All'alba, Peppe
il carbonaio chiamò 'Ntonuzzo. Nella capanna era ancor buio: sul focolare
ardeva qualche tizzo che metteva un lieve barlume nelle tenebre. 'Ntonuzzo, che
aveva il suo lettuccio presso il focolare, si alzò; brancolando si diè a
cercare un pezzo dì abete resinoso, poi, trovatolo, si chinò sulle braci,
soffiando per accenderlo.
Nel buio, la sua
faccia, nera dal fumo, si tingeva in rosso, pel riverbero della brace: di un
tratto con scoppio sordo divampò la fiamma che illuminò la capanna.
In fondo, sopra
un materasso coperto di una coltre intessuta di stracci, giaceva Peppe con la
moglie. Appena la stanza fu rischiarata, si alzò a sedere sul letto. La fiaccola
di abete, infissa nella catena del focolare, proiettava la sua luce vacillante
sul petto villoso del carbonaio e sulla donna, le cui forme si delineavano come
scolpite, sotto le coltri, strette pel gran freddo al corpo. 'Ntonuzzo intanto
abballinava in un canto il pagliericcio, e si avvolgeva nella manta lacera che
gli era servita di coperta.
— Tornerai
stasera? — domandò la donna.
— Sì, con le ali!
Se venderò il carbone potrò tornare, alla più corta, dimani a merenda. Badate
alla carbonaia, chè il fuoco non si spenga. Il carbone di ieri è un po'
legnoso, e dovrò venderlo due carlini: meno del solito. Hai inteso, 'Ntoni?
E in ciò dire
infilava le brache.
— Io ho inteso;
ma di' a tua moglie che anch'essa dovrà vigilare con me alla carbonaia — borbottò
'Ntoni.
— A me basta
l'andare attorno tuttodì per la montagna a raccogliere la legna. Lui invece se
ne sta tutto il santo giorno a grattarsi la pancia accanto al fuoco. Stanotte
chiuderò la porta e vedremo chi entrerà — rispose la donna da sotto le coltri.
Intanto Peppe
finiva di vestirsi: poi scoperchiò una cassapanca e ne trasse un mezzo pane e
un pezzo di formaggio. 'Ntoni, in un canto, avvolto nella coperta, tremava dal
freddo.
— Su, andiamo —
disse Peppe.
Aprì la porta della capanna, e il fresco vento del mattino fe' tremolare la
vampa fumosa della fiaccola. Fuori, gli alberi della montagna si delineavano in
nero nel turchiniccio dell'alba. A venti passi dalla porta si ergeva a
piramide, tuttora fumante, la carbonaia.
— Chiudi presto
la porta; muoio di freddo! — gridò la donna.
I due uscirono e
richiusero la porta. La montagna incominciava a svegliarsi e fra gli abeti
giganti si udiva qualche frullo d'ali e qualche sommesso cinguettìo; dalle
foglie bagnate di rugiada cadeva con lieve rumore qualche goccia, e il vento
del mattino passava stormendo tra le fronde.
Sotto la tettoia
era il mulo sdraiato su poca paglia: vicino vicino, l'un sull'altro, quattro
sacchi di carbone, e su i sacchi il basto.
Peppe diè un
calcio sulla groppa del mulo, che alzò il capo, poi si levò sui quattro piedi.
— Piglia quel
basto; stai lì come una bestia!
'Ntoni prese il
basto e lo gettò sul dorso del mulo, mentre Peppe gli adattava la cavezza.
— Sai che ti
dico? Se il carbone riesce legnoso, dimani sarà l'ultimo giorno tuo.
— Tu te la pigli
con me; moglieta intanto, quando tu non ci sei, si chiude dentro, e addio!
— Mogliema è
mogliema, e a te do da mangiare per fare il Michelaccio forse?
La luce dell'alba
rischiarava quei due, affaccendati attorno al mulo. Peppe era sulla quarantina.
grosso e tozzo, con una barbetta rada e nera, col collo nero pel fumo e per la
polvere dì carbone. 'Ntoni, in su i venti anni, vestiva una lacera camicia di
tela e un paio di brache di traliccio assicurato ai fianchi da una corda. Il
resto, quantunque si fosse nella fredda primavera della montagna, era nudo, con
una patina nerastra sulla pelle secca delle gambe e del petto. Gli occhi, sul
nero del viso, luceano di una bianchezza sinistra; e i capelli folti,
arruffati, polverosi, gli coprivano il capo e la metà del collo come una
sudicia fascia lanosa.
Sul basto,
sollevati a forza di braccio, si legarono, due per lato, i sacchi col carbone;
poi Peppe, tirando il mulo per la cavezza, si diresse verso la capanna che si
elevava nel mezzo, ove la montagna pianeggiava per poi scender giù ripida e
folta di abeti.
— Addio, Giovanna
— disse Peppe dall'uscio.
— Buon viaggio —
rispose la donna tuttora fra le coltri.
— Dunque ci siamo
intesi, 'Ntoni?
— Gnorsì, Peppe.
Il carbonaio mise
sulla spalla la cavezza di cui il capo gli penzolava sul petto; poi tratto il
pane ed il formaggio si diede ad addentarli, mentre, seguito dal mulo,
discendeva il sentieruolo fra gli abeti.
Intanto l'alba
era sorta, e il sole tingeva le cime degli alberi, e tra le felci, con riflessi
adamantini, lucevano le gocce di rugiada.
'Ntoni, avvolto
nella vecchia e lacera coperta, si era seduto sull'erba umida, e, con la testa
su i ginocchi, pensava.
Mancava fin dai
cinque anni dal villaggio ed era vissuto solo in quella solitudine spaccando
legna e bruciandole per farne carbone. Gli avevano detto che oltre a quella
montagna, oltre al suo villaggio, oltre alla città dove Peppe andava spesso col
mulo, eranvi altre montagne, altri villaggi, altre città; ma a lui, del resto,
se davvero ci fossero, che importava? Peppe gli dava da mangiare pane di
segala, di lupini, di castagne; qualche volta, patate lesse, sovente castagne
bollite: più, a Natale, una camicia, un paio di mutande e una coperta di lana:
busse e male parole, sempre. Pure faceva buon viso anche alle busse ed alle
male parole, perchè, si sa, il padrone che ha l'obbligo di dar pane, ha pure il
diritto di dar calci e pugni. Di quella vita si era tenuto contento per un bel
pezzo. Non aveva mamma, non parenti, nessuno. Come era nato? Ecco; era una
domanda, questa, che spesso, la notte, quando vegliava innanzi alla carbonaia
che ardeva, mandando in alto le sue vampe tra nuvoli di fumo, s'era rivolto, e
gli era avvenuto di star più ore pensieroso senza rispondersi.
Del resto, che
gl'importava? era tranquillo; ma non fu più tranquillo dacchè Peppe sposò
quella strega della Giovanna.
Una sera, tornato
dal villaggio accompagnato da quella donna a cavallo del mulo, gli disse che l'aveva
sposata il giorno innanzi. Aveva portato pane, vino, salsiccia, e la sera
accanto al fuoco banchettarono. Essi si baciucchiavano, si carezzavano alla
vampa allegra del focolare che ne accalorava il sangue; e 'Ntoni li guardava
addentando un pezzo di pane nel cui mezzo aveva stretto un tocco di salsiccia
arrosto. La donna era giovane e rusticamente bella; seno ampio e turgido,
spalle larghe, fianchi rigogliosi, sul còllo grassoccio e bianco una collana di
corallo rosso. Accesa per la fiammata, pel vino, pel cibo, per le carezze del
marito, guardava sottocchi 'Ntoni, che punto da quello sguardo sentiva per la
prima in sè qualche cosa di insolito e non sapeva tòrre gli occhi dalla
striscia rossa nella grassa bianchezza del collo di quella donna.
Fuori nevicava.
In sul tardi, Peppe, con gli occhi lucenti pel vino e pel caldo, disse a
'Ntoni:
— Piglia il tuo
pagliericcio e va' a dormire nella tettoia.
— Nevica —
rispose Ntoni.
— Se fuori
nevica, qui brucia, n'è vero, Giovanna. Va' dunque, va.
— Ma nevica… —
ripetè il giovane.
— Mandalo via,
mandalo via, ti pare mo'? — fece la donna, già mezza scinta e con gli occhi
socchiusi.
'Ntoni l'intese.
Si alzò borbottando, prese il pagliericcio e stava per uscire: la Giovanna lo
richiamò, e porgendogli un bicchiere colmo di vino, gli disse:
— To', bevi.
Egli,
nell'accostarlesi, intravide le carni nude del seno e delle spalle tra il
corpetto slacciato. Prese il bicchiere e bevve con gli occhi fissi sulla donna.
Poi uscì,
portando con sè il pagliericcio; camminò buon tratto sotto la neve, tremando
dal freddo, e appena giunto alla tettoia, stese accanto al mulo il giaciglio e
vi si sdraiò sopra.
Non potè chiudere
occhio tutta la notte: la campagna silenziosa si distendea grigia sotto la
neve: il mulo di tanto in tanto alzava la testa sbuffando. Il giovine, sdraiato
sul giaciglio, non sentiva più freddo; quel bicchiere di vino gli aveva mutato
il sangue in tante gocce di fuoco. Che cosa ci aveva messo quella strega, che
vedendolo bere lo avea guardato con gli occhi accesi e la bocca, rossa e
tumida, semiaperta? Ah, per la Madonna, che gli avesse fatto una stregoneria?
Peppe, una sera, mentre la carbonaia ardeva, gli aveva raccontato l'istoria di
una strega che aveva dato a bere non so che cosa a un giovane, il quale ebbe
d'allora come una vampa nelle visceri e nelle vene. Era stregato anche lui,
forse?
La mattina,
entrando nella capanna, trovò la donna accoccolata sul focolare intenta a far
bollire una pentola. Egli non le parlò, ella non badò a lui. Per quattro notti
di seguito, dormì sotto la tettoia accanto al mulo; ma una sera, poichè aveva
la febbre, gli fu concesso di dormire alla capanna. Era la prima volta che
dormiva vicino ad una donna: stette tutta la notte cheto per far credere che
dormisse: ma non dormiva, guardava. All'incerto barlume delle braci, vedea
sotto le coltri delinearsi quel robusto corpo di donna: poi per lo scomposto
stirarsi, nel sonno, delle membra, le coltri scivolarono fino a mezzo il petto,
scoprendo metà del seno e delle spalle. Peppe russava con un braccio sul collo
della moglie, che supina, russava anche essa. 'Ntoni guardava con la febbre
negli occhi e nel sangue.
Scorse così un
anno: quella donna parea l'odiasse e anch'egli sentiva per lei un livor sordo.
Vieppiù si confermava nella credenza di essere stregato. Anche lei non gli
risparmiava, per giunta, nè le busse nè gli sgarbi, ed egli più di una volta
era stato lì lì per darle un colpo di scuro e farla finita. Pure non così
voleva vendicarsi, no; la notte, quando la vedeva distesa fra le coltri,
avrebbe voluto avventarsi su lei, stringerla forte da soffocarla, morderne le
carni delle spalle e del seno. Pure odiandola, non se la sapeva togliere dalla
mente; e il giorno, mentre dava di gran colpi di scure ai ceppi, se la vedeva lì
davanti, con le carni nude, gli occhi sfavillanti, e allora la vista gli si
faceva torbida e sentiva certe ondate di fuoco nel cervello e nel sangue.
E che l'avesse
stregato non c'era più dubbio. Quello strazio ei lo soffriva dalla sera in cui
gli aveva dato a bere quel bicchiere di vino, nel quale chi sa che polvere
aveva gettato! Lei ne godeva; nella notte, fingendo d'aver caldo, forse
credendolo addormentato, ella si alzava a sedere tutta nuda sul letto e lo
guardava con gli occhi lucenti, occhi di strega.
Da tre mesi, si
era accorto che la Giovanna se la intendeva con Mico, il guardiano. Una sera
anzi aveva inteso un fruscìo in un cespuglio; era accorso credendo di
sorprendere un lepre nel covo, ma da quella fratta vide uscir Mico, armato di
fucile e di pistola, col coltellaccio nella tasca destra delle brache.
— Di qua non si
passa — gli gridò Mico.
Egli tornò
indietro: poi si nascose dietro un albero; dopo poco vide alzarsi in piedi tra
le felci la Giovanna e correre giù pel sentiero che mena alla carbonaia. La
sera, in sull'imbrunire, quando tornò nella capanna, trovò la donna seduta
presso al marito intenta a far bollire delle patate in una pentola. Poi le
affettò e ne porse un piatto ricolmo, ben condito d'olio, al giovine e,
generosità insolita, gli diede un pezzo di lardo. Lui chinò la testa sul piatto
ed ingoiava a stento, chè sentiva come un nodo in gola. Quando marito e moglie
si coricarono ed egli rimase solo, nel buio, accanto al fuoco, pensò con
spasimo d'odio a quella donna, ma con più odio a quell'uomo, a Mico il
guardiano.
E d'allora
lasciava volentieri la carbonaia per gironzolare pel bosco. Una volta la
Giovanna, che furtiva si dirigeva verso la macchia, vedendoselo comparire
innanzi all'improvviso, rimase un po' interdetta, poi gli disse coi denti
stretti:
— O spione, bada
che qualcuno ti romperà le ossa!
Egli senza
rispondere s'era allontanato; poi, nascosto dietro un masso, l'aveva seguita
con gli occhi. Ella, guardinga, ma credendosi non vista, entrò nella macchia,
ove tra le alte felci spuntava la canna del fucile di Mico.
— Oh, santo
diavolo! — disse 'Ntoni, mordendosi le mani.
Ma non ne fe'
parola a Peppe, che trovò occupato ad attizzare
il fuoco della
carbonaia: e quando gli domandò:
— Hai visto
Giovanna?
— No, non l'ho vista
— aveva risposto il giovane, con gli occhi bassi.
Così stavano le
cose. 'Ntoni, partito Peppe, si era seduto con le spalle a un albero e ravvolto
nella manta aspettava che la Giovanna aprisse la porta.
Dopo un'ora, ella comparve sulla soglia. Non aveva corpetto e tra lo sparato
della camicia si arrotondava il seno turgido di contadina ben pasciuta.
— Perchè non vai
a far legna? — gli disse con voce aspra.
— Io ti aspettava
— borbottò lui: — solo, non posso dar fuoco.
Ella non rispose
e rientrò nella capanna; egli la seguì, e accoccolatosi presso il fuoco,
guardava con occhi torbidi quella donna che seduta sulla sponda del letto
appuntava con le forcine le trecce.
— Ho forse la
gobba, che mi guardi così?... Non mi hai vista mai?
Egli non chinò
gli occhi, non rispose, non si mosse. Ella intanto alzò una gamba per calzare
la scarpettina nuova di vacchetta e mise in mostra la carne dei polpacci.
Poi aprì una cassetta, e curva sopra essa, con le spalle ampie carnose
biancheggianti fra le trine della camicia, rimestava ne' batuffoli di cenci, di
nastri e di pezzuole. Ne tolse un corpetto celeste con nastri rossi e lo
indossò, stringendolo al seno, che si rigonfiava, per avvicinarne i lembi;
cinse di una collana di corallo rosso il collo, mise la tovagliola bianca su i
capelli ravviati, e volta a 'Ntoni:
— Debbo andare da
comare Rosa e tornerò stasera. In quella cassa ci è pane e formaggio: pigliane.
— Non ne voglio —
rispose lui.
— Meglio. Se tu
speri che io ti preghi, stai fresco. Su dunque, chè debbo chiudere la porta,
— Senti,
Giovanna; come è certo Dio, bisogna finirla!
— Finire che
cosa? — rispose la donna voltandosi a mezzo.
— Stammi a
sentire, Giovanna — rispose lui, mentre nel viso fuligginoso gli occhi bianchi
lucevano sinistri: — stammi a sentire. Ho creduto che quel che sentivo per te
fosse odio, ma ora non so che sia. So soltanto che certe volte, quando ti veggo
là su quel letto, la carne mi brucia ben più che non brucino le legna nella carbonaia.
Stammi a sentire: io ne ho visto delle femmine, ma tu, che cosa ci hai tu
perchè io debba pensare sempre a te? Non gli volevo bene a Peppe, ma ora
l'odio; conoscevo appena di vista Mico il guardiano, ora, quando mi passa
vicino, non so chi mi tenga dallo spaccargli il cranio! Prima che tu venissi,
ero tranquillo, mi alzavo all'alba, e dall'alba alla sera, nol dico per
vantarmi, non c'era nessuno che spaccasse legna quanto me: poi dormivo come un
ghiro, tranquillo e contento del pezzo di pane e delle poche castagne che Peppe
mi dava per companatico. Ora non so far più nulla, ora non dormo più, ora sono
scontento di tutti e di tutto. Me l'hai fatta tu la stregoneria: e, per la
Madonna, bisogna che me la levi. Peppe mi ha detto che quando una femmina fa una
stregoneria fa duopo che una tale femmina sia tutta dello stregato, anche per
un sol giorno. Tu mi hai fatto il male e tu devi guarirmene.
E in ciò dire si
era alzato, ansante, cogli occhi torbidi, col viso nero contratto e si
ripiegava su sè stesso per slanciarsi. Ella lo ascoltava con un sorriso ironico
sulle labbra.
Quando finì di
parlare, scoppiò a ridere:
— Ah! faccia di
brutta bestia, te la voglio dare io la stregoneria! Dimani, quando verrà Peppe,
voglio ti dia tanti calci quanti capelli hai sul capo.
— Giovanna! —
disse lui, coi denti e i pugni stretti.
— Non ti
accostare che ti rompo le ossa! Ah perciò mi guardavi, perciò mi facevi la
spia! Domani, domani vedrai.
Egli allora,
furente, le si slanciò addosso e la prese pel collo. Forte e robusta, la donna
cercò svincolarsi, ma sdrucciolò e cadde trascinando nella caduta l'aggressore.
Egli le fu sopra, feroce, comprimendola di tutto il suo peso; e mentre la donna
si dibatteva, più che baciarla, la mordeva nelle labbra, nelle guance, nel
collo con grugniti scomposti; e per soffocarne le grida le mise una mano sulla
bocca.
Ed allora gli
diede un morso sì forte, che il sangue sprizzò dalla piaga bagnandole il viso.
S'intese un grido
ed una bestemmia; vinto dal dolore, il giovane si ripiegò sul fianco: la donna,
balzando ratta in piedi, si die' a percuoterlo con calci:
— Ah, mulo! ah,
figlio di una mala femmina! ah, carogna!
Aveva i capelli
arruffati, la tovagliola lacera, le vesti gualcite e la collana di corallo
spezzata: sulle labbra e sul mento una larga e rossa macchia di sangue.
Egli, infiacchito
dalla lotta, dall'orgasmo e più dal dolore, restava immobile ai colpi, e
contemplando la piaga della mano mormorava: — Ah, strega! ah, mala femmina!
Giovannina,
urtandolo coi piedi lo andava spingendo verso la porta, non cessando
d'ingiuriarlo.
— Dimani, dimani
avrai il resto, non dubitare. Te lo farò dare io il fuoco, te la farò dare io
la stregoneria, carogna!
E quando il
giovane fu fuori, ella ricompose il corpetto, le cui trine cadevano a brandelli,
ravviò i capelli, rimise la tovagliuola, e dopo aver chiuso la porta, non
cessando di borbottare ingiurie e bestemmie, si diresse verso la montagna.
Giunta a capo del sentiero, si rivolse, e visto 'Ntoni che se ne stava seduto
con le spalle ad un albero e con la testa china, cercando di comprimere le
labbra della ferita che sanguinava:
— Non mi
comparire più innanzi — gli gridò: — dimani sarà l'ultimo giorno tuo.
Egli, con una
strana espressione negli occhi e nel viso deformato dallo spasimo:
— Va bene, va
bene, qua sotto non piove — disse con un gesto di minaccia familiare ai nostri
campagnuoli.
Errò tutto il
giorno per la montagna come uno smemorato, ma con un pensiero fisso di vendetta
nell'animo. Più che al morso tuttora sanguinante, pensava al contatto di quelle
labbra su la mano, al morbido di quel corpo che egli aveva stretto fra le
braccia. Verso il mezzogiorno, quando la montagna sotto il sole taceva e gli
alberi si ergevano diritti e senza ombra, si assise con le spalle ad un cespuglio,
e svolse il cencio insanguinato che avvolgeva la ferita. Il sangue gocciava e
le labbra erano rosse e gonfie; egli stette a guardarle pensoso.
— Ah, strega! ah,
strega! — borbottava tentennando il capo.
Verso il
tramonto, scese lentamente tra gli abeti, fermandosi spesso per guardarsi
intorno, e in sull'imbrunire giunse alla macchia dirimpetto alla capanna. Si
appiattò tra le felci e stette con gli occhi fissi e le orecchie in ascolto.
Poi vide dalla capanna uscir la donna con tizzo acceso e dirigersi verso la
carbonaia. La vide chinarsi e dar fuoco alle fascine di rami secchi su le quali
erano accatastate le legna; in breve il fuoco brillò, poi tra nugoli di fumo,
le fiamme rosse divamparono, serpeggiando con acuto stridìo per i fianchi della
catasta. La donna tornò alla capanna stette in ascolto sull'uscio. Le vampe
rosse che guizzavano tra i nugoli di fumo ne illuminavano la polputa persona
addossata alla capannuccia, mentre il resto della montagna restava all'ombra.
Il legno secco, in mezzo al circolo di luce rossa, cigolava, russava,
torcendosi divampando e sbuffando fumo e faville.
Poi s'intese un
calpestìo: un uomo saliva la montagna: alle vampa della carbonaia lucevano i
bottoni di metallo della giacca e la canna del fucile.
I due entrarono
nella capanna; la porta si rinchiuse. Allora 'Ntoni uscì fuori dal cespuglio, a
passi di lupo si avvicinò alla capanna, e, carponi, stette in ascolto. La
fiammata della carbonaia, mossa dal vento, ne arrossava ora la testa lanosa,
ora il dorso, or lo lasciava nelle tenebre. Egli con le orecchie tese
ascoltava: sentiva un mormorìo confuso di parole, ma lo stridìo delle legna
ardenti non gliene faceva comprendere il senso. Allora con un coltellaccio si
die' a bucare la parete di selci, e or tremante si arrestava, or tendeva
l'orecchio, or continuava lento, ma risoluto, nel lavoro. Carponi, come era,
parea un cane ringhioso e sudicio che rosicchiasse furtivo un osso. Un fil di
luce che filtrava dal foro lo fece accorto che il lavoro era compiuto. Si chinò
vieppiù: accostò l'occhio al buco e guardò. Mico era sdraiato sulla panca del
focolare e Giovanna gli sedeva sulle ginocchia. In una graticola sopra le braci
arrostivano due fette di carne: una tovagliuola bianca era sciorinata sulla
cassa, e sul tovagliuolo vide un orciuolo col vino, pane, formaggio ed altro
per la cena. Poi la donna si alzò, tolse dal fuoco la carne fumante, prese uno
sgabelletto e si assise presso la cassa, con la testa alle ginocchia dell'uomo.
La cena incominciò, interrotta da baci e da carezze. Essi bevevano nell'istesso
orciuolo, addentavano l'istesso pezzo di carne, e ciarlavano allegri. 'Ntoni,
carpone, con gli occhi al foro, guardava. Era digiuno dal giorno innanzi, ma
non aveva fame; sentiva il cuore pieno, il cervello pieno d'odio.
Stette così più
ore, mentre la carbonaia continuava a svolgere in alto, fra le tenebre, il suo
nuvolo di fumo tra le fiamme rosse e scoppianti. Poi ad un tratto 'Ntoni si
alzò; la luce rossa ne illuminava il viso nero deformato dall'ira. Gli alberi
neri nell'ombra pareano fantasmi che lo guardassero taciti. Egli si diè a
girare intorno la capanna; talora si arrestava e tendeva le orecchie agli
allegri scoppii di riso e alla parole di carezza. La ferita della mano gli
bruciava, ma più che il bruciore alla mano, sentiva vivissimo uno spasimo al
cuore. Poi si chinò di nuovo, mise gli occhi di nuovo allo spiraglio e guardò.
Sul materasso, illuminati fiocamente dalla lucerna appesa alla catena del
focolare, giacevano quei due, immobili. Si udiva il russar rumoroso dell'uomo,
il respirar più leggiero della donna che dormiva colla testa sul petto
dell'amante e con le braccia nude, col seno bianco nudo, molle e stanca. 'Ntoni
guardava con gli occhi torbidi, guardava le forme della donna denudata qua e
là. Poi di un tratto s'alzò, esclamando con una orrenda bestemmia:
— A me, no, a me!
ah, strega maledetta!
E come demente,
corse alla carbonaia; incurante della vampa che ne imporporava la persona, si
diè a trarne un tizzo, che, smovendosi, fe' sprofondare con sordo rumore le
legna ardenti, le quali divamparono più vive, sollevando un nembo di fumo e di
faville. Col tizzo fumoso e fiammeggiante, il giovine corse alla capanna e ve
lo gettò; poi, arrampicatosi su per la montagna, fermossi ritto, immobile sulla
cima. Le felci secche stridettero accese, poi divamparono, e le fiamme,
serpeggiando, in breve si elevarono tra il fumo e le faville che in alto si
confusero con quelle della carbonaia. La doppia gigantesca fiamma rischiarò di
una luce sanguigna il dorso della montagna, i cui abeti neri ed immobili
sembravano spettri neri e taciti. Ritto sul sommo della montagna, il giovine
guardava:
— Ah, strega
maledetta! — esclamò, quando vide la capanna sprofondare, divampando tutta con
subito scoppio.
|