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Nicola Misasi
In Magna Sila

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  • Lo stendardo di S. Rocco
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Lo stendardo di S. Rocco

 

In verità non aveva torto chi diceva, che Stella, la figliuola di Massaro Giovanni, era la più bella ragazza del villaggio; mai sotto tovagliuola di tela si era delineato volto più leggiadro, avean sorriso labbra più rosse, aveano raggiato occhi più neri; mai corpetto azzurro di contadina avea stretto seno più tornito e vita più snella, e mai gonna rossa a mille pieghe aveva nascosto forme più ben fatte. E non era soltanto la più bella, ma anche la più ricca ragazza da marito, e molti galantuomini che vestivano giamberga non avevano di patrimonio quanto ella aveva di collane, di orecchini, di anella. Massaro Giovanni, ricco come era, non aveva smesso i calzoni corti, la giacca di fustagno e le grosse scarpe dalle suole ferrate, ed era rimasto pur sempre contadino nel lavoro, nell'abitudine e nella parsimonia. Però non aveva voluto che la figliuola andasse a lavorare nei campi, a sarchiare, a mietere, a battere il grano, o a raccogliere le castagne; ond'era cresciuta con un non so che di signorile nella persona delicata, e il cibo abbondante, le vesti calde e l'agiatezza della casa paterna avean contribuito a far di lei la più vezzosa fanciulla del villaggio.

E perchè bella ed anche perchè ricca, molti mosconi le ronzavano intorno. La notte, nella stradicciuola sotto le finestre di lei, era un continuo strimpellar di chitarre, un continuo vociar di canzoni: si diceva financo che il figliuolo del sindaco ne fosse matto, ma a chi gliene tenne parola massaro Giovanni avea risposto:

Meglio pancia piena e tovagliuola di tela, che stomaco digiuno e cappellino di velluto.

Ed alludeva, in dir ciò, alle cattive condizioni finanziarie de1 sindaco, le cui figliuole spendevano e spandevano in abiti, in nastri, in fronzoli e in cappellini, mentre per più giorni dell'anno la pentola non bolliva sul focolare; e a chi gli veniva consigliando di pensare al lustro che a lui, contadino, sarebbe venuto da un parentado con signori, massaro Giovanni rispondeva:

— Il marito di mia figlia deve avere polsi da domare un toro e schiena da sollevare un carro. Io son massaro e mia figlia ha da sposare un massaro. Del resto il marito glie l'ho bell'e trovato, è inutile consumar più oltre i ciottoli della via e assordar l'aria con canzoni. Ci vogliono altro che canzoni per beccarsi la dote e la figliuola!

E infatti, ci aveva pensato al marito. Un suo cugino, ricco quanto lui, e più di lui forse, per una eredità di fresco conseguita, aveva un figliuolo, tornato da poco dall'esercito ove avea servito nei bersaglieri e si era congedato col grado di caporale. Quando tornò al villaggio col suo berretto rosso, col suo abito azzurro cupo, attillato alla persona robusta e ben fatta, con le mostre rosse sulle maniche, con quei due baffettini a punta e quell'aria di saputo e quel piglio altiero un po' sprezzante, attenuato da un sorriso di affettuosa protezione, ben presto divenne il giovinetto più ammirato dalle ragazze, per la sua bella e forte figura di bersagliere, cui accrescevan grazia la disinvoltura di modi e di linguaggio, e quel suo accento forestiero quando diceva: “Ciao, bimbe” tra una boccata e l'altra di fumo del suo lungo virginia; dai giovani, perchè ei ne sapeva tante, ne contava tante ed era forte come un toro e destro come un giocoliere. Un giorno nella piazzetta innanzi la chiesa, avea dato un saggio di ginnastica e di scherma col bastone, e i contadini erano rimasti a bocca aperta nel vederlo correre, arrampicarsi, saltare, che parea, come essi dicevano un gatto indiavolato; far mulinelli, calar giù colpi, far finte, raccocciarsi, distendersi con tanta grazia e con tanto vigore; sicchè, quando si seppe che la figliuola di massaro Giovanni era fidanzata a Peppino il bersagliere, nessuno trovò a ridire, e i più ostinati a consumare i ciottoli della via e ad assordare, la notte, l'aria con canzoni, smisero dalle loro pretese, tanto più che Peppino il bersagliere aveva pugni solidi ed era tacco da farsi rispettare.

Però, fra i giovani del villaggio, uno, un tal Ligiuzzo, boscaiuolo, parea covasse un odio sordo contro il bersagliere. I motivi, si pettegolava nel paesello, eran due: uno palese, l'altro, il vero, nascosto. Ligiuzzo e Peppino erano un po' parenti e tutti e due i nipoti di un tal Ciccotto, che morendo aveva lasciato il suo avere, circa mille ducati, una ricchezza, al padre di Peppino. Massaro Cola, il padre di Ligiuzzo, contadino litigioso, cocciuto e nella sua giovinezza molto manesco e accattabrighe, si era messo in testa che il cugino avesse falsificato il testamento di Ciccotto, e qui una causa innanzi ai tribunali, andata molto per le lunghe, e infine massaro Cola ebbe torto e dovè pagare le spese e risarcire i danni: una rovina. Fu costretto a vendere la masseria, il castagneto, l'orto, i buoi, e non gli rimase che la casa, sicchè per la sua cocciutaggine si ridusse povero in canna. Immaginate quindi quale odio covassero quel vecchio e quel giovane per coloro che erano stati causa della loro rovina.

Era questo il motivo palese; ma ce ne era un altro occulto. Ligiuzzo, che era un bel pezzo di giovane, crebbe insieme alla figliuola di massaro Giovanni, e avean fatto l'amore sin da quando, bambini, si rincorrevano per l'orto o sedevano fra i cespugli sgranocchiando le spighe del granturco. Poi, massaro Giovanni, cugino del padre di Peppino il bersagliere, nell'affare del testamento era stato citato come testimone ed avea dato torto a massaro Cola, che se l'era avuto a male ed aveva proibito al figliuolo di porre piede in casa di quel Giuda venduto di massaro Giovanni; e questi aveva dichiarato alla figliuola che l'avrebbe data in moglie al diavolo, ma non al figlio di quel calunniatore senza vergogna di massaro Cola, e, forse, per dispetto, combinò il matrimonio con Peppino il bersagliere, con gran dolore della giovinetta, perduta d'amore per Ligiuzzo. I due giovani avevano continuato nel loro affetto, che contrariato, si era accresciuto a mille doppi, quantunque disperassero, perchè, troppo vive erano state le offese, ed anche perchè Ligiuzzo era troppo povero per superare gli ostacoli che impedivano la loro unione.

La gelosia e l'odio per Peppino il bersagliere battagliavano sordamente nel cuore di Ligiuzzo, e già nel paesello si prevedeva che quell'affare sarebbe finito male. Se Peppino era forte e coraggioso, Ligiuzzo non gli cedeva nulla, all'occorrenza se le avrebbe saputo vendicarsi le corna o cacciarsi le mosche dal naso. Si temeva che nella ricorrenza della festa di San Rocco, patrone del villaggio, i due rivali — che nei giorni di lavoro come erano dall'alba al tramonto nei campi, non avevano occasione d'incontrarsi — si sarebbero trovati a fronte, in un giorno che ad onore e gloria del santo, il vino si tracanna a barile e la pancia piena di cibo fa corrivi al sangue. Di più si diceva che Peppino il bersagliere aveva detto che anche lui avrebbe incantato allo stendardo, il quale da anni ed anni era stato portato da massaro Cola per 12 tomoli di grano, e nessuno aveva mai osato di offrir di più, nessuno, nemmeno quando massaro Cola aveva ceduto il suo diritto al figliuolo Ligiuzzo. Ciò sarebbe stato un grave sfregio, e ognuno sa quanto sangue han fatto scorrere nei paeselli del Calabrese, i così detti incanti, che consistono nell'offrire un prezzo, in danaro o in derrate, per aver il diritto di portare, nelle processioni, la statua del santo, lo stendardo o la croce; dritto che appartiene a chi offre di più, ma che talvolta è ereditario in una famiglia. Il sindaco, cui erano giunte quelle voci, impensierito, invece di due aveva fatto venire quattro carabinieri, che, fin dalla vigilia, andavano in giro pel paesello, con la rivoltella al fianco e le manette nello zaino.

Così stavano le cose, la vigilia di S. Rocco.

 

Dopo le cerimonie religiose che precedono la festa, i contadini erano tornati nelle case e, disposto il tutto per la solennità del domani, si erano coricati.

Il paesello dormiva. Ligiuzzo, scavalcata la siepe che divide dalla strada maestra l'orto di massaro Giovanni, si appressò alla scaletta che mette capo al ballatoio e die' un fischio acuto e sottile, poi stette in ascolto. Nell'ombra, la sua forte figura di montanaro spiccava come scolpita. Fischiò di nuovo, rodendosi dalla impazienza, poi tese le orecchie, aguzzò gli occhi, chè gli era parso di vedere aprirsi la porticina del ballatoio e di sentire il cigolìo dei cardini.

Infatti, prima la testa, poscia la persona di una donna si sporse fuori la balaustrata di legno, ed una voce sommessa si udì:

— Sei tu, Ligiuzzo?

— Sì, scendi.

Aspetta ancora un poco. Mamma stanotte non so che abbia; si volta e si rivolta pel letto. Aspetta che si addormenti.

La porticina si rinchiuse; il giovane rimase immobile col braccio sui gradini della scaletta e gli occhi fisi nel vuoto a dinnanzi. Sul dorso dei monti lontani volavano lievi fiammelle che sparivano per riapparire più in . Giù nella vallata, in fondo alla strada maestra, con sordo murmure scorreva il fiume fra il gracidìo delle ranocchie. Lontano, latrava un cane da pastore; lieve un pispiglio si udiva fra gli alberi dell'orto, poi silenzio. Dalla campagna, turgida di umori, un'aria calda si elevava con profumi acri di erbe e di frutta.

La porticina si tornò ad aprire; una figura di donna apparve esitante nel vano della porta che si rinchiuse pian pianino; poi, sostando ad ogni gradino, quella figura si die' a scendere la scaletta. Ligiuzzo l'aspettava trepidante con le braccia tese e soffocando il respiro. Quando l'ebbe vicino, dicendole con voce commossa come un mormorìo:

Credevo che non venissi stanotte.

— E perchè? — domandò lei, tuttora tremante.

Perchè quando son solo, lontano da te, a me pare che tu non mi voglia più bene, e allora ho certi impeti di gelosia...

Senti, Ligiuzzo,- - interruppe lei, — tu con tali sospetti logori l'anima tua e non sai quanto male fai a me. Ma di che puoi dubitare? Di me? E non vedi che sono qui, sola, affrontando ogni rischio? Eppoi te l'ho giurato in chiesa, ai piedi del nostro glorioso protettore S. Rocco, di esser tua... e ti pare che vorrei perdere la salute dell'anima col venir meno al mio giuramento?

— Ah, sì, tu dunque mi ami perchè lo hai giurato a San Rocco! — disse lui con un sorriso di amarezza.

— Come sei cattivo, ora, tu! non eri così un tempo; son le disgrazie che ti han fatto così e che hanno inasprito il tuo carattere... Ma infine che vuoi che faccia? Lo so bene quel che vorresti da me... vorresti che io non lo vedessi più quel giovinastro che mi hanno destinato a marito. Ma gli posso chiudere la porta in faccia se mio padre se lo tira in casa a pranzo, a merenda, a cena, e mamma si diverte tanto nel sentirlo discorrere? o che la casa e mia? o che sono io la padrona? Pure non gli risparmio gli sgarbi, le cattive parole, e lo sa Dio quante me ne tocca sentire, poi, da tata e da mamma! Davvero, sei proprio ingiusto con me ed anche ingrato, sì, ingrato!

E con la cocca del grembiule si asciugava le lagrime che silenziose le scorrevano giù per le gote.

— Sì, — rispose lui, che fisso in un pensiero non si era accorto del pianto di lei; — sì, dici bene tu, ma se sapessi che tormenti soffro quando lo so vicino a te, e me lo immagino seduto a te dappresso, nel focolare, a mensa, e ti parla e ti sorride e ti guarda e ti carezza con lo sguardo e ti considera già come cosa sua... suoi quei tuoi occhi, sua quella tua bocca, suo il tuo corpo, tutto suo... e forse, malcreato come egli è, ardisce... Se tu sapessi, quando son solo, sulla montagna, costretto a vangare la terra per pochi soldi e talvolta anche quella che mi appartenne... quando veggo quella casetta ove crebbi, quegli alberi che tata piantò nell'istesso giorno del mio nascimento, quei buoi che or fa un anno erano miei, che nacquero nella mia stalla, e che quando mi incontrano par che mi guardino coi loro occhioni come se volessero dirmi tante cose... se tu sapessi che tormenti allora! E tutto ciò per colpa di quel falsario di massaro Peppe, di quel ladro! Se tu vedessi tata, poveretto, come è ridotto.... dicono che la colpa è sua, che non doveva litigare; ma, per la Madonna! ci rubavano il sangue nostro, e dovevamo anche star muti e reverenti? Eppoi chi poteva mai credere che tuo padre ci facesse una testimonianza contraria e che si trovassero di tali giudici da darci torto? Ma infine, mi sarei rassegnato; povero, morto di fame; ma se tu avessi diviso il mio pane di castagne e la mia scodella di cavoli, non ci avrei pensato più e sarei vissuto contento. Ma no, il padre mi ha tolto i mille ducati di zio Ciccotto, ci ha fatto vendere il castagneto, l'orto, la masseria, i buoi... ed il figliuolo mi toglie la fidanzata, e quando mi vede mette di sghembo il suo berretto rosso, s'arriccia i baffi e mi ride sul muso! Io glielo farei in mezzo al petto un buco rosso, ma verrà, verrà il mio giorno... Per Gesù Cristo, io sono stato sempre un buon figliuolo, e tu lo sai, non ho fatto male neanche ad una mosca; il maestro, quando andavo a scuola, mi voleva un bene dell'anima, perchè ero studioso, educato e imparavo presto e bene; ci rispettava, ci stimava ognuno, perchè un piatto di minestra, un tozzo di pane, un bicchiere di vino non fu mai negato a nessuno... e intanto, noi nella miseria, e quegli usurai, che prestano con l'interesse a carlino, quelli ricchi, contenti…, Per lo Signore, Stella, certe volte il sangue mi monta alla testa; un giorno o l'altro finirà male, finirà male, come è certo Dio!

Ella lo ascoltava con gli occhi bassi e lagrimosi. Quando tacque, gli si strinse al petto, dicendo con accento tra il corrucciato ed il supplichevole:

— No, Ligiuzzo, no, questo non lo devi pensare, non lo devi dire, e non le devi nemmeno esagerare le cose, credere che massaro Peppe ed il figliuolo vogliano attaccar briga con te, che anzi ne han parlato sempre con stima in casa mia. Di tuo padre non dico; e invero, poi, litigioso lo è, e la lingua l'ha bene affilata. Tutti dicono che nell'affare del testamento ebbe torto, e per lui massaro Peppe stette tra ventinove e trenta per andare in galera come falsario. Quale colpa ha lui se si difese e se suo padre, incaponito, si fe' mangiar vivo dagli avvocati? Siamo giusti.

Egli saltò su, svincolandosi dalle braccia di lei: — Ah, proruppe, — tu li difendi! ah, tu dài ragione a quegli infami che non onoro nemmeno del nome di briganti, perchè questi rischiano la pelle benedetti siano! Ed è questo il tuo affetto? è questa la tua fede? son queste le tue promesse? Già, sicuro, ad albero caduto, accetta accetta, dice il proverbio; ma io, vedi, io te lo scanno quel figlio di mala femmina... Mettilo bene in mente, tu con lui non ci andrai alla chiesa, chè se fa d'uopo, vi accoltellerò anche innanzi al Santissimo Sagramento!

— Ma che ho detto, Madonna mia? ma che ti salta in testa? - -gli veniva dicendo la giovinetta fra i singhiozzi e le lagrime. — Vedi come l'odio ti fa ingiusto? te la pigli anche con me, e davvero non me lo merito il tuo sdegno, no, non me lo merito... Vedi, son qui, fa' di me quel che vuoi, ma non rimproverarmi più. Se tu sapessi quanto ne soffro per te, quanto ne soffro.... e il tuo sdegno per giunta! Proprio la Madonna mi vuol punire dei miei peccati, mi vuol punire!

E singhiozzava con la testa fra le mani. Egli la contemplò a lungo, rabbonendosi a poco a poco; poi le sollevò la testa, le asciugò gli occhi, dicendole con voce carezzevole:

Via su, perdonami non pianger più, perdonami, ti dico! Tu poi non sai tutto, se sapessi tutto mi daresti ragione. Dimani è San Rocco, e mio padre ebbe sempre l'onore di portare lo stendardo nella processione. È una devozione di famiglia, e quando eravamo ricchi, al ricolto, i primi 12 tomoli di grano si mettevano da parte per la nostra offerta nel degli incanti. L'anno scorso, in cui tata cedè a me il suo diritto, Dio sa come li raggranellammo...: Quest'anno, vuoi che ti dica tutto? tata che vecchio, logoro dalle afflizioni, tata ha lavorato come un cane quest'anno, si è privato di tutto, del fuoco, della minestra, del pane, per mettere da parte i 12 tomoli che occorrono dimani, capisci? e l'ho visto io, quel povero vecchio, andar digiuno a letto per non togliere neanche un acino a quei dodici tomoli! E dimani quello oserà soperchiarci con le sue ricchezze male acquistate che gli permetteranno di offrir chi sa quanto... E non sarà un'infamia questa, di', non sarà un'infamia! Per la Madonna del Carmine che ci protegge e mi ascolta, domani gli darò tanti colpi di coltello per quanti acini di grano avrà offerto di più quel cane rognoso.

Ella cercava di calmarlo.

— Ma no — gli diceva — ma no, non lo credo capace di tanto, non oserà.

Oserà, oserà, vedrai. Egli, perchè finora sopportammo in pace le sue e le ingiurie di suo padre, ci crede più vigliacchi di una pecora; ma domani troverà lupi con le zanne aguzze, e se lo mangeranno vivo, te lo giuro su questa croce.

E baciò su le dita incrociate. Ella allora si alzò risoluta; lo prese per il braccio e gli disse:

Senti, Ligiuzzo, è tardi e debbo risalire, che mamma e tata possono svegliarsi e allora povera me; ma io ti fo una promessa, a patto che tu me ne faccia un'altra. Ti prometto che se il figlio di massaro Peppe dimani oserà mancare di riguardo a te ed a tuo padre, e vincerà nell'incanto, dimani notte, all'istess'ora, io sarò qui e ti seguirò ove tu vorrai; ma tu giurami che sopporterai in pace l'offesa, giuralo, che anche io son pronta a giurare.

Egli restò perplesso.

— Tu esiticontinuò lei, — ma sei tu, dunque, che non mi ami. Infine che importa a te dello stendardo, quando io in cambio ti offro tutta me stessa? È una devozione, ma san Rocco lo sa che tu e tuo padre avete fatto del vostro meglio, e non ve ne terrà in colpa. Giura dunque.

— Ma — balbettò lui — e mio padre? A lui non posso dire del patto che mi obbligherebbe a sopportar le offese con rassegnazione, chè quel vecchio, io lo conosco, sarebbe di tutto capace.

— Tuo padre col tempo si persuaderà e sarà anche soddisfatto, della vendetta; se quello liìti toglie lo stendardo, tu gli porti via quella che gli destinano in moglie. A san Rocco penseremo poi: ai 12 tomoli aggiungeremo altri 12, altri 20, se occorre, e li regaleremo al santo glorioso che non ci avrà perduto con lo aspettare. Dunque giuri?

Lui, combattuto da sentimenti diversi, esitava ancora; ella lo accarezzava, lo baciava, stringendoselo al petto che ei sentiva morbido e caldo sul suo; inebriato da quelle carezze che gli accendevano il sangue, balbettò:

— Sì, lo giuro, sull'anima di mamma, che benedetta sia.

— Ebbene dunque va': buona notte, a dimani.

E si die' a salire la scaletta; quando fu su ballatoio, mandò un bacio all'amante che l'aveva seguìta con gli occhi, poi aprì la porta ed entrò pian pianino in casa.

Egli rimase buon tratto appoggiato ai gradini della scaletta, col cuore gonfio di una soave tenerezza per la fanciulla che con quella promessa gli aveva dato la prova più solenne d'amore.

 

San Rocco era in mezzo alla chiesa. L'avevano tolto dalla nicchia e spolverato, ridipinto, appuntellato perchè non traballasse sul piedistallo quando l'avrebbero portato in giro per il paese. Col carminio e il nero di fuliggine gli avevano allargato la piaga della gamba, che parea proprio sanguinante coi margini lividi.

La chiesa era parata a festa: lunghe e larghe strisce di carta colorata cadevano dall'alto, e sull'altare maggiore cento candele disposte a piramide biancheggiavano fra i fiori di carta, i vasi e le dorature. In un angolo il baldacchino di seta, scolorito dal tempo, s'ergeva raccolto ed appoggiato al muro, col bastone dorato dei priori ed il gran crocefisso, spolverato, ridipinto ancor esso. vicino era pure lo stendardo, il cui panno rosso, con l'effigie in mezzo del santo glorioso, cadeva floscio avvolto all'asta lunga e pesante.

Nella chiesa era un gran via vai e un gran vocìo. Accosciate sul pavimento, le contadine bisbigliavano pigiandosi, e talvolta invadendo anche lo stretto passaggio lasciato nel mezzo; invano il vecchio prete, che andava attorno con un lungo accenditoio, perduta la pazienza, le veniva ammonendo di cessar da quel diavolìo e di lasciar libero lo spazio.

— Vi credete d'essere in cantina o coi porci! — gridava. — Scendi da quell'altare, faccia d'impiccato! Se non zittite, vi darò tanti calci quanti capelli avete in testa.

Ma quelle non zittivano, e il sacrestano già colpi di accenditoio sulle spalle, sulle teste, bofonchiando:

Sgualdrine maledette! credono di essere in un... dove son nate.

Innanzi alla porta della sacrestia i preti infilavano le cotte su i lunghi camici, ciarlando ad alta voce, e i chierici dondolavano i turiboli per mantener vivo il fuoco. Dalla porta della sacrestia e da quella maggiore di entrata, ove in un capannello il priore questionava con alcuni contadini incamiciati anche essi, si scambiavano ad alta voce parole e domande, con qualche bestemmia mormorata fra i denti. Dirimpetto la statua del santoauto, buon numero di contadini, i cui piedi larghi e massicci, calzati di grosse scarpe o di uose assicurate con cordicelle, uscivano fuori dai gheroni del camice bianco, seduti e appoggiati al piedistallo della statua, aspettavano che il priore si sbrigasse per dar principio agli incanti. Su i camici, fra lo sparato dei quali gareggiavano i petti villosi, tenevano i medaglioni di stagno con l'effigie di S. Rocco; alcuni, ed erano i titolati dell'Arciconfraternita, avevano sugli omeri le mozzette color viola, altri, a tracolla, una fascia rossa.

Fuori, nello spiazzo innanzi alla chiesa, i contadini si affollavano attorno i venditori di pasta col miele, di santini o di frutta, o attorno un tale che teneva giuoco di rolletta. I monelli ballavano al suono di due tamburi e di una gran cassa che fin dalla sera innanzi avean rullato e rimbombato da rompere le orecchie. Nelle bottegucce del vinaio, del venditore di generi coloniali e di commestibili, nelle tavernuole imbiancate di fresco, su i cui banchi innanzi alla porta facean bella mostra le fritture in ampi bacili, le carni lesse e le cosce sanguinanti di castrati, i contadini si affollavano per far le spese del pranzo e per bere un bicchiere. Sotto una tenda c'era una bottega di sorbettiere, ove per un soldo si dava un bicchiere di limonata o di acqua col sambuco ai contadini, i quali facevano sfoggio del loro abito festivo, calzone lungo di felpa, corpetto rosso e giacca di fustagno con le mostre verdi e i bottoni di metallo lucido. Dalle finestruole sporgevano le teste delle contadinotte, e in fondo, nei balconi della Casa comunale, la signoria del paese, il sindaco colle figliuole, la nipote del parroco, la sorella del segretario comunale, ed altre ed altre facevano pompa degli abiti di gala, adorni di nastri, di trine, di fronzoli.

Nel mezzo della piazzetta quattro contadini erano intenti ad infliggere nel suolo le travi per l'impalcato, su cui dovevano disporsi i fuochi d'artificio, le girandole, i panierini volanti e i due fantocci di carta con una grossa bomba per testa e col ventre pieno di razzi. Le grida dei venditori, il rullìo dei tamburi, rinforzato dai colpi cupi della gran cassa, il ripicchiare degli operai, il vocìo della folla facevano un tumulto assordante in contrasto con la quiete del paesello, la cui vita parea riversata su quello spiazzo, mentre nelle stradicciuola fangose, fatte deserte e mute, grugnivano presso le chiuse porte i maiali e razzolavano le galline. I pennacchi dei quattro carabinieri, severi, con la rivoltella al fianco, erravano qua e tra la folla nera e brulicante.

La porta della chiesa spalancata lasciava veder l'interno; nella penombra luccicavano l'oro e l'argento dell'altar maggiore fra il bianco delle candele; e in alto, sul suo piedistallo, San Rocco, vestito di rosso; su i tetti della chiesa il campanile s'ergeva dritto e bianco con le campane dondolanti, gli squilli delle quali si spandevano per l'aria azzurra, in cui splendeva il sole caldo e giallo di agosto.

Presso la statua, aspettavano il priore massaro Giovanni, massaro Peppe col figliuolo Peppino il bersagliere, e molti altri contadini. In un angolo, seduto su i gradini di un altare, massaro Cola discorreva col figliuolo Ligiuzzo. Massaro Cola era un vecchio magro ed alto, col viso dai riflessi d'argento per la peluria bianca e arabescato di rughe profonde; gli occhi, orlati di rosso, splendevano accesi come nella giovinezza. Padre e figliuolo vestivano il lungo camice, che nel sedere avevano rimboccato sulle ginocchia. Coi gomiti sulle cosce, con la testa fra le mani, il vecchio guardava Ligiuzzo, che, inquieto, tenea gli occhi fissi sulla porta d'entrata.

Senti — gli veniva dicendo — io non voglio che tu dica una parola, capisci? Devi lasciar fare a me. Vedrai, sarò calmo. Infine, tutto ciò si fa per devozione, n'è vero? e San Rocco lo vede che si è fatto quello che si è potuto. Se poi i bricconi, gli intriganti, i camorristi ci si mettono di mezzo, non è colpa nostra. Quando avevo vent'anni, non avrebbero osato, no, non avrebbero osato... sai che avresti veduto in chiesa? una carneficina. Ora son vecchio e bisogna piegare il capo... Ma sai che voglio da te? che te ne stia quieto e tranquillo, capisci! lascia fare a me che son vecchio, hai inteso?

— Sì, ma tu stesso dici che se avessi venti anni... io invece ne ho venticinque e, per la Madonna!...

Sta' zitto, scomunicato, non bestemmiare, che stiamo in chiesa... Tu poi non devi dar retta a quel che mi esce di bocca, e devi pensare che hai un padre e, per Gesù Cristo, se ti accadesse qualche disgrazia, darei loro tante puntate di coltello per quanti acini di grano si seminano nel Marchesato.

Poi, verso Peppino il bersagliere, che sbarbato di fresco, con le scarpe lucide e un largo collare bianco sulla giacca, indossava ridendo e motteggiando il camice:

Guardalo quel furfante, quel figlio di ladro, con quella faccia d'impiccato di suo padre! Io non so come San Rocco permetta che quella gente venga in chiesa! Sì, proprio, si fa un bell'onore San Rocco, col lasciarsi portare da quei quattro farabutti! Vedi come ci guardano. Ed hai ragione, sì, sono i minchioni che han torto, son le pecore che si scannano... Oh! santo diavolo, me li mangerei vivi.

E gli occhi del vecchio s'accendevano, le mani convulse brancicavano su le ginocchia.

Tata, — disse Ligiuzzo, — tu predichi a me pazienza e rassegnazione, e intanto...

— Si, hai ragione, — rispose il vecchio, mordendosi le labbra per contenersi. — Sicuro, — riprese — se non stai quieto al tuo posto, ti darò tanti schiaffi per quanti capelli hai in testa.

Un bisbìglio corse per la chiesa: era entrata massara Peppina, madre di Stella, con la figliuola, che in quel giorno faceva sfoggio delle vesti più pompose. Alla leggiadra e delicata figura della giovinetta accrescevano vaghezza i colori vivi della gonna rossa e del corpetto celeste allacciato al seno ricolmo e fornito con nastri di seta. Al collo bianco e grassoccio rosseggiava una collana di corallo, e sotto la tovagliuola bianca coi margini ricamati rilucevano i lunghi pendenti di oro massiccio. Camminava a lato della madre, tenendo con una mano la pezzuola per un dei capi, stretta al grembo, con l'altra i lembi inferiori della tovagliuola per nascondere con selvaggia timidezza il collo e metà del viso. La madre, impettita come si conviene a ricca massara, vestiva la gonna scura e il corpetto color caffè con una corazza rilucente di spille, di medaglie, di collane in mezzo al petto, e con le dita fino alla terza falange coperte di anella. Attraversarono la chiesa e vennero a inginocchiarsi presso i gradini dell'altare ove sedevano massaro Cola e il figliuolo Ligiuzzo, il quale era rimasto estatico a contemplare la giovinetta che gli aveva fatto un lieve cenno. Poi le due donne aveano tratto di tasca la coroncina e si eran messe a biascicare il rosario.

— Eccole qui queste pettegole, — borbottò massaro Cola... — Sì, guardala, mangiala con gli occhi quella figlia di Giuda! Si cura tanto di te quanto di un pelo di capra.

 

Intanto il priore ed il parroco avean preso posto innanzi alla statua di S. Rocco. Tutti si alzarono in piedi; un sordo vocìo corse per la chiesa, che si riempì di un subito. Si fece cerchio, e i quattro, cui spettava l'onore di portare la statua di S. Rocco, fecero la loro offerta. Nessuno rispose, e in verità l'incanto era una formola, perchè nessuno mai aveva osato di far concorrenza ai quattro ricchi massari, fra i quali erano massaro Peppe e massaro Giovanni, come non era stata fatta al padre di Ligiuzzo, cui spettava lo stendardo.

Il priore infine gridò:

— In onore e gloria di San Rocco, si mette all'incanto lo stendardo.

Dodici tomoli di grano pel mio figliuolo Ligiuzzo, — gridò massaro Cola, che si era alzato.

— Vi è chi offre di più? — chiese ad alta voce il priore.

Quindici tomoli per me — si rispose; e rompendo il cerchio, si fece innanzi Peppino il bersagliere.

Corse per la folla un susurrìo: i più lontani si alzarono in punta di piedi per veder meglio; i più viciniaddossarono su quelli del primo cerchio; qualcuno mormorava:

— L'ha detto e l'ha fatto.

Messaro Cola aveva dato un balzo come colpito da uno schiaffo, e seguìto dal figliuolo si era fatto innanzi. Guardò in giro con lampi minacciosi negli occhi e con le membra tremanti per l'ira. Peppino giocherellava come distratto coi nastri del camice.

Le due donne si erano alzate. Stella, tremante anch'essa, si era avvicinata a Ligiuzzo, chè la madre non le badava, tutta intenta a quel che avveniva nel mezzo della chiesa.

Quindici tomoli per Peppino il massaro. Ci è chi offre di più? — chiese il priore.

Sedicibofonchiò massaro Cola, con la strozza e i denti stretti.

Non aveva ancora finito, che Peppino il bersagliere, il quale faceva il distratto, disse, senza alzare il tono della voce:

Venti per me.

Ligiuzzo era pallido, si mordeva le labbra, si torceva convulso le mani. Pure riuscì a contenersi, e voltosi al padre che ansava con gli occhi torti:

Tata, andiamocene, tu ti rovini... è una brutta giornata questa.

Venderò il letto, venderò il porco, venderò la casa, ma quel figlio di mala femmina non la deve vincere. Venticinque ! — gridò poi, guardando fieramente in giro.

— Al pagamento ti voglio. Dove li piglierà quel pezzente venticinque tomoli di grano? — esclamò Peppino il bersagliere.

— Ah canaglia! a me pezzente! bastardo rognoso, ora ti strappo le budella!...

E stava per slanciarsi, ma Ligiuzzo lo prese fra le braccia e lo trasse dietro, mentre gli altri contadini trattenevano Peppino il bersagliere. Ne nacque un tafferuglio; grida, minacce, urli, imprecazioni; il parroco ed il priore, saliti sopra una sedia, gridavano gesticolando per ristabilir la calma, e i carabinieri si facevano largo tra la folla per accorrere. Stella intanto si era avvicinata a Ligiuzzo che teneva stretto fra le braccia il padre, il quale ruggendo e sbuffando facendo sforzi per liberarsi, e rapida e sommessa gli aveva detto:

Ricòrdati che hai giurato, ricòrdati. Stasera ti aspetto.

Egli, coi denti stretti e con la parola che gli fischiava fra le labbra pallide per l'ira;

— Quante me ne farai fare tu... Ah se non avessi giurato sull'anima di mamma!

Lasciamiurlava il vecchiolasciami, vigliacco!

— A me vigliacco? a me, tata, vigliacco?

- - A te, sì; lasciami.

— Intanto, un po' con le buone, un po' con le cattive, i carabinieri, il priore, il parroco avevano ristabilito la calma intorno alla statua, quantunque ancora la gente, in crocchi nel mezzo della chiesa e presso gli altari, quistionasse. I pareri erano molti e i giudizi diversi.

— Dunque — gridava il priore — vogliamo continuare questo benedetto incanto? Bella festa che facciamo a San Rocco!

E voltosi al santo, che immobile sovrastava alla folla:

Perdonali, San Rocco mio benedetto, che infine tutto si fa per tuo onore e gloria.

Poscia alla folla:

— Siamo ancora ai 25 tomoli offerti da massaro Cola. Ci è chi offre di più?

Trentarispose Peppino il bersagliere, che si annodava i lacci del camice sciolti nel tafferuglio.

Intanto i carabinieri accompagnavano fuor della chiesa massaro Cola e Ligiuzzo che si erano svestiti dei camici. Il vecchio parea quasi calmo: di tratto in tratto però si fermava, tentennando la testa e gonfiando le gote. Ligiuzzo lo seguiva a testa bassa.

Quando i carabinieri, dopo averli esortati a rincasare, li lasciarono soli, il vecchio si morse le mani mormorando:

— A settant'anni essere umiliato così!

— Tu non hai voluto, tatadiceva il giovane.

— E non voglio, capisci? — rispose il padre, che aveva compreso il senso di quelle parole. — Si sa, i tempi son mutati... cinquant'anni or sono, nemmeno San Rocco gli avrebbe salvato la pancia a quello , ma ora si studia sui libri, si va a scuola ci insegnano che quando si riceve uno schiaffo si deve voltar l'altra guancia. Oh! per Gesù Cristo, che gli avrei mangiato il cuore...

Si fermò di botto, e figgendo gli occhi negli occhi del figliuolo:

Senti, Ligiuzzo, io son vecchio, e morire in casa o morire in galera per me è lo stesso.

Tata, tu insomma vuoi che lo scanni? Ma abbi un po' di pazienza e vedrai, vedrai che gli è serbato!

— Sì, al mese di giammai! Così parlano i vili. Me la vedrò io, capisci? li farò tornare io a casa, raccolti in una coltre, lui e quel falsario di suo padre.

 

La processione, annunciata da un festoso scampanìo e dallo scoppio di cento mortaretti, a mezzogiorno in punto uscì dalla chiesa. Precedevano due lunghe file di incamiciati con le candele accese, le cui fiammelle tremolavano fumose, poi veniva Peppino col rosso stendardo, ed or lo palleggiava, or lo scagliava in aria per raccoglierlo e farlo stare in bilico su la palma, su la fronte o su i denti, tentennando, bilanciandosi, raccogliendosi, facendo forza di schiena e di fianchi, mentre il panno rosso sventolava a larghe pieghe e i monelli battevano le mani gridando evviva. Dalle finestre, dalle porte le contadine in ginocchio guardavano meravigliate quel bel giovane che faceva di tanti bei giuochi, e le giovanette, mentre si picchiavano il petto biascicando le litanie, non sapevano trattenere una esclamazione di piacere ad ogni nuovo giuoco dello stendardo.

Dietro a Peppino, venivano i preti, in cotta e stola con le torce accese, e in mezzo l'arciprete con le ali della lunga zimarra sostenute da due chierici; poi la statua del santo che tentennava su le spalle dei quattro massari, i quali, curvi sotto il grave peso, si appoggiavano traballando ai bastoni. Un contadino li precedeva con un grosso vassoio per ricevere le offerte in denaro ed cera. Dietro al santo, i tamburinai rossi, trafelati, che davan di gran colpi negli strumenti, infine la turba delle contadine che salmodiava con voce monotona e lenta.

Giunta innanzi alla casa comunale, la processione si fermò per riverire il sindaco affacciato ad uno dei balconi con le figliuole, che per ripararsi dal sole tenevano alti gli ombrellini, e tra i ferri del balcone sporgevano i piedi per farsi vedere gli stivaletti di pelle verniciata e il lembo ricamato dei sottanini. Negli altri balconi le signore del paese con abiti di seta verde, gialli, azzurri, con collane, smanigli, pendenti, e grandi ventagli che si agitavano sotto gli ombrellini, ridevano, ciarlando. Quando la statua si fermò, le signore, continuando con voce più sommessa il cicalìo, si chinarono un po' su i ginocchi; e mentre Peppino il bersagliere esauriva tutti i suoi giuochi con lo stendardo, scoppiarono due lunghe file di mortaretti, omaggio a San Rocco del sindaco, il quale aveva fatto deporre nel vassoio lire 20 in moneta e 12 candele.

Poi la processione proseguì il suo cammino, fermandosi di tratto in tratto, come era d'obbligo, innanzi alla casa di coloro che portavano il santo. La moglie e la figliuola di massaro Giovanni, quando la processione fu presso alle loro finestre, erano affacciate, ma la Stella aveva gli occhi gonfi di pianto ed era triste, ne rispondeva alle domande della madre, la quale infine le disse:

— Tu non me la ficchi, no, con quell'aria di monachella. Credi che non ti abbia visto? Tu stamane ti sei accostata a quel cattivo arnese di Ligiuzzo e gli hai parlato. Sai che ti dico? Pensa a togliertelo di mente. Tuo padre non ti darebbe a lui nemmeno se ti coprisse d'oro. Ti ha promesso a Peppino e sarai di Peppino. Quel pezzente ha fatto bene i suoi conti; tu, sciocca, non comprendi che mira alla dote e non ai tuoi begli occhi.

Ella zittiva, ripiegata sul davanzale, con gli occhi lagrimosi; intanto la processione si avvicinava preceduta dai chierichetti che agitavano i campanelli.

Stanottecontinuava massara Peppina — ti vidi in gonnella ai piedi del letto. Donde venivi? dove eri stata? Non dissi niente a tuo padre per non provocare un chiasso in questo santo giorno, ma da questa sera in poi dormirò con un occhio solo, tienilo per detto. Anzi è meglio che tu dorma con me: il diavolo, suol dirsi, non ha pecore e va vendendo lana.

La giovinetta allibì.

— Con te, mamma? e tata? — balbettò.

Dormirà nel tuo letto; anche lui stamane era del mio avviso. Infine a te che importa se non covi nulla in quel tuo cervello di pazza?

Ella ebbe come una stretta al cuore; dunque le sarebbe stato impossibile di mantenere per quella sera la promesse; chè di certo non avrebbe potuto deludere la vigilanza della madre. Conveniva rimandare la fuga a miglior tempo, e intanto avrebbe cercato di riguadagnare la fiducia dei suoi. Perciò le era d'uopo mostrarsi indifferente, quantunque il contrattempo le riuscisse molto amaro.

— Farò come vuoi, mamma, — rispose.

E intanto pensava al modo come far sapere a Ligiuzzo che per quella sera non poteva mantener la promessa; decise di farlo avvertire da un ragazzetto che le era affezionato e al quale ella spesso regalava buone merende. Ma intanto che avrebbe detto, che avrebbe pensato Ligiuzzo con quel carattere diffidente? Non l'avrebbe creduta spergiura, bugiarda, e non avrebbe sospettato che ella per salvare Peppino gli avesse fatto quella promessa che non manteneva? Ma intanto come mantenerla? Del resto poi, si sarebbe ricreduto, quando ella, come era decisa, sarebbe fuggita con lui. Perchè era decisa: troppo aveva sofferto quel poveretto, era troppo infelice, ed ella sentiva che gli doveva un compenso. E non avrebbe evitato anche guai serii? Quel suo fallo forse avrebbe assicurato la pace a tre famiglie; Peppino si sarebbe consolato, chè era ricco ed una sposa non gli poteva mancare; massaro Giovanni col tempo avrebbe fatto pace con Ligiuzzo e con massaro Cola, ed ella così avrebbe appagato non solo un voto ardente del suo cuore innamorato, ma anche compiuto una buona azione.

Bisogna fingere, pensava, per non dar sospetti a mamma. E perciò sforzossi a dissimulare il suo affanno; si asciugò gli occhi e parve tutta intenta alla processione che si avvicinava. La madre, in vederla tornar giuliva, credette che i suoi sospetti fossero infondati; però si prometteva di sorvegliarla attentamente. Poi, come se si fosse ricordata di cosa che molto le premeva:

— A proposito — le dissebada che or ora passerà Peppino con lo stendardo; non gli fare il muso lungo, hai capito? Tu gli sei fidanzata, e se ti saluta devi rispondergli con lieto viso. Non mi fare aver quistione con tuo padre, che mi rimprovera perchè io, dice lui, non ti so insegnare la creanza.

— Vi ubbidirò, mammarispose lei.

In quella, Santuzzo, quel ragazzetto amico di Stella, veniva correndo per pigliar posto innanzi alla porta di massaro Giovanni. La processione si era fermata e da lungi si udiva lo scoppettìo dei mortaretti, il rullar dei tamburi ed il salmodiar delle contadine. Stella si chinò sul davanzale e si die' a gridare:

Santuzzo, Santuzzo!

- - Perchè lo chiami? domandò massara Peppina.

— Mi ha chiesto un po' di salame, è tanto servizievole che non avuto cuore di negarglielo. Ma stamane ero per andare a chiesa, e non ho potuto darglielo. Glielo darò adesso. Fan tutti festa, farà festa anche lui, pover'orfano.

Attraversò la stanza; poi, quando la madre, chinata sul davanzale con gli occhi appuntati verso la processione tuttora ferma, non potea vederla, si die' a correre, scese la scaletta e fu nel cortile ove Santuzzo l'aspettava.

— Vieni, che ti darò il salame — gli disse.

Trasse di tasca una chiave e aprì la porticina della dispensa, ove appesi alle travi erano formaggi e prosciutti: il fanciullo la seguì; ella rinchiuse la porta, si accostò al fanciullo e sottovoce gli disse:

Senti, se mi vuoi bene, devi fare quel che ti dirò.

Di' che vuoi? — rispose Santuzzo sgranando gli occhi.

— Senza perder tempo devi correre da Ligiuzzo di massaro Cola... lo conosci?

— Come no? quello che tu vuoi per marito.

— Gli diraicontinuò la giovinetta arrossendo — che stanotte non vada in quel luogo che ei sa, perchè quella tal cosa non può porsi ad effetto. Salutamelo, e che stia tranquillo, che io sono sempre la stessa. Hai capito?

Il fanciullo accennò di sì col capo.

Ripetimi come gli dirai.

Il fanciullo ripetè fedelmente ciò che aveva detto Stella.

— Non dir nulla, sai, non dir nulla a nessuno, chè altrimenti sarei rovinata.

Stà sicurarispose.

Ella gli diè pane e salame, poi risalì. Santuzzo uscì correndo, sbocconcellando il pane.

 

Ligiuzzo era uscito di casa, chè il padre gli aveva detto:

Va', va' ora in piazza, altrimenti si dirà che hai paura: ma non cimentarti. Verrà il tempo in cui ce lo dovranno pagar caro.

Ed era uscito, con la scure infilata nella cinta di cuoio che gli stringeva le brache ai fianchi. Aveva barattato qualche parola con i contadini affollati innanzi alla tavernuola, i quali gli avevano offerto per consolarlo, di giuocare alla mora; si sarebbe fatto il padrone e sotto, e si sarebbe stati allegri, chè infine poi non bisogna pigliarle di punta le cose, come suol dirsi. Egli aveva rifiutato e se ne era andato soletto verso le stradicciuole deserte nell'interno del paese. Pensava alla felicità che lo aspettava fra poche ore, e che era dolce compenso alle pene fino allora sofferte. Pensava che fra poche ore quella leggiadra giovinetta, che egli per tanti anni aveva amato onestamente, caldamente, sarebbe stata sua, tutta sua, e che finalmente il destino, stanco di perseguitarlo, gli conduceva un po' di pace ed esaudiva il più ardente dei voti di lui. Aveva già stabilito in quale casa avrebbe poi accompagnato la ragazza; chè egli voleva far le cose da uomo onesto: l'avrebbe accompagnata in casa del signor sindaco, donde non doveva uscire che nel delle nozze. Così fanno i giovani ben nati; anzi sarebbe andato ad aspettarla con due amici per testimoni, perchè le malelingue non avessero a spacciar calunnie su di lui e su di lei. L'amore aveva soffocato l'odio; , tutto inteso al modo come regolar la fuga, pensava più a Peppino ed alle ricevute offese.

Senza accorgersene, era giunto in una stradicciuola donde si vedevano le finestre di Stella; alzò gli occhi e scorse le due donne affacciate che guardavano sfilare la processione; ma una voce lo scosse, che gli diceva;

Uh, ti trovo finalmente, Ligiuzzo!

- - Sei tu, Santo, che vuoi? — rispose il giovane che aveva riconosciuto il ragazzetto.

Stella di massaro Giovanni ti saluta e ti dice, che quella cosa non è possibile per questa sera.

Il giovane diè un balzo, illividì, poi, afferrando pel braccio il ragazzo, lo scosse inferocito:

Ripeti, ripeti quel che hai detto; no, è impossibile... ho inteso male, forse.

— Io non ci ho colpa, io, — piagnucolava il fanciullolasciami, che mi rompi il braccio.

Ripeti, ripeti quel che ti ha detto!

— Mi ha detto, che per questa sera è inutile che tu vada in quel luogo... ecco quel che mi ha detto.

Egli allora appoggiossi al muro per non cadere. Aveva un velo sugli occhi e sentiva il cuore come in una morsa. Il fanciullo era fuggito piangendo.

— Ah, l'infame! ah, l'infame! fu per salvar lui, che mi fece quella promessa e volle da me quel giuramento! Per lui temeva! Oh, l'infame, l'infame!

E alzò gli occhi minacciosi verso le finestre di Stella, a cinquanta metri circa da quel luogo. In quell'istante, Peppino, il bersagliere faceva i suoi giuochi di destrezza con lo stendardo, e Stella, curva sul davanzale, per ubbidire alla mamma e per far tacere i sospetti di lei, gli sorrideva, e battendo le mani pareva incoraggiasse il suo fidanzato, che si sclamanava tutto ansante e acceso in volto per dar prova della sua destrezza e del suo vigore.

— Ah, la mala femmina! — esclamò Ligiuzzo, mordendosi a sangue le dita — ah, la mala femmina!

 

Già i primi razzi avean solcato l'aere nero come una striscia di fuoco ed erano caduti su la folla in pioggia di stelle. Un subito chiarore, seguito da uno scoppio, illuminava per poco la folla dei contadini pigiati sulla piazza e le teste che sporgevano dalle finestre, poi con acuti sibili si alzavano diritte in aria le girandole, i panerini, che scoppiavano tingendo or d'azzurro or di rosso or di verde la folla sottostante, che col naso in aria applaudiva con grandi urli e battimani. La porta della chiesa spalancata, lasciava vedere l'interno, fiammeggiante delle candele dell'altar maggiore, in mezzo alle quali si ergeva la statua del santo. I tamburi e la gran cassa, battuti con frenesia, sposavano i loro rulli e il loro rimbombo alle grida della folla, al fischio dei razzi ed allo scoppio dei mortaretti, cui teneva bordone il suono stridulo di un fischietto e di una zampogna intorno alla quale i contadini ballavano.

Quel crocchio, in un angolo della piazza, era formato dalla famiglia e dai parenti di massaro Peppe e di massaro Giovanni. Si era fatto venire un barile di vino, e mentre i giovani erano intesi al ballo, i vecchi bevevano, motteggiando e scambiando grossolane facezie contadinesche. Stella, seduta fra le sue amiche, mentre una coppia di ballerini nel mezzo del cerchio sgambettava al suono della zampogna e del fischietto, riposava del ballo, asciugando con la pezzuola il sudore e seguendo, distratta, il serpeggiar per l'aria dei razzi sibilanti. Qualunque avesse fatto proposito di nascondere la sua preoccupazione e la sua tristezza, pure non c'era riuscita, e la mamma più volte l'aveva interrogata o ripresa. E invero la poveretta aveva le sue buoni ragioni. Nello imbrunire, mentre con gli amici e coi parenti andava in chiesa, si era incontrata in Ligiuzzo, il quale non l'aveva guardata nemmeno ed era livido, torbido nello sguardo, quantunque nel vederla avesse riso sgangheratamente coi compagni ed avesse proferito non so che parole che l'avevano fatta arrossire tanto. Quella allegrìa però era uno sforzo, si vedeva bene, contraddetta dallo sguardo minaccioso e dal viso stravolto.

Ella capiva che era la causa involontaria di tutto ciò; il ragazzetto che ella aveva mandato a lui non si era fatto vedere; almeno da lui avrebbe potuto sapere qualcosa: ma quella incertezza le era penosissima, e più si rodeva pensando ai dolori di quel suo poveretto che il destino perseguitava tanto: e diceva sospirando a stessa:

— Chi sa che avrà detto di me? Chi sa quante ne avrà pensate!

Poi era stata condotta in mezzo, e per ubbidire alla madre avea dovuto accogliere di buon grado l'invito al ballo di alcuni suoi amici; ma non aveva avuto cuore di abbandonarsi al tripudio, di fare sfoggio di tutti i suoi vezzi, e sì che nessuna più di lei sapeva, tenendo le cocche del grembiule fra le due dita, far le figure con più grazia, e con più grazia avanzare, indietreggiare, inchinarsi.

Sedeva intanto pensosa fra le sue amiche, mentre gli altri ballavano, quando Peppino il bersagliere, che era andato in giro per la piazza ed era un po' brillo, fattosi largo a furia di gomitate, le fu dinnanzi e con le mani ai fianchi incominciò a sgambettare e poi a fare le castagnette con le dita per invitarla a danzare.

— Sono stancarispose lei — non ne ho più voglia.

— Che stanca e stanca! Via, su, andiamo.

La madre l'urtò col gomito e:

— Non far la smorfiosa. Alzati e balla.

Indispettita si alzò. Tutti tacquero: il fischietto e la zampogna intonarono con più forza la pastorale, e molti curiosi si affollarono intorno al crocchio per veder ballare la coppia dei fidanzati.

Ella parea svogliata, quantunque lui facesse di gran salti, ed or si curvava,. or si raddrizzava, facendo scoppiettar le dita e battendo le mani con piccoli gridi di gioia. Gli astanti lo applaudivano, lo incitavano, ed ei sudato, ansante, or faceva il gallo, or dimenava i fianchi; ad un tratto intese che una mano gli batteva su la spalla; non cessando di fare sgambetti si voltò, cercando con lo sguardo colui che l'avea toccato.

Dietro la folla intravide la faccia di Ligiuzzo; fermossi di botto. Stella si fermò anche essa e, stanca, si lasciò cadere in mezzo alle compagne che la complimentavano. La zampogna ed il fischietto tacevano; solo, fra il rumorìo della folla, ed il sibilo dei razzi, continuavano incessanti i rulli del tamburo e i colpi di gran cassa.

I contadini avevano riempito i bicchieri e si beveva motteggiando. Nessuno si era accorto di Ligiuzzo. Peppino il bersagliere si fece largo e, giunto presso il rivale, l'afferrò pel petto.

— Sei tu che mi hai battuto su la spalla? — gli chiese coi denti stretti e con voce minacciosa.

— Sì, io — rispose Ligiuzzo, con gli occhi sfavillanti d'ira, liberandosi con un forte colpo assestato sulla mano del nemico.

— Che vuoi?

— Voglio spaccarti il cuore.

—A me?

— A te.

— Quando?

Stanotte; trovati armato di scure in fondo al vallone.

— Ci sarò.

— A rivederci dunque, e raccomàndati a San Rocco.

E si confuse tra la folla. Peppino restò perplesso, poi fece un gesto di noncuranza e tornò alla brigata che rideva motteggiando e trincando.

Andiamo tutti a casa di massaro Giovannipropose uno della brigataso che ci ha una botticella degna di S. Rocco.

— Sì, sì, a casa di massaro Giovanni! gridarono tutti. — Faremo venire la zampogna ed il fischietto e continueremo il ballo. Peppino il bersagliere zittiva, parea pensoso; poi si fe' forza, e:

Andiamo, ma vi avverto che a mezzanotte andrò via. Ci è un altro invito al quale per cosa al mondo non vorrei mancare.

E mossero tutti verso la casa di massaro Giovanni. Attraversando la piazza intesero in un crocchio lo strimpellìo di una chitarra battente e una voce che cantava

 

Oh come è bello di morire accisu

Supra la porta de la nnamurata!

L'anima si ni vola 'mparadisu,

Lu cuorpu si lu ciangia la scasata.

 

— È la voce di Ligiuzzo! — mormorò Stella, ed ebbe come una stretta al cuore, presago di sventura.

 

Avevano ballato, riso, bevuto fin presso la mezzanotte, poi gli amici e i parenti si erano accomiatati. I due massari marito e moglie, con lo stomaco pieno e il cervello annebbiato dai fumi del vino, erano andati a letto, dimentichi del proposito di vigilare su la figliuola. Del resto, ella aveva assopito i loro sospetti col mostrarsi più dell'usato premurosa per Peppino, che in quella sera pareva avesse perduto il buonumore, quantunque del vino di massaro Giovanni non avesse fatto risparmio.

Perciò, appena la fanciulla s'accorse, dal russar fragoroso, che i due massari erano profondamente addormentati, si alzò pian pianino dal suo letticciuolo, allacciò sulla camicia, che delineava le forme delicate del suo corpo, la corta gonnella, e scalza, camminando in punta di piedi, si fe' alla porta del ballatoio che dava sull'orto. L'aprì tremando, uscì fuori e la rinchiuse lieve lieve dietro a sé.

La notte era calma e stellata: nel paesello brillavano ancora come punti rossi le lucernette accese in onore del santo. Le ombre della notte si stendevano su la campagna silenziosa e gli alberi si ergevano neri come fantasmi. Il paesello, stanco, dormiva. Solo qualche ubriaco andava attorno strimpellando la chitarra.

— Se l'avessi saputo, se l'avessi saputopensava la giovinetta, china sulla balaustrata del ballatoio — non gli avrei mandato a dire che non venisse. Quante ne avrà pensate, quante ne avrà dette! Come era triste oggi quando l'incontrai! come era malinconica, stasera, la sua voce! E se venisse? dovrei andar con lui... come dirgli di no, se mi trova qui, sola, dopo la promessa che gli ho fatta? Andar con lui? Abbandonar tata e mamma? E dove mi porterà egli? Che ne sarà di me, abbandonata a lui?

E, col petto sul davanzale, restò fissa in un pensiero, la caldura, gli acri profumi della notte le mettevano come un formicolìo nel sangue; respirando con voluttà la brezza fresca che susurrava tra gli alberi, sentiva in cuore come una irrequietezza; , a chi glielo avesse chiesto, avrebbe saputo dire il perchè di quegli struggimenti nuovi e strani dei nervi e del sangue.

Giù al basso, ove scende la strada maestra, lieve mormoravano le acque del vallone; a lei era parso di sentire come un gemito acuto echeggiar nel buio, ma lo credette un grido di civetta o uno squittir di volpe: distratta per poco, era tornata ai suoi pensieri; sotto quel cielo stellato, alle carezze calde dell'aria, il suo corpo, saturo di giovinezza, si lasciava vincere dal molle e voluttuoso languore, e una sonnolenza mista a sussulti la teneva , col seno compresso sul davanzale e il corpo abbandonato. Però di un tratto si scosse; aveva visto un'ombra scavalcar la siepe dell'orto, o, guardinga accostarsi alla scaletta.

Ligiuzzo.... sei tu, Ligiuzzo? — mormorò, svegliandosi dal torpore e sporgendo la testa.

L'ombra, giunta alla scaletta, sostò: ella sgomenta, tornò a chiedere:

Rispondimi Ligiuzzo!

— Per me no, per me. Aspettavi lui, dunque?

Ella scese rapidamente la scaletta. Quando fu dinnanzi al giovine, retrocesse sbigottita; gli occhi di lui lucevano sinistri; aveva gli abiti in disordine e macchie nerastre qua e per la persona.

Di', che hai? che ti è successo? — esclamò la giovinetta.

— Nulla.… ho voluto vederti.... cioè no, veder la casa, veder il luogo ove tante volte mi dicesti di amarmi... ora addio,.. per sempre. Ti perdono, chè altrimenti dovrei ucciderti.

Ligiuzzo, Ligiuzzo! — esclamò lei — ma io son tua... sì... pigliami, sì, portami dove vuoi. Stamane mamma, insospettita, mi disse che mi avrebbe fatto coricare nel suo letto... Ecco perchè ti mandai a dire che non fossi venuto. Ma io ho deluso i loro sospetti e ti aspettavo. Ecco, pigliami, sono tua!

E gli gettò le braccia al collo, ma, nello stringerlo al petto, retrocesse con un grido:

— Tu sei bagnato... Dio mio, che è successo?

Si guardò le mani tinte di un liquido nero.

— Ma è sangue, è sangue tuo... parla... sei ferito?

— Sì — mormorò lui — sì, ho due colpi di scure, uno al petto, l'altro nel fianco... ho creduto che tu non mi amassi più, che tu mi avessi fatto quella promessa per salvar lui, e stasera l'ho sfidato...

— O Madonna, o Madonna mia! — esclamò con un gemito la giovinetta.

— Egli ora è proseguì il giovine con voce sommessa e balbettante — è , in fondo al vallone, con la testa spaccata... Io ho leccato il sangue delle scure per fuggir meglio, ma non so come mi son trovato qui.... Addio.... i carabinieri vanno in giro e non voglio andare in carcere... Ricordami, addio!

E con subito impeto la prese in braccio, la baciò con furia su le guance, negli occhi, in bocca, poi, respingendola con violenza, si diè a correre, scavalcò la siepe, e precipitossi giù per la china.

Ella cadde col volto e le vesti bagnate di sangue. E intanto dalle viuzze del paesello venivano strimpellìi di chitarre e voci avvinazzate che cantavano:

Oh come è bello di morire accisu

Supra la porta de la nnamurata!

L'anima si ni vola 'mparadiso,

Lu cuorpu si lu ciangia la scasata!

 

 




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