Piove, piove da
due giorni. Serpeggia fra i massi il fiume biondo e scroscia sordamente. Pei
fianchi delle colline corrono i ruscelli spumosi, gli alberi s'ergono immobili
sotto la pioggia. La nebbia pesa su i monti; qua s'addensa, là si sfiocca, si
frastaglia, ondeggia lieve. Dal cielo plumbeo vien giù la pioggia a fili
lunghi, continui. Le colline che fiancheggiano il greto, qua nereggiano, là son
tinte di verde; le foglie morte le tappezzano di rosso. Lontano, le montagne
della Sila ergono fra la nebbia cenericcia le loro creste bianche.
E il fiume, sotto
la pioggia continua, va biondo e scrosciante verso il mare. Pure sembra
immobile. È da vent'anni che lo veggo così: l'ho visto sempre così, or più in
là or più in qua delle rive, come cercasse riposo su quello o questo fianco, ma
sempre lo stesso, sempre lo stesso serpente biondiccio. Eppure quanta acqua, in
vent'anni, ha versato nel mare! Ed è là, sempre lo stesso.
Quando ero
fanciullo andavo cogli altri fanciulli a fare alle pietre o a raccogliere le
more selvatiche lungo i pruneti delle sue rive; era il nostro campo di
battaglia, era il nostro deserto ove ci sentivamo padroni e signori, era il
nostro amico che ci accoglieva volentieri nelle sue onde giallicce. Le nostre
grida echeggiavano per le colline che gli fan siepe, il nostro chiasso copriva
il suo murmure dolce e lieto; nell'està, guazzando nudi nelle sue onde, ne
turbavamo il corso, ne deviavamo la corrente; ingombravamo di macigni, rotolati
dalle nostre piccole braccia, il suo letto; affidavamo alle sue onde le nostre
barchette di carta, i ramoscelli divelti, i fiori raccolti lungo le siepi. Esso
li trasportava chi sa dove, continuando nel suo murmure dolce e lento. Ora non
più chiasso di fanciulli, non più allegre risate di monelli lungo le sue rive, non
più ramoscelli, non più fiori; eppure egli va, va sempre biondiccio verso il
mare; mormora sempre la sua canzone malinconica. Egli no, non muta: siamo noi
che abbiamo mutato; è sempre uguale, sempre bianchiccio il suo greto, son
sempre biondi i suoi flutti! E quanti amori, quanti affanni, quante gioie,
quante amarezze son passate pel nostro cuore! — e il nostro cuore è mutato.
Dove è più il nostro cuore di fanciulli? Ma il mio bel fiume è sempre là,
immobile come era vent'anni or sono.
Però anch'esso ha
le sue collere: le collere son gli accumuli dei dolori, delle disillusioni,
delle amarezze; son gli infiltramenti nel cuore della bile che poi straripa,
irrompe, scoppia. Ed anche lui straripa, irrompe, e si fa scuro e mugola e
gonfia e minaccia e atterra e travolge tutto ciò che tenta fargli ostacolo. Il
suo murmure si muta in fragore di tuono; le sue onde tranquille in cavalloni
irrompenti, che spezzano, che rodono, che strappano, che schiantano. Sulle sue
onde galleggiano come fuscelli gli alberi enormi strappati alle montagne; lungo
il suo letto rotolano i massi precipitati dai burroni. Le mura, per massicce
che siano, si aprono e crollano. Il ruscello biondo e tranquillo si è mutato in
devastatore nero e inesorabile — perchè egli è stanco, egli è gonfio — come
alle volte il cuore è stanco di dolore e gonfio di bile.
E la pioggia
continua lenta. Dove sono gli uccelletti che cinguettavano nell'està scorsa?
Dove sono le allodole che si ergevano dritte al cielo, trillando? Non una nota,
non un trillo per l'aria cenericcia. Le casette qua e là disseminate pel colle
e pel piano, son chiuse: dai tetti veggo elevarsi alcune bianchicce nuvolette
di fumo. Sul focolare dei contadini brilla un allegro fuoco di sarmenti: è la
sola allegria di quella casa; il resto è nero e triste. Essi son là, attorno al
fuoco, silenziosi, raccolti. Dicono che io sia troppo tenero dei poveri
contadini, ed essi intanto non lo sanno che ci è qualcuno tenero di loro, e li
studia, e li compassiona, e li ama; e credono che non ci sia nessuno al mondo
che pensi a loro, nessuno che li osservi in queste solitudini malinconiche, ove
nascono e muoiono come gli sterpi, non curati o temuti forse per le punture. E
mentre scrivo di loro, pensano che io sia accanto ad un buon fuoco, su cui
bolle una pentola di buon brodo; che sulla mia tavola da lavoro vi sia una
bottiglia di vin generoso: pensano che per me la pioggia, la quale li toglie
alla fatica e a loro toglie un giorno di pane, sia un buon pretesto per
starmene a casa a crogiolarmi accanto al fuoco e divertirmi, leggicchiando nei
libri, o tracciando segni su di un foglio di carta. Eppoi io son venuto da
lontano, da un luogo dove non piove mai, dove ci è sempre sole che sfavilla,
dove non si soffre, non si ha freddo, non si ha fame; dove i signori, perchè
signori, han quel che vogliono; ad essi intanto, cui pur piacerebbe starsene
accanto al fuoco, ed udir narrare le belle fiabe, questa pioggia continua e
fredda toglie un giorno di pane.
Oh! non me ne
fate un torto, io amo i miei contadini. Essi, poverelli, non ne san nulla, e
non ne sapranno mai nulla. Un libro scritto per essi varrà sempre meno d'un
mozzicone di sigaro o di un bicchiere di buon vino. Vorrei che voi lo provaste
il passaggio repente dalla vita di città, di una grande e bella città, alla
vita di campagna, per sentire come io ne sento tutta la impressione dolorosa.
Dolorosa? no dolorosa, malinconica. Quattro casette, confuse fra la nebbia, che
veggo qua e là disseminate pel bosco, pel piano, pei colli, sono abitate da
povera gente per la quale non teatri, nè feste, nè lusso. Ci avete mai pensato
a questo, che se non ci fosse il contadino non ci sarebbe il signore? Eppure è
una cosa semplicissima. Avete mai pensato che se non ci fosse il contadino che
coltiva i campi, e fa germogliare le biade, e fa impinguar le pecore e i buoi
che poi dan le carni succolente, il latte bianco, le lane morbide — quella
splendida signora, dal volto bianco, dagli occhi lucenti, dalla persona
flessuosa ed elegante, vestita di seta e di velluto, ornata di piume e di
gemme, su cui, come la luce attrae la luce, parea si ripercotessero i cento
lumi di un teatro o di una festa, e che noi abbiamo tante volte ammirata in un
palchetto di primo ordine, e ne abbiamo mormorato il nome nobilissimo; quella
signora non potrebbe far sfoggio di quelle gemme, di quelle sete, di quelle
piume, se dugento contadini per lei non lavorassero sotto il gelo, la pioggia,
il sole, se per lei non morissero di fame e di stento? E quella signora non sa
neanche il nome di quei contadini che muoiono coltivando i poderi di lei. Ci
avete mai pensato a questa verità semplicissima?
Ed è venuta la
notte e non piove. Ora fischia pei castagni la tramontana; susurrano fra le
ombre le alte cime della foresta. Laggiù, nella valle, il fiume si è fatto
nero, e va strisciando come serpente nero, sul fondo bianchiccio del greto, fra
i massi muscosi. Nei casolari, qua e là pei campi, brilla fiocamente qualche
lume. Silenzio solenne. La campagna dorme; dormono nella stalla i buoi; nell'ovile
le pecore strette l'una all'altra dormono anche esse affondate sul fieno.
Silenzio. Il povero Domenico è moribondo: forse morrà dimani: lo ha detto il
medico stasera, il medico condotto che va in giro con la sua magra rozza pei
casolari dei poveri terrieri. La sorella dell'agonizzante, in ginocchio presso
alla sponde del letto, prega per l'anima di lui. A me nella mia stanzetta
giunge monotono e lento il mormorìo delle preci. Il povero Domenico morrà di
certo domani.
Nell'altro
casolare a destra della mia casina — quello ove agonizza il povero Domenico è
alla sinistra — nell'altro casolare, la famiglia dei contadini è raccolta
attorno al fuoco, silenziosa. Quelle due famiglie per vent'anni han coltivato
insieme l'istesso fondo, poi alcuni dissapori nacquero fra esse, ed ognuna badò
al suo pezzo di terra. Ora che il povero Domenico è moribondo, non si pensa più
ai crucci, nè ai malumori, si pensa al vuoto che quel disgraziato lascerà in
casa sua, a due braccia vigorose di meno, ad un buon lavoratore che lascerà
sole tre sorelline ed una vecchia nonna.
E dire che fra
quelle due famigliuole si era combinato un matrimonio! Domenico doveva sposare
l'Agata; che ora, se ne sta rincantucciata accanto al fuoco, con gli occhi
gonfi di lagrime e colle mani intrecciate sulle ginocchia. Ma l'Agata non aveva
voluto saperne; amava invece un giovine mugnaio, che l'aveva piantata ed era
partito per la Sicilia. Poi era ritornato ed avevano ripreso i vecchi amori.
Il povero
Domenico taceva, e sì che li sorprese più volte insieme, sulla montagna! Un
giorno dello scorso ottobre pioveva da una settimana, ed il fiume portava
grosso, il mugnaio era in mezzo alla corrente e raccoglieva i rami trasportati
dal fiume, quando fu sorpreso dalla piena e travolto. L'Agata, dalla riva, si
strappava i capelli e forsennata si gettava già nel fiume per salvare il suo
promesso: ma Domenico l'avea prevenuta; in men che il dico si era tolto le
vesti ed era corso in aiuto del naufrago che invano tentava opporsi alle onde,
e cercava afferrarsi agli sterpi, e cercava puntellarsi ai macigni rotolanti
anche essi. Domenico gli giunge vicino, l'afferra pei capelli e, ora
affondando, ora ergendosi di tutta la persona sulle onde, ora battuto dalle
acque che gli spumavano scrosciando intorno, ora percosso da un ceppo massiccio
che lo faceva rotolare, squilibrarsi, ricadere, per tornar di nuovo a galla con
erculeo sforzo, trascinando sempre pei capelli il naufrago, tocca la riva fra i
contadini corsi per dargli aiuto, fra i parenti del salvato che gli si stringono
attorno ringraziandolo, benedicendolo. Il giovine mugnaio, stordito, inebetito,
giaceva disteso sul sommo del sentieruolo che scende al fiume. L'Agata con le
mani giunte, con le lagrime agli occhi, guardava Domenico fradicio, pesto,
sgraffiato, ma forte, ma bello, che rivestiva tranquillamente i suoi panni,
come se avesse fatta l'azione più semplice di questo mondo. Curioso: gli
sguardi di lei erano fissi sul salvatore, non sul suo promesso, che se l'era
cavata con un bagno e che già rinveniva e balbettava parole di grazie. Pensava
forse ai torti che ella aveva con lui; pensava che egli l'amava a segno da far
tacere l'odio, la gelosia, e le salvava l'amante, e glielo riconduceva sano e
salvo dopo averlo conteso alle onde furiose del fiume.
D'allora fu
notata una certa freddezza fra l'Agata e il mugnaio, ed una certa cordialità
fra le due famiglie, fra quella dell'Agata e quella di Domenico. Non potevano
dirsi tornate all'amicizia di un tempo, ma pure scambiavano qualche parola,
toglievano in prestito scambievolmente qualche arnese. Solo Domenico non
piegava; evitava di scontrarsi con l'Agata, evitava di guardarla quando sentiva
gli occhi di lei fissi su di lui; tornava indietro quando la vedeva ferma sul
sommo del sentiero; fingeva di non sentire quando ella, passandogli vicino, gli
dava la buona sera. Ella era diventata triste, non rideva più, non cantava più
la sera sull'aia, quando il suo fidanzato strimpellava sulla chitarra. Questi
poi era come imbarazzato nell'incontrarsi col rivale, suo salvatore; era come
umiliato di dover la vita al suo nemico; e si era accorto che l'Agata non
l'amava più, che l'Agata, quasi quasi, l'odiava. Pure non facea motto. Insomma,
ognuno di quei tre celava un mistero nel cuore. Un giorno il mugnaio giunse
financo a dire, indispettito per una sgarberìa dell'Agata:
— Quasi quasi
avrei preferito di morire annegato!...
Ed aveva
accompagnato le parole con un gesto d'ira ed aveva finito con una bestemmia. A
tutto ciò Domenico pareva estraneo: attendeva ai suoi affari di campagna,
serio, tacito; tornava la sera a casa e sedeva accanto al fuoco, nè, per quanto
le sorelle il pregassero, anche quando era bel tempo, aveva mai voluto scendere
sull'aia. Preferiva occupare il tempo nell'intrecciar graticci di vimini,
chiovare sgabelletti di legno, e in altre facendo utili. Talvolta, quando
giungeva a lui la voce dell'Agata, alzava la testa, stava per poco silenzioso e
immobile, e poi tornava a dar martellate con più forza, e con più fretta a
intrecciar le ingraticciate. Or fa un mese, tornando da un pezzetto di campo
dall'altra parte del fiume, vide ferma al principio del sentiero l'Agata, che
aveva deposto un fastello di rami secchi, vi si era seduta, ed aspettava il
contadino. Non c'era da pigliare altra via e gli era forza passar per colà.
Continuò il cammino come se non si fosse accorto della fanciulla: quando le fu
vicino, questa s'alzò:
— Insomma,
Domenico — gli disse, fissandolo in volto, mentre egli si era fermato e teneva
il capo basso — insomma, se tu mi vuoi come mi volevi un tempo, io sarò felice
di essere tua moglie.
— Sposa il tuo
mugnaio, Agata — rispose lui — te l'ho salvato apposta.
— Ma io non lo
voglio, no, non lo voglio. Quel giorno, quando lo vidi tanto debole, tanto
vile, trascinato dal fiume, vinto dalle acque, mentre tu forte, tu audace
l'afferrasti dai capelli e lo trascinasti alla riva; quando egli smorto,
sfinito, giaceva sul suolo ai tuoi piedi, e tu, senza guardarlo, senza
guardarmi, ripigliavi i tuoi abiti come se non fossi allora allora uscito da un
pericolo di morte, mentre ancora il fiume era là gonfio, scrosciante,
terribile, io compresi che il mio uomo eri tu. Mi vuoi tu, Domenico?…
— Sposa il tuo
mugnaio, Agata. Tu l'hai amato, egli t'ama. Sposa il tuo mugnaio. Addio.
E si era avviato
per la collina col suo solito passo, senza fermarsi, senza voltarsi. Agata lo
seguiva cogli occhi, immobile, silenziosa. Poi s'era rimesso sul capo il
fastello di rami secchi, mormorando:
— Non mi vuole
più, ed ha ragione. Aspetterò.
Ed aspettava;
quando una mattina seppe che Domenico non era andato al lavoro e che era a
letto, ammalato. Un resto di malumore fra le due famiglie non permise alla
Agata d'informarsi sul vero stato di lui. Poi venne il medico, il quale crollò
il capo e ordinò non so che medicine: tornò dopo due giorni e dichiarò che
Domenico era ammalato di tifo: infine lo diè per spacciato. Ora il poveretto
giace sul suo misero letticciuolo, presso al quale le sorelle e la vecchia
nonna mormorano le preci dei moribondi.
Gli ho mandato un
pezzo di pane bianco; gliel'ha ordinato il medico. Quando si vuol dire che un
contadino è spacciato, si dice: — l'han messo a pane bianco! — Si diventa
ghiottoni in punto di morte: si vuol la leccornìa, si vuole il cibo squisito,
si vuole andare al mondo di là con la bocca dolce; il contadino che muore, vuol
gustarla anche lui questa ineffabile felicità del signore, del ricco, del “galantuomo”, un pezzo di pane, bianco
come neve, leggero, poroso, morbido, rosolato nella crosta. Per tanti e tanti
anni si è cibato di pane di lupini, di orzo, di castagne, duro, pesante, secco,
aspro, che scortica la bocca, che fa male ai denti, e che pesa come piombo
sullo stomaco. Sarebbe curioso se un giorno quei tali contadini che lavorano e
muoiono coltivando i campi di quella splendida signora, da noi ammirata nei
teatri e nelle feste, la obbligassero, tanto per ridere, a mangiare per un
giorno il loro pane! Mi passano alle volte strane fantasie pel cervello! Penso
che diverrebbe quel bocchino roseo dai dentini bianchi, dalla lingua piccola e
rosea come quella d'un passero, quel bocchino dall'alito profumato, dalle
labbra sottili, umidi, che han tanto baciato e che furono tanto baciate! Non so
pensare senza inorridire a tale supplizio! Fortunatamente, a quei poveretti non
passerà mai pel capo una simile fantasia.
Come è buia la notte, come è silenzioso il buio!
Le colline
d'intorno si disegnano come masse d'ombre. Il fiume scroscia laggiù in
quell'ammasso di tenebre. A capo del sentiero che serpeggia per la montagna
splende una fiammella. È la lampada che arde innanzi alla cappelluccia della
Madonna, anch'essa ammantata nelle tenebre. È la sola luce in questo buio, luce
rossa, tremolante, sinistra.
L'hanno accesa in
sull'avemaria le sorelle del povero Domenico e si sono inginocchiate mormorando
la preghiera dei moribondi. Anche la vecchia nonna ha voluto trascinarsi là,
per pregare Maria. La vecchia nonna, poveretta, se li è visti morir tutti, ad
uno ad uno, prima il marito, poi il figlio, padre di Domenico, poi la nuora, ed
anche Domenico, tanto baciato, tanto sgridato; ed ora ricorda quei baci e pensa
che non gliene darà più, ricorda quelle sgridate e ne ha rimorso. Ed è rimasta
lei sola, ad ottanta anni, stanca, cadente, coi capelli bianchi, ed ella non
muore, no, perchè il Signore vuol farglieli soffrire tutti i dolori, tutti. Sia
fatta la sua volontà! Anche l'Agata si è inginocchiata con esse ed ha pregato.
Se l'avesse vista il povero Domenico, con le mani giunte, con gli occhi molli
di lagrime! Ma il povero Domenico giace supino sul suo letticciuolo di paglia,
e fra poche ore avrà perduto quel soffio di vita che ancora gli resta.
E la fiammella
tremola nella sua lampada di vetro, e un raggio confusamente rischiara il sommo
del sentiero. Dicono che colà, a mezzanotte, si dan convegno le anime dei
trapassati. Io guardo, guardo e non veggo nulla! È mezzanotte, l'ora delle
feste, dei teatri, della vita chiassona ed allegra delle grandi città. La luce
del gas bacia le spalle a metà scoperte delle signore; echeggiano per le sale
sfavillanti le note armoniose di una lieta musica: sotto un'onda di luce
elettrica cinquanta belle donnine con le ricche forme scolpite dalle maglie
carnicine intreccian balli in un turbinìo di colori sfavillanti. È l'ora in cui
è assordante lo stridor delle ruote, lo scalpito dei cavalli sul lastrico delle
vie cittadine; è l'ora in cui i caffè scintillanti di lumi, di riflessi da
cento specchi, rigurgitano d'una folla di gaudenti: l'ora in cui si ama. Qui è
l'ora sinistra del buio silenzioso.
Guardo dalla mia cameretta,
da questo nido di gufo sul sommo della montagna guardo in quel punto ove brilla
la lampa innanzi alla Madonna, e non veggo nulla, non veggo i fantasmi che colà
si dan convegno. E curioso! qui, solo, mentre a pochi passi da me un uomo muore
e laggiù fra le tenebre scroscia il fiume, non oso ridere dei fantasmi; e dalla
mia cameretta, per la socchiusa imposta della finestra, volgo trepidanti gli
occhi a quel sentieruolo, delineato da due siepi, che spiccano sul nero della
montagna: contemplo con certo stringimento di cuore quel punto rossiccio lassù,
e mi aspetto veder muovere le ombre bianche, i fantasmi lievi come nebbia
danzar la ridda attorno alla cappelluccia. Com'è buia la notte, com'è triste e
silenzioso il buio!
Il povero
Domenico è morto. Stamattina all'alba ho inteso delle grida acute e il nome del
morto ripetuto fra scoppi di pianto e di singhiozzi. Poi a poco a poco le grida
cessarono, in un lieve mormorìo di preghiere misto a pianto sommesso.
Sono sceso
nell'aja deserta. Sull'uscio del casolare di Domenico ho visto seduti tre o
quattro contadini, stretti nei loro mantelli, col cappello sugli occhi,
immobili. Sono gli amici del defunto. Nella stanza del tugurio, intorno al
letto, le donne del vicinato sedute sul pavimento o inginocchiate mormoravano
il rosario. Più in là, presso al capezzale, le sorelle del morto con i capelli
sciolti, arruffati, coi gomiti sulle spalle del lettuccio, singhiozzavano ad
intervalli e ne ho visto sussultare ad intervalli il corpo. La vecchia nonna
non piangeva. Era seduta sul solito cantuccio accanto al focolare e aveva gli
occhi dalle palpebre bianche, aperti, sbarrati fissi sul cadavere del nipote.
In mezzo al letto, colla testa sullo sdrucito guanciale, supino, con le mani in
croce, con gli occhi socchiusi e spenti, giaceva il povero Domenico. Non aveva
ancora venti anni: era forte, vigoroso, col collo massiccio, le spalle grosse e
quadrate, il petto largo e poderoso; ed è là freddo stecchito, immobile. A'
piedi del letto avevano acceso due mozziconi di candele, che splendevano
rossicce nel buio della stanza.
L'Agata era in
canto, quasi raggomitolata su sè stessa, accosciata sul pavimento, col capo
coperto d'un panno nero, coi capelli, sparsi pel viso, con gli occhi umidi di
lagrime. Il mugnaio è venuto anch'esso: si è accostato al morto, e cavandosi il
cappello, si è chinato per baciarlo in fronte, poi è corso dalla vecchia nonna
e le ha baciato la mano. Quando entrai là dentro, nessuno se ne accorse; solo
la vecchia nonna si scosse: il suo Domenico mi voleva un gran bene. Io mi
sentiva come oppresso là dentro, e son tornato nella mia stanzetta.
Non piove più, ma
il cielo è pur sempre cenericcio. Il fiume continua a svolgere le sue acque
scroscianti lungo il greto, fra i macigni, i cespugli, i gruppi di alberi. La
nebbia bianchiccia copre le colline circostanti, le cime dei castagni spuntano
qua e là fra la nebbia. Vapori grigiastri corrono portati dal vento di collina
in collina. Rapido passa qualche uccello in cerca di ricovero. Tutto ciò è ben
triste.
Son tolto alle
mie riflessioni da voci acute, da pianti disperati, da singhiozzi strazianti.
Veggo trascinare quasi a forza fuori della loro casa le sorelle e la nonna del
povero Domenico. Il povero Domenico deve esser chiuso nella bara che han
portato dal villaggio. Han condotto le donne nel casolare vicino, e nella
stanza del morto non son rimasti che gli amici e i becchini. Sono sceso
anch'io. Han preso il povero Domenico per la testa e pei piedi e lo han messo a
giacere in quella cassa. I piedi uscivano un po' fuori, e han pigiato i piedi
perchè il coperchio chiudesse bene. Ho guardato intorno. Il mugnaio è là che
guarda, addossato alla porta, anche lui, in segno di lutto, col mantello ed il
berretto sugli occhi. Agata è là anch'essa. Non è di famiglia, quindi non l'han
fatta uscir fuori. E là, accasciata, immobile. Quando sulla cassa han messo il
coperchio, Agata si è scossa; quando ha intesa la prima martellata ha
trasalito, poi è scoppiata in un pianto sommesso. Come siam cattivi e come
restiam freddi allo spettacolo di un uomo che muore! Io guardo l'Agata e penso
che è bella, che ha il corpo come scolpito e i capelli castagni, morbidi, che
le scendono a ciocche sul viso e sugli omeri. I becchini han compìto l'opera
loro: la cassa è inchiodata; il povero Domenico può dormire in pace là dentro!
L'Agata intanto
si è accostata al mugnaio: io ne ho inteso le parole.
— Giovanni, noi
non potremo essere marito e moglie; io rimarrò zitella; ti ho trovato la moglie
che ti conviene.
— Ci ho pensato —
rispose lui, senza muoversi.
— Forse ci siamo
incontrati nell'istessa idea. Quel poveretto ha lasciato tre sorelle ed una
vecchia nonna. Esse morrebbero di fame, anzi esse morranno di fame. Tu a quel
povero morto devi la vita?
— Sì, è vero!
— Ebbene, sposa
una delle sorelle, la Maria per esempio. È buona e tu lo sai che gli angeli la
vorrebbero per sorella. Quel poveretto che giace là — e in ciò dire le si
velarono gli occhi di lagrime ed ebbe come un groppo di pianto in gola — quel
poveretto che giace là è stato sempre onesto, ed ha amato sempre gli onesti.
Amava molto le sue sorelline. Sposa dunque Maria e avrai pagato il tuo debito.
— Sì, hai
ragione: sposerò la Maria.
Poi tacquero. Io
son tornato commosso nella mia stanza, con una gran tenerezza nell'animo.
Veggo un corteo
di contadini avvolti nei mantelli e coi cappelli sugli occhi, pigliar la via
della montagna. Portano al camposanto del villaggio la bara del povero
Domenico.
Piove di nuovo:
il cielo è cupo: la pioggia viene giù a fili lunghi e continui. Il fiume
scroscia tra i massi ed i cespugli.
M'han chiesto un
lavoretto allegro, da leggersi dopo cena e dopo pranzo, un lavoretto che faccia
allegre le belle donnine.
Eccovi il
lavoretto allegro, che ho scritto in un nido di gufo, sul sommo di una montagna,
mentre il fiume scroscia e la pioggia cade.
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