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Nicola Misasi
In Magna Sila

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  • Capanna di carbonaio
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Capanna di carbonaio

 

All'alba, Peppe il carbonaio chiamò 'Ntonuzzo. Nella capanna era ancor buio: sul focolare ardeva qualche tizzo che metteva un lieve barlume nelle tenebre. 'Ntonuzzo, che aveva il suo lettuccio presso il focolare, si alzò; brancolando si diè a cercare un pezzo abete resinoso, poi, trovatolo, si chinò sulle braci, soffiando per accenderlo.

Nel buio, la sua faccia, nera dal fumo, si tingeva in rosso, pel riverbero della brace: di un tratto con scoppio sordo divampò la fiamma che illuminò la capanna.

In fondo, sopra un materasso coperto di una coltre intessuta di stracci, giaceva Peppe con la moglie. Appena la stanza fu rischiarata, si alzò a sedere sul letto. La fiaccola di abete, infissa nella catena del focolare, proiettava la sua luce vacillante sul petto villoso del carbonaio e sulla donna, le cui forme si delineavano come scolpite, sotto le coltri, strette pel gran freddo al corpo. 'Ntonuzzo intanto abballinava in un canto il pagliericcio, e si avvolgeva nella manta lacera che gli era servita di coperta.

Tornerai stasera? — domandò la donna.

— Sì, con le ali! Se venderò il carbone potrò tornare, alla più corta, dimani a merenda. Badate alla carbonaia, chè il fuoco non si spenga. Il carbone di ieri è un po' legnoso, e dovrò venderlo due carlini: meno del solito. Hai inteso, 'Ntoni?

E in ciò dire infilava le brache.

— Io ho inteso; ma di' a tua moglie che anch'essa dovrà vigilare con me alla carbonaiaborbottò 'Ntoni.

— A me basta l'andare attorno tuttodì per la montagna a raccogliere la legna. Lui invece se ne sta tutto il santo giorno a grattarsi la pancia accanto al fuoco. Stanotte chiuderò la porta e vedremo chi entreràrispose la donna da sotto le coltri.

Intanto Peppe finiva di vestirsi: poi scoperchiò una cassapanca e ne trasse un mezzo pane e un pezzo di formaggio. 'Ntoni, in un canto, avvolto nella coperta, tremava dal freddo.

— Su, andiamodisse Peppe.

Aprì la porta della capanna, e il fresco vento del mattino fe' tremolare la vampa fumosa della fiaccola. Fuori, gli alberi della montagna si delineavano in nero nel turchiniccio dell'alba. A venti passi dalla porta si ergeva a piramide, tuttora fumante, la carbonaia.

Chiudi presto la porta; muoio di freddo! — gridò la donna.

I due uscirono e richiusero la porta. La montagna incominciava a svegliarsi e fra gli abeti giganti si udiva qualche frullo d'ali e qualche sommesso cinguettìo; dalle foglie bagnate di rugiada cadeva con lieve rumore qualche goccia, e il vento del mattino passava stormendo tra le fronde.

Sotto la tettoia era il mulo sdraiato su poca paglia: vicino vicino, l'un sull'altro, quattro sacchi di carbone, e su i sacchi il basto.

Peppe diè un calcio sulla groppa del mulo, che alzò il capo, poi si levò sui quattro piedi.

Piglia quel basto; stai come una bestia!

'Ntoni prese il basto e lo gettò sul dorso del mulo, mentre Peppe gli adattava la cavezza.

Sai che ti dico? Se il carbone riesce legnoso, dimani sarà l'ultimo giorno tuo.

— Tu te la pigli con me; moglieta intanto, quando tu non ci sei, si chiude dentro, e addio!

Mogliema è mogliema, e a te do da mangiare per fare il Michelaccio forse?

La luce dell'alba rischiarava quei due, affaccendati attorno al mulo. Peppe era sulla quarantina. grosso e tozzo, con una barbetta rada e nera, col collo nero pel fumo e per la polvere carbone. 'Ntoni, in su i venti anni, vestiva una lacera camicia di tela e un paio di brache di traliccio assicurato ai fianchi da una corda. Il resto, quantunque si fosse nella fredda primavera della montagna, era nudo, con una patina nerastra sulla pelle secca delle gambe e del petto. Gli occhi, sul nero del viso, luceano di una bianchezza sinistra; e i capelli folti, arruffati, polverosi, gli coprivano il capo e la metà del collo come una sudicia fascia lanosa.

Sul basto, sollevati a forza di braccio, si legarono, due per lato, i sacchi col carbone; poi Peppe, tirando il mulo per la cavezza, si diresse verso la capanna che si elevava nel mezzo, ove la montagna pianeggiava per poi scender giù ripida e folta di abeti.

Addio, Giovannadisse Peppe dall'uscio.

— Buon viaggiorispose la donna tuttora fra le coltri.

— Dunque ci siamo intesi, 'Ntoni?

Gnorsì, Peppe.

Il carbonaio mise sulla spalla la cavezza di cui il capo gli penzolava sul petto; poi tratto il pane ed il formaggio si diede ad addentarli, mentre, seguito dal mulo, discendeva il sentieruolo fra gli abeti.

Intanto l'alba era sorta, e il sole tingeva le cime degli alberi, e tra le felci, con riflessi adamantini, lucevano le gocce di rugiada.

 

'Ntoni, avvolto nella vecchia e lacera coperta, si era seduto sull'erba umida, e, con la testa su i ginocchi, pensava.

Mancava fin dai cinque anni dal villaggio ed era vissuto solo in quella solitudine spaccando legna e bruciandole per farne carbone. Gli avevano detto che oltre a quella montagna, oltre al suo villaggio, oltre alla città dove Peppe andava spesso col mulo, eranvi altre montagne, altri villaggi, altre città; ma a lui, del resto, se davvero ci fossero, che importava? Peppe gli dava da mangiare pane di segala, di lupini, di castagne; qualche volta, patate lesse, sovente castagne bollite: più, a Natale, una camicia, un paio di mutande e una coperta di lana: busse e male parole, sempre. Pure faceva buon viso anche alle busse ed alle male parole, perchè, si sa, il padrone che ha l'obbligo di dar pane, ha pure il diritto di dar calci e pugni. Di quella vita si era tenuto contento per un bel pezzo. Non aveva mamma, non parenti, nessuno. Come era nato? Ecco; era una domanda, questa, che spesso, la notte, quando vegliava innanzi alla carbonaia che ardeva, mandando in alto le sue vampe tra nuvoli di fumo, s'era rivolto, e gli era avvenuto di star più ore pensieroso senza rispondersi.

Del resto, che gl'importava? era tranquillo; ma non fu più tranquillo dacchè Peppe sposò quella strega della Giovanna.

Una sera, tornato dal villaggio accompagnato da quella donna a cavallo del mulo, gli disse che l'aveva sposata il giorno innanzi. Aveva portato pane, vino, salsiccia, e la sera accanto al fuoco banchettarono. Essi si baciucchiavano, si carezzavano alla vampa allegra del focolare che ne accalorava il sangue; e 'Ntoni li guardava addentando un pezzo di pane nel cui mezzo aveva stretto un tocco di salsiccia arrosto. La donna era giovane e rusticamente bella; seno ampio e turgido, spalle larghe, fianchi rigogliosi, sul còllo grassoccio e bianco una collana di corallo rosso. Accesa per la fiammata, pel vino, pel cibo, per le carezze del marito, guardava sottocchi 'Ntoni, che punto da quello sguardo sentiva per la prima in qualche cosa di insolito e non sapeva tòrre gli occhi dalla striscia rossa nella grassa bianchezza del collo di quella donna.

Fuori nevicava. In sul tardi, Peppe, con gli occhi lucenti pel vino e pel caldo, disse a 'Ntoni:

Piglia il tuo pagliericcio e va' a dormire nella tettoia.

Nevicarispose Ntoni.

— Se fuori nevica, qui brucia, n'è vero, Giovanna. Va' dunque, va.

— Ma nevica… — ripetè il giovane.

Mandalo via, mandalo via, ti pare mo'? — fece la donna, già mezza scinta e con gli occhi socchiusi.

'Ntoni l'intese. Si alzò borbottando, prese il pagliericcio e stava per uscire: la Giovanna lo richiamò, e porgendogli un bicchiere colmo di vino, gli disse:

To', bevi.

Egli, nell'accostarlesi, intravide le carni nude del seno e delle spalle tra il corpetto slacciato. Prese il bicchiere e bevve con gli occhi fissi sulla donna.

Poi uscì, portando con il pagliericcio; camminò buon tratto sotto la neve, tremando dal freddo, e appena giunto alla tettoia, stese accanto al mulo il giaciglio e vi si sdraiò sopra.

Non potè chiudere occhio tutta la notte: la campagna silenziosa si distendea grigia sotto la neve: il mulo di tanto in tanto alzava la testa sbuffando. Il giovine, sdraiato sul giaciglio, non sentiva più freddo; quel bicchiere di vino gli aveva mutato il sangue in tante gocce di fuoco. Che cosa ci aveva messo quella strega, che vedendolo bere lo avea guardato con gli occhi accesi e la bocca, rossa e tumida, semiaperta? Ah, per la Madonna, che gli avesse fatto una stregoneria? Peppe, una sera, mentre la carbonaia ardeva, gli aveva raccontato l'istoria di una strega che aveva dato a bere non so che cosa a un giovane, il quale ebbe d'allora come una vampa nelle visceri e nelle vene. Era stregato anche lui, forse?

La mattina, entrando nella capanna, trovò la donna accoccolata sul focolare intenta a far bollire una pentola. Egli non le parlò, ella non badò a lui. Per quattro notti di seguito, dormì sotto la tettoia accanto al mulo; ma una sera, poichè aveva la febbre, gli fu concesso di dormire alla capanna. Era la prima volta che dormiva vicino ad una donna: stette tutta la notte cheto per far credere che dormisse: ma non dormiva, guardava. All'incerto barlume delle braci, vedea sotto le coltri delinearsi quel robusto corpo di donna: poi per lo scomposto stirarsi, nel sonno, delle membra, le coltri scivolarono fino a mezzo il petto, scoprendo metà del seno e delle spalle. Peppe russava con un braccio sul collo della moglie, che supina, russava anche essa. 'Ntoni guardava con la febbre negli occhi e nel sangue.

Scorse così un anno: quella donna parea l'odiasse e anch'egli sentiva per lei un livor sordo. Vieppiù si confermava nella credenza di essere stregato. Anche lei non gli risparmiava, per giunta, le busse gli sgarbi, ed egli più di una volta era stato per darle un colpo di scuro e farla finita. Pure non così voleva vendicarsi, no; la notte, quando la vedeva distesa fra le coltri, avrebbe voluto avventarsi su lei, stringerla forte da soffocarla, morderne le carni delle spalle e del seno. Pure odiandola, non se la sapeva togliere dalla mente; e il giorno, mentre dava di gran colpi di scure ai ceppi, se la vedeva davanti, con le carni nude, gli occhi sfavillanti, e allora la vista gli si faceva torbida e sentiva certe ondate di fuoco nel cervello e nel sangue.

E che l'avesse stregato non c'era più dubbio. Quello strazio ei lo soffriva dalla sera in cui gli aveva dato a bere quel bicchiere di vino, nel quale chi sa che polvere aveva gettato! Lei ne godeva; nella notte, fingendo d'aver caldo, forse credendolo addormentato, ella si alzava a sedere tutta nuda sul letto e lo guardava con gli occhi lucenti, occhi di strega.

Da tre mesi, si era accorto che la Giovanna se la intendeva con Mico, il guardiano. Una sera anzi aveva inteso un fruscìo in un cespuglio; era accorso credendo di sorprendere un lepre nel covo, ma da quella fratta vide uscir Mico, armato di fucile e di pistola, col coltellaccio nella tasca destra delle brache.

— Di qua non si passa — gli gridò Mico.

Egli tornò indietro: poi si nascose dietro un albero; dopo poco vide alzarsi in piedi tra le felci la Giovanna e correre giù pel sentiero che mena alla carbonaia. La sera, in sull'imbrunire, quando tornò nella capanna, trovò la donna seduta presso al marito intenta a far bollire delle patate in una pentola. Poi le affettò e ne porse un piatto ricolmo, ben condito d'olio, al giovine e, generosità insolita, gli diede un pezzo di lardo. Lui chinò la testa sul piatto ed ingoiava a stento, chè sentiva come un nodo in gola. Quando marito e moglie si coricarono ed egli rimase solo, nel buio, accanto al fuoco, pensò con spasimo d'odio a quella donna, ma con più odio a quell'uomo, a Mico il guardiano.

E d'allora lasciava volentieri la carbonaia per gironzolare pel bosco. Una volta la Giovanna, che furtiva si dirigeva verso la macchia, vedendoselo comparire innanzi all'improvviso, rimase un po' interdetta, poi gli disse coi denti stretti:

— O spione, bada che qualcuno ti romperà le ossa!

Egli senza rispondere s'era allontanato; poi, nascosto dietro un masso, l'aveva seguita con gli occhi. Ella, guardinga, ma credendosi non vista, entrò nella macchia, ove tra le alte felci spuntava la canna del fucile di Mico.

— Oh, santo diavolo! — disse 'Ntoni, mordendosi le mani.

Ma non ne fe' parola a Peppe, che trovò occupato ad attizzare

il fuoco della carbonaia: e quando gli domandò:

— Hai visto Giovanna?

— No, non l'ho vista — aveva risposto il giovane, con gli occhi bassi.

Così stavano le cose. 'Ntoni, partito Peppe, si era seduto con le spalle a un albero e ravvolto nella manta aspettava che la Giovanna aprisse la porta.

Dopo un'ora, ella comparve sulla soglia. Non aveva corpetto e tra lo sparato della camicia si arrotondava il seno turgido di contadina ben pasciuta.

Perchè non vai a far legna? — gli disse con voce aspra.

— Io ti aspettavaborbottò lui: — solo, non posso dar fuoco.

Ella non rispose e rientrò nella capanna; egli la seguì, e accoccolatosi presso il fuoco, guardava con occhi torbidi quella donna che seduta sulla sponda del letto appuntava con le forcine le trecce.

— Ho forse la gobba, che mi guardi così?... Non mi hai vista mai?

Egli non chinò gli occhi, non rispose, non si mosse. Ella intanto alzò una gamba per calzare la scarpettina nuova di vacchetta e mise in mostra la carne dei polpacci.

Poi aprì una cassetta, e curva sopra essa, con le spalle ampie carnose biancheggianti fra le trine della camicia, rimestava ne' batuffoli di cenci, di nastri e di pezzuole. Ne tolse un corpetto celeste con nastri rossi e lo indossò, stringendolo al seno, che si rigonfiava, per avvicinarne i lembi; cinse di una collana di corallo rosso il collo, mise la tovagliola bianca su i capelli ravviati, e volta a 'Ntoni:

Debbo andare da comare Rosa e tornerò stasera. In quella cassa ci è pane e formaggio: pigliane.

— Non ne voglio — rispose lui.

Meglio. Se tu speri che io ti preghi, stai fresco. Su dunque, chè debbo chiudere la porta,

Senti, Giovanna; come è certo Dio, bisogna finirla!

Finire che cosa? — rispose la donna voltandosi a mezzo.

Stammi a sentire, Giovannarispose lui, mentre nel viso fuligginoso gli occhi bianchi lucevano sinistri: — stammi a sentire. Ho creduto che quel che sentivo per te fosse odio, ma ora non so che sia. So soltanto che certe volte, quando ti veggo su quel letto, la carne mi brucia ben più che non brucino le legna nella carbonaia. Stammi a sentire: io ne ho visto delle femmine, ma tu, che cosa ci hai tu perchè io debba pensare sempre a te? Non gli volevo bene a Peppe, ma ora l'odio; conoscevo appena di vista Mico il guardiano, ora, quando mi passa vicino, non so chi mi tenga dallo spaccargli il cranio! Prima che tu venissi, ero tranquillo, mi alzavo all'alba, e dall'alba alla sera, nol dico per vantarmi, non c'era nessuno che spaccasse legna quanto me: poi dormivo come un ghiro, tranquillo e contento del pezzo di pane e delle poche castagne che Peppe mi dava per companatico. Ora non so far più nulla, ora non dormo più, ora sono scontento di tutti e di tutto. Me l'hai fatta tu la stregoneria: e, per la Madonna, bisogna che me la levi. Peppe mi ha detto che quando una femmina fa una stregoneria fa duopo che una tale femmina sia tutta dello stregato, anche per un sol giorno. Tu mi hai fatto il male e tu devi guarirmene.

E in ciò dire si era alzato, ansante, cogli occhi torbidi, col viso nero contratto e si ripiegava su stesso per slanciarsi. Ella lo ascoltava con un sorriso ironico sulle labbra.

Quando finì di parlare, scoppiò a ridere:

— Ah! faccia di brutta bestia, te la voglio dare io la stregoneria! Dimani, quando verrà Peppe, voglio ti dia tanti calci quanti capelli hai sul capo.

Giovanna! — disse lui, coi denti e i pugni stretti.

— Non ti accostare che ti rompo le ossa! Ah perciò mi guardavi, perciò mi facevi la spia! Domani, domani vedrai.

Egli allora, furente, le si slanciò addosso e la prese pel collo. Forte e robusta, la donna cercò svincolarsi, ma sdrucciolò e cadde trascinando nella caduta l'aggressore. Egli le fu sopra, feroce, comprimendola di tutto il suo peso; e mentre la donna si dibatteva, più che baciarla, la mordeva nelle labbra, nelle guance, nel collo con grugniti scomposti; e per soffocarne le grida le mise una mano sulla bocca.

Ed allora gli diede un morsoforte, che il sangue sprizzò dalla piaga bagnandole il viso.

S'intese un grido ed una bestemmia; vinto dal dolore, il giovane si ripiegò sul fianco: la donna, balzando ratta in piedi, si die' a percuoterlo con calci:

— Ah, mulo! ah, figlio di una mala femmina! ah, carogna!

Aveva i capelli arruffati, la tovagliola lacera, le vesti gualcite e la collana di corallo spezzata: sulle labbra e sul mento una larga e rossa macchia di sangue.

Egli, infiacchito dalla lotta, dall'orgasmo e più dal dolore, restava immobile ai colpi, e contemplando la piaga della mano mormorava: — Ah, strega! ah, mala femmina!

Giovannina, urtandolo coi piedi lo andava spingendo verso la porta, non cessando d'ingiuriarlo.

Dimani, dimani avrai il resto, non dubitare. Te lo farò dare io il fuoco, te la farò dare io la stregoneria, carogna!

E quando il giovane fu fuori, ella ricompose il corpetto, le cui trine cadevano a brandelli, ravviò i capelli, rimise la tovagliuola, e dopo aver chiuso la porta, non cessando di borbottare ingiurie e bestemmie, si diresse verso la montagna. Giunta a capo del sentiero, si rivolse, e visto 'Ntoni che se ne stava seduto con le spalle ad un albero e con la testa china, cercando di comprimere le labbra della ferita che sanguinava:

— Non mi comparire più innanzi — gli gridò: — dimani sarà l'ultimo giorno tuo.

Egli, con una strana espressione negli occhi e nel viso deformato dallo spasimo:

Va bene, va bene, qua sotto non piovedisse con un gesto di minaccia familiare ai nostri campagnuoli.

 

Errò tutto il giorno per la montagna come uno smemorato, ma con un pensiero fisso di vendetta nell'animo. Più che al morso tuttora sanguinante, pensava al contatto di quelle labbra su la mano, al morbido di quel corpo che egli aveva stretto fra le braccia. Verso il mezzogiorno, quando la montagna sotto il sole taceva e gli alberi si ergevano diritti e senza ombra, si assise con le spalle ad un cespuglio, e svolse il cencio insanguinato che avvolgeva la ferita. Il sangue gocciava e le labbra erano rosse e gonfie; egli stette a guardarle pensoso.

— Ah, strega! ah, strega! — borbottava tentennando il capo.

Verso il tramonto, scese lentamente tra gli abeti, fermandosi spesso per guardarsi intorno, e in sull'imbrunire giunse alla macchia dirimpetto alla capanna. Si appiattò tra le felci e stette con gli occhi fissi e le orecchie in ascolto. Poi vide dalla capanna uscir la donna con tizzo acceso e dirigersi verso la carbonaia. La vide chinarsi e dar fuoco alle fascine di rami secchi su le quali erano accatastate le legna; in breve il fuoco brillò, poi tra nugoli di fumo, le fiamme rosse divamparono, serpeggiando con acuto stridìo per i fianchi della catasta. La donna tornò alla capanna stette in ascolto sull'uscio. Le vampe rosse che guizzavano tra i nugoli di fumo ne illuminavano la polputa persona addossata alla capannuccia, mentre il resto della montagna restava all'ombra. Il legno secco, in mezzo al circolo di luce rossa, cigolava, russava, torcendosi divampando e sbuffando fumo e faville.

Poi s'intese un calpestìo: un uomo saliva la montagna: alle vampa della carbonaia lucevano i bottoni di metallo della giacca e la canna del fucile.

I due entrarono nella capanna; la porta si rinchiuse. Allora 'Ntoni uscì fuori dal cespuglio, a passi di lupo si avvicinò alla capanna, e, carponi, stette in ascolto. La fiammata della carbonaia, mossa dal vento, ne arrossava ora la testa lanosa, ora il dorso, or lo lasciava nelle tenebre. Egli con le orecchie tese ascoltava: sentiva un mormorìo confuso di parole, ma lo stridìo delle legna ardenti non gliene faceva comprendere il senso. Allora con un coltellaccio si die' a bucare la parete di selci, e or tremante si arrestava, or tendeva l'orecchio, or continuava lento, ma risoluto, nel lavoro. Carponi, come era, parea un cane ringhioso e sudicio che rosicchiasse furtivo un osso. Un fil di luce che filtrava dal foro lo fece accorto che il lavoro era compiuto. Si chinò vieppiù: accostò l'occhio al buco e guardò. Mico era sdraiato sulla panca del focolare e Giovanna gli sedeva sulle ginocchia. In una graticola sopra le braci arrostivano due fette di carne: una tovagliuola bianca era sciorinata sulla cassa, e sul tovagliuolo vide un orciuolo col vino, pane, formaggio ed altro per la cena. Poi la donna si alzò, tolse dal fuoco la carne fumante, prese uno sgabelletto e si assise presso la cassa, con la testa alle ginocchia dell'uomo. La cena incominciò, interrotta da baci e da carezze. Essi bevevano nell'istesso orciuolo, addentavano l'istesso pezzo di carne, e ciarlavano allegri. 'Ntoni, carpone, con gli occhi al foro, guardava. Era digiuno dal giorno innanzi, ma non aveva fame; sentiva il cuore pieno, il cervello pieno d'odio.

Stette così più ore, mentre la carbonaia continuava a svolgere in alto, fra le tenebre, il suo nuvolo di fumo tra le fiamme rosse e scoppianti. Poi ad un tratto 'Ntoni si alzò; la luce rossa ne illuminava il viso nero deformato dall'ira. Gli alberi neri nell'ombra pareano fantasmi che lo guardassero taciti. Egli si diè a girare intorno la capanna; talora si arrestava e tendeva le orecchie agli allegri scoppii di riso e alla parole di carezza. La ferita della mano gli bruciava, ma più che il bruciore alla mano, sentiva vivissimo uno spasimo al cuore. Poi si chinò di nuovo, mise gli occhi di nuovo allo spiraglio e guardò. Sul materasso, illuminati fiocamente dalla lucerna appesa alla catena del focolare, giacevano quei due, immobili. Si udiva il russar rumoroso dell'uomo, il respirar più leggiero della donna che dormiva colla testa sul petto dell'amante e con le braccia nude, col seno bianco nudo, molle e stanca. 'Ntoni guardava con gli occhi torbidi, guardava le forme della donna denudata qua e . Poi di un tratto s'alzò, esclamando con una orrenda bestemmia:

— A me, no, a me! ah, strega maledetta!

E come demente, corse alla carbonaia; incurante della vampa che ne imporporava la persona, si diè a trarne un tizzo, che, smovendosi, fe' sprofondare con sordo rumore le legna ardenti, le quali divamparono più vive, sollevando un nembo di fumo e di faville. Col tizzo fumoso e fiammeggiante, il giovine corse alla capanna e ve lo gettò; poi, arrampicatosi su per la montagna, fermossi ritto, immobile sulla cima. Le felci secche stridettero accese, poi divamparono, e le fiamme, serpeggiando, in breve si elevarono tra il fumo e le faville che in alto si confusero con quelle della carbonaia. La doppia gigantesca fiamma rischiarò di una luce sanguigna il dorso della montagna, i cui abeti neri ed immobili sembravano spettri neri e taciti. Ritto sul sommo della montagna, il giovine guardava:

— Ah, strega maledetta! — esclamò, quando vide la capanna sprofondare, divampando tutta con subito scoppio.

 

 




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