Francesco il mendico
Sul focolare
ardevano due grossi ceppi di abete ed una fascina di rami secchi, la cui rossa
fiamma si elevava scoppiettante fino alla cappa, illuminando la stanzuccia. Sul
treppiede di ferro bolliva un calderotto con la minestra; Giovanni il massaro
seduto sopra uno sgabelletto, facendo scudo di una mano alla faccia, rimestava
con un gran cucchiaio nel calderotto, mentre i figliuoli, coi piattelli su le
ginocchia, sbocconcellando un pezzo di pane, aspettavano che la cena fosse
pronta.
Il maestro di
scuola ed io, costretti dal mal tempo a chiedere per quella notte ospitalità a
quei contadini, sedevamo in un angolo della cassapanca presso al focolare.
L'acre fumo che spandeasi per la stanzuccia ci facea chiuder gli occhi
lagrimosi e tossire di tratto in tratto.
Di fuori
nevicava: la campagna si stendea bianchiccia e silenziosa nelle tenebre.
— Stasera zio
Francesco non vuol la sua parte di minestra — disse Giovanni, mentre si
accingeva a togliere dal fuoco il calderotto.
— Con questo
tempo non credo che ei vada in giro — rispose Carolina, la più giovane
figliuola del massaro.
— Chi è zio
Francesco? — dimandai.
— Come? non
conoscete zio Francesco? — esclamò il contadino maravigliato.
— Io sì, lo
conosco — disse il maestro di scuola. — È quel vecchio mendico che va
pitoccando per le campagne e a cui date ricovero un po' per uno, non è vero?
— Zio Francesco
non pitocca — rispose il massaro. — Morrebbe di fame, anziché chiedere un tozzo
di pane. Io benedico il Signore allorchè manda quel vecchio al mio focolare.
Intanto avea
riempito di minestra i piattelli, e per poco non si intese che il batter dei
cucchiai ed il succiar dei contadini affamati. Poi la porta di strada si
aperse, e sulla soglia comparve un vecchio coperto di un logoro pastrano e di
un cappellaccio bucherellato, dalle falde piene di neve.
— Zio Francesco,
benvenuto zio Francesco! — gridarono i contadini alzandosi per correre incontro
al vecchio mendico.
Appoggiato al
bastone, curvo e con passo incerto, il mendico si accostò al focolare: poi, mentre
la Carolina gli toglieva il pastrano ed il cappello, si lasciò cadere sulla
panca stendendo le scarne e tremanti mani alla fiamma.
Era un vecchio
magro, col viso solcato da rughe e da una profonda cicatrice: i capelli bianchi
ed arruffati gli cadevan fin sulla fronte: fra le palpebre bianche gli occhi
infossati e quasi spenti giravano tardi nell'orbita. Chino sul fuoco, mostrava
fra lo sparato della camicia di traliccio e le costole gialle coperte di una
peluria bianca, e nel mezzo del petto gli pendea una medaglia d'argento sospesa
al collo con una cordicella. Era vestito di una giacchetta e di brache
rappezzate che gli scendean fino al ginocchio. Con quel tremore nel capo,
proprio dei vecchi, si guardava intorno senza far parola; Giovanni gli porse il
piattello di minestra ed egli lo mise sulle ginocchia; e mentre l'una mano era
stesa al fuoco, l'altra portava lentamente alla bocca sdentata il cucchiaio. La
cena continuò: il vecchio non parea curarsi di noi. Poi il maestro di scuola
gli disse, alzando la voce:
— Zio Francesco,
non mi riconoscete? Sono il figlio di Titto Goni, l'armaiuolo.
Il mendico alzò gli occhi, poi crollò la testa dicendo:
— Sì.
— Come state, zio
Francesco? — continuò il maestro di scuola.
Ma non ne
ottenendo risposta, si volse a me:
— Quel vecchio
lì, più che novantenne, — mi disse sottovoce, — fu a suo tempo un uomo di gran
coraggio. Si narrano di lui certe storie terribili di vendette e di audacie.
Nel 1808, giovanissimo, a capo di una banda, lottò contro i francesi, che ne
misero a prezzo la testa.
— Davvero? —
esclamai.
— Davvero. Chi lo
crederebbe ora, vedendo quel vecchio tremante, quasi istupidito, il cui cuore
batte appena, il cui sangue scorre algido nelle membra flosce?
Il mendico non
badava a noi; rimestava nel piattello per raccogliere i resti della minestra, e
stendeva al fuoco le gambe nude e scheletrite.
Era cessato di
nevicare; ma il vento di tramontana passava fischiando fra le cime dei castagni
e scoteva la porta della casetta.
— Avete buone
nuove di vostro figlio? — chiese il maestro di scuola a Giovanni.
— Brutte, caro
signore. Io glielo diceva: va' in America piuttosto che a Tunisi; ma, signornò,
incaponito, volle andare a Tunisi! Ora mi scrive che un giorno o l'altro dovran
fare alle schioppettate.
— Con chi?
— Che domanda!
con chi? con quelli eretici di francesi. Eppure, vedete, ci è mio figlio e
capite bene... Ma proprio ci avrei un gusto matto a trovarmici in mezzo anche
io. Quelli lì, — diceva tata buonanima — son come la vipera: se non si schiaccia
loro la testa, ci è sempre pericolo di un morso. Che ne dite, eh, zio
Francesco? Il vecchio non rispose, con le mani e le gambe stese al fuoco, con
la testa tremante, china sul petto, pareva non sentisse, pareva non vedesse.
— Zio Francesco
li conosce bene — disse il maestro di scuola. — Se li avesse dimenticati,
quella cicatrice e quella medaglietta glieli ricorderebbero.
Poi, rivolgendosi
al vecchio, lo scosse pel lembo della giacchetta, gridando:
— Non è vero che
ve li ricordate, i francesi?
Il vecchio alzò
il capo: negli occhi spenti guizzò un lampo; guardò fieramente in giro, poi
scosse due volte le mani con le dita aperte:
— Venti — disse
con voce distinta. Poscia la testa gli ricadde sul petto e stette immobile.
— Che cosa ha
voluto dire? — domandai.
— Che ne ha visto
cader venti sotto i suoi colpi. Bisogna saper la storia di quel vecchio, per
comprendere il suo odio. Del resto, ogni francese per noi di Calabria è un
nemico; e se domani dovesse combattere Italia contro Francia, i nostri
montanari, pur tanto restii al servizio militare, andrebbero al campo come a
nozze. Più di ogni altra, sarebbe per essi una guerra nazionale.
— E voi sapete la
storia di quel vecchio?
— Io sì: me la
narrò mio padre, che l'intese trenta anni or sono dallo stesso zio Francesco.
— Narratecela,
don Girolamo, narratecela! — esclamarono i contadini stringendosi intorno al
maestro di scuola. Le donne che, finita la cena, avean preso la conocchia,
smisero di filare. Giovanni accrebbe legna al fuoco, la cui vampa scoppiettò
più viva; e mentre il vecchio Francesco, come affatto estraneo a quel che si
diceva, pareva bearsi al caldo, il maestro di scuola così prese a dire:
Si era nel 1808.
Quel vecchio bianco e sparuto era allora un bel giovanotto di venti anni, forte
come un giovane pino, coi capelli neri e gli occhi lucenti. Le belle fanciulle,
quando in chiesa, nella messa della domenica, vedevano ondeggiare i nastri del
cappello a cono di Francesco, dimenticavano il buon Dio degli altari per
guardar sottecchi quel robusto e bel giovane, il quale non aveva sguardo che
per una sola, per Maria, la più leggiadra ragazza del dintorno. Mia nonna, che
la ricordava, dicea che quando in chiesa la domenica, vestita della gonna rossa
e del corpetto azzurro, con la rosea testina fra la tovagliuola bianca, coi
capelli color di castagna primaticcia che le scendeano in ricci sugli omeri,
ella pregava il buon Dio, mai labbra più rosse non si erano aperte per intonar
canto più dolce; e le altre contadine zittivano per ascoltare raccolte, poichè
al Signore riuscir doveva più accetta quella voce d'argento che pregava per
tutti. Quando, per portare al padre, occupato nei lavori di campagna, la
merenda od il pranzo, la vedean correre col panierino in testa, fra i cespugli
e le felci, la credeano la fata che esce dai giunchetti al mattino, allorchè il
sole è biondo e ai bruni castagni s'indorano le cime. La notte, sotto alle
finestre della Maria, che viveva sola col padre ed una vecchia parente, gli
arpeggi delle chitarre si sposavano alle canzoni d'amore; ma la finestretta non
si apriva, e invano le corde e le voci gemevano, il grido di amore si perdeva
inascoltato. Ma una sera la finestretta si socchiuse; fra i rami e le foglie di
gelsomino che la inghirlandavano, si intravide la giovinetta china sul
davanzale, chè a lei era giunta dalla via una voce nota e più dolcemente delle
altre modulata. Poi si disse pel paesello che la fanciulla era malata d'amore.
D'allora i
giovani che le ronzavano d'attorno si allontanarono, non volendo giuocar di
pugnale con Francesco; e volentieri la domenica gli cedevano il posto in
chiesa, presso alla pila nell'acqua santa. La notte non osavano passar sotto la
finestretta di lei, perchè eran sicuri di trovar Francesco, e di certo ne
sarebbe nato qualche guaio: ma quando si seppe che quei due erano fidanzati, il
paesello ne fu lieto, perchè mai più leggiadra fanciulla si era sposata a più
forte e valente giovane.
Intanto le nostre
contrade, invase da' francesi, sedicenti apportatori di civili costumanze e di
libertà, eran funestate da stragi e da delitti. Una guerra feroce senza tregua
e senza quartiere si combatteva sulle montagne tra i figli di Calabria,
abborrenti dal giogo straniero, e i figli di Francia, anelanti conquiste e
rapine. In quel paesello perduto fra le boscaglie ne era appena giunta l'eco,
quando si seppe che il governatore di Cosenza aveva decretato che tutti i
giovani atti alle armi dovessero partir soldati e andar lontano a combattere,
in terre ignote, contro ignoti nemici. Il paesello sorse a rumore. Partire,
abbandonar la casa, i parenti, gli amici; andare a far alle schioppettate per
accrescer glorie e conquiste a chi venuto in casa nostra ci avea tolto il pan
di bocca e si era coricato gonfio di vino nei nostri letti; a chi insultava il
nostro Dio e amoreggiava le nostre donne, e ci batteva, ci fucilava se per poco
tentavisi vendicar le offese e rispondere con l'ingiuria all'ingiuria, col
ferro al ferro! No, non sarà mai, dicevano i giovani, e fra questi più audace
Francesco; meglio il bosco; là, dietro un pino, con la carabina armata e il
pugnale fra i denti, invocando la Vergine del Carmine, là almeno si muore dopo
aver visto morire; e gli angeli del Paradiso porteranno a Dio l'anime nostre,
perchè abbiam difeso le nostre case e le nostre chiese!...
Ed il fermento
cresceva. Un giorno, a tamburo battente entrò nel paesello una compagnia di
soldati. A cavallo, con la spada sguainata scintillante al sole, un giovane
capitano la precedeva, tra i contadini accorsi che guardavano paurosi e sdegnati.
Da quel giorno il paesello risonò di suoni e di canti in lingua ignota. Per la
via i soldati ubriachi sghignazzavano rivolgendo alle nostre donne con sconci
sorrisi parolacce ignote, ma comprese per l'accento onde si proferivano ed il
gesto osceno che le accompagnava. Gli usci eran chiusi, le case silenziose; un
non so che di sgomento regnava nel paesello. Francesco, cupo ma risoluto,
ronzava intorno alla casa della sua fidanzata, perchè gli avevan detto che il
giovane e bel capitano, vedutala alla finestra, se ne era invaghito pazzamente,
e passava spesso per quella via con gli occhi in alto, arricciandosi i baffi e
facendo risonar gli sproni sul lastrico. La fanciulla, chiusa in casa, non
osava metter la testa fuori dell'uscio, e quando il padre era assente sbarrava
la porta e non l'apriva per cosa al mondo.
Il capitano aveva
preso per servo un contadino, che venne in odio alla gente del paese quando si
seppe che favoriva gli intrighi del padrone con le donne di mala vita, perchè,
a costo di morir di fame, non si deve accettar pane da un nemico. Intanto il
sindaco aveva affisso alla porta della casa comunale le liste dei coscritti, i
quali erano indecisi sul da fare. Francesco più degli altri fremea di rabbia,
chè non gli dava il cuore di lasciar la fanciulla, e già aveva fatto
comprendere che un giorno o l'altre avrebbe preso il bosco. La fidanzata con
dolci parole cercava dissuaderlo, però anch'ella aveva come una spina nel cuore
presago di maggiore sventura.
Ma, a consolarli
in parte del loro affanno, un giorno si seppe che il bel capitano era stato
richiamato in Cosenza e fra poco sarebbe partito. Il giovane si sentì come
sollevato da un gran peso, tanto più che la fanciulla era rimasta sola in casa
con la vecchia zia, poichè il padre era stato costretto a seguir col suo mulo
un drappello di soldati partiti per la Sila.
Quella sera,
Francesco, nel dividersi dalla fidanzata, le raccomandò di chiuder bene la
porta e di non aprirla per cosa al mondo; del resto avrebbe fatto buona
guardia. Giunte a casa, mangiò svogliato la parca cena o cercò addormirsi, ma
non potea chiudere occhio; ne pensava tante, tutte sinistre, e il letto parea
avesse delle spine. Balzò in piedi, si vestì in fretta, si armò di uno di quei
coltellacci larghi e lunghi che si portano infilati nella tasca destra delle
brache, ed uscì.
Il paesello era
silenzioso sotto le tenebre. Il giovane camminava rasente i muri delle case con
le orecchie tese e gli occhi fissi nel buio. Di repente trasalì: aveva inteso
un grido acuto echeggiar dal fonde della via, cui avea tenuto dietro lo
scalpitio di un cavallo lanciato a corsa dirotta...
Il maestro di
scuola s'interruppe per guardare il vecchio mendicante, che si era scosso,
aveva aperto gli occhi, accesi di insolita luce, e ascoltava con la testa
rivolta verso il narratore, con le labbra socchiuse, grattando con mano
tremante la fronte, come se a poco a poco, in quel cervello abbuiato dalla
vecchiezza, un filo di luce si fosse fatto strada ed avesse evocato gli antichi
ricordi. Come chi pur mo' svegliato, ma ancor sonnolente cerca darsi conto di
quel che ode e di quel che vede, il vecchio ascoltava col petto ansante e le
orecchie tese.
La vampa del
focolare tingeva in rosso il viso del mendico e degli astanti, e delineava le
grandi ombre nelle pareti affumicate della stanzetta.
Il maestre di
scuola proseguì:
— A quel grido, a
quello scalpito, il giovine si diè a correre verso la casa della sua fidanzata.
Ivi giunto, cacciò un grido: la porta era aperta, la stanza al buio; entra, e
si dà a chiamare a gran voce la fanciulla e la vecchia zia. Un gemito gli
rispose. Ad un tizzo del focolare accese un ramo di pino che aveva portato con
sè, ed alla vampa che rischiarò la stanza vide in un angolo la vecchia legata
ed imbavagliata, che facea sforzi per sciogliersi dai legami. Corse a lei e la
liberò del bavaglio, chiedendo con vece affannosa:
— Maria? dove è
Maria? parla, che è successo?
— Gli infami
l'han rapita — rispose ansante e fra i singhiozzi la donna. Han contraffatto la
tua voce, noi aprimmo; un di essi, e l'ho conosciuto... Saverio, il servo del
capitano, mi legò, mi imbavagliò, mentre l'altro, lui, prendeva in braccio
Maria, tramortita dallo spavento.
Il giovine rimase
come fulminato: poi di subito uscì fuori di un balzo e si diè a correre
precipitosamente. Con la lucidezza che dà talvolta la disperazione, aveva fatto
il suo piano: il rapitore si dirigeva di sicuro verso Cosenza; l'unica strada
praticabile ai cavalli era la via maestra che saliva la montagna; poscia girava
a semicerchio, costeggiando le colline dirimpetto al paesello. Correndo in
linea dritta in modo da segare la corda dell'arco, forse gli era facile di
raggiungere al ponte di Albicello il rapitore e la rapita. E allora, senza
riflettere, spinto, sferzato dalla sua sete di vendetta, si diè a correre per
la campagna, al buio, inciampando nelle pietre, sdrucciolando nei fossati,
rotolando pei burroni, ma rialzandosi sempre con novello vigore, seguendo la linea
dritta tracciata dal suo pensiero attraverso le tenebre dense. Le vesti si
laceravano alle spine, le mani si scorticavano ai cespugli, la fronte ed il
petto urtavano negli alberi, ma egli muto, ansante, con gli occhi fissi nel
vuoto nero a sè dinnanzi, continuava a correre giù per le balze, a inerpicarsi
su per le pendici, a scendere, guadando fiumi, saltando fossati, col cuore che
gli balzava in petto, col respiro che gli gorgogliava nella strozza, col sangue
che gli percoteva nel cervello. Dopo due ore di quella corsa sfrenata, vide nel
mezzo di una collina, che con dolce declivio scendeva nel fiume, biancheggiar
nel buio la via maestra. In quel mentre udì distinto lo scalpito del cavallo
che scendeva la collina, ed egli, con un ruggito di gioia, riacquistando vigor
novello, prese più veloce a correre per giungere al ponte, di cui già
intravedeva gli archi. Lo scalpito si faceva più vicino; nel mezzo della via,
vedea fra le tenebre diradate dalla luce delle stelle, muover veloce un punto
nero; udiva il nitrito del cavallo, la voce del cavaliere che vieppiù lo
incitava; e allora, con uno sforzo disperato, superando l'erta e saltando il
muricciuolo che fiancheggiava la via, gridò con voce anelante:
— Ferma, per la
Madonna, ferma, assassino!
Il cavallo, che
era giunto a venti passi dal giovane, si arrestò di botto.
— Chi è là? —
gridò una voce.
— Madonna, ti
ringrazio, è lui, e Maria è là, attraverso la sella — mormorò il giovine. Poi,
a voce alta:
— Capitano,
lasciate quella donna e andate con Dio.
— Ah! tu devi
esser Francesco. Sì, me l'avevan detto che eri audace. Largo, giovanotto mio;
la ragazza è in buone mani, non dubitare, e quando si riavrà dallo sgomento,
sarà ben lieta di trovarsi meco.
— Ah, per Gesù
Cristo, — urlò il giovane, e di un balzo fu presso il cavallo che impennossi
nitrendo. Si udì la voce gridare:
— E va'
all'inferno, dunque!
Un lampo
rischiarò il sentiero, una palla fischiò all'orecchio del giovane, che, tratto
il lungo coltello, afferratosi ai crini del cavallo, mise il piede sul piede
del capitano e gli si strinse addosso.
— Che hai,
Francesco? — disse il maestro di scuola, interrompendosi.
Il vecchio
mendicante si era raddrizzato in tutta la persona: fra le palpebre bianche gli
occhi accesi mandavano lampi: coi pugni chiusi, con la persona dritta e
ringagliardita dal ricordo, ansante e con lo sguardo fisso sul narratore, si
era fatto più accosto a noi e mormorava:
— Sì, sì, sì...
— S'impegnò una
lotta terribile, — continuò il maestro di scuola, rivolgendosi a noi. — La fanciulla,
rinvenuta, aveva dato un gemito, e liberatasi con uno sforzo della mano del
rapitore, era sdrucciolata dal cavallo e giaceva in mezzo via. Il capitane
aveva tratto la spada e si difendeva valorosamente, tentando liberarsi dalla
stretta del giovane; e mentre il cavallo spaventato dava in salti nitrendo,
essi lottavano muti, feroci, il capitano colpendo di taglio, il contadino
colpendo di punta; ma in quella lotta a corpo a corpo il pugnale aveva
vantaggio sulla spada. Infine riuscì al francese di trarsi un po' addietro e di
calare un fendente che colpì sulla fronte il giovane, il quale, quando senti
caldo il sangue scorrere pel viso, ruggendo di rabbia e di dolore, raccogliendo
tutte le sue forze in un estremo conato, afferrò alla gola il nemico e lo colpì
al petto...
— No, — esclamò
il vecchio mendicante, sorgendo in piedi dritto e fiero, come se nelle flosce
sue membra avesse inteso rinascere il vigore della giovinezza. Mentre i
contadini e il maestro di scuola, interrotto nel bel meglio, lo guardavano
spaventato, egli, col braccio teso, con gli occhi scintillanti, mosse verso il
narratore e appuntandogli un dito in gola:
— Qui — gridò con
voce alta e sonora.
Poi cadde di
nuovo a sedere, volse gli occhi intorno e sorrise.
In quella bocca
viscida, quel sorriso rischiarato dalla vampa rossa del focolare avea qualcosa
di feroce e di sinistro.
— Ah! non fu al
petto, fu alla gola che lo feriste? E lo stesso, vecchio mio.
Ciò detto, il
maestro riprese:
— Il capitano
precipitò, il giovane cadde presso alla fanciulla, mentre il cavallo spaventato
si dava a furioso galoppo. La giovanetta giaceva inanimata; egli la prese in
braccio, incurante della ferita, incurante del sangue che lo accecava. Poi diè
un urlo di gioia, chè fra le braccia aveva inteso sussultare il corpo della
fanciulla.
— Maria, Maria,
rispondimi, — gridava.
— Sei tu,
Francesco, sei tu.... Fu Saverio, il servo di quell'uomo, il traditore.
— L'ucciderò,
colui, l'ucciderò! — mormorava il giovane. — L'uno è morto, l'altro...
— Non del tutto
ancora, — disse una voce. E un lampo illuminò il sentiero, uno scoppio echeggiò
per monti e per valli. Il capitano ferito si era alzato su i ginocchi ed aveva
esploso l'una delle due pistole d'arcione ancor carica. Allo scoppio tenne
dietro un grido: la fanciulla diè un balzo e cadde fra le braccia del giovane,
dicendo con voce morente:
— Son ferita qui,
al cuore. Muoio.
Egli, disperato,
pazzo d'ira e di dolore, si scagliò sul nemico e si diè a crivellarlo di colpi.
Quando non lo intese più gemere, tornò alla giovinetta, che fredda, stecchita
giaceva sull'erba. La prese in braccio, la strinse disperato al cuore,
chiamandola a nome, mescendo alle dolci parole le bestemmie, ai gemiti i
ruggiti. Ella non rispondeva. Al fioco lume delle stelle ei vide che in mezzo
al petto della fanciulla, da un buco nero, zampillava il sangue.
— Maledizione! —
gridò coi pugni stretti. E si abbandonò singhiozzando sul cadavere della
fidanzata.
A questo punto i contadini
impietositi e con gli occhi gonfi di pianto si volsero verso il vecchio
mendicante. Vivo, terribile, preciso in tutti i particolari, gli si era
ridestato il ricordo di quella notte. Non osava interrompere, ma di certo aveva
nella strozza un gruppo di singhiozzi e di parole. Ansava stringendo le labbra;
nell'angolo degli occhi gli tremolava una lagrima e con mano tremante
accarezzava la medaglia d'argento che gli pendea dal petto.
— E poi? e poi? —
chiesero i contadini.
— Poi, — continuò
il maestro, — alcuni paesani al mattino trovarono i due cadaveri stesi sulla
via, e, presso a quello della giovinetta, Francesco in ginocchio, intriso di
sangue, muto, inebetito, con gli occhi fisi sul livido volto della giacente. I
paesani scossero il giovane e gli dissero di fuggire, se non voleva anche lui
ballar nel vuoto appeso alla forca. Il giovane non voleva dividersi dalla sua
povera morta, ma un vecchio contadino gli disse:
— E se ti
arrestano, chi ucciderà Saverio il traditore?
Queste parole
ebbero forza di scuoterlo: baciò in fronte la fanciulla, si alzò in piedi e
voltosi ai paesani, col dito teso verso il cadavere del capitano:
— Dite ai compagni di quello lì,
che li aspetto sulla montagna.
Poi si diè a salir l'erta della
collina, e scomparve in breve fra i castagni.
Il cadavere della
giovinetta e quello del capitano furono portati al villaggio. I soldati
volevano trarne vendetta sui paesani, i quali fecero sapere che a loro non
mancava nè polvere nè palle. Al capitano furono fatti funerali solenni dai
soldati, e funerali solenni furono fatti alla fanciulla dai paesani. Ora,
mentre in chiesa, tre giorni dopo l'accaduto, si diceva la messa funebre e la
folla piangente contemplava il bel corpo della giovinetta vestita di bianco,
distesa sulla bara fra quattro ceri, un giovane, riccamente vestito dal costume
brigantesco, armato di carabina e di pistola, si fe' largo fra gli astanti, ed
accostatosi al cadavere della giovinetta lo baciò in fronte, dicendo:
— Ho voluto
vederti un'altra volta; ora dormi in pace, chè sarai vendicata.
E staccata dal
collo della fanciulla una medaglia d'argento, se la mise sul petto. Poi si aprì
di nuovo il passo tra la folla, che avendo riconosciuto Francesco in quello
audace, era rimasta sorpresa e sbigottita, ed uscì calmo e fiero dalla chiesa,
senza dar segno di timore e senza guardarsi intorno.
Quel che fece
appresso, è un mistero. Se ne dissero tante ed a diecine si enumerarono le sue
vittime. Cambiò nome e divenne celebre nei fasti del brigantaggio. Poi non se
ne seppe più nuova e fu creduto morto. Or fan trent'anni, si vide per le
montagne aggirarsi un mendicante, nel quale qualcuno riconobbe Francesco.
Ed il maestro di
scuola finì il suo racconto. Il vecchio era tornato a rincantucciarsi presso al
fuoco, al quale stendeva le mani scarne e tremanti. Giovanni il massaro lo tirò
pel lembo della giacchetta; il vecchio alzò la testa e lo guardò.
— Quanti, zio
Francesco? — gridò Giovanni, facendo l'atto di spianare il fucile.
— Venti, —
rispose il vecchio.
Poi ripiegò la bianca
testa sul petto e stette immobile.
|