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Luigi Zanazzo Usi, costumi e pregiudizi del popolo di Roma IntraText CT - Lettura del testo |
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Alla nota 5 del sonetto: Li bballi nôvi il Belli così descrive questo giuoco, ancora in voga. «Fra i molti saporiti giuochi praticati in Roma, anche nelle non infime società, è questo, pel quale molti uomini e donne pongonsi in circolo, e fanno girare dall’uno all’altro un pezzetto di cerino acceso, dicendo ad ogni consegna:
«Ben venga e bben vada il signor Don Alonzo Che viaggia a ppiedi e a ccavallo al bigonzo».
Con molta fretta si cerca di proferire quei bei due versi, onde presto passare il consumato cerino al compagno, il quale non lo riceve che all’ultima parola. Colui poi che bruciandosi i diti lascia spegnere o cadere il cerino, dà un pegno, per riavere il quale deve poi fare una penitenza, imposta per lo più dalla più gentile signora della società. Questi e molti altri chiamansi a Roma giuochi di pegno, o meglio, giôchi de pegni». E poichè siamo a parlare di giôchi de pegni, eccovi un saggio delle penitenze che si usano fare. Mi limito però a darne il solo nome: la Berlina, il Testamento, lo Specchio, l’Orologio, il Facchino, l’Areggi-móccolo, il Tavolino, il Portinaio, la Confessione, il Credenzóne, li Quattro cantoni, le Quattro gambe al muro, ecc., ecc.
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1 Ar cerino, è forse il giuoco greco al quale allude Lucrezio in quel verso: «Et quasi cursores, vitaï lampada tradunt». Ogni giocatore doveva, come nel nostro giuoco, procurare di trasmettere al suo vicino la bugïa o la candela accesa. Colui nelle mani del quale si estingueva, era il perdente, ed era costretto a pagare una multa. |
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