruppi le sbarre di legno e mi calai a basso con un lenzuolo... Ed ora
eccomi a chiedere al tuo buon cuore di sorella un po' di ricovero almeno per
questa notte.
E diceva ciò con
voce lenta e calma, ma negli occhi grigi avea lampi di ironia e di minaccia.
La Filomena
ascoltava con gli occhi bassi e il petto ansante.
— Tu con le tue
manine da signora non le avresti rotte le sbarre della prigione, eh? Invece
io... guarda.
E allungò le
braccia con le mani aperte e le dita slargate, che si piegavano forti ed
elastiche come artigli di tigre. Poi poggiò i gomiti sulle ginocchia, il mento
sulle palme, e disse, guardando in viso la sorella:
— E di Pietro non
sai dirmi nulla? Da quando non lo vedi?
— Non lo so —
rispose Filomena, balbettando confusa — non lo so.
— Ah, non lo sai!
Credevo il contrario. Scusa. Quello lì se la gode la vita sulla montagna.
Quando qualcuno, non tu, nè lui, certo, veniva a vedermi in carcere, mi
raccontava tante sue prodezze: oggi un ricatto, ieri un incendio, insomma si
divertiva come un re. E buon pro gli faccia! Ha dovuto sciupare parecchio danaro
con i suoi compari, con le sue drude, in banchetti e scialate! E intanto mi
lasciava morir di fame in carcere, di fame e di rabbia! E certo, in carcere non
mi avevano chiusa per colpa mia, non mi maltrattavano per delitti miei, ma per
indurlo a presentarsi. Sì, giusto: gli importa tanto di me quanto di un pelo
della barba! Dalla prima sera che lo sposai mi die' calci e pugni quanto ne
volli. Sopportavo tutto quantunque a me il cuore non tremi e ci abbia anche io
fiele nel sangue. Lo vedranno. Avrei potuto scannarlo come un porco, ma io
l'amava, anzi mi piaceva tanto se lo vedevo con gli occhi iniettati di sangue e
coi pugni chiusi scagliarmisi addosso... pareva un lupo, ed io mi faceva
battere volentieri, orgogliosa di avere per marito un uomo. Però gli dicevo: Fa
di me quel che vuoi ed io sarò umile come una pecora bianca; ma non voler bene
a nessuno fuorchè a me, non venire nel mio letto dopo essere stato in quello di
un'altra. Se accadesse questo, Pietro, ti giuro per le sette piaghe di nostro
Signore, che scannerei la tua druda, fosse pure Santa Filomena vergine e
martire... Capisci, eh, Filomena mia?
La Filomena
l'ascoltava a testa bassa, giocherellando macchinalmente con la cocca del
grembiule.
— Capisci tu? —
ripetè Maria cogli occhi fissi nella sorella.
— Ma perchè le
dici a me queste cose? — balbettò lei.
Poi si scosse: il
bambino si era svegliato e vagiva: gli sguardi di quelle due donne
s'incontrarono; quelli di Maria parvero alla sorella penetranti ed acuti come
punta d'aghi.
— È il tuo figliuolo?
— È il mio
figliuolo, sì, è il mio figliuolo; che vuoi tu, che vuoi? — rispose Filomena,
alzandosi e correndo all'uscio dell'altra stanza. Ivi giunta si fermò, ritta,
con le gambe larghe e le braccia in croce per sbarrare il passo alla sorella,
che si era alzata anche essa, e pareva pronta a slanciarsi. Rimasero così a
guardarsi un pezzo: Filomena pallida, ma risoluta; Maria coi denti stretti, gli
occhi cupi, e ripiegata come per pigliare lo slancio.
Il fanciullo
continuava a vagire: Maria fe' uno sforzo su se stessa e ritornò calma; sedè di
nuovo sulla scranna, riattizzò il fuoco e, voltasi alla sorella:
— Cerca di
addormentarlo, e poi dammi un po' di pane, chè ho fame.
E stette immobile
a mirare le braci, coi gomiti sulle ginocchia e il mento fra le palme.
Nell'altra
stanza, con voce dolce, e cadenzata, la Filomena cullava il fanciullo,
cantandogli la ninna nanna di Gesù Bambino.
La notte era
calma: il paesello dormiva; la viuzza stretta e fangosa ove si apriva la porta,
di tanto in tanto risonava del passo di un asino o di un mulo guidato da un
contadino che lo eccitava con la voce: un latrato sordo di cane, il canto di un
gallo nelle tenebre della campagna; poi silenzio profondo.
La Maria immobile
fissava la brace che aveva scintillii rossi e corruscamenti. Il bambino si era
riaddormentato; la Filomena in punta di piedi tornò nella stanza del focolare.
— Hai fame? —
domandò alla sorella.
— Sì, ho fame;
son digiuna da ieri.
Dalla cassapanca,
in fondo alla stanza, la Filomena tolse un mezzo pane bianco e una fetta di
prosciutto. Da una rastrellieretta staccò un piatto che colmò di fichi secchi,
e porse ogni cosa alla sorella.
— Pane bianco,
prosciutto e fichi secchi! — esclamò Maria. — Non ti fai mancar nulla tu! Non
mangiai pane bianco nemmeno quando Pietro lavorava da falegname ed io faceva la
massaia. E pane da
signore, questo. E, di' un po', devi guadagnar molto, eh?
— Mangia —
rispose Filomena — vuoi un coltello?
— Un coltello a
me? O che credi che io non ne abbia uno? Figurati, ne ho tenuto nascosto uno in
seno tutto il tempo che sono stata in carcere, e ci è voluto del bello e del
buono per non farmelo scoprire dai custodi... Guarda.
Trasse dal
corpetto un coltello a due tagli, e, brandendolo:
— È una lama che
forerebbe il bronzo. A te.
E diè con mano
robusta un colpo sulla parete: il coltello vi si infisse.
— E mangia
dunque, — balbettava Filomena, porgendole il piatto. — Vuoi del vino?
— Vino! Hai pure
del vino? Non ne ho bevuto da due anni e ne ho quasi dimenticato il sapore. In
carcere, non dànno altro che acqua sporca: soldi per comprarne non ne avevo,
che quel furfante di Pietro... Basta, faremo i conti!
La Filomena aveva
preso dalla tavola una bottiglia di vetro nero; ne versò parte del contenuto in
un bicchiere che porse alla sorella, premurosa, carezzevole, con gli occhi
umidi di lagrime, e il cuore stretto da un acuto senso di paura.
— To', bevi, — le
disse con dolcezza.
— No, — esclamò
Maria, voltandole le spalle bruscamente; — no, non ne voglio.
— Tu dunque
m'odii, tu dunque vuoi farmi del male? — esclamò la poveretta.
— E perchè dovrei
farti del male? — rispose Maria, voltandosi a mezzo e saettando con lo sguardo
la sorella ritta dinnanzi a lei. — Perchè dovrei odiarti?
E rimasero così
per un pezzo, l'una tremante, l'altra terribile nel suo sguardo fisso e nella
immobilità della persona.
Il fanciullo
intanto si dimenava pel letto, poi incominciò a piangere.
— Va' a letto, —
disse Maria in tono di comando. — Tuo figlio ti cerca. Io resto qui.
— Non mangi?
— Va' a letto.
La Filomena si
diresse lentamente verso la camera. Il cuore le batteva forte e presagiva un
sinistro. Vagheggiò per poco il pensiero di aprire la porta e di uscir fuori a
chiamar soccorso, ma avrebbe dovuto lasciar colà, con quella donna, il suo
figlioletto, e sbigottiva a tale idea. E poi forse non avrebbe evitata, ma
affrettata la catastrofe che prevedeva terribile. Intanto il bambino piangeva
più forte; ella, mentre si spogliava, cercava acquetarlo con la voce, ma
mentalmente volgeva una preghiera alla Madre di Gesù perchè la tenesse in sua
custodia.
Poi il fanciullo
tacque, tacque la voce della madre: solo il gatto, raggomitolato nelle ceneri
del focolare, continuava a far le fusa.
Maria allora si
alzò. Stringeva con mano convulsa il coltello, la cui lama di acciaio
rifletteva la luce rossa delle braci. Stette ad origliare un istante: poi mosse
in punta di piedi verso la stanza della sorella; si fermò sull'uscio, sporse il
capo e precipitossi dentro.
Si intese un
grido, poi un rantolo...
Tornò stringendo
al seno il fanciullo, ravvolto nella falda anteriore della gonna rialzata. Si
diresse verso la porta e stava per aprirla.
Fu battuto con tre
picchi alla porta, una voce sommessa mormorò dalla strada:
— Apri, Filomena,
sono io, Pietro.
Maria trasalì:
— È lui,
l'infame! entri!
E aprì la porta
senza deporre il fanciullo. Un uomo intabarrato era fermo sui gradini
dell'uscio: dalle falde del tabarro uscivano le due canne di un fucile.
— Chiudi, chiudi
presto, — disse entrando. — Ho paura che mi abbiano seguito. Fa un freddo da
lupi. Ti ho fatto aspettar molto, eh? abbi pazienza, Filomena.
— Filomena dorme.
Ti ho aspettato io, invece.
Quell'uomo con
rapido movimento si sciolse dal mantello, sguainò il pugnale e si avventò sulla
donna.
— Chi sei tu, chi
sei?
— Taci, taci,
potrebbero udirti. Riponi il pugnale, potresti far male a tuo figlio.
— Maria! — gridò
lui — Maria!
E retrocesse
sbigottito. Poi balbettò come in preda a superstizioso terrore:
— Come tu qui?
parla...
Ella non rispose.
Stringendo al seno il fanciullo, contemplava muta quell'uomo. Era in su i 35
anni, basso e grosso, con una folta e nera barba che gli copriva a metà il volto
di un pallore malaticcio, caratteristico nei grandi delinquenti. Gli occhi
infossati e verdognoli giravano inquieti nell'orbita, sotto le aspre
sopracciglia: i capelli neri e lisci gli cadevano in due ciuffi sulla fronte.
Il chiaror rossiccio della brace si riverberava sul calcio inargentato delle
pistole e sui larghi bottoni della giacca e dei calzoni di velluto.
— Come tu qui?
parla! — ripetè lui.
— Ah, tu credevi
che mi fossi rassegnata a star lì dentro, mentre tu te la godevi sulla
montagna! Ho rotto le sbarre della prigione e son venuta qui, perchè mi avevano
detto che ti ci avrei trovato.
— E Filomena?
— Filomena, bello
mio, dorme. Svegliala, se ti riesce.
Egli si slanciò
su lei, ed afferrandola pel braccio:
— Che vuoi tu
dire, vipera, che vuoi tu dire?
— Bada, — rispose
lei con voce calma e lenta. — Te l'ho detto, potresti far male a tuo figlio.
Egli allora si
precipitò nella stanza da letto. Si udì un grido:
— L'ha uccisa,
l'ha uccisa. Ah, per la Madonna!
E con la testa
bassa, col pugnale stretto fra le dita convulse uscì dalla stanza e si scagliò
sulla donna, la quale saltando da parte evitò l'urto. Trasportato dall'impeto,
egli cadde lungo disteso sul pavimento.
Ella, che aveva
deposto il fanciullo tuttora addormentato, fu lesta a slanciarsi sul caduto, e
con forza erculea, afferrandolo con una mano per la gola, sollevando con
l'altra in alto il pugnale, gli disse con voce stridente:
— Non ti muovere,
Pietro, chè questa volta son risoluta a tutto: uno ed uno, due. Se anche ti
fallisco, prima che tu mi uccida darò tale un grido da svegliare tutto il
paese; sarai preso come una lepre a covo e fra due giorni ti mozzeranno il
capo. Sta' zitto dunque ed ascoltami.
Egli sbuffava di
rabbia, ma comprendendo il pericolo, si rassegnò a non muoversi. Del resto,
abituato alle scene di sangue e a non stimare che gli audaci, l'audacia della
moglie incominciava a dominarlo.
Ella ripigliò:
— Te l'avevo
detto, ricordati. Sopporterò tutto, ma non una rivale. Battimi, calpestami e sarò
umile non per vigliaccheria, chè io non ho paura nè di te nè del diavolo, ma
perchè un uomo deve esser fiero. Io già mi ero accorta che tu le ronzavi
intorno, a quella lì; pure dubitavo, tanto mi pareva enorme che l'istesso gallo
beccasse due galline nate dallo stesso uovo. Poi tu pigliasti il bosco, ed io,
perchè tua moglie, fui vilipesa, perseguitata e poi chiusa in carcere, affinchè
tu per non farmi soffrire, ti presentassi. Tu hai fatto bene a non dar gusto ai
tuoi nemici; hai fatto bene a non avvilirti come una femminuccia; ma almeno
avresti dovuto mandarmi un saluto. Nulla: come se fossi morta. Poi seppi che la
gallinella bianca ti era piaciuta, e tu affrontando mille pericoli venivi qui,
di notte: seppi che era nato un pulcino, e che tu le mandavi dalla montagna
pane bianco, carne di vitello e vino, perchè mettesse sangue e la trovassi
sempre fresca e grassa. Seppi poi che le mandavi danaro per comprar vesti di
castoro, camicie di lino, collane di corallo... A me non mandavi nulla, manco
un soldo per pigliar tanto veleno, manco una bestemmia: nulla: a me, tua
moglie, a me che soffrivo per colpa tua!... E allora giurai sulle sette piaghe
di Gesù, che l'avrei scannata quella tua druda... mia sorella... e l'ho fatto.
Egli, che a poco
a poco si era messo a sedere, l'ascoltava pensoso e sorpreso. Maria, accosciata
vicino a lui, non lo perdeva d'occhio, pronta a slanciarglisi addosso appena
l'avesse visto muovere.
— Ed ora che vuoi
fare? — domandò lui.
— Che voglio
fare? Voglio venir con te. Non sono forse tua moglie? Credi tu che non sappia
maneggiar carabina e rivoltella? Che non sappia colpir di pugnale come te e
meglio di te forse? Credi tu che mi facciano paura i tuoi compagni? Ma io mi
sento capace di strapparvi il cuore dal petto a quanti siete... Verrò con te,
ma tu non mi toccherai manco un dito.
— Ma... e del
bimbo che ne facciamo?
Ella trasalì: la
sua voce aspra ebbe quasi una inflessione di dolcezza nel rispondere: qualche
cosa le faceva groppo in gola.
— Ci penserò io.
Lo affiderò ad una mia amica. Lui non ci ha colpa, lui.
Egli sorse in
piedi: era pensoso: lottava col fascino che quella donna audace esercitava su
lui, e con la sete di vendetta. I suoi istinti feroci lo spingevano ad
avventarsi su quella donna, ma non osava affrontare il pericolo di essere
scoperto se la moglie con le grida avesse fatto accorrere gli abitanti del
villaggio. Risolse di rimandare il delitto a miglior tempo, a miglior luogo.
Sulla montagna era signore, ed ella avrebbe potuto gridare a sua posta; gliene
avrebbe date tante di puntate di coltello! Eppure, contemplando la moglie, si
sentiva stranamente attratto da quella selvaggia bellezza, e gli istinti di
sangue venivano attenuati dai desiderii brutali di uomo sanguigno, pasciuto di
carne e di vino. Due anni di castità forzata avean reso quella donna fresca e
turgida di voluttà come una vergine; ed egli pensava che esser ne dovevano ben
caldi i baci e spasmodiche le prime carezze; si prometteva di goderle; dopo,
avrebbe pensato a vendicar quella poveretta che intanto giaceva inanimata sul
suo letto, col seno aperto da una larga ferita.
Fu Maria che
parlò la prima:
— Parti, — gli
disse — è vicina l'alba: ti raggiungerò stasera. Dove hai la posta coi tuoi?
— Al Gariglione.
Fischierai tre volte così.
E modulò un fischio.
— Hai capito?
— Sì.
Egli mise ad
armacollo il fucile, poi si coprì col tabarro e si diresse verso l'uscio. Ivi
giunto ristette, fe' un passo per entrare nella stanza da letto, poi scrollò le
spalle. Aprì pianino la porta di strada, fe' capolino, ed assicuratosi che la
strada era deserta, uscì.
Maria riprese il
fanciullo dalla cassapanca; lo coprì ben bene con la gonna riversata, e vedendo
che egli fregava la faccia al seno di lei, lo cullò dolcemente con le braccia,
canticchiando sottovoce:
Sorridono le
stelle del mattino,
Sorridon gli
angioletti al mio bambino:
Dormi, bambino
mio, dormi, tesoro,
Nel sonno
spunteran le alucce d'oro
Aprì la porta,
scese i gradini dell'uscio e fu sulla via...
|