La casa di
campagna dei baroni di Montalto era posta sull'altipiano dei monti presso alla
foce del Savuto. Il fienile, le stalle, i magazzini per le granaglie le sorgevano
intorno, ed ai margini del piano, nel fondo verde del bosco di castagni
biancheggiavano le casette dei contadini, coloni del vasto podere. Le colline
parallele alla vallata scendevano con dolce declivio fino al mare che si
stendeva azzurro, con Stromboli in fondo fra la nebbia bianchiccia.
Il barone era
morto un mese dopo la nascita della sua unica figliuola; la vedova non avea
voluto metter casa in città per attendere alla coltura dei vasti poderi. Una
signora, inglese o francese, non so bene, aveva cura della educazione di
Bianca, unica erede del nome e delle ricchezze dei Montalto.
La baronessa era
una di quelle gentildonne di campagna, massaie e signore, fiere della loro
nobiltà di tre secoli; ma che non isdegnano di occuparsi delle più volgari
faccende domestiche. I Montalto avevano avuto diritti di alta e bassa giustizia
su le genti dei dintorni, e nei contadini era tradizionale il rispetto per
quella famiglia di signori, non più buona, ma non più cattiva delle altre. Del
resto, quando i numerosi coloni a Pasqua ed a Natale o dopo il raccolto,
andavano al palazzo, come essi chiamavano la casa di campagna della
baronessa, per fare i conti, o coi doni già stabiliti nei contratti a
mezzadria, e la vecchia signora vestita di lana nera, e mezzo sdraiata nella
poltrona di cuoio presso lo scrittoio fiancheggiato da alti scaffali, porgeva
loro la mano a baciare, si sentivano orgogliosi di toccare con le labbra,
rapidamente pulite colla manica della giacchetta, la pelle bianca e fine della
baronessa, la quale per altro non sdegnava di lesinare sul prezzo del grano e
non risparmiava i rimproveri se, a Natale, massaro Mico o se, a Pasqua, massaro
Giovanni invece di un grasso agnello da latte avessero portato un paio di
galline.
Nel luglio, dopo
la mietitura, la vecchia signora vigilava da sè, sull'aia inondata di sole,
alla divisione delle biade, riparandosi dai raggi cocenti sotto un grande
ombrello di seta ed enumerando a voce alta, di man in mano che si misuravano i
tumuli di grano e se ne facevano due mucchi. Nè credeva derogare, quando seduta
sopra uno sgabelletto di legno in un angolo del vasto magazzino ingombro di
grandi cesti, di ingraticciate, di orci per l'olio, di grossi mucchi di
granturco non sgranato, sotto i formaggi ed i salami pendenti dalle travi,
china sopra un gran libro sostenuto dalle ginocchia, segnava le ceste di patate
ed i sacchi di legumi che le spettavano dal ricolto e che man mano dai campi
portavano in ispalla i terrazzani.
A maggio, la
vecchia signora, sempre vestita di lana nera, con una cuffietta bianca sui
capelli grigi, col mazzo di chiavi alla cintola, dirigeva il governo dei bachi
nelle vaste e scure soffitte della casa, respirando, da donna forte ed avvezza,
l'aria appestata degli stanzoni brulicanti di vermicciattoli e il tanfo del
tritume di gelso. Talvolta con le sue mani bianche di baronessa non schifava
raccogliere i bachi morti o mettere a posto, nel bosco, i vivi.
Gli armenti,
divisi in gruppi di cinquanta capi, erano guidati al pascolo dai contadinelli,
che partivano il mattino all'alba per ritornare la sera al tramonto. Il più
infingardo dei mandriani, e perciò il più malvisto, era un giovane dagli occhi
loschi e dalle guance terree che si chiamava Andrea. Il primo a tornare la sera
nell'ovile, era l'ultimo a partirne. Insocievole e taciturno, fuggiva la
compagnia dei suoi pari, nè vedevasi nelle veglie dell'inverno accatno al
focolare, nè in quelle dell'estate, fuori l'uscio. Era orfano, miserabile,
brutto e fors'anche un po' cretino. Le contadinelle lo beffavano e gli davano
dei pugni, e lui non sorrideva, nè montava in collera. Non cosi però con gli
uomini, i quali lo evitavano, chè, irragionevole e scemo come era, avrebbe
risposto con un colpo di scure ad uno sguardo bieco o ad una parola d'offesa
detta anche per giuoco. Ed era forte come un bue: afferrava un torello per le
corna e lo riversava; con un sol colpo di scure spaccava in due un ceppo di
castagno. Però, quantunque insocievole e testardo, si sapeva che la baronessa
non lo avrebbe mai scacciato dal suo servizio, perchè egli era nato nella
istessa notte e nell'ora istessa in cui era nata la signorina Bianca; e la
baronessa, nei dolori del parto, aveva fatto voto a Sant'Anna di tener sempre
al suo servizio i nati in quella notte della famiglia contadinesca a lei
soggetta.
Quella leggiadra
fanciulla, figlia di signori, e quel tapinello, figlio di una povera contadina,
erano stati amici per un bel pezzo. Quando la madre di Andrea andava sulla
montagna per raccoglier legna, o in riva al fiume per lavare i panni sporchi
degli altri contadini, il fanciullo restava solo in casa, e la bimba, portata
in braccio dalla nutrice, passava spesso innanzi al tugurio di Andrea, il
quale, coricato bocconi su gli scalini della porta, alzava la testina irsuta,
dalle guance impiastricciate di lordure, per guardare la figliuoletta dei suoi
padroni, rosea tra le bianche fasce e la cuffietta infiorata. E la bimba rideva
a vederlo, e stendendo le manine, con balzi e con sussulti cercava liberarsi
dalle braccia della balia per scendere a fare il chiasso col fanciullo, al
quale gettava le paste e i biscotti a metà mangiucchiati, che egli, correndo
carponi come un lesto cagnolo, raccoglieva ed abboccava tutto allegro; e poi,
sgambettando e battendo le mani, faceva festa alla bimba, alla quale inviava
baci, chiamandola dolcemente per nome.
Tale
dimestichezza irritava la balia, bella e robusta contadina che, vivendo in casa
di signori, era diventata superba e sprezzante dei suoi pari. Un giorno alla
bambina cadde la pupattola tutta oro, nastri di seta e trine d'argento; Andrea
corse a raccoglierla, e la contemplò a lungo maravigliato. La balia, indignata,
gliela strappò di mano per ridarla alla bimba che piangeva; ma quando si
accorse che con le manine sporche quel tristanzuolo, figlio di mala femmina,
aveva insudiciato la gonnellina ed il corpetto di seta della pupattola, gli
corse sopra e si diè a picchiarlo, sorda al pianto di lui che, fra i
singhiozzi, chiamava la mamma. La quale accorse, e, saputo il fatto, picchiò
anche lei di santa ragione il fanciullo. Che irriverenza non era quella?
Insudiciare con quelle manacce la bambola della signorina!
Quando la
Bianchina ebbe sette anni, le fu regalata dallo zio, che abitava in città, una
bella carrozzina, imbottita di piume e tappezzata di velluto. Andrea, già in
età da guadagnarsi il pane, fu destinato a servir di cavalluccio alla
signorina, per farla scorazzare, attaccato al timone intorno all'aia o lungo il
sentiero che saliva per la montagna. E perchè la bimba si divertisse di più, la
balia legava una cordicella al collo del ragazzino, e i due capi di essa eran
tenuti come redini dalla bimba. Il contadinello, curvo per far forza di
schiena, tirava affannosamente la cordicella e la corda gli segava l'epidermide
del collo e gli lasciava i lividi su le spalle. Pur, talvolta si voltava a
mezzo, non tralasciando dal tirare, per sorridere a quell'angioletto biondo,
affondato nel rosso del velluto; e la fanciullina, percotendolo con una lunga
frusta, gli gridava, scotendo le redini: — Arri, arri, cavalluccio: arri, arri,
cavalluccio. — E lui a correre, imitando i nitriti del cavallo, a correre su
per l'erta, ansante, molle di sudore, mettendo in mostra fra gli strappi della
sudicia vesticciuola le carni livide, le costole magre e le gambette nude dalle
ginocchia nodose.
Per più di un'ora
durava quella fatica; poi la balia che seguiva da presso la carriuola,
domandava. — Sei stanca, Bianchina? — Ma la Bianchina no, non era stanca; e
allora giù frustate al cavalluccio, che talvolta, colpito alle spalle ed alle
orecchie, si lasciava cader giù piangendo e non voleva andar più oltre, con
gran dispetto della balia, la quale, in tal caso, doveva tirar lei la
carriuola. Già l'aveva sempre detto, lei: come son testardi ed infingardi quei
figli di mala femmina! La padrona avrebbe proprio fatto opera di paradiso se
fosse stata un po' più severa con essi, i quali mangiavano senza far nulla il
suo pan quotidiano!
Nell'ora di
pranzo, la bimba era portata su, e Andrea, attaccato alla carriuola, restava
sull'aia ad aspettarla. La bimba, appena in casa, diceva alla mamma. “Manda la
biada al mio cavalluccio”. E la baronessa, che, per dire il vero, era un cuore
d'oro, dava alla balia, per gettarlo al fanciullo, un pezzo di pane nero
raffermo.
— To', ranocchio,
piglia — diceva la balia, gettando il pane dalla finestra al fanciullino, il
quale aspettava, pizzicandosi il naso e giocherellando pensoso con la
cordicella che gli pendeva dal collo.
A quindici anni
la Bianca era una giovanetta bellissima, le cui spalle grassocce e il seno
della prima pubertà sbocciavano fiorenti dalla vesticciuola scollata. Era già
una donna fatta nel corpo, ed attendeva a divenirla nello spirito. Non scendeva
più a fare il chiasso sull'aia, occupata come era a studiar musica e lettere: la
sera, al tramonto, usciva a passeggio con la mamma e con la governante, e già
aveva appreso a rispondere distratta ed infastidita al saluto ossequioso dei
terrazzani.
Ad Andrea, cui la
mamma era morta, era stato affidato un branco dell'armento. Qualche volta, la
sera, nel tornar dal pascolo, menandosi le pecore innanzi, si incontrava, nello
stretto sentiero che saliva per la montagna, con la giovanetta, la quale pareva
non riconoscesse più nel giovine mandriano il suo instancabile cavalluccio di
un tempo, anzi sentiva un certo disgusto per quel brutto pecoraio, il disgusto
della farfalla per il bruco, del canarino per il pipistrello. Egli però,
nell'incontrarla, si cavava goffamente il cappellaccio logoro e bucherellato
dal tempo, e le fissava gli occhi addosso, seguendola con lo sguardo pensoso,
finchè non vedea dileguar fra il verde dei castagni il biancheggiar delle veste
di lei.
— Che vuole quel
brutto muso? — diceva la balia che era rimasta come serva in casa dei signori
di Montalto. — A questi figli di mala femmina non bisogna accordar tanta
dimestichezza. Crede forse che la signorina Bianca sia la Madonna e si possa
guardar così a lungo? Se la baronessa non ci bada, i suoi contadini non la
terranno in nessun conto, da qui a poco. Oh, se fossi io la padrona!
L'inverno, la
Bianca andava con la baronessa in città, in casa di un suo zio ricchissimo, di
cui era l'unica erede; poi tornava in campagna più bella, più elegante, con
qualche cosa di più signorile nei modi e nella persona. Talvolta la madre invitava
ad una scampagnata le amiche e gli amici di città, e allora nella casa dei
baroni di Montalto per più giorni, era un via vai di servi e, nel cortile, uno
scalpitar di cavalli riccamente bardati. Per tutta la notte la casa risonava di
voci, di canti, di suoni, mentre dallo spiazzo davanti la porta i contadini
ascoltavano appuntando gli occhi per vedere dalle aperte finestre, vivamente
rischiarate, i signori convitati rimpinzarsi di dolci e tracannar colmi
bicchieri di liquori portati in giro da servi su vassoi di argento.
Anche essi però
pigliavan parte alla festa, chè la baronessa faceva generosamente distribuire
gli avanzi del pranzo imbandito agli amici, le croste dei pasticci, le lische
dei pesci, le salse, i dolci raccolti e mescolati in un gran bacile. I
contadini facevano le boccacce al sapore di quei cibi nuovi e strani, ma
ingoiavano quella roba con una certa voluttà, per poter dire che anche essi,
almeno una volta in vita, avevano mangiato cibi da signori.
Andrea se ne
stava in un cantuccio dell'aia, solo e come sdegnoso, nè ci era stato mai verso
di fargli accettare una crosta di pasticcio o una lisca di pesce da spolpare.
Come cresceva negli anni, la sua natura vieppiù inselvatichiva. E ne diè prova
un giorno in cui poco mancò che la baronessa, dimentica del voto, non lo
scacciasse dal suo servizio. E non solo diè prova di selvatichezza; ma anche,
quel che è peggio, di vigliaccheria. Pareva impossibile! Quel ragazzo li un
vigliacco? Non era vero dunque quel che si narrava, cioé che la madre di Andrea
era stata la druda di un bandito morto sul patibolo, dopo cinque anni di
brigantaggio?
Dirò brevemente
perchè Andrea era tenuto in conto di un vigliacco.
Un cugino della
Bianca, bel giovane, elegante, ricco, sempre vestito come un gran signore, era
venuto a villeggiare nella casa di campagna della zia, la baronessa. La sera,
Bianca appoggiata al braccio di lui, passeggiava per l'aia, e mai più bella
coppia di giovani signori aveva fatto risonare quelle campagne di voci festose
e di risa. Lei era bionda, piccolina, flessuosa come un pino; e i coloni
dicevano, a vederli l'uno accanto all'altra, che il Signore Iddio li avea
creati apposta per unirli. Però Andrea, quando li incontrava, chinava gli
occhi, salutando appena.
— Sai tu — disse
un giorno quel giovane signore alla Bianca — sai tu che quel mandriano ha un
viso da forca e mi guarda come un lupo guarderebbe un cane?
— Non badargli —
rispose lei, distratta. — È selvaggio come una volpe. Anche a me fa paura quando
l'incontro. Par che lo faccia apposta, l'ho sempre fra i piedi.
Un giorno il
cugino della Bianca tornava dalla caccia. Cavalcava un puledro, restio al freno
e quasi indomito. Scendeva al passo la stretta viuzza che finiva presso alla
via dirimpetto la casa della baronessa; ed il cavaliere gli aveva abbandonato
le redini sul collo e contemplava il mare lontano imporporato dal sole morente.
Quando allo svolto di una via, un cane si avventò abbaiando alle gambe del
cavallo, che fece un balzo e si diè a galoppo precipitoso giù per la montagna.
Invano il cavaliere cercava frenarlo con la voce e le redini; però, vedendo in
mezzo della via un mandriano che tornava all'ovile, si fe' cuore, sperando in
lui un aiuto; ma il mandriano, che era Andrea, non si mosse, anzi si tirò da
parte, e al giovine signore parve che nel passargli vicino, rapido come il
baleno, il mandriano avesse incitato col gesto e con la voce il puledro che
avea rotto il freno.
Quando fu
sull'aia, due contadini si avventarono al morso del cavallo e giunsero a
fermarlo. Il giovane balzò a terra.
— Chi è quel
vigliacco — gridò — quel vigliacco di mandriano che non seppe venire in mio
soccorso?
In quel momento
giungeva Andrea menandosi innanzi le pecore. Il giovane signore corse a lui e
gli diè due schiaffi, esclamando:
— To' così
imparerai un'altra volta, brutto rospo!
Andrea ruggì di
dolore e di rabbia, portò la mano alla scure infilata alla cinta, e con gli
occhi rossi di sangue, coi denti stretti fra le labbra frementi, stava per
avventarsi su quel giovane che l'aspettava con la mano alla rivoltella.
— Andate
all'ovile, Andrea — disse una voce dietro di lui.
Egli si volse.
Bianca era là che lo guardava. Ripose la scure nella cinta, raccolse il
cappello e a lenti passi raggiunse le pecore nell'ovile.
— Dirò alla zia
che lo scacci — disse il giovane. — Se tu non parlavi, quel furfante sarebbe
stato capace di avventarmisi addosso.
La sera, i
contadini sull'aia commentavano il fatto, e davano di vigliacco a quel bastardo
di bandito che non aveva saputo esporre la vita per salvare un uomo, nè esporla
per vendicare un'offesa.
— Sai che penso?
— disse la vecchia balia ad una sua comare — ma, per carità, non dirlo a
nessuno: penso che Andrea non è un vigliacco. Hai visto come gli luccicavano gli
occhi quando era lì lì per avventarsi sul nipote della baronessa? E se la
signorina Bianca non si fosse trovata proprio vicina a lui.
Poi sottovoce,
chinandosi all'orecchio della comare:
— Io credo che
quel figlio di mala femmina sia geloso.
Tre mesi dopo,
una sera verso il tramonto, la Bianca si dirigeva sola, come era solita dopo la
partenza del cugino, verso il sommo della collinetta dirimpetto alla casa.
Il sentiero
saliva incassato fra due muricciuoli e si svolgeva tortuosamente pel bosco. Era
l'unica via praticabile agli uomini ed agli armenti, e quel giorno ne eran
passati di molti perchè si era alla vigilia della fiera di Rogliano.
La fanciulla
saliva pensosa il senteruolo; udiva fra i castagni, sopra del muro, tintinnare
i campanelli di un branco di pecore. Alzando gli occhi vide, su di un masso
sporgente, ritto un mandriano, appoggiato al lungo bastone.
— Lui, sempre
lui! — pensò la fanciulla. — Bisogna che assolutamente mia madre lo mandi via.
E continuò a
salire. In quella un rumore strano, come di una massa che precipiti, misto a
muggiti ed a scalpiti, le fece alzar gli occhi: poi dall'alto della montagna
sentì gridare:
— Attenta! Largo!
Fuggite!
E dal basso
dell'aia, i contadini, che avevano visto ed inteso, gridavano anch'essi:
— Fuggite,
fuggite, signorina Bianca!
Ella non sapeva
qual pericolo le sovrastasse. Guardò in alto e retrocesse spaventata:
— Madonna mia,
Madonna mia, sono perduta! esclamò.
Pel senteruolo
incassato una mandra di buoi inferociti scendea rovinando in un confuso ammasso
di teste, di corna, di zampe, fra un nembo di polvere. Dietro ad essa i boari,
che avevano visto in mezzo della via la giovinetta, facevano gesti disperati,
certi come erano di vederla in breve travolta e schiacciata sotto le zampe
della mandra furiosa.
Ella si riscosse
e cercò d'arrampicarsi al muricciuolo, ma non ne aveva la forza, nè sapeva dove
metter piede, che il muro non offriva nè pietre sporgenti nè asperità alcuna
per la salvezza di lei. Avrebbe voluto fuggire innanzi alla mandra precipitante,
ma le tremavano per lo spavento le ginocchia. E mentre i contadini dal basso
del sentièro facevano grandi gesti e urlavano per tentare di far retrocedere o
di arrestare i buoi, mentre le contadine accorse alle grida ed al rovinìo
piangevano strappandosi i capelli, — la baronessa, avendo visto dalla finestra
in qual pericolo versava la figliuola, era scesa precipitosamente sull'aia,
ov'era caduta in ginocchio, con la testa fra le mani, per non vedere l'orribile
scena.
Intanto la
Bianca, non riuscendo ad arrampicarsi sul muricciuolo, aspettava intontita dal
terrore che la gran massa precipitante la travolgesse sotto le sue zampe. E già
i buoi, i cui muggiti echeggiavano sinistri per la campagna, erano a pochi
passi dalla fanciulla, quando un giovane mandriano balzò sulla via, afferrò la
giovinetta con forza erculea, la sollevò fino al ciglio del muricciuolo e ve la
tenne ferma.
— Afferratevi a
quel castagno, presto!... — le gridò affannosamente.
Ella, per istinto,
puntellò il ginocchio al margine del muro e si trasse su. Già il mandriano
spiccava un salto per raggiungerla, quando i buoi gli furono sopra, l'urtarono,
lo travolsero, continuando poi nella corsa disperata giù pel sentiero.
— È salva, è
salva! — gridarono i contadini.
Un nembo di
polvere nascose quei due agli astanti, esterrefatti: la mandria passò rapida,
con gran rovinìo di pietre e con un muggito lungo e cupo.
— Ella è salva,
ma lui sarà morto di sicuro — osservò taluno.
E la baronessa e
i contadini si diedero a correre su per l'erta. Nel mezzo del sentiero giaceva
un mandriano, coperto di polvere, insanguinato, con gli occhi chiusi e il volto
livido. Sull'alto del muricciolo, la giovinetta, tuttora afferrata
convulsivamente alle radici del castagno, guardava istupidita.
La baronessa per
un viottolo che partiva dal basso dell'aia era corsa, seguita da coloni, e
appena fu vicina alla figliuola, le si gettò al collo. La gioia di vederla
scampata dal pericolo le avea tolto la parola, e come demente si stringeva al
petto la sua creatura, interrompendo i baci e le carezze per ringraziare il
Signore che l'aveva salvata da una morte cosi orribile.
— Farò dire cento
messe a San Francesco di Paola, e voglio che tutti a casa mia digiunino
nell'anniversario di questo giorno.
Giù, nel basso
sentiero, i contadini fecero cerchio intorno al giacente, nel quale aveano
riconosciuto Andrea; e nel vederlo immobile, pesto, col capo rotto e con una
bava rossiccia sulle labbra, lo davano già per morto e lo contemplavano
impietositi e con le lagrime agli occhi.
— No, l'avevo
sempre detto che non era un vigliacco — diceva un vecchio contadino. — L'ho
visto io scendere a precipizio giù dalla montagna, e saltar sulla via. Senza di
lui, per la signorina Bianca era finita. Povero Andrea!
Verso la
mezzanotte giunse il medico; atteso dalla baronessa chè lo guidò nella stanza
della figliuola, giacente nel suo lettino fra le lenzuola e le coltri bianche
come una spuma.
— Come vi
sentite, signorina? — domandò il medico tastandole il polso.
— Ho un peso alla
testa; le orecchie mi ronzano. Ma andate, andate da quel poveretto che ha più
di me bisogno di cura.
— Che cuore
d'angelo ha questa ragazza, non è vero, dottore? — esclamò la baronessa, che si
chinò sulla figliuola, la baciò in fronte e le ricompose le coltri e i
guanciali. — Riposa tranquilla, che verrò subito. Non ti impensierire; quelli
lì, bimba mia, han sette vite come i gatti. Andiamo, dottore.
Andrea era stato
portato nella stanza dei servi e l'avean messo a giacere su di un lettuccio di
paglia. La stanza era rischiarata fiocamente da una lucernetta appesa ad un
chiodo nel muro. Intorno al letto alcuni contadini discorrevano sottovoce,
mentre una vecchia massaia bagnava con una pezzuola le tempie del morente.
Il medico seguìto
dalla baronessa, si appressò al letto: un contadino staccò dal muro la
lucernetta, e la sollevò in alto perchè la luce cadesse più viva sul giacente.
Il dottore sollevò le coltri, osservò le ferite e le contusioni, volse e
rivolse quel corpo inerte; vide che le orecchie stillavano sangue: poi,
guardando la baronessa, strinse le labbra ed alzò le spalle:
— Non credo che
si salverà — disse sottovoce: — c'è congestione cerebrale. Le ferite non son
gravi, ma il coma è indizio di lesione interna e di travaso.
— O Signore Dio,
da che pericolo hai salvato la mia figlia! esclamò la baronessa, giungendo le
mani ed alzando gli occhi al cielo.
Un servo venne a
dire che la cena era pronta.
La sera del terzo giorno, Andrea, che dalla mattina aveva aperto gli occhi,
rantolava sordamente. Dissero alla baronessa che quel poveretto aveva poche ore
di vita e che teneva gli occhi fissi alla porta come se aspettasse qualcuno.
La giovinetta,
che si era rimessa dallo spavento e dalla febbre, ma era ancora pallida e
stanca, chiese alla madre di accompagnarla nella visita al moribondo.
— Sei ancor
debole, sei ancora malata, e devi evitare le commozioni. Così vuole il medico e
così voglio io.
— Ma no, mamma,
sarò forte. E poi pensa che in fin dei conti gli debbo la vita, e sarebbe una
ingratitudine se non lo ringraziassi di quello che ha fatto per me.
Andarono.
Nell'entrare, videro il moribondo coi segni della prossima morte sul viso. Al fruscìo
delle gonne, aprì gli occhi e parve trasfigurarsi: i suoi sguardi velati
s'incontrarono con quelli di Bianca che lo contemplava impietosita, mentre due
lagrime le scendevano giù per le guance.
Poi il moribondo,
con visibile sforzo, trasse un braccio fuori delle coltri, prese la mano della
fanciulla e tentò portarla alle labbra; ma non ebbe la forza e la lasciò
cadere.
— Andiamo via,
Bianca — disse la baronessa; — noi abbiamo fatto il nostro dovere: Non
risparmiammo nè il medico nè le medicine. Il Signore vuol così, sia fatta la
sua volontà.
E presa pel
braccio la figliuola, rimasta pensosa e con gli occhi fissi sull'agonizzante,
la costrinse a rientrare nelle sue stanze.
Andrea morì nella
notte. Al mattino fu chiuso in una cassa di abete che quattro contadini
trasportarono al cimitero di Rogliano.
— Ha fatto bene a
morire - - dice la vecchia balia, quando le parlano di Andrea. - - Quello lì
aveva un brutto chiodo in testa!
|