25. — Mmorè-mmorè.
Il giocatore designato dalla conta prende in mano la mazzarócca,
la quale è un fazzoletto contorto e poi raddoppiato e annodato da una parte,
nella quale alcune volte vi si nasconde un sassetto.
La mamma o la conta tira in alto la mazzarócca;
allora tutte le mani dei giocatori si protendono per pigliarla prima che essa
cada in terra. Chi la piglia è il primo e si sceglie il secondo; il secondo si
sceglie il terzo; questo il quarto, e così via via. L’ultimo di essi, non
appena designato per tale, deve subito dire la parola: Sciacquabbicchieri.
Se non la dice, si busca, seduta stante, una buona dose di mazzaroccate.
La mamma siede tenendo in mano l’estremità grossa
della mazzarócca, e con le parole e le mani descrive un oggetto ben noto
che il primo giocatore deve indovinare alla presenza dei compagni. Dice
per esempio: Ció un arbero nun tanto arto che mme fa ccerte fojette verde
piccole piccole; e quann’è pprimavera, me fa certi mazzetti de frutti piccoli
piccoli..., e nel dire così dà l’estremità sottile della mazzarócca
al primo. Gli altri stanno tutti dietro a lui, pronti a svignarsela.
Se il primo non indovina subito, allora chiede
maggiori schiarimenti. Per esempio:
— So’ rossi?
— Sì.
— Se màgneno?
— Sì.
— Allora so’ ccerase?
Se indovina, la mamma grida: Mena mena!
E i giocatori a fuggire e a nascondersi per non farsi
raggiungere e picchiare, senza diritto di poter reagire.
La corsa dura fino a che la mamma a suo piacere non
grida: Morè mmorè! Allora i giocatori si affrettano a tornare dalla mamma,
dicendo per non essere battuti: Pane, cacio e vvino dórce.
La mamma, quando li ha tutti attorno a sè, finge di
raccontare una storiella: Una vorta c’era un frate che cciaveva una moje che
j’aveva fatto dodici fiji. Er Papa, saputo ’sto scànnelo, s’arabbió e diede
ordine a la madre che cacciasse tutti li fiji der frate via da casa. Allora la
mamma, tutta arabbiata, strilló: «Nun so’ ppiù ffiji mia!».
A queste parole, che sono il segnale di nuove busse, i
giocatori fuggono e vanno ad appiattarsi di bel nuovo, inseguiti dal primo
che li picchia dove coglie coglie. Insomma è il giuoco che ricomincia da capo.
Se il primo non indovinasse, la mamma passa la
mazzarócca al secondo, al terzo, al quarto, ecc. ecc.
Il Belli così lo descrive: «Per consenso spontaneo
de’ giocatori, ovvero facendo a la conta, cioè al tocco, si
elegge la mamma o mammaccia, che deve dirigere il giuoco, e che
lo comincia col fare un nodo a un fazzoletto e col gettarlo in aria. Gli altri
tutti a gara per riacchiapparlo; e poi quello a cui è riuscito, messosi coi
compagni in circolo intorno alla mamma, dà a tenere a lei la cocca (er
pizzo) col nodo, tenendo lui quella opposta. Allora la mamma gli
propone un indovinello; e se egli non riesce a spiegarlo, deve passare la cocca
al vicino di destra, a cui la mamma ripropone il medesimo o altro
indovinello e così di seguito. Ma se lo spiega lui o un altro, la mamma
lascia subito la cocca annodata gridando: Mena mena! e il fortunato
spiegatore ha il diritto di rincorrere i compagni e di picchiarli con quella,
finchè la mamma non gridi moré moré, il qual grido io credo derivi dal
latino Mora est. Raccogliendosi, salvi dai colpi, intorno alla mamma,
i dispersi giocatori le vanno chiedendo con una specie di cantilena: Pane,
cacio e vino dórce!
E se la mamma grida: Nun so’ ppiù fji mia!, il giuoco
ricomincia».
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