In verità non
aveva torto chi diceva, che Stella, la figliuola di Massaro Giovanni, era la più
bella ragazza del villaggio; mai sotto tovagliuola di tela si era delineato
volto più leggiadro, avean sorriso labbra più rosse, aveano raggiato occhi più
neri; mai corpetto azzurro di contadina avea stretto seno più tornito e vita
più snella, e mai gonna rossa a mille pieghe aveva nascosto forme più ben
fatte. E non era soltanto la più bella, ma anche la più ricca ragazza da
marito, e molti galantuomini che vestivano giamberga non avevano di
patrimonio quanto ella aveva di collane, di orecchini, di anella. Massaro
Giovanni, ricco come era, non aveva smesso i calzoni corti, la giacca di
fustagno e le grosse scarpe dalle suole ferrate, ed era rimasto pur sempre
contadino nel lavoro, nell'abitudine e nella parsimonia. Però non aveva voluto
che la figliuola andasse a lavorare nei campi, a sarchiare, a mietere, a
battere il grano, o a raccogliere le castagne; ond'era cresciuta con un non so
che di signorile nella persona delicata, e il cibo abbondante, le vesti calde e
l'agiatezza della casa paterna avean contribuito a far di lei la più vezzosa
fanciulla del villaggio.
E perchè bella ed
anche perchè ricca, molti mosconi le ronzavano intorno. La notte, nella
stradicciuola sotto le finestre di lei, era un continuo strimpellar di
chitarre, un continuo vociar di canzoni: si diceva financo che il figliuolo del
sindaco ne fosse matto, ma a chi gliene tenne parola massaro Giovanni avea
risposto:
— Meglio pancia
piena e tovagliuola di tela, che stomaco digiuno e cappellino di velluto.
Ed alludeva, in
dir ciò, alle cattive condizioni finanziarie de1 sindaco, le cui figliuole
spendevano e spandevano in abiti, in nastri, in fronzoli e in cappellini,
mentre per più giorni dell'anno la pentola non bolliva sul focolare; e a chi
gli veniva consigliando di pensare al lustro che a lui, contadino, sarebbe
venuto da un parentado con signori, massaro Giovanni rispondeva:
— Il marito di mia figlia deve avere
polsi da domare un toro e schiena da sollevare un carro. Io son massaro e mia
figlia ha da sposare un massaro. Del resto il marito glie l'ho bell'e trovato,
è inutile consumar più oltre i ciottoli della via e assordar l'aria con
canzoni. Ci vogliono altro che canzoni per beccarsi la dote e la figliuola!
E infatti, ci
aveva pensato al marito. Un suo cugino, ricco quanto lui, e più di lui forse,
per una eredità di fresco conseguita, aveva un figliuolo, tornato da poco
dall'esercito ove avea servito nei bersaglieri e si era congedato col grado di
caporale. Quando tornò al villaggio col suo berretto rosso, col suo abito
azzurro cupo, attillato alla persona robusta e ben fatta, con le mostre rosse
sulle maniche, con quei due baffettini a punta e quell'aria di saputo e quel
piglio altiero un po' sprezzante, attenuato da un sorriso di affettuosa
protezione, ben presto divenne il giovinetto più ammirato dalle ragazze, per la
sua bella e forte figura di bersagliere, cui accrescevan grazia la disinvoltura
di modi e di linguaggio, e quel suo accento forestiero quando diceva: “Ciao,
bimbe” tra una boccata e l'altra di fumo del suo lungo virginia; dai
giovani, perchè ei ne sapeva tante, ne contava tante ed era forte come un toro
e destro come un giocoliere. Un giorno nella piazzetta innanzi la chiesa, avea
dato un saggio di ginnastica e di scherma col bastone, e i contadini erano
rimasti a bocca aperta nel vederlo correre, arrampicarsi, saltare, che parea,
come essi dicevano un gatto indiavolato; far mulinelli, calar giù colpi, far
finte, raccocciarsi, distendersi con tanta grazia e con tanto vigore; sicchè,
quando si seppe che la figliuola di massaro Giovanni era fidanzata a Peppino il
bersagliere, nessuno trovò a ridire, e i più ostinati a consumare i ciottoli
della via e ad assordare, la notte, l'aria con canzoni, smisero dalle loro
pretese, tanto più che Peppino il bersagliere aveva pugni solidi ed era tacco
da farsi rispettare.
Però, fra i giovani del villaggio, uno, un tal
Ligiuzzo, boscaiuolo, parea covasse un odio sordo contro il bersagliere. I
motivi, si pettegolava nel paesello, eran due: uno palese, l'altro, il vero,
nascosto. Ligiuzzo e Peppino erano un po' parenti e tutti e due i nipoti di un
tal Ciccotto, che morendo aveva lasciato il suo avere, circa mille ducati, una
ricchezza, al padre di Peppino. Massaro Cola, il padre di Ligiuzzo, contadino
litigioso, cocciuto e nella sua giovinezza molto manesco e accattabrighe, si
era messo in testa che il cugino avesse falsificato il testamento di Ciccotto,
e qui una causa innanzi ai tribunali, andata molto per le lunghe, e infine
massaro Cola ebbe torto e dovè pagare le spese e risarcire i danni: una rovina.
Fu costretto a vendere la masseria, il castagneto, l'orto, i buoi, e non gli
rimase che la casa, sicchè per la sua cocciutaggine si ridusse povero in canna.
Immaginate quindi quale odio covassero quel vecchio e quel giovane per coloro che
erano stati causa della loro rovina.
Era questo il
motivo palese; ma ce ne era un altro occulto. Ligiuzzo, che era un bel pezzo di
giovane, crebbe insieme alla figliuola di massaro Giovanni, e avean fatto
l'amore sin da quando, bambini, si rincorrevano per l'orto o sedevano fra i
cespugli sgranocchiando le spighe del granturco. Poi, massaro Giovanni, cugino
del padre di Peppino il bersagliere, nell'affare del testamento era stato
citato come testimone ed avea dato torto a massaro Cola, che se l'era avuto a
male ed aveva proibito al figliuolo di porre piede in casa di quel Giuda
venduto di massaro Giovanni; e questi aveva dichiarato alla figliuola che
l'avrebbe data in moglie al diavolo, ma non al figlio di quel calunniatore
senza vergogna di massaro Cola, e, forse, per dispetto, combinò il matrimonio
con Peppino il bersagliere, con gran dolore della giovinetta, perduta d'amore
per Ligiuzzo. I due giovani avevano continuato nel loro affetto, che
contrariato, si era accresciuto a mille doppi, quantunque disperassero, perchè,
troppo vive erano state le offese, ed anche perchè Ligiuzzo era troppo povero
per superare gli ostacoli che impedivano la loro unione.
La gelosia e
l'odio per Peppino il bersagliere battagliavano sordamente nel cuore di
Ligiuzzo, e già nel paesello si prevedeva che quell'affare lì sarebbe finito
male. Se Peppino era forte e coraggioso, Ligiuzzo non gli cedeva nulla,
all'occorrenza se le avrebbe saputo vendicarsi le corna o cacciarsi le mosche
dal naso. Si temeva che nella ricorrenza della festa di San Rocco, patrone del
villaggio, i due rivali — che nei giorni di lavoro come erano dall'alba al
tramonto nei campi, non avevano occasione d'incontrarsi — si sarebbero trovati
a fronte, in un giorno che ad onore e gloria del santo, il vino si tracanna a
barile e la pancia piena di cibo fa corrivi al sangue. Di più si diceva che
Peppino il bersagliere aveva detto che anche lui avrebbe incantato allo
stendardo, il quale da anni ed anni era stato portato da massaro Cola per 12
tomoli di grano, e nessuno aveva mai osato di offrir di più, nessuno, nemmeno
quando massaro Cola aveva ceduto il suo diritto al figliuolo Ligiuzzo. Ciò
sarebbe stato un grave sfregio, e ognuno sa quanto sangue han fatto scorrere
nei paeselli del Calabrese, i così detti incanti, che consistono
nell'offrire un prezzo, in danaro o in derrate, per aver il diritto di portare,
nelle processioni, la statua del santo, lo stendardo o la croce; dritto che
appartiene a chi offre di più, ma che talvolta è ereditario in una famiglia. Il
sindaco, cui erano giunte quelle voci, impensierito, invece di due aveva fatto
venire quattro carabinieri, che, fin dalla vigilia, andavano in giro pel
paesello, con la rivoltella al fianco e le manette nello zaino.
Così stavano le
cose, la vigilia di S. Rocco.
Dopo le cerimonie religiose che precedono la festa,
i contadini erano tornati nelle case e, disposto il tutto per la solennità del
domani, si erano coricati.
Il paesello
dormiva. Ligiuzzo, scavalcata la siepe che divide dalla strada maestra l'orto di
massaro Giovanni, si appressò alla scaletta che mette capo al ballatoio e die'
un fischio acuto e sottile, poi stette in ascolto. Nell'ombra, la sua forte
figura di montanaro spiccava come scolpita. Fischiò di nuovo, rodendosi dalla
impazienza, poi tese le orecchie, aguzzò gli occhi, chè gli era parso di vedere
aprirsi la porticina del ballatoio e di sentire il cigolìo dei cardini.
Infatti, prima la
testa, poscia la persona di una donna si sporse fuori la balaustrata di legno,
ed una voce sommessa si udì:
— Sei tu,
Ligiuzzo?
— Sì, scendi.
— Aspetta ancora
un poco. Mamma stanotte non so che abbia; si volta e si rivolta pel letto.
Aspetta che si addormenti.
La porticina si
rinchiuse; il giovane rimase immobile col braccio sui gradini della scaletta e
gli occhi fisi nel vuoto a sè dinnanzi. Sul dorso dei monti lontani volavano
lievi fiammelle che sparivano per riapparire più in là. Giù nella vallata, in
fondo alla strada maestra, con sordo murmure scorreva il fiume fra il gracidìo
delle ranocchie. Lontano, latrava un cane da pastore; lieve un pispiglio si
udiva fra gli alberi dell'orto, poi silenzio. Dalla campagna, turgida di umori,
un'aria calda si elevava con profumi acri di erbe e di frutta.
La porticina si
tornò ad aprire; una figura di donna apparve esitante nel vano della porta che
si rinchiuse pian pianino; poi, sostando ad ogni gradino, quella figura si die'
a scendere la scaletta. Ligiuzzo l'aspettava trepidante con le braccia tese e
soffocando il respiro. Quando l'ebbe vicino, dicendole con voce commossa come
un mormorìo:
— Credevo che non
venissi stanotte.
— E perchè? —
domandò lei, tuttora tremante.
— Perchè quando
son solo, lontano da te, a me pare che tu non mi voglia più bene, e allora ho
certi impeti di gelosia...
— Senti, Ligiuzzo,-
- interruppe lei, — tu con tali sospetti logori l'anima tua e non sai quanto
male fai a me. Ma di che puoi dubitare? Di me? E non vedi che sono qui, sola,
affrontando ogni rischio? Eppoi te l'ho giurato in chiesa, ai piedi del nostro
glorioso protettore S. Rocco, di esser tua... e ti pare che vorrei perdere la
salute dell'anima col venir meno al mio giuramento?
— Ah, sì, tu
dunque mi ami perchè lo hai giurato a San Rocco! — disse lui con un sorriso di
amarezza.
— Come sei
cattivo, ora, tu! non eri così un tempo; son le disgrazie che ti han fatto così
e che hanno inasprito il tuo carattere... Ma infine che vuoi che faccia? Lo so
bene quel che vorresti da me... vorresti che io non lo vedessi più quel
giovinastro che mi hanno destinato a marito. Ma gli posso chiudere la porta in
faccia se mio padre se lo tira in casa a pranzo, a merenda, a cena, e mamma si
diverte tanto nel sentirlo discorrere? o che la casa e mia? o che sono io la
padrona? Pure non gli risparmio gli sgarbi, le cattive parole, e lo sa Dio
quante me ne tocca sentire, poi, da tata e da mamma! Davvero, sei proprio
ingiusto con me ed anche ingrato, sì, ingrato!
E con la cocca
del grembiule si asciugava le lagrime che silenziose le scorrevano giù per le
gote.
— Sì, — rispose lui, che fisso in un
pensiero non si era accorto del pianto di lei; — sì, dici bene tu, ma se
sapessi che tormenti soffro quando lo so vicino a te, e me lo immagino seduto a
te dappresso, nel focolare, a mensa, e ti parla e ti sorride e ti guarda e ti
carezza con lo sguardo e ti considera già come cosa sua... suoi quei tuoi
occhi, sua quella tua bocca, suo il tuo corpo, tutto suo... e forse, malcreato
come egli è, ardisce... Se tu sapessi, quando son solo, sulla montagna,
costretto a vangare la terra per pochi soldi e talvolta anche quella che mi
appartenne... quando veggo quella casetta ove crebbi, quegli alberi che tata
piantò nell'istesso giorno del mio nascimento, quei buoi che or fa un anno
erano miei, che nacquero nella mia stalla, e che quando mi incontrano par che
mi guardino coi loro occhioni come se volessero dirmi tante cose... se tu
sapessi che tormenti allora! E tutto ciò per colpa di quel falsario di massaro
Peppe, di quel ladro! Se tu vedessi tata, poveretto, come è ridotto.... dicono
che la colpa è sua, che non doveva litigare; ma, per la Madonna! ci rubavano il
sangue nostro, e dovevamo anche star muti e reverenti? Eppoi chi poteva mai
credere che tuo padre ci facesse una testimonianza contraria e che si
trovassero di tali giudici da darci torto? Ma infine, mi sarei rassegnato;
povero, morto di fame; ma se tu avessi diviso il mio pane di castagne e la mia
scodella di cavoli, non ci avrei pensato più e sarei vissuto contento. Ma no,
il padre mi ha tolto i mille ducati di zio Ciccotto, ci ha fatto vendere il
castagneto, l'orto, la masseria, i buoi... ed il figliuolo mi toglie la
fidanzata, e quando mi vede mette di sghembo il suo berretto rosso, s'arriccia
i baffi e mi ride sul muso! Io glielo farei in mezzo al petto un buco rosso, ma
verrà, verrà il mio giorno... Per Gesù Cristo, io sono stato sempre un buon
figliuolo, e tu lo sai, non ho fatto male neanche ad una mosca; il maestro,
quando andavo a scuola, mi voleva un bene dell'anima, perchè ero studioso,
educato e imparavo presto e bene; ci rispettava, ci stimava ognuno, perchè un
piatto di minestra, un tozzo di pane, un bicchiere di vino non fu mai negato a
nessuno... e intanto, noi nella miseria, e quegli usurai, che prestano con
l'interesse a carlino, quelli lì ricchi, contenti…, Per lo Signore, Stella, certe
volte il sangue mi monta alla testa; un giorno o l'altro finirà male, finirà
male, come è certo Dio!
Ella lo ascoltava
con gli occhi bassi e lagrimosi. Quando tacque, gli si strinse al petto,
dicendo con accento tra il corrucciato ed il supplichevole:
— No, Ligiuzzo,
no, questo non lo devi pensare, non lo devi dire, e non le devi nemmeno
esagerare le cose, nè credere che massaro Peppe ed il figliuolo vogliano
attaccar briga con te, che anzi ne han parlato sempre con stima in casa mia. Di
tuo padre non dico; e invero, poi, litigioso lo è, e la lingua l'ha bene
affilata. Tutti dicono che nell'affare del testamento ebbe torto, e per lui
massaro Peppe stette tra ventinove e trenta per andare in galera come falsario.
Quale colpa ha lui se si difese e se suo padre, incaponito, si fe' mangiar vivo
dagli avvocati? Siamo giusti.
Egli saltò su,
svincolandosi dalle braccia di lei: — Ah, proruppe, — tu li difendi! ah, tu dài
ragione a quegli infami che non onoro nemmeno del nome di briganti, perchè
questi rischiano la pelle benedetti siano! Ed è questo il tuo affetto? è questa
la tua fede? son queste le tue promesse? Già, sicuro, ad albero caduto, accetta
accetta, dice il proverbio; ma io, vedi, io te lo scanno quel figlio di mala
femmina... Mettilo bene in mente, tu con lui non ci andrai alla chiesa, chè se
fa d'uopo, vi accoltellerò anche innanzi al Santissimo Sagramento!
— Ma che ho
detto, Madonna mia? ma che ti salta in testa? - -gli veniva dicendo la
giovinetta fra i singhiozzi e le lagrime. — Vedi come l'odio ti fa ingiusto? te
la pigli anche con me, e davvero non me lo merito il tuo sdegno, no, non me lo
merito... Vedi, son qui, fa' di me quel che vuoi, ma non rimproverarmi più. Se
tu sapessi quanto ne soffro per te, quanto ne soffro.... e il tuo sdegno per giunta!
Proprio la Madonna mi vuol punire dei miei peccati, mi vuol punire!
E singhiozzava
con la testa fra le mani. Egli la contemplò a lungo, rabbonendosi a poco a
poco; poi le sollevò la testa, le asciugò gli occhi, dicendole con voce
carezzevole:
— Via su,
perdonami non pianger più, perdonami, ti dico! Tu poi non sai tutto, se sapessi
tutto mi daresti ragione. Dimani è San Rocco, e mio padre ebbe sempre l'onore
di portare lo stendardo nella processione. È una devozione di famiglia, e
quando eravamo ricchi, al ricolto, i primi 12 tomoli di grano si mettevano da
parte per la nostra offerta nel dì degli incanti. L'anno scorso, in cui tata
cedè a me il suo diritto, Dio sa come li raggranellammo...: Quest'anno, vuoi
che ti dica tutto? tata che vecchio, logoro dalle afflizioni, tata ha lavorato
come un cane quest'anno, si è privato di tutto, del fuoco, della minestra, del
pane, per mettere da parte i 12 tomoli che occorrono dimani, capisci? e l'ho
visto io, quel povero vecchio, andar digiuno a letto per non togliere neanche
un acino a quei dodici tomoli! E dimani quello lì oserà soperchiarci con le sue
ricchezze male acquistate che gli permetteranno di offrir chi sa quanto... E
non sarà un'infamia questa, di', non sarà un'infamia! Per la Madonna del
Carmine che ci protegge e mi ascolta, domani gli darò tanti colpi di coltello
per quanti acini di grano avrà offerto di più quel cane rognoso.
Ella cercava di
calmarlo.
— Ma no — gli
diceva — ma no, non lo credo capace di tanto, non oserà.
— Oserà, oserà,
vedrai. Egli, perchè finora sopportammo in pace le sue e le ingiurie di suo
padre, ci crede più vigliacchi di una pecora; ma domani troverà lupi con le
zanne aguzze, e se lo mangeranno vivo, te lo giuro su questa croce.
E baciò su le
dita incrociate. Ella allora si alzò risoluta; lo prese per il braccio e gli
disse:
— Senti,
Ligiuzzo, è tardi e debbo risalire, che mamma e tata possono svegliarsi e
allora povera me; ma io ti fo una promessa, a patto che tu me ne faccia
un'altra. Ti prometto che se il figlio di massaro Peppe dimani oserà mancare di
riguardo a te ed a tuo padre, e vincerà nell'incanto, dimani notte,
all'istess'ora, io sarò qui e ti seguirò ove tu vorrai; ma tu giurami che
sopporterai in pace l'offesa, giuralo, che anche io son pronta a giurare.
Egli restò
perplesso.
— Tu esiti —
continuò lei, — ma sei tu, dunque, che non mi ami. Infine che importa a te
dello stendardo, quando io in cambio ti offro tutta me stessa? È una devozione,
ma san Rocco lo sa che tu e tuo padre avete fatto del vostro meglio, e non ve
ne terrà in colpa. Giura dunque.
— Ma — balbettò
lui — e mio padre? A lui non posso dire del patto che mi obbligherebbe a
sopportar le offese con rassegnazione, chè quel vecchio, io lo conosco, sarebbe
di tutto capace.
— Tuo padre col
tempo si persuaderà e sarà anche soddisfatto, della vendetta; se quello liìti
toglie lo stendardo, tu gli porti via quella che gli destinano in moglie. A san
Rocco penseremo poi: ai 12 tomoli aggiungeremo altri 12, altri 20, se occorre,
e li regaleremo al santo glorioso che non ci avrà perduto con lo aspettare.
Dunque giuri?
Lui, combattuto da sentimenti
diversi, esitava ancora; ella lo accarezzava, lo baciava, stringendoselo al
petto che ei sentiva morbido e caldo sul suo; inebriato da quelle carezze che
gli accendevano il sangue, balbettò:
— Sì, lo giuro,
sull'anima di mamma, che benedetta sia.
— Ebbene dunque
va': buona notte, a dimani.
E si die' a
salire la scaletta; quando fu su ballatoio, mandò un bacio all'amante che
l'aveva seguìta con gli occhi, poi aprì la porta ed entrò pian pianino in casa.
Egli rimase buon
tratto appoggiato ai gradini della scaletta, col cuore gonfio di una soave
tenerezza per la fanciulla che con quella promessa gli aveva dato la prova più
solenne d'amore.
San Rocco era in mezzo alla chiesa.
L'avevano tolto dalla nicchia e spolverato, ridipinto, appuntellato perchè non
traballasse sul piedistallo quando l'avrebbero portato in giro per il paese.
Col carminio e il nero di fuliggine gli avevano allargato la piaga della gamba,
che parea proprio sanguinante coi margini lividi.
La chiesa era
parata a festa: lunghe e larghe strisce di carta colorata cadevano dall'alto, e
sull'altare maggiore cento candele disposte a piramide biancheggiavano fra i fiori
di carta, i vasi e le dorature. In un angolo il baldacchino di seta, scolorito
dal tempo, s'ergeva raccolto ed appoggiato al muro, col bastone dorato dei
priori ed il gran crocefisso, spolverato, ridipinto ancor esso. Lì vicino era
pure lo stendardo, il cui panno rosso, con l'effigie in mezzo del santo
glorioso, cadeva floscio avvolto all'asta lunga e pesante.
Nella chiesa era
un gran via vai e un gran vocìo. Accosciate sul pavimento, le contadine
bisbigliavano pigiandosi, e talvolta invadendo anche lo stretto passaggio
lasciato nel mezzo; invano il vecchio prete, che andava attorno con un lungo
accenditoio, perduta la pazienza, le veniva ammonendo di cessar da quel
diavolìo e di lasciar libero lo spazio.
— Vi credete
d'essere in cantina o coi porci! — gridava. — Scendi da quell'altare, faccia
d'impiccato! Se non zittite, vi darò tanti calci quanti capelli avete in testa.
Ma quelle non
zittivano, e il sacrestano già colpi di accenditoio sulle spalle, sulle teste,
bofonchiando:
— Sgualdrine
maledette! credono di essere in un... dove son nate.
Innanzi alla
porta della sacrestia i preti infilavano le cotte su i lunghi camici, ciarlando
ad alta voce, e i chierici dondolavano i turiboli per mantener vivo il fuoco.
Dalla porta della sacrestia e da quella maggiore di entrata, ove in un
capannello il priore questionava con alcuni contadini incamiciati anche essi,
si scambiavano ad alta voce parole e domande, con qualche bestemmia mormorata
fra i denti. Dirimpetto la statua del santoauto, buon numero di contadini, i
cui piedi larghi e massicci, calzati di grosse scarpe o di uose assicurate con
cordicelle, uscivano fuori dai gheroni del camice bianco, seduti e appoggiati
al piedistallo della statua, aspettavano che il priore si sbrigasse per dar
principio agli incanti. Su i camici, fra lo sparato dei quali gareggiavano i
petti villosi, tenevano i medaglioni di stagno con l'effigie di S. Rocco;
alcuni, ed erano i titolati dell'Arciconfraternita, avevano sugli omeri le
mozzette color viola, altri, a tracolla, una fascia rossa.
Fuori, nello
spiazzo innanzi alla chiesa, i contadini si affollavano attorno i venditori di
pasta col miele, di santini o di frutta, o attorno un tale che teneva giuoco di
rolletta. I monelli ballavano al suono di due tamburi e di una gran cassa che
fin dalla sera innanzi avean rullato e rimbombato da rompere le orecchie. Nelle
bottegucce del vinaio, del venditore di generi coloniali e di commestibili,
nelle tavernuole imbiancate di fresco, su i cui banchi innanzi alla porta
facean bella mostra le fritture in ampi bacili, le carni lesse e le cosce
sanguinanti di castrati, i contadini si affollavano per far le spese del pranzo
e per bere un bicchiere. Sotto una tenda c'era una bottega di sorbettiere, ove
per un soldo si dava un bicchiere di limonata o di acqua col sambuco ai
contadini, i quali facevano sfoggio del loro abito festivo, calzone lungo di
felpa, corpetto rosso e giacca di fustagno con le mostre verdi e i bottoni di
metallo lucido. Dalle finestruole sporgevano le teste delle contadinotte, e in
fondo, nei balconi della Casa comunale, la signoria del paese, il sindaco colle
figliuole, la nipote del parroco, la sorella del segretario comunale, ed altre
ed altre facevano pompa degli abiti di gala, adorni di nastri, di trine, di
fronzoli.
Nel mezzo della
piazzetta quattro contadini erano intenti ad infliggere nel suolo le travi per
l'impalcato, su cui dovevano disporsi i fuochi d'artificio, le girandole, i
panierini volanti e i due fantocci di carta con una grossa bomba per testa e
col ventre pieno di razzi. Le grida dei venditori, il rullìo dei tamburi,
rinforzato dai colpi cupi della gran cassa, il ripicchiare degli operai, il
vocìo della folla facevano un tumulto assordante in contrasto con la quiete del
paesello, la cui vita parea riversata su quello spiazzo, mentre nelle
stradicciuola fangose, fatte deserte e mute, grugnivano presso le chiuse porte
i maiali e razzolavano le galline. I pennacchi dei quattro carabinieri, severi,
con la rivoltella al fianco, erravano qua e là tra la folla nera e brulicante.
La porta della chiesa spalancata
lasciava veder l'interno; nella penombra luccicavano l'oro e l'argento
dell'altar maggiore fra il bianco delle candele; e in alto, sul suo
piedistallo, San Rocco, vestito di rosso; su i tetti della chiesa il campanile
s'ergeva dritto e bianco con le campane dondolanti, gli squilli delle quali si
spandevano per l'aria azzurra, in cui splendeva il sole caldo e giallo di
agosto.
Presso la statua,
aspettavano il priore massaro Giovanni, massaro Peppe col figliuolo Peppino il
bersagliere, e molti altri contadini. In un angolo, seduto su i gradini di un
altare, massaro Cola discorreva col figliuolo Ligiuzzo. Massaro Cola era un
vecchio magro ed alto, col viso dai riflessi d'argento per la peluria bianca e
arabescato di rughe profonde; gli occhi, orlati di rosso, splendevano accesi
come nella giovinezza. Padre e figliuolo vestivano il lungo camice, che nel
sedere avevano rimboccato sulle ginocchia. Coi gomiti sulle cosce, con la testa
fra le mani, il vecchio guardava Ligiuzzo, che, inquieto, tenea gli occhi fissi
sulla porta d'entrata.
— Senti — gli
veniva dicendo — io non voglio che tu dica una parola, capisci? Devi lasciar
fare a me. Vedrai, sarò calmo. Infine, tutto ciò si fa per devozione, n'è vero?
e San Rocco lo vede che si è fatto quello che si è potuto. Se poi i bricconi,
gli intriganti, i camorristi ci si mettono di mezzo, non è colpa nostra. Quando
avevo vent'anni, non avrebbero osato, no, non avrebbero osato... sai che
avresti veduto in chiesa? una carneficina. Ora son vecchio e bisogna piegare il
capo... Ma sai che voglio da te? che te ne stia quieto e tranquillo, capisci!
lascia fare a me che son vecchio, hai inteso?
— Sì, ma tu
stesso dici che se avessi venti anni... io invece ne ho venticinque e, per la
Madonna!...
— Sta' zitto,
scomunicato, non bestemmiare, che stiamo in chiesa... Tu poi non devi dar retta
a quel che mi esce di bocca, e devi pensare che hai un padre e, per Gesù
Cristo, se ti accadesse qualche disgrazia, darei loro tante puntate di coltello
per quanti acini di grano si seminano nel Marchesato.
Poi, verso
Peppino il bersagliere, che sbarbato di fresco, con le scarpe lucide e un largo
collare bianco sulla giacca, indossava ridendo e motteggiando il camice:
— Guardalo là
quel furfante, quel figlio di ladro, con quella faccia d'impiccato di suo
padre! Io non so come San Rocco permetta che quella gente venga in chiesa! Sì,
proprio, si fa un bell'onore San Rocco, col lasciarsi portare da quei quattro
farabutti! Vedi come ci guardano. Ed hai ragione, sì, sono i minchioni che han
torto, son le pecore che si scannano... Oh! santo diavolo, me li mangerei vivi.
E gli occhi del
vecchio s'accendevano, le mani convulse brancicavano su le ginocchia.
— Tata, — disse
Ligiuzzo, — tu predichi a me pazienza e rassegnazione, e intanto...
— Si, hai
ragione, — rispose il vecchio, mordendosi le labbra per contenersi. — Sicuro, —
riprese — se non stai quieto al tuo posto, ti darò tanti schiaffi per quanti
capelli hai in testa.
Un bisbìglio
corse per la chiesa: era entrata massara Peppina, madre di Stella, con la
figliuola, che in quel giorno faceva sfoggio delle vesti più pompose. Alla
leggiadra e delicata figura della giovinetta accrescevano vaghezza i colori
vivi della gonna rossa e del corpetto celeste allacciato al seno ricolmo e
fornito con nastri di seta. Al collo bianco e grassoccio rosseggiava una
collana di corallo, e sotto la tovagliuola bianca coi margini ricamati
rilucevano i lunghi pendenti di oro massiccio. Camminava a lato della madre,
tenendo con una mano la pezzuola per un dei capi, stretta al grembo, con
l'altra i lembi inferiori della tovagliuola per nascondere con selvaggia
timidezza il collo e metà del viso. La madre, impettita come si conviene a
ricca massara, vestiva la gonna scura e il corpetto color caffè con una corazza
rilucente di spille, di medaglie, di collane in mezzo al petto, e con le dita
fino alla terza falange coperte di anella. Attraversarono la chiesa e vennero a
inginocchiarsi presso i gradini dell'altare ove sedevano massaro Cola e il
figliuolo Ligiuzzo, il quale era rimasto estatico a contemplare la giovinetta
che gli aveva fatto un lieve cenno. Poi le due donne aveano tratto di tasca la
coroncina e si eran messe a biascicare il rosario.
— Eccole qui
queste pettegole, — borbottò massaro Cola... — Sì, guardala, mangiala con gli
occhi quella figlia di Giuda! Si cura tanto di te quanto di un pelo di capra.
Intanto il priore
ed il parroco avean preso posto innanzi alla statua di S. Rocco. Tutti si
alzarono in piedi; un sordo vocìo corse per la chiesa, che si riempì di un
subito. Si fece cerchio, e i quattro, cui spettava l'onore di portare la statua
di S. Rocco, fecero la loro offerta. Nessuno rispose, e in verità l'incanto
era una formola, perchè nessuno mai aveva osato di far concorrenza ai quattro
ricchi massari, fra i quali erano massaro Peppe e massaro Giovanni, come non
era stata fatta al padre di Ligiuzzo, cui spettava lo stendardo.
Il priore infine
gridò:
— In onore e
gloria di San Rocco, si mette all'incanto lo stendardo.
— Dodici tomoli
di grano pel mio figliuolo Ligiuzzo, — gridò massaro Cola, che si era alzato.
— Vi è chi offre
di più? — chiese ad alta voce il priore.
— Quindici tomoli
per me — si rispose; e rompendo il cerchio, si fece innanzi Peppino il bersagliere.
Corse per la folla un susurrìo: i
più lontani si alzarono in punta di piedi per veder meglio; i più vicini sì
addossarono su quelli del primo cerchio; qualcuno mormorava:
— L'ha detto e
l'ha fatto.
Messaro Cola aveva
dato un balzo come colpito da uno schiaffo, e seguìto dal figliuolo si era
fatto innanzi. Guardò in giro con lampi minacciosi negli occhi e con le membra
tremanti per l'ira. Peppino giocherellava come distratto coi nastri del camice.
Le due donne si
erano alzate. Stella, tremante anch'essa, si era avvicinata a Ligiuzzo, chè la
madre non le badava, tutta intenta a quel che avveniva nel mezzo della chiesa.
— Quindici tomoli
per Peppino il massaro. Ci è chi offre di più? — chiese il priore.
— Sedici —
bofonchiò massaro Cola, con la strozza e i denti stretti.
Non aveva ancora
finito, che Peppino il bersagliere, il quale faceva il distratto, disse, senza
alzare il tono della voce:
— Venti per me.
Ligiuzzo era
pallido, si mordeva le labbra, si torceva convulso le mani. Pure riuscì a
contenersi, e voltosi al padre che ansava con gli occhi torti:
— Tata,
andiamocene, tu ti rovini... è una brutta giornata questa.
— Venderò il
letto, venderò il porco, venderò la casa, ma quel figlio di mala femmina non la
deve vincere. Venticinque ! — gridò poi, guardando fieramente in giro.
— Al pagamento ti
voglio. Dove li piglierà quel pezzente venticinque tomoli di grano? — esclamò
Peppino il bersagliere.
— Ah canaglia! a
me pezzente! bastardo rognoso, ora ti strappo le budella!...
E stava per
slanciarsi, ma Ligiuzzo lo prese fra le braccia e lo trasse dietro, mentre gli
altri contadini trattenevano Peppino il bersagliere. Ne nacque un tafferuglio;
grida, minacce, urli, imprecazioni; il parroco ed il priore, saliti sopra una
sedia, gridavano gesticolando per ristabilir la calma, e i carabinieri si
facevano largo tra la folla per accorrere. Stella intanto si era avvicinata a
Ligiuzzo che teneva stretto fra le braccia il padre, il quale ruggendo e
sbuffando facendo sforzi per liberarsi, e rapida e sommessa gli aveva detto:
— Ricòrdati che
hai giurato, ricòrdati. Stasera ti aspetto.
Egli, coi denti
stretti e con la parola che gli fischiava fra le labbra pallide per l'ira;
— Quante me ne
farai fare tu... Ah se non avessi giurato sull'anima di mamma!
— Lasciami —
urlava il vecchio — lasciami, vigliacco!
— A me vigliacco?
a me, tata, vigliacco?
- - A te, sì;
lasciami.
— Intanto, un po'
con le buone, un po' con le cattive, i carabinieri, il priore, il parroco
avevano ristabilito la calma intorno alla statua, quantunque ancora la gente,
in crocchi nel mezzo della chiesa e presso gli altari, quistionasse. I pareri
erano molti e i giudizi diversi.
— Dunque — gridava il priore —
vogliamo continuare questo benedetto incanto? Bella festa che facciamo a San
Rocco!
E voltosi al
santo, che immobile sovrastava alla folla:
— Perdonali, San Rocco mio
benedetto, che infine tutto si fa per tuo onore e gloria.
Poscia alla
folla:
— Siamo ancora ai
25 tomoli offerti da massaro Cola. Ci è chi offre di più?
— Trenta —
rispose Peppino il bersagliere, che si annodava i lacci del camice sciolti nel
tafferuglio.
Intanto i
carabinieri accompagnavano fuor della chiesa massaro Cola e Ligiuzzo che si erano
svestiti dei camici. Il vecchio parea quasi calmo: di tratto in tratto però si
fermava, tentennando la testa e gonfiando le gote. Ligiuzzo lo seguiva a testa
bassa.
Quando i
carabinieri, dopo averli esortati a rincasare, li lasciarono soli, il vecchio
si morse le mani mormorando:
— A settant'anni
essere umiliato così!
— Tu non hai
voluto, tata — diceva il giovane.
— E non voglio, capisci? — rispose
il padre, che aveva compreso il senso di quelle parole. — Si sa, i tempi son
mutati... cinquant'anni or sono, nemmeno San Rocco gli avrebbe salvato la
pancia a quello lì, ma ora si studia sui libri, si va a scuola ci insegnano che
quando si riceve uno schiaffo si deve voltar l'altra guancia. Oh! per Gesù
Cristo, che gli avrei mangiato il cuore...
Si fermò di botto, e figgendo gli occhi negli occhi del figliuolo:
— Senti,
Ligiuzzo, io son vecchio, e morire in casa o morire in galera per me è lo
stesso.
— Tata, tu
insomma vuoi che lo scanni? Ma abbi un po' di pazienza e vedrai, vedrai che gli
è serbato!
— Sì, al mese di
giammai! Così parlano i vili. Me la vedrò io, capisci? li farò tornare io a
casa, raccolti in una coltre, lui e quel falsario di suo padre.
La processione, annunciata da un
festoso scampanìo e dallo scoppio di cento mortaretti, a mezzogiorno in punto
uscì dalla chiesa. Precedevano due lunghe file di incamiciati con le candele
accese, le cui fiammelle tremolavano fumose, poi veniva Peppino col rosso
stendardo, ed or lo palleggiava, or lo scagliava in aria per raccoglierlo e
farlo stare in bilico su la palma, su la fronte o su i denti, tentennando,
bilanciandosi, raccogliendosi, facendo forza di schiena e di fianchi, mentre il
panno rosso sventolava a larghe pieghe e i monelli battevano le mani gridando
evviva. Dalle finestre, dalle porte le contadine in ginocchio guardavano
meravigliate quel bel giovane che faceva di tanti bei giuochi, e le giovanette,
mentre si picchiavano il petto biascicando le litanie, non sapevano trattenere
una esclamazione di piacere ad ogni nuovo giuoco dello stendardo.
Dietro a Peppino,
venivano i preti, in cotta e stola con le torce accese, e in mezzo l'arciprete
con le ali della lunga zimarra sostenute da due chierici; poi la statua del
santo che tentennava su le spalle dei quattro massari, i quali, curvi sotto il grave
peso, si appoggiavano traballando ai bastoni. Un contadino li precedeva con un
grosso vassoio per ricevere le offerte in denaro ed cera. Dietro al santo, i
tamburinai rossi, trafelati, che davan di gran colpi negli strumenti, infine la
turba delle contadine che salmodiava con voce monotona e lenta.
Giunta innanzi
alla casa comunale, la processione si fermò per riverire il sindaco affacciato
ad uno dei balconi con le figliuole, che per ripararsi dal sole tenevano alti
gli ombrellini, e tra i ferri del balcone sporgevano i piedi per farsi vedere
gli stivaletti di pelle verniciata e il lembo ricamato dei sottanini. Negli
altri balconi le signore del paese con abiti di seta verde, gialli, azzurri,
con collane, smanigli, pendenti, e grandi ventagli che si agitavano sotto gli
ombrellini, ridevano, ciarlando. Quando la statua si fermò, le signore,
continuando con voce più sommessa il cicalìo, si chinarono un po' su i
ginocchi; e mentre Peppino il bersagliere esauriva tutti i suoi giuochi con lo
stendardo, scoppiarono due lunghe file di mortaretti, omaggio a San Rocco del
sindaco, il quale aveva fatto deporre nel vassoio lire 20 in moneta e 12
candele.
Poi la
processione proseguì il suo cammino, fermandosi di tratto in tratto, come era
d'obbligo, innanzi alla casa di coloro che portavano il santo. La moglie e la
figliuola di massaro Giovanni, quando la processione fu presso alle loro
finestre, erano affacciate, ma la Stella aveva gli occhi gonfi di pianto ed era
triste, ne rispondeva alle domande della madre, la quale infine le disse:
— Tu non me la
ficchi, no, con quell'aria di monachella. Credi che non ti abbia visto? Tu
stamane ti sei accostata a quel cattivo arnese di Ligiuzzo e gli hai parlato.
Sai che ti dico? Pensa a togliertelo di mente. Tuo padre non ti darebbe a lui
nemmeno se ti coprisse d'oro. Ti ha promesso a Peppino e sarai di Peppino. Quel
pezzente lì ha fatto bene i suoi conti; tu, sciocca, non comprendi che mira
alla dote e non ai tuoi begli occhi.
Ella zittiva,
ripiegata sul davanzale, con gli occhi lagrimosi; intanto la processione si
avvicinava preceduta dai chierichetti che agitavano i campanelli.
— Stanotte —
continuava massara Peppina — ti vidi in gonnella ai piedi del letto. Donde
venivi? dove eri stata? Non dissi niente a tuo padre per non provocare un
chiasso in questo santo giorno, ma da questa sera in poi dormirò con un occhio
solo, tienilo per detto. Anzi è meglio che tu dorma con me: il diavolo, suol
dirsi, non ha pecore e va vendendo lana.
La giovinetta
allibì.
— Con te, mamma?
e tata? — balbettò.
— Dormirà nel tuo
letto; anche lui stamane era del mio avviso. Infine a te che importa se non
covi nulla in quel tuo cervello di pazza?
Ella ebbe come
una stretta al cuore; dunque le sarebbe stato impossibile di mantenere per
quella sera la promesse; chè di certo non avrebbe potuto deludere la vigilanza
della madre. Conveniva rimandare la fuga a miglior tempo, e intanto avrebbe
cercato di riguadagnare la fiducia dei suoi. Perciò le era d'uopo mostrarsi
indifferente, quantunque il contrattempo le riuscisse molto amaro.
— Farò come vuoi,
mamma, — rispose.
E intanto pensava
al modo come far sapere a Ligiuzzo che per quella sera non poteva mantener la
promessa; decise di farlo avvertire da un ragazzetto che le era affezionato e
al quale ella spesso regalava buone merende. Ma intanto che avrebbe detto, che
avrebbe pensato Ligiuzzo con quel carattere diffidente? Non l'avrebbe creduta
spergiura, bugiarda, e non avrebbe sospettato che ella per salvare Peppino gli
avesse fatto quella promessa che non manteneva? Ma intanto come mantenerla? Del
resto poi, si sarebbe ricreduto, quando ella, come era decisa, sarebbe fuggita
con lui. Perchè era decisa: troppo aveva sofferto quel poveretto, era troppo
infelice, ed ella sentiva che gli doveva un compenso. E non avrebbe evitato
anche guai serii? Quel suo fallo forse avrebbe assicurato la pace a tre
famiglie; Peppino si sarebbe consolato, chè era ricco ed una sposa non gli
poteva mancare; massaro Giovanni col tempo avrebbe fatto pace con Ligiuzzo e
con massaro Cola, ed ella così avrebbe appagato non solo un voto ardente del
suo cuore innamorato, ma anche compiuto una buona azione.
Bisogna fingere, pensava, per non
dar sospetti a mamma. E perciò sforzossi a dissimulare il suo affanno; si
asciugò gli occhi e parve tutta intenta alla processione che si avvicinava. La
madre, in vederla tornar giuliva, credette che i suoi sospetti fossero
infondati; però si prometteva di sorvegliarla attentamente. Poi, come se si
fosse ricordata di cosa che molto le premeva:
— A proposito —
le disse — bada che or ora passerà Peppino con lo stendardo; non gli fare il
muso lungo, hai capito? Tu gli sei fidanzata, e se ti saluta devi rispondergli
con lieto viso. Non mi fare aver quistione con tuo padre, che mi rimprovera
perchè io, dice lui, non ti so insegnare la creanza.
— Vi ubbidirò,
mamma — rispose lei.
In quella,
Santuzzo, quel ragazzetto amico di Stella, veniva correndo per pigliar posto
innanzi alla porta di massaro Giovanni. La processione si era fermata e da lungi
si udiva lo scoppettìo dei mortaretti, il rullar dei tamburi ed il salmodiar
delle contadine. Stella si chinò sul davanzale e si die' a gridare:
— Santuzzo,
Santuzzo!
- - Perchè lo
chiami? domandò massara Peppina.
— Mi ha chiesto
un po' di salame, è tanto servizievole che non avuto cuore di negarglielo. Ma
stamane ero lì lì per andare a chiesa, e non ho potuto darglielo. Glielo darò
adesso. Fan tutti festa, farà festa anche lui, pover'orfano.
Attraversò la
stanza; poi, quando la madre, chinata sul davanzale con gli occhi appuntati
verso la processione tuttora ferma, non potea vederla, si die' a correre, scese
la scaletta e fu nel cortile ove Santuzzo l'aspettava.
— Vieni, che ti
darò il salame — gli disse.
Trasse di tasca
una chiave e aprì la porticina della dispensa, ove appesi alle travi erano
formaggi e prosciutti: il fanciullo la seguì; ella rinchiuse la porta, si
accostò al fanciullo e sottovoce gli disse:
— Senti, se mi
vuoi bene, devi fare quel che ti dirò.
— Di' che vuoi? —
rispose Santuzzo sgranando gli occhi.
— Senza perder
tempo devi correre da Ligiuzzo di massaro Cola... lo conosci?
— Come no? quello
che tu vuoi per marito.
— Gli dirai —
continuò la giovinetta arrossendo — che stanotte non vada in quel luogo che ei
sa, perchè quella tal cosa non può porsi ad effetto. Salutamelo, e che stia
tranquillo, che io sono sempre la stessa. Hai capito?
Il fanciullo
accennò di sì col capo.
— Ripetimi come
gli dirai.
Il fanciullo
ripetè fedelmente ciò che aveva detto Stella.
— Non dir nulla,
sai, non dir nulla a nessuno, chè altrimenti sarei rovinata.
— Stà sicura —
rispose.
Ella gli diè pane
e salame, poi risalì. Santuzzo uscì correndo, sbocconcellando il pane.
Ligiuzzo era
uscito di casa, chè il padre gli aveva detto:
— Va', va' ora in
piazza, altrimenti si dirà che hai paura: ma non cimentarti. Verrà il tempo in
cui ce lo dovranno pagar caro.
Ed era uscito,
con la scure infilata nella cinta di cuoio che gli stringeva le brache ai
fianchi. Aveva barattato qualche parola con i contadini affollati innanzi alla
tavernuola, i quali gli avevano offerto per consolarlo, di giuocare alla mora;
si sarebbe fatto il padrone e sotto, e si sarebbe stati allegri,
chè infine poi non bisogna pigliarle di punta le cose, come suol dirsi. Egli
aveva rifiutato e se ne era andato soletto verso le stradicciuole deserte
nell'interno del paese. Pensava alla felicità che lo aspettava fra poche ore, e
che era dolce compenso alle pene fino allora sofferte. Pensava che fra poche
ore quella leggiadra giovinetta, che egli per tanti anni aveva amato
onestamente, caldamente, sarebbe stata sua, tutta sua, e che finalmente il
destino, stanco di perseguitarlo, gli conduceva un po' di pace ed esaudiva il
più ardente dei voti di lui. Aveva già stabilito in quale casa avrebbe poi
accompagnato la ragazza; chè egli voleva far le cose da uomo onesto: l'avrebbe
accompagnata in casa del signor sindaco, donde non doveva uscire che nel dì
delle nozze. Così fanno i giovani ben nati; anzi sarebbe andato ad aspettarla
con due amici per testimoni, perchè le malelingue non avessero a spacciar
calunnie su di lui e su di lei. L'amore aveva soffocato l'odio; nè, tutto
inteso al modo come regolar la fuga, pensava più a Peppino ed alle ricevute
offese.
Senza
accorgersene, era giunto in una stradicciuola donde si vedevano le finestre di
Stella; alzò gli occhi e scorse le due donne affacciate che guardavano sfilare
la processione; ma una voce lo scosse, che gli diceva;
— Uh, ti trovo
finalmente, Ligiuzzo!
- - Sei tu,
Santo, che vuoi? — rispose il giovane che aveva riconosciuto il ragazzetto.
— Stella di
massaro Giovanni ti saluta e ti dice, che quella cosa non è possibile per
questa sera.
Il giovane diè un
balzo, illividì, poi, afferrando pel braccio il ragazzo, lo scosse inferocito:
— Ripeti, ripeti
quel che hai detto; no, è impossibile... ho inteso male, forse.
— Io non ci ho
colpa, io, — piagnucolava il fanciullo — lasciami, che mi rompi il braccio.
— Ripeti, ripeti
quel che ti ha detto!
— Mi ha detto,
che per questa sera è inutile che tu vada in quel luogo... ecco quel che mi ha
detto.
Egli allora appoggiossi al muro per
non cadere. Aveva un velo sugli occhi e sentiva il cuore come in una morsa. Il
fanciullo era fuggito piangendo.
— Ah, l'infame!
ah, l'infame! fu per salvar lui, che mi fece quella promessa e volle da me quel
giuramento! Per lui temeva! Oh, l'infame, l'infame!
E alzò gli occhi
minacciosi verso le finestre di Stella, a cinquanta metri circa da quel luogo.
In quell'istante, Peppino, il bersagliere faceva i suoi giuochi di destrezza
con lo stendardo, e Stella, curva sul davanzale, per ubbidire alla mamma e per
far tacere i sospetti di lei, gli sorrideva, e battendo le mani pareva
incoraggiasse il suo fidanzato, che si sclamanava tutto ansante e acceso in
volto per dar prova della sua destrezza e del suo vigore.
— Ah, la mala
femmina! — esclamò Ligiuzzo, mordendosi a sangue le dita — ah, la mala femmina!
Già i primi razzi
avean solcato l'aere nero come una striscia di fuoco ed erano caduti su la
folla in pioggia di stelle. Un subito chiarore, seguito da uno scoppio,
illuminava per poco la folla dei contadini pigiati sulla piazza e le teste che
sporgevano dalle finestre, poi con acuti sibili si alzavano diritte in aria le
girandole, i panerini, che scoppiavano tingendo or d'azzurro or di rosso or di
verde la folla sottostante, che col naso in aria applaudiva con grandi urli e
battimani. La porta della chiesa spalancata, lasciava vedere l'interno,
fiammeggiante delle candele dell'altar maggiore, in mezzo alle quali si ergeva
la statua del santo. I tamburi e la gran cassa, battuti con frenesia, sposavano
i loro rulli e il loro rimbombo alle grida della folla, al fischio dei razzi ed
allo scoppio dei mortaretti, cui teneva bordone il suono stridulo di un
fischietto e di una zampogna intorno alla quale i contadini ballavano.
Quel crocchio, in
un angolo della piazza, era formato dalla famiglia e dai parenti di massaro
Peppe e di massaro Giovanni. Si era fatto venire un barile di vino, e mentre i
giovani erano intesi al ballo, i vecchi bevevano, motteggiando e scambiando
grossolane facezie contadinesche. Stella, seduta fra le sue amiche, mentre una
coppia di ballerini nel mezzo del cerchio sgambettava al suono della zampogna e
del fischietto, riposava del ballo, asciugando con la pezzuola il sudore e
seguendo, distratta, il serpeggiar per l'aria dei razzi sibilanti. Qualunque
avesse fatto proposito di nascondere la sua preoccupazione e la sua tristezza,
pure non c'era riuscita, e la mamma più volte l'aveva interrogata o ripresa. E
invero la poveretta aveva le sue buoni ragioni. Nello imbrunire, mentre con gli
amici e coi parenti andava in chiesa, si era incontrata in Ligiuzzo, il quale
non l'aveva guardata nemmeno ed era livido, torbido nello sguardo, quantunque
nel vederla avesse riso sgangheratamente coi compagni ed avesse proferito non
so che parole che l'avevano fatta arrossire tanto. Quella allegrìa però era uno
sforzo, si vedeva bene, contraddetta dallo sguardo minaccioso e dal viso
stravolto.
Ella capiva che
era la causa involontaria di tutto ciò; il ragazzetto che ella aveva mandato a
lui non si era fatto vedere; almeno da lui avrebbe potuto sapere qualcosa: ma
quella incertezza le era penosissima, e più si rodeva pensando ai dolori di
quel suo poveretto che il destino perseguitava tanto: e diceva sospirando a sè
stessa:
— Chi sa che avrà
detto di me? Chi sa quante ne avrà pensate!
Poi era stata
condotta là in mezzo, e per ubbidire alla madre avea dovuto accogliere di buon
grado l'invito al ballo di alcuni suoi amici; ma non aveva avuto cuore di
abbandonarsi al tripudio, nè di fare sfoggio di tutti i suoi vezzi, e sì che
nessuna più di lei sapeva, tenendo le cocche del grembiule fra le due dita, far
le figure con più grazia, e con più grazia avanzare, indietreggiare, inchinarsi.
Sedeva intanto
pensosa fra le sue amiche, mentre gli altri ballavano, quando Peppino il
bersagliere, che era andato in giro per la piazza ed era un po' brillo, fattosi
largo a furia di gomitate, le fu dinnanzi e con le mani ai fianchi incominciò a
sgambettare e poi a fare le castagnette con le dita per invitarla a danzare.
— Sono stanca —
rispose lei — non ne ho più voglia.
— Che stanca e
stanca! Via, su, andiamo.
La madre l'urtò
col gomito e:
— Non far la
smorfiosa. Alzati e balla.
Indispettita si
alzò. Tutti tacquero: il fischietto e la zampogna intonarono con più forza la
pastorale, e molti curiosi si affollarono intorno al crocchio per veder ballare
la coppia dei fidanzati.
Ella parea
svogliata, quantunque lui facesse di gran salti, ed or si curvava,. or si
raddrizzava, facendo scoppiettar le dita e battendo le mani con piccoli gridi
di gioia. Gli astanti lo applaudivano, lo incitavano, ed ei sudato, ansante, or
faceva il gallo, or dimenava i fianchi; ad un tratto intese che una mano gli batteva
su la spalla; non cessando di fare sgambetti si voltò, cercando con lo sguardo
colui che l'avea toccato.
Dietro la folla
intravide la faccia di Ligiuzzo; fermossi di botto. Stella si fermò anche essa
e, stanca, si lasciò cadere in mezzo alle compagne che la complimentavano. La
zampogna ed il fischietto tacevano; solo, fra il rumorìo della folla, ed il
sibilo dei razzi, continuavano incessanti i rulli del tamburo e i colpi di gran
cassa.
I contadini
avevano riempito i bicchieri e si beveva motteggiando. Nessuno si era accorto
di Ligiuzzo. Peppino il bersagliere si fece largo e, giunto presso il rivale,
l'afferrò pel petto.
— Sei tu che mi
hai battuto su la spalla? — gli chiese coi denti stretti e con voce minacciosa.
— Sì, io —
rispose Ligiuzzo, con gli occhi sfavillanti d'ira, liberandosi con un forte
colpo assestato sulla mano del nemico.
— Che vuoi?
— Voglio spaccarti il cuore.
—A me?
— A te.
— Quando?
— Stanotte; trovati armato di
scure in fondo al vallone.
— Ci sarò.
— A rivederci dunque,
e raccomàndati a San Rocco.
E si confuse tra
la folla. Peppino restò perplesso, poi fece un gesto di noncuranza e tornò alla
brigata che rideva motteggiando e trincando.
— Andiamo tutti a
casa di massaro Giovanni — propose uno della brigata — so che ci ha una
botticella degna di S. Rocco.
— Sì, sì, a casa
di massaro Giovanni! gridarono tutti. — Faremo venire la zampogna ed il
fischietto e continueremo il ballo. Peppino il bersagliere zittiva, parea
pensoso; poi si fe' forza, e:
— Andiamo, ma vi
avverto che a mezzanotte andrò via. Ci è un altro invito al quale per cosa al
mondo non vorrei mancare.
E mossero tutti
verso la casa di massaro Giovanni. Attraversando la piazza intesero in un
crocchio lo strimpellìo di una chitarra battente e una voce che cantava
Oh come è bello di morire accisu
Supra la porta de
la nnamurata!
L'anima si ni
vola 'mparadisu,
Lu cuorpu si lu
ciangia la scasata.
— È la voce di
Ligiuzzo! — mormorò Stella, ed ebbe come una stretta al cuore, presago di
sventura.
Avevano ballato,
riso, bevuto fin presso la mezzanotte, poi gli amici e i parenti si erano
accomiatati. I due massari marito e moglie, con lo stomaco pieno e il cervello
annebbiato dai fumi del vino, erano andati a letto, dimentichi del proposito di
vigilare su la figliuola. Del resto, ella aveva assopito i loro sospetti col
mostrarsi più dell'usato premurosa per Peppino, che in quella sera pareva
avesse perduto il buonumore, quantunque del vino di massaro Giovanni non avesse
fatto risparmio.
Perciò, appena la
fanciulla s'accorse, dal russar fragoroso, che i due massari erano
profondamente addormentati, si alzò pian pianino dal suo letticciuolo, allacciò
sulla camicia, che delineava le forme delicate del suo corpo, la corta
gonnella, e scalza, camminando in punta di piedi, si fe' alla porta del
ballatoio che dava sull'orto. L'aprì tremando, uscì fuori e la rinchiuse lieve
lieve dietro a sé.
La notte era
calma e stellata: nel paesello brillavano ancora come punti rossi le lucernette
accese in onore del santo. Le ombre della notte si stendevano su la campagna
silenziosa e gli alberi si ergevano neri come fantasmi. Il paesello, stanco,
dormiva. Solo qualche ubriaco andava attorno strimpellando la chitarra.
— Se l'avessi
saputo, se l'avessi saputo — pensava la giovinetta, china sulla balaustrata del
ballatoio — non gli avrei mandato a dire che non venisse. Quante ne avrà
pensate, quante ne avrà dette! Come era triste oggi quando l'incontrai! come
era malinconica, stasera, la sua voce! E se venisse? dovrei andar con lui...
come dirgli di no, se mi trova qui, sola, dopo la promessa che gli ho fatta?
Andar con lui? Abbandonar tata e mamma? E dove mi porterà egli? Che ne sarà di
me, abbandonata a lui?
E, col petto sul
davanzale, restò fissa in un pensiero, la caldura, gli acri profumi della notte
le mettevano come un formicolìo nel sangue; respirando con voluttà la brezza
fresca che susurrava tra gli alberi, sentiva in cuore come una irrequietezza;
nè, a chi glielo avesse chiesto, avrebbe saputo dire il perchè di quegli struggimenti
nuovi e strani dei nervi e del sangue.
Giù al basso, ove
scende la strada maestra, lieve mormoravano le acque del vallone; a lei era
parso di sentire come un gemito acuto echeggiar nel buio, ma lo credette un
grido di civetta o uno squittir di volpe: distratta per poco, era tornata ai
suoi pensieri; sotto quel cielo stellato, alle carezze calde dell'aria, il suo
corpo, saturo di giovinezza, si lasciava vincere dal molle e voluttuoso
languore, e una sonnolenza mista a sussulti la teneva là, col seno compresso
sul davanzale e il corpo abbandonato. Però di un tratto si scosse; aveva visto
un'ombra scavalcar la siepe dell'orto, o, guardinga accostarsi alla scaletta.
— Ligiuzzo.... sei
tu, Ligiuzzo? — mormorò, svegliandosi dal torpore e sporgendo la testa.
L'ombra, giunta
alla scaletta, sostò: ella sgomenta, tornò a chiedere:
— Rispondimi
Ligiuzzo!
— Per me no, per
me. Aspettavi lui, dunque?
Ella scese rapidamente la scaletta.
Quando fu dinnanzi al giovine, retrocesse sbigottita; gli occhi di lui lucevano
sinistri; aveva gli abiti in disordine e macchie nerastre qua e là per la
persona.
— Di', che hai?
che ti è successo? — esclamò la giovinetta.
— Nulla.… ho
voluto vederti.... cioè no, veder la casa, veder il luogo ove tante volte mi
dicesti di amarmi... ora addio,.. per sempre. Ti perdono, chè altrimenti dovrei
ucciderti.
— Ligiuzzo,
Ligiuzzo! — esclamò lei — ma io son tua... sì... pigliami, sì, portami dove
vuoi. Stamane mamma, insospettita, mi disse che mi avrebbe fatto coricare nel
suo letto... Ecco perchè ti mandai a dire che non fossi venuto. Ma io ho deluso
i loro sospetti e ti aspettavo. Ecco, pigliami, sono tua!
E gli gettò le
braccia al collo, ma, nello stringerlo al petto, retrocesse con un grido:
— Tu sei
bagnato... Dio mio, che è successo?
Si guardò le mani
tinte di un liquido nero.
— Ma è sangue, è
sangue tuo... parla... sei ferito?
— Sì — mormorò
lui — sì, ho due colpi di scure, uno al petto, l'altro nel fianco... ho creduto
che tu non mi amassi più, che tu mi avessi fatto quella promessa per salvar
lui, e stasera l'ho sfidato...
— O Madonna, o
Madonna mia! — esclamò con un gemito la giovinetta.
— Egli ora è là —
proseguì il giovine con voce sommessa e balbettante — è là, in fondo al
vallone, con la testa spaccata... Io ho leccato il sangue delle scure per
fuggir meglio, ma non so come mi son trovato qui.... Addio.... i carabinieri
vanno in giro e non voglio andare in carcere... Ricordami, addio!
E con subito impeto
la prese in braccio, la baciò con furia su le guance, negli occhi, in bocca,
poi, respingendola con violenza, si diè a correre, scavalcò la siepe, e
precipitossi giù per la china.
Ella cadde col
volto e le vesti bagnate di sangue. E intanto dalle viuzze del paesello
venivano strimpellìi di chitarre e voci avvinazzate che cantavano:
Oh come è bello
di morire accisu
Supra la porta de
la nnamurata!
L'anima si ni
vola 'mparadiso,
Lu cuorpu si lu
ciangia la scasata!
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