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Luigi Zanazzo
Usi, costumi e pregiudizi del popolo di Roma

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  • Parte V. Voci degli antichi e odierni venditori ambulanti di Roma.
    • Avvertenza
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Parte V.

Voci

degli antichi e odierni

venditori ambulanti di Roma.

 

Avvertenza

__________

 

La raccoltina presente la feci per dare un’idea delle piccole industrie nomadi scomparse o tendenti a scomparire, e di quelle nuove che le hanno surrogate.

Il Mainzer, nel suo soggiorno in Roma, raccolse e pubblicò alcune nenie udite per le strade; così il Kastner, il quale nel suo pregiato studio sulle cantilene dei venditori girovaghi di Parigi, accennando rapidamente a tutti i venditori nomadi delle altre regioni, nota che quelli italiani e particolarmente i romani, hanno delle cantilene che presso a poco sono dello stesso carattere delle voci spagnuole. Si direbbe — egli osserva — che l’uso dei canti religiosi così comune e popolare nei due paesi abbia influito sensibilmente sulla forma musicale dei ritornelli mercantili.

Un solo punta neroscrive l’erudito e dotto conte Alessandro Moroni13 — si rinviene nella storia a carico dei venditori ambulanti di Roma; vale a dire che fossero costretti non di rado dal Governo ad esercitarsi nel mestiere delle spie.

«Tutti i rivenditori di biscotti o i ciambellari — dice uno scrittore francese del secolo XVIII — e la notte tutti gli acquavitari che girano per le strade... sono pagati per fare le spie. E ciò secondo il sistema del cardinale Francesco Barberini; il quale aveva le sue buone ragioni per prendersi cura di collocare in tutte le primarie famiglie di Roma servi, cuochi e cameriere. La sua casa era divenuta un’agenzia des tous les laquais et valets de Rome...».

 

Ho divisa questa raccoltina in voci vecchie e nuove, perchè, ripeto, non ho voluto dare soltanto un saggio dei venditori cantaiuoli della Roma di adesso, ma anche di quelli dei miei anni giovanili, come anche delle loro voci dei primordi del secolo XIX, forse chi lo sa da quanti altri secoli tramandate di padre in figlio, di generazione in generazione; ricordi — come scrive a proposito il citato conte Moroni — di epoche lontane, di gemiti sommessi ma secolari della umanità che soffre e che lavora.

______________

 

Per l’intelligenza del lettore, mi è indispensabile il far precedere questa raccolta da alcuni dati storici e da parecchie dotte considerazioni che sono andato spigolando, col gentile consenso dell’autore, dall’accennato studio del chiaro conte Alessandro Moroni intitolato: «Vie, voci e viandanti della vecchia Roma». E ciò anche per non rifare inutilmente un lavoro del quale non c’è più bisogno.

«In Roma — egli scrivefin dai tempi della così detta Rinascenza, i merciai ambulanti erano più numerosi di quello che si veggono al presente: giacchè i venditori girovaghi non si riducevano, siccome avviene ora, al piccolo commercio dei commestibili, e di pochi ninnoli di scarto; ma portavano bensì in giro per le contrade e per le case drappi di valore, utensili, oggetti d’arte, novità e derrate di ogni regione e ragione... Si era ben lontani dal lusso delle vetrine, dalla varietà delle così dette mostre... Fin quasi a memoria dei nostri vecchi queste si erano mantenute lercie e nella massima parte di povero aspetto. Le botteguccie degli orefici al Pellegrino, dei calzettai ai Cesarini14, dei mercanti di panno in Agone, ai Banchi, in Sant’Eustachio, nel Ghetto, con le mostre di panno turchino listate di rosso appiccate alle pareti esterne delle imposte, tramezzate da una mezza balaustrata di pietra alla porta d’ingresso, potean dirsi le migliori del genere. Il grande commercio delle stoffe, delle mode, e di tutti gli amminicoli del lusso, era condotto da pochi banchieri e mercanti, d’ordinario assai ricchi, i quali per non discostarsi troppo dal centro, accumulavano le mercatanzie, abbatuffolate su rozze impalcature, in miseri ambienti, situati in fondo a cortili, ove, dietro piccolo desco, con iscarsa luce, in pieno giorno, e di sera con una lucerna di ottone a triplice lucignolo, si contrattava d’ingenti somme...».

 

* * *

 

«Percorrendo le vie di Roma con la scorta delle vecchie cronache, è da scommettere che molti rimarrebbero impacciati udendo parlare di scrannari, di bombattari, di paternostrari (coronari), di pelamantellari (pellicciai), di lentari, di gipponari (tessitori di corpetti), di morteliari, margaritari e simili, come tra i documenti di quattro o cinque secoli indietro non s’identificano subito i carnifices per macellai, i mueliones per carrettieri, gli equi forensium per cavalli forestieri; e più tardi gli strazzaroli per mercanti di seta greggia, i pelacani per conciatori di pelle, i repezzini di Genova (rimendatori), gli agucchiatori (fabbricanti di tessuti a maglia), i pattari di Milano (rigattieri), gli sprocani di Ferrara (venditori di legna da ardere), i franfellicari e gli zeppolaiuoli di Napoli (portatori di zuccherini e di frittelle)».

 

* * *

 

«Andrea Speciale, poeta popolare romano al principio del secolo XVII, in un curioso e ignorato opuscolo intitolato: Historia nova e piacevole dove si raccontano tutte le cose che si vanno vendendo dagli artigiani per Roma, dopo aver notato i principali mercati a Campidoglio e a piazza Navona, alla piazza dei Giudei, a Campo di Fiore, alla Rotonda, a Torre Sanguigna, al Pozzo Bianco, così canta a modo suo:

 

«Ma questo è ombra a quel ch’a la giornata

Vi passa a canto a casa ogni matina

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Considerate poi che tutte l’arte

Vi passano davanti in ogni parte».

 

Questa era la pura verità. Ai merciai ambulanti propriamente detti, si aggiungevano numerosissimi artigiani i quali per le difficoltà di procurarsi una clientela fissa ed una officina in vista del pubblico, giravano tutto il giorno per accaparrarsi lavoro.

 

«Passa il chiavaro, e cerca d’acconciare

In casa tua cassetto o forciero...

Quell’altra voce fa l’aer tremare

Chi vuol conciar lucerne o candeliero;

Quell’altro grida: cucchiai e catini

E l’altro strilla: forbicette fini.

 

Senti uno che dice: canestri canestri,

Odi l’altro che grida: lino lino;

Uno che si vanta di conciare i destri

Parla con un che va vendendo il vino.

Ecco per Roma infiniti maestri

Col sacco in spalla e in mano un bacchettino

Gridando tutto il : scarpe, pianelle

E l’altro canta: vascelle, vascelle».

 

* * *

 

«Seguitando a pedinare i venditori ambulanti, vediamo altresì pei calzamenti portarsi in giro le francesche, specie di scarpette per donna fatte all’uso di Francia; le cornacchie, le scarpe di cordovano, gli scarferoni o scarferotti e i frattoni, ripiego economico per difendersi dalle pozzanghere e dalle spine delle fratte in surrogazione degli stivali».

 

* * *

 

«Da una ballata rusticana del 1464 tolta da un Ms. Casanatense, apprendiamo che per le vie di Roma le venditrici di erbaggi gridavano: il petrosello, la mempitella, il serapullo, la borrana, la persia coviella, la ramoraccia, la rughetta, e il macerone, mentre i pescivendoli urlavano offrendo a vile prezzo i castaurielli e i triuli...».

 

* * *

 

«… Il poeta Andrea Speciale non è avaro di nuovi e curiosi particolari ricordando i venditori di farinelle per gli infermi, quelli di puleggio per le doglie del fianco, altri di secreti per la così detta mala macchia, o per campar dal morso dei serpenti: e finalmente gli spacciatori girovaghi di spezie e di pane bruscato:

 

«Per ridonare il gusto all’ammalato».

 

Nel 1651 l’acquavite si chiamava in Roma la pollacchina, leggendosi in una canzonetta di quell’anno:

 

«Chi vuol dir gli acquavitari

Quei che tutta la mattina

Van gridando: pollacchina»15.

 

* * *

 

«Parimenti veniamo a sapere che i venditori ambulanti per invogliare le signore a comperare la seta valutata in quei tempi ad alto prezzo, si contentavano di barattarla con farina... Così sappiamo che le ricotte si vendevano dandole a saggio gratuitamente in una scodelletta; e che a vendere i coltelli s’industriavano le donne, ma senza gridare... Che le palle moscate erano sì accette al bel sesso che i giovani innamorati, per aver l’occasione di parlare alle loro belle, si trasformavano sovente in aromatari, cioè in venditori di saponi profumati.

Le focaccine all’essenza di rosmarino, tanto comuni in Roma fino a pochi anni fa, e solite a vendersi nelle prime ore della notte, col grido di pan di ramerino, erano sconosciute tra noi prima del 1870. Furono portate intorno a quel tempo di Toscana, e parvero in Roma una novità. Invece non si tratta d’altro che di una vecchia speculazione andata in disuso, giacchè proprio con lo stesso nome e forse col medesimo canto era ben nota ed avviata in Roma fin dal tempo del poeta Speciale, rallegrandosi egli alla sera:

 

«Perchè si sente un certo fiorentino

Che va gridando: pan di ramerino!».

 




13 Vie, voci e viandanti della vecchia Roma, “Nuova Rassegna”, numeri 12-19. Anno II.



14 Ora scomparsa per dar luogo alla strada Corso Vittorio Emanuele. La via di San Nicola a’ Cesarini era fra piazza del Gesù e Torre Argentina.



15 Eravi anche il rosolio di pollacchina.






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