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Nicola Misasi
In Magna Sila

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  • Francesco il mendico
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Francesco il mendico

 

Sul focolare ardevano due grossi ceppi di abete ed una fascina di rami secchi, la cui rossa fiamma si elevava scoppiettante fino alla cappa, illuminando la stanzuccia. Sul treppiede di ferro bolliva un calderotto con la minestra; Giovanni il massaro seduto sopra uno sgabelletto, facendo scudo di una mano alla faccia, rimestava con un gran cucchiaio nel calderotto, mentre i figliuoli, coi piattelli su le ginocchia, sbocconcellando un pezzo di pane, aspettavano che la cena fosse pronta.

Il maestro di scuola ed io, costretti dal mal tempo a chiedere per quella notte ospitalità a quei contadini, sedevamo in un angolo della cassapanca presso al focolare. L'acre fumo che spandeasi per la stanzuccia ci facea chiuder gli occhi lagrimosi e tossire di tratto in tratto.

Di fuori nevicava: la campagna si stendea bianchiccia e silenziosa nelle tenebre.

— Stasera zio Francesco non vuol la sua parte di minestra — disse Giovanni, mentre si accingeva a togliere dal fuoco il calderotto.

— Con questo tempo non credo che ei vada in giro — rispose Carolina, la più giovane figliuola del massaro.

— Chi è zio Francesco? — dimandai.

— Come? non conoscete zio Francesco? — esclamò il contadino maravigliato.

— Io sì, lo conosco — disse il maestro di scuola. — È quel vecchio mendico che va pitoccando per le campagne e a cui date ricovero un po' per uno, non è vero?

— Zio Francesco non pitocca — rispose il massaro. — Morrebbe di fame, anziché chiedere un tozzo di pane. Io benedico il Signore allorchè manda quel vecchio al mio focolare.

Intanto avea riempito di minestra i piattelli, e per poco non si intese che il batter dei cucchiai ed il succiar dei contadini affamati. Poi la porta di strada si aperse, e sulla soglia comparve un vecchio coperto di un logoro pastrano e di un cappellaccio bucherellato, dalle falde piene di neve.

— Zio Francesco, benvenuto zio Francesco! — gridarono i contadini alzandosi per correre incontro al vecchio mendico.

Appoggiato al bastone, curvo e con passo incerto, il mendico si accostò al focolare: poi, mentre la Carolina gli toglieva il pastrano ed il cappello, si lasciò cadere sulla panca stendendo le scarne e tremanti mani alla fiamma.

Era un vecchio magro, col viso solcato da rughe e da una profonda cicatrice: i capelli bianchi ed arruffati gli cadevan fin sulla fronte: fra le palpebre bianche gli occhi infossati e quasi spenti giravano tardi nell'orbita. Chino sul fuoco, mostrava fra lo sparato della camicia di traliccio e le costole gialle coperte di una peluria bianca, e nel mezzo del petto gli pendea una medaglia d'argento sospesa al collo con una cordicella. Era vestito di una giacchetta e di brache rappezzate che gli scendean fino al ginocchio. Con quel tremore nel capo, proprio dei vecchi, si guardava intorno senza far parola; Giovanni gli porse il piattello di minestra ed egli lo mise sulle ginocchia; e mentre l'una mano era stesa al fuoco, l'altra portava lentamente alla bocca sdentata il cucchiaio. La cena continuò: il vecchio non parea curarsi di noi. Poi il maestro di scuola gli disse, alzando la voce:

— Zio Francesco, non mi riconoscete? Sono il figlio di Titto Goni, l'armaiuolo.

Il mendico alzò gli occhi, poi crollò la testa dicendo:

— Sì.

— Come state, zio Francesco? — continuò il maestro di scuola.

Ma non ne ottenendo risposta, si volse a me:

— Quel vecchio lì, più che novantenne, — mi disse sottovoce, — fu a suo tempo un uomo di gran coraggio. Si narrano di lui certe storie terribili di vendette e di audacie. Nel 1808, giovanissimo, a capo di una banda, lottò contro i francesi, che ne misero a prezzo la testa.

— Davvero? — esclamai.

— Davvero. Chi lo crederebbe ora, vedendo quel vecchio tremante, quasi istupidito, il cui cuore batte appena, il cui sangue scorre algido nelle membra flosce?

Il mendico non badava a noi; rimestava nel piattello per raccogliere i resti della minestra, e stendeva al fuoco le gambe nude e scheletrite.

Era cessato di nevicare; ma il vento di tramontana passava fischiando fra le cime dei castagni e scoteva la porta della casetta.

— Avete buone nuove di vostro figlio? — chiese il maestro di scuola a Giovanni.

— Brutte, caro signore. Io glielo diceva: va' in America piuttosto che a Tunisi; ma, signornò, incaponito, volle andare a Tunisi! Ora mi scrive che un giorno o l'altro dovran fare alle schioppettate.

— Con chi?

— Che domanda! con chi? con quelli eretici di francesi. Eppure, vedete, ci è mio figlio e capite bene... Ma proprio ci avrei un gusto matto a trovarmici in mezzo anche io. Quelli lì, — diceva tata buonanima — son come la vipera: se non si schiaccia loro la testa, ci è sempre pericolo di un morso. Che ne dite, eh, zio Francesco? Il vecchio non rispose, con le mani e le gambe stese al fuoco, con la testa tremante, china sul petto, pareva non sentisse, pareva non vedesse.

— Zio Francesco li conosce bene — disse il maestro di scuola. — Se li avesse dimenticati, quella cicatrice e quella medaglietta glieli ricorderebbero.

Poi, rivolgendosi al vecchio, lo scosse pel lembo della giacchetta, gridando:

— Non è vero che ve li ricordate, i francesi?

Il vecchio alzò il capo: negli occhi spenti guizzò un lampo; guardò fieramente in giro, poi scosse due volte le mani con le dita aperte:

— Venti — disse con voce distinta. Poscia la testa gli ricadde sul petto e stette immobile.

— Che cosa ha voluto dire? — domandai.

— Che ne ha visto cader venti sotto i suoi colpi. Bisogna saper la storia di quel vecchio, per comprendere il suo odio. Del resto, ogni francese per noi di Calabria è un nemico; e se domani dovesse combattere Italia contro Francia, i nostri montanari, pur tanto restii al servizio militare, andrebbero al campo come a nozze. Più di ogni altra, sarebbe per essi una guerra nazionale.

— E voi sapete la storia di quel vecchio?

— Io sì: me la narrò mio padre, che l'intese trenta anni or sono dallo stesso zio Francesco.

— Narratecela, don Girolamo, narratecela! — esclamarono i contadini stringendosi intorno al maestro di scuola. Le donne che, finita la cena, avean preso la conocchia, smisero di filare. Giovanni accrebbe legna al fuoco, la cui vampa scoppiettò più viva; e mentre il vecchio Francesco, come affatto estraneo a quel che si diceva, pareva bearsi al caldo, il maestro di scuola così prese a dire:

 

Si era nel 1808. Quel vecchio bianco e sparuto era allora un bel giovanotto di venti anni, forte come un giovane pino, coi capelli neri e gli occhi lucenti. Le belle fanciulle, quando in chiesa, nella messa della domenica, vedevano ondeggiare i nastri del cappello a cono di Francesco, dimenticavano il buon Dio degli altari per guardar sottecchi quel robusto e bel giovane, il quale non aveva sguardo che per una sola, per Maria, la più leggiadra ragazza del dintorno. Mia nonna, che la ricordava, dicea che quando in chiesa la domenica, vestita della gonna rossa e del corpetto azzurro, con la rosea testina fra la tovagliuola bianca, coi capelli color di castagna primaticcia che le scendeano in ricci sugli omeri, ella pregava il buon Dio, mai labbra più rosse non si erano aperte per intonar canto più dolce; e le altre contadine zittivano per ascoltare raccolte, poichè al Signore riuscir doveva più accetta quella voce d'argento che pregava per tutti. Quando, per portare al padre, occupato nei lavori di campagna, la merenda od il pranzo, la vedean correre col panierino in testa, fra i cespugli e le felci, la credeano la fata che esce dai giunchetti al mattino, allorchè il sole è biondo e ai bruni castagni s'indorano le cime. La notte, sotto alle finestre della Maria, che viveva sola col padre ed una vecchia parente, gli arpeggi delle chitarre si sposavano alle canzoni d'amore; ma la finestretta non si apriva, e invano le corde e le voci gemevano, il grido di amore si perdeva inascoltato. Ma una sera la finestretta si socchiuse; fra i rami e le foglie di gelsomino che la inghirlandavano, si intravide la giovinetta china sul davanzale, chè a lei era giunta dalla via una voce nota e più dolcemente delle altre modulata. Poi si disse pel paesello che la fanciulla era malata d'amore.

D'allora i giovani che le ronzavano d'attorno si allontanarono, non volendo giuocar di pugnale con Francesco; e volentieri la domenica gli cedevano il posto in chiesa, presso alla pila nell'acqua santa. La notte non osavano passar sotto la finestretta di lei, perchè eran sicuri di trovar Francesco, e di certo ne sarebbe nato qualche guaio: ma quando si seppe che quei due erano fidanzati, il paesello ne fu lieto, perchè mai più leggiadra fanciulla si era sposata a più forte e valente giovane.

Intanto le nostre contrade, invase da' francesi, sedicenti apportatori di civili costumanze e di libertà, eran funestate da stragi e da delitti. Una guerra feroce senza tregua e senza quartiere si combatteva sulle montagne tra i figli di Calabria, abborrenti dal giogo straniero, e i figli di Francia, anelanti conquiste e rapine. In quel paesello perduto fra le boscaglie ne era appena giunta l'eco, quando si seppe che il governatore di Cosenza aveva decretato che tutti i giovani atti alle armi dovessero partir soldati e andar lontano a combattere, in terre ignote, contro ignoti nemici. Il paesello sorse a rumore. Partire, abbandonar la casa, i parenti, gli amici; andare a far alle schioppettate per accrescer glorie e conquiste a chi venuto in casa nostra ci avea tolto il pan di bocca e si era coricato gonfio di vino nei nostri letti; a chi insultava il nostro Dio e amoreggiava le nostre donne, e ci batteva, ci fucilava se per poco tentavisi vendicar le offese e rispondere con l'ingiuria all'ingiuria, col ferro al ferro! No, non sarà mai, dicevano i giovani, e fra questi più audace Francesco; meglio il bosco; là, dietro un pino, con la carabina armata e il pugnale fra i denti, invocando la Vergine del Carmine, là almeno si muore dopo aver visto morire; e gli angeli del Paradiso porteranno a Dio l'anime nostre, perchè abbiam difeso le nostre case e le nostre chiese!...

Ed il fermento cresceva. Un giorno, a tamburo battente entrò nel paesello una compagnia di soldati. A cavallo, con la spada sguainata scintillante al sole, un giovane capitano la precedeva, tra i contadini accorsi che guardavano paurosi e sdegnati. Da quel giorno il paesello risonò di suoni e di canti in lingua ignota. Per la via i soldati ubriachi sghignazzavano rivolgendo alle nostre donne con sconci sorrisi parolacce ignote, ma comprese per l'accento onde si proferivano ed il gesto osceno che le accompagnava. Gli usci eran chiusi, le case silenziose; un non so che di sgomento regnava nel paesello. Francesco, cupo ma risoluto, ronzava intorno alla casa della sua fidanzata, perchè gli avevan detto che il giovane e bel capitano, vedutala alla finestra, se ne era invaghito pazzamente, e passava spesso per quella via con gli occhi in alto, arricciandosi i baffi e facendo risonar gli sproni sul lastrico. La fanciulla, chiusa in casa, non osava metter la testa fuori dell'uscio, e quando il padre era assente sbarrava la porta e non l'apriva per cosa al mondo.

Il capitano aveva preso per servo un contadino, che venne in odio alla gente del paese quando si seppe che favoriva gli intrighi del padrone con le donne di mala vita, perchè, a costo di morir di fame, non si deve accettar pane da un nemico. Intanto il sindaco aveva affisso alla porta della casa comunale le liste dei coscritti, i quali erano indecisi sul da fare. Francesco più degli altri fremea di rabbia, chè non gli dava il cuore di lasciar la fanciulla, e già aveva fatto comprendere che un giorno o l'altre avrebbe preso il bosco. La fidanzata con dolci parole cercava dissuaderlo, però anch'ella aveva come una spina nel cuore presago di maggiore sventura.

Ma, a consolarli in parte del loro affanno, un giorno si seppe che il bel capitano era stato richiamato in Cosenza e fra poco sarebbe partito. Il giovane si sentì come sollevato da un gran peso, tanto più che la fanciulla era rimasta sola in casa con la vecchia zia, poichè il padre era stato costretto a seguir col suo mulo un drappello di soldati partiti per la Sila.

Quella sera, Francesco, nel dividersi dalla fidanzata, le raccomandò di chiuder bene la porta e di non aprirla per cosa al mondo; del resto avrebbe fatto buona guardia. Giunte a casa, mangiò svogliato la parca cena o cercò addormirsi, ma non potea chiudere occhio; ne pensava tante, tutte sinistre, e il letto parea avesse delle spine. Balzò in piedi, si vestì in fretta, si armò di uno di quei coltellacci larghi e lunghi che si portano infilati nella tasca destra delle brache, ed uscì.

Il paesello era silenzioso sotto le tenebre. Il giovane camminava rasente i muri delle case con le orecchie tese e gli occhi fissi nel buio. Di repente trasalì: aveva inteso un grido acuto echeggiar dal fonde della via, cui avea tenuto dietro lo scalpitio di un cavallo lanciato a corsa dirotta...

 

Il maestro di scuola s'interruppe per guardare il vecchio mendicante, che si era scosso, aveva aperto gli occhi, accesi di insolita luce, e ascoltava con la testa rivolta verso il narratore, con le labbra socchiuse, grattando con mano tremante la fronte, come se a poco a poco, in quel cervello abbuiato dalla vecchiezza, un filo di luce si fosse fatto strada ed avesse evocato gli antichi ricordi. Come chi pur mo' svegliato, ma ancor sonnolente cerca darsi conto di quel che ode e di quel che vede, il vecchio ascoltava col petto ansante e le orecchie tese.

La vampa del focolare tingeva in rosso il viso del mendico e degli astanti, e delineava le grandi ombre nelle pareti affumicate della stanzetta.

Il maestre di scuola proseguì:

— A quel grido, a quello scalpito, il giovine si diè a correre verso la casa della sua fidanzata. Ivi giunto, cacciò un grido: la porta era aperta, la stanza al buio; entra, e si dà a chiamare a gran voce la fanciulla e la vecchia zia. Un gemito gli rispose. Ad un tizzo del focolare accese un ramo di pino che aveva portato con sè, ed alla vampa che rischiarò la stanza vide in un angolo la vecchia legata ed imbavagliata, che facea sforzi per sciogliersi dai legami. Corse a lei e la liberò del bavaglio, chiedendo con vece affannosa:

— Maria? dove è Maria? parla, che è successo?

— Gli infami l'han rapita — rispose ansante e fra i singhiozzi la donna. Han contraffatto la tua voce, noi aprimmo; un di essi, e l'ho conosciuto... Saverio, il servo del capitano, mi legò, mi imbavagliò, mentre l'altro, lui, prendeva in braccio Maria, tramortita dallo spavento.

Il giovine rimase come fulminato: poi di subito uscì fuori di un balzo e si diè a correre precipitosamente. Con la lucidezza che dà talvolta la disperazione, aveva fatto il suo piano: il rapitore si dirigeva di sicuro verso Cosenza; l'unica strada praticabile ai cavalli era la via maestra che saliva la montagna; poscia girava a semicerchio, costeggiando le colline dirimpetto al paesello. Correndo in linea dritta in modo da segare la corda dell'arco, forse gli era facile di raggiungere al ponte di Albicello il rapitore e la rapita. E allora, senza riflettere, spinto, sferzato dalla sua sete di vendetta, si diè a correre per la campagna, al buio, inciampando nelle pietre, sdrucciolando nei fossati, rotolando pei burroni, ma rialzandosi sempre con novello vigore, seguendo la linea dritta tracciata dal suo pensiero attraverso le tenebre dense. Le vesti si laceravano alle spine, le mani si scorticavano ai cespugli, la fronte ed il petto urtavano negli alberi, ma egli muto, ansante, con gli occhi fissi nel vuoto nero a sè dinnanzi, continuava a correre giù per le balze, a inerpicarsi su per le pendici, a scendere, guadando fiumi, saltando fossati, col cuore che gli balzava in petto, col respiro che gli gorgogliava nella strozza, col sangue che gli percoteva nel cervello. Dopo due ore di quella corsa sfrenata, vide nel mezzo di una collina, che con dolce declivio scendeva nel fiume, biancheggiar nel buio la via maestra. In quel mentre udì distinto lo scalpito del cavallo che scendeva la collina, ed egli, con un ruggito di gioia, riacquistando vigor novello, prese più veloce a correre per giungere al ponte, di cui già intravedeva gli archi. Lo scalpito si faceva più vicino; nel mezzo della via, vedea fra le tenebre diradate dalla luce delle stelle, muover veloce un punto nero; udiva il nitrito del cavallo, la voce del cavaliere che vieppiù lo incitava; e allora, con uno sforzo disperato, superando l'erta e saltando il muricciuolo che fiancheggiava la via, gridò con voce anelante:

— Ferma, per la Madonna, ferma, assassino!

Il cavallo, che era giunto a venti passi dal giovane, si arrestò di botto.

— Chi è là? — gridò una voce.

— Madonna, ti ringrazio, è lui, e Maria è là, attraverso la sella — mormorò il giovine. Poi, a voce alta:

— Capitano, lasciate quella donna e andate con Dio.

— Ah! tu devi esser Francesco. Sì, me l'avevan detto che eri audace. Largo, giovanotto mio; la ragazza è in buone mani, non dubitare, e quando si riavrà dallo sgomento, sarà ben lieta di trovarsi meco.

— Ah, per Gesù Cristo, — urlò il giovane, e di un balzo fu presso il cavallo che impennossi nitrendo. Si udì la voce gridare:

— E va' all'inferno, dunque!

Un lampo rischiarò il sentiero, una palla fischiò all'orecchio del giovane, che, tratto il lungo coltello, afferratosi ai crini del cavallo, mise il piede sul piede del capitano e gli si strinse addosso.

— Che hai, Francesco? — disse il maestro di scuola, interrompendosi.

Il vecchio mendicante si era raddrizzato in tutta la persona: fra le palpebre bianche gli occhi accesi mandavano lampi: coi pugni chiusi, con la persona dritta e ringagliardita dal ricordo, ansante e con lo sguardo fisso sul narratore, si era fatto più accosto a noi e mormorava:

— Sì, sì, sì...

— S'impegnò una lotta terribile, — continuò il maestro di scuola, rivolgendosi a noi. — La fanciulla, rinvenuta, aveva dato un gemito, e liberatasi con uno sforzo della mano del rapitore, era sdrucciolata dal cavallo e giaceva in mezzo via. Il capitane aveva tratto la spada e si difendeva valorosamente, tentando liberarsi dalla stretta del giovane; e mentre il cavallo spaventato dava in salti nitrendo, essi lottavano muti, feroci, il capitano colpendo di taglio, il contadino colpendo di punta; ma in quella lotta a corpo a corpo il pugnale aveva vantaggio sulla spada. Infine riuscì al francese di trarsi un po' addietro e di calare un fendente che colpì sulla fronte il giovane, il quale, quando senti caldo il sangue scorrere pel viso, ruggendo di rabbia e di dolore, raccogliendo tutte le sue forze in un estremo conato, afferrò alla gola il nemico e lo colpì al petto...

— No, — esclamò il vecchio mendicante, sorgendo in piedi dritto e fiero, come se nelle flosce sue membra avesse inteso rinascere il vigore della giovinezza. Mentre i contadini e il maestro di scuola, interrotto nel bel meglio, lo guardavano spaventato, egli, col braccio teso, con gli occhi scintillanti, mosse verso il narratore e appuntandogli un dito in gola:

— Qui — gridò con voce alta e sonora.

Poi cadde di nuovo a sedere, volse gli occhi intorno e sorrise.

In quella bocca viscida, quel sorriso rischiarato dalla vampa rossa del focolare avea qualcosa di feroce e di sinistro.

— Ah! non fu al petto, fu alla gola che lo feriste? E lo stesso, vecchio mio.

Ciò detto, il maestro riprese:

— Il capitano precipitò, il giovane cadde presso alla fanciulla, mentre il cavallo spaventato si dava a furioso galoppo. La giovanetta giaceva inanimata; egli la prese in braccio, incurante della ferita, incurante del sangue che lo accecava. Poi diè un urlo di gioia, chè fra le braccia aveva inteso sussultare il corpo della fanciulla.

— Maria, Maria, rispondimi, — gridava.

— Sei tu, Francesco, sei tu.... Fu Saverio, il servo di quell'uomo, il traditore.

— L'ucciderò, colui, l'ucciderò! — mormorava il giovane. — L'uno è morto, l'altro...

— Non del tutto ancora, — disse una voce. E un lampo illuminò il sentiero, uno scoppio echeggiò per monti e per valli. Il capitano ferito si era alzato su i ginocchi ed aveva esploso l'una delle due pistole d'arcione ancor carica. Allo scoppio tenne dietro un grido: la fanciulla diè un balzo e cadde fra le braccia del giovane, dicendo con voce morente:

— Son ferita qui, al cuore. Muoio.

Egli, disperato, pazzo d'ira e di dolore, si scagliò sul nemico e si diè a crivellarlo di colpi. Quando non lo intese più gemere, tornò alla giovinetta, che fredda, stecchita giaceva sull'erba. La prese in braccio, la strinse disperato al cuore, chiamandola a nome, mescendo alle dolci parole le bestemmie, ai gemiti i ruggiti. Ella non rispondeva. Al fioco lume delle stelle ei vide che in mezzo al petto della fanciulla, da un buco nero, zampillava il sangue.

— Maledizione! — gridò coi pugni stretti. E si abbandonò singhiozzando sul cadavere della fidanzata.

 

A questo punto i contadini impietositi e con gli occhi gonfi di pianto si volsero verso il vecchio mendicante. Vivo, terribile, preciso in tutti i particolari, gli si era ridestato il ricordo di quella notte. Non osava interrompere, ma di certo aveva nella strozza un gruppo di singhiozzi e di parole. Ansava stringendo le labbra; nell'angolo degli occhi gli tremolava una lagrima e con mano tremante accarezzava la medaglia d'argento che gli pendea dal petto.

— E poi? e poi? — chiesero i contadini.

— Poi, — continuò il maestro, — alcuni paesani al mattino trovarono i due cadaveri stesi sulla via, e, presso a quello della giovinetta, Francesco in ginocchio, intriso di sangue, muto, inebetito, con gli occhi fisi sul livido volto della giacente. I paesani scossero il giovane e gli dissero di fuggire, se non voleva anche lui ballar nel vuoto appeso alla forca. Il giovane non voleva dividersi dalla sua povera morta, ma un vecchio contadino gli disse:

— E se ti arrestano, chi ucciderà Saverio il traditore?

Queste parole ebbero forza di scuoterlo: baciò in fronte la fanciulla, si alzò in piedi e voltosi ai paesani, col dito teso verso il cadavere del capitano:

— Dite ai compagni di quello lì, che li aspetto sulla montagna.

Poi si diè a salir l'erta della collina, e scomparve in breve fra i castagni.

Il cadavere della giovinetta e quello del capitano furono portati al villaggio. I soldati volevano trarne vendetta sui paesani, i quali fecero sapere che a loro non mancava nè polvere nè palle. Al capitano furono fatti funerali solenni dai soldati, e funerali solenni furono fatti alla fanciulla dai paesani. Ora, mentre in chiesa, tre giorni dopo l'accaduto, si diceva la messa funebre e la folla piangente contemplava il bel corpo della giovinetta vestita di bianco, distesa sulla bara fra quattro ceri, un giovane, riccamente vestito dal costume brigantesco, armato di carabina e di pistola, si fe' largo fra gli astanti, ed accostatosi al cadavere della giovinetta lo baciò in fronte, dicendo:

— Ho voluto vederti un'altra volta; ora dormi in pace, chè sarai vendicata.

E staccata dal collo della fanciulla una medaglia d'argento, se la mise sul petto. Poi si aprì di nuovo il passo tra la folla, che avendo riconosciuto Francesco in quello audace, era rimasta sorpresa e sbigottita, ed uscì calmo e fiero dalla chiesa, senza dar segno di timore e senza guardarsi intorno.

Quel che fece appresso, è un mistero. Se ne dissero tante ed a diecine si enumerarono le sue vittime. Cambiò nome e divenne celebre nei fasti del brigantaggio. Poi non se ne seppe più nuova e fu creduto morto. Or fan trent'anni, si vide per le montagne aggirarsi un mendicante, nel quale qualcuno riconobbe Francesco.

Ed il maestro di scuola finì il suo racconto. Il vecchio era tornato a rincantucciarsi presso al fuoco, al quale stendeva le mani scarne e tremanti. Giovanni il massaro lo tirò pel lembo della giacchetta; il vecchio alzò la testa e lo guardò.

— Quanti, zio Francesco? — gridò Giovanni, facendo l'atto di spianare il fucile.

— Venti, — rispose il vecchio.

Poi ripiegò la bianca testa sul petto e stette immobile.

 

 




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