Parte I.
Medicina popolare
Avvertenza
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La presente raccolta di rimedi
simpatichi, come suole chiamarli il popolo, ed anche delle altre tradizioni
che ho pubblicato o che sono in corso di pubblicazione in questa raccolta di
«tradizioni popolari romane», sono il frutto di parecchi anni di assidue
ricerche da me fatte vivendo in mezzo al popolo; e questi rimedi particolarmente
io devo alle donne: poichè la scienza di curare qualsiasi malanno è
generalmente riservata ad esse.
Confesso il vero, mentre una trentina d’anni fa li
raccoglievo, non immaginavo che un giorno mi sarebbero serviti a qualche cosa.
Nel perdermi per lunghe ore tra quei chiassuoli, tra quelle viuzze anguste e
fangose del Trastevere, non avevo allora altro desiderio che di far tesoro dei
modi di dire o delle frasi più originali che avessero potuto interessarmi. In
tali occasioni non di rado mi accadeva di udire ora il pregiudizio, ora il rimedio
simpatico, ora la leggenda... ora una cosa, ora un’altra, di cui subito
pigliavo nota; ma, ripeto, facevo ciò per semplice curiosità, e anche per
quella vivissima passione che avevo ed ho per le cose che col popolo hanno
attinenza. Tanto ero lontano in quel tempo dall’idea che siffatto materiale
potesse interessare, all’infuori di me, altra persona: ed anche perchè ignoravo
che già dotti ed illustri scienziati, quali il Pitrè, il d’Ancona, Salomone
Marino, il Guastella, il De Nino, il Gianandrea, il Morandi, il Sabatini, il
Menghini ed altri, attendevano con amorevoli cure a salvare dalle ingiurie del
tempo questi documenti intimi della psicologia di un popolo.
* * *
Molti di questi stessi rimedi furono consigliati a me
stesso da alcune vecchie commari, alle quali, mi accusavo di aver cento
malanni come il Cavallo di Gonnèlla; e ciò facevo per destare in loro maggiore
interesse e darmi così agio a bene imprimermeli nella memoria. Fra queste
ricorderò sempre con vivo compiacimento le due vecchie proprietarie di
un’antichissima friggitoria, le quali, prima che si costruisse la nuova via
Cavour, avevano la loro bottega alla Suburra.
Parte di questi rimedi empirici li devo a loro; moltissimi
altri alla mia povera mamma; e altri pochi di essi mi sono stati forniti
dell’immortale poeta Belli, per mezzo de’ suoi meravigliosi Sonetti
romaneschi.
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Se al lettore questi rimedi sembrassero strani o
ridicoli, risponderò con un adagio tutto romanesco che dice: peggio nun è
morto mai. Poichè per quanto strani e ridicoli essi siano, non
raggiungeranno mai l’assurdità di alcuni rimedi di celebrità mediche dei secoli
XVI, XVII, e perfino del XVIII secolo. Ad esempio nel secolo XVI Giovan Matteo
Fabbri ne assicura che si giudicava il suono delle campane essere ricetta
salutare contro il dolor di capo e si scrivevano opere di questa fatta: De
dolore capitis sonitu campanarum sanato (!). Ed ancora nel 1759 il famoso
Lemery, medico e chimico francese, insegnava che lo stercus humanus è
digestivo, risolutivo emolliente, addolcente! E lo si prescriveva contro i mali
di gola, contro l’epilessia, contro le febbri intermittenti, ecc. Disseccato,
polverizzato e mischiato col miele, veniva applicato sui flemmoni, sugli
antraci, sulle ulceri carbonchiose: ed era chiamato empiastro aureo! Ma
ciò che sorpassa ogni immaginazione è che i vapori esalati dall’odorifera
cottura erano raccolti con cura e servivano a fare un’acqua
antioftalmica!...1
Basta: se questa mia breve raccolta troverà favore presso il
pubblico (presso i dotti no di certo) lo dovrò forse allo studio che ho posto a
purgarla dai pregi propri alle opere dello stesso genere, evitando note,
chiose, confronti, citazioni e fin la parvenza della più lontana erudizione,
poichè io non ho avuto la pretesa di offrire agli studiosi del Folk-lore un
lavoro perfetto, ma soltanto un abbozzo di studio ed una traccia per chi voglia
seguire lo svolgersi del popolo nostro.
Roma, dicembre 1907.
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